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Portulaca oleracea
Mio padre, con involontario disprezzo, in dialetto veronese chiamava la Portulaca oleracea “porsilana”. In effetti il nome italiano di questa pianta succulenta è portulaca ma nelle varie regioni italiane è conosciuta anche con nomi dialettali diversi: porcellana o erba grassa in Lombardia; purcacchia nel Lazio; porcacchia nelle Marche; precacchia in Abruzzo tanto per citarne alcuni esempi.
La portulaca è una pianta medicinale conosciuta fin dall’antico Egitto che ha proprietà diuretiche, depurative, dissetanti e anti-diabetiche. Nella medicina popolare orientale – da cui probabilmente è originaria – viene utilizzata anche per il trattamento della diarrea, del vomito, in caso di enterite acuta, di emorroidi e di emorragie post-partum. Inoltre le foglie di portulaca vengono utilizzate come impacco in caso di punture di insetti, acne ed eczema.
Negli ultimi tempi si è scoperto che la portulaca è ricca di acidi grassi polinsaturi di tipo omega-3, considerati molto importanti nella prevenzione delle malattie cardiovascolari. In particolare 100 g di foglie di portulaca contengono circa 350 mg di acido α-linoleico (acido grasso facente parte del gruppo degli omega-3). Tale acido, come altri del gruppo omega-3, aiutano a ridurre il colesterolo LDL (quello”cattivo”) e i trigliceridi favorendo una migliore circolazione del sangue. In sostanza la portulaca è una panacea!
La portulaca può essere impiegata principalmente in cucina dove viene utilizzata sia a crudo per la preparazione di insalate, sia cotta come ingrediente di minestre, condimenti, ripieni per ravioli e pasta fresca, frittate. A casa mia la utilizzo da anni a crudo nelle insalate e desidererei scoprirne presto anche la bontà da cotta.
La portulaca è il tipico esempio di come, spesso, la sostenibilità ambientale non debba per forza passare attraverso complesse formule matematiche, alchimie chimiche o tecnologie elettroniche spinte. Basta solo (ri)scoprire le virtù nutrizionali – patrimonio spesso dimenticato delle conoscenze dei nostri antenati – di una pianta estiva infestante che mio padre e i miei nonni non amavano e diserbavano a fatica (o, peggio, utilizzando pericolosi intrugli chimici). Et voilà, il gioco è fatto. Meno pesticidi, più rispetto per la natura – non quella esotica della savana che immaginiamo ma quella che abbiamo sotto casa nelle aiuole e nei vasi dei fiori – più stagionalità nel consumo di frutta e verdura, più consapevolezza delle capacità auto guaritrici (per la precisione: prevenzionistiche) che ciascuno di noi può mettere in pratica con comportamenti alimentari quotidiani.
La portulaca è la dimostrazione che per essere “ambientalisti” non bisogna per forza solo incatenarsi agli alberi secolari o associarsi a movimenti di lotta e di protesta. Lo si può fare anche e soprattutto con comportamenti quotidiani semplici, quasi banali, che non richiedono troppi sforzi. Basta solo avere la voglia di mettersi in discussione e di essere aperti – con conoscenza – ai cambiamenti.
Guardate bene le foto e non abbiate timore di cercarla nei vostri giardini e nei vostri vasi dei fiori (1). Raccoglietene all’inizio qualche foglia gustatela. Quando vi sarete convinti che si tratta di una pianta edibile qualsiasi non abbiate timore ad utilizzarla per insaporire i vostri piatti. Si tratta di un piccolo sforzo che dà grandi benefici. Soprattutto gratis!
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(1) Avvertenza: le piante spontanee vanno raccolte con consapevolezza e conoscenza, magari consultando qualche libro e confrontandosi con chi le raccoglie e le conosce bene.
Foto: L.R.
Pesticidi nel piatto
Oramai è assodato da ricerche scientifiche e da controlli effettuati da parte degli Enti di gestione delle acque pubbliche (1) che, assieme ai cibi, assieme all’acqua e attraverso altre esposizioni ingurgitiamo e veniamo in contatto anche con un mix di componenti chimici rientranti genericamente sotto il nome di “pesticidi”. In pratica si tratta di sostanze che appartengono a 2 macrogruppi di additivi che vengono sparsi sui terreni o sulle piante: gli antiparassitari (per debellare funghi, batteri, virus o insetti); gli erbicidi (o diserbanti).
La complessità delle molecole utilizzate, la loro enorme variabilità commerciale, la loro interazione reciproca e le cattive tecniche di gestione da parte degli utilizzatori rendono molto difficile identificare quali siano i veri rischi per la salute degli utilizzatori diretti (in particolare gli agricoltori) ma anche di chi ne viene in contatto indirettamente, cioè attraverso i cibi e la popolazione in generale che vive e che frequenta il proprio territorio.
Si hanno numerose evidenze scientifiche che l’esposizione a pesticidi possa comportare, tra le più gravi, principalmente problematiche neurologiche e tumorali. Pertanto è assolutamente necessario che si inizi a fare qualcosa di concreto sia per avvertire i cittadini del rischio sia per trovare delle alternative tecniche e organizzative che evitino la diffusione, spesso non necessaria, di tali agenti chimici nell’ambiente.
Solo così si farà vera prevenzione e si opererà con intelligenza per evitare inutili sofferenze e cure per patologie evitabili o, per lo meno, la cui incidenza sia fortemente limitabile.
Sul tema sabato 17 gennaio 2015 a Sommacampagna (VR) si terrà la conferenza [vedi locandina] “Pesticidi nel piatto – Pericolosità dei pesticidi per la salute umana e per tutti gli esseri viventi: il cambiamento è possibile!”. Interverranno il prof. Gianni Tamino, biologo; il dott. Roberto Magarotto, oncologo; la dott.ssa Renata Alleva, nutrizionista e il dott. Daniele degli Innocenti, ricercatore universitario. Partecipate numerosi…
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(1) L’ISPRA (Istituto Superiore per la Ricerca e la Protezione dell’Ambiente) nei suoi rapporti annuali descrive, anno dopo anno, situazioni di contaminazione da pesticidi – sia in termini di quantità che di qualità – delle acque superficiali e sotterranee. Basti pensare che nell’ambito dei prodotti fitosanitari dell’agricoltura si usano annualmente (dati ufficiali che non tengono conto delle situazioni illecite) circa 350 sostanze diverse per quantitativi totali superiori a 140.000 ton. L’Istituto rivela inoltre che la contaminazione è molto più diffusa nella Pianura Padano-Veneta a causa delle sue caratteristiche idrogeologiche, dell’intensa vocazione agricola della sua economia e del fatto che le indagini (fornite dalle Regioni e dalle Agenzie regionali di protezione dell’ambiente in base ai loro monitoraggi) risultano più complete e rappresentative nelle regioni del nord.
Foto e immagini: Legambiente
Al supermercato con la bisnonna
“Quando andate al supermercato andateci sempre accompagnati dalla vostra bisnonna (immaginatevela con voi se non ce l’avete più) e tutto quello che la vostra bisnonna non riconosce come cibo… non compratelo. Leggendo l’etichetta, se ci sono sostanze che lei non capisce cosa siano… non compratelo. Se ci sono più di 5 ingredienti… non compratelo. Se c’è scritto che fa bene alla salute… non compratelo!!!”
Questo è quanto osserva – mutuando le raccomandazioni di Michael Pollan – con la sua proverbiale ironia e sagacia il prof. Franco Berrino, epidemiologo dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano dove dirige il dipartimento di medicina preventiva e predittiva..
In sostanza per vivere sani e in salute – e, magari, per scongiurare il più possibile il rischio di essere vittima di un tumore o di una grave patologia metabolica – è necessario consumare cibo sano ma, soprattutto, semplice, non raffinato e, di base, proveniente dal mondo vegetale. Questa pratica, che è anche molto sostenibile dal punto di vista ambientale, si rifà pienamente ai principi della bioimitazione.
Cosa dire allora: il vero progresso e la salute generale di un popolo passa per forza attraverso la natura (cibo sano), il suo rispetto (cibo vegetale) e l’imitazione del suo funzionamento (cibo semplice e non raffinato). Cosa aspettiamo a cambiare atteggiamento e a percorrere con maggiore convinzione questo cammino semplice e così rivoluzionario?
La IARC certifica che l’aria inquinata è cancerogena
A voi che avete terrore dell’amianto ma fate passeggiare o giocare liberamente i vostri bambini per le strade, soprattutto urbane, vi devo dare una brutta notizia: la IARC ha appena certificato ufficialmente che lo smog è cancerogeno. In sostanza ha stabilito che la pericolosità dell’amianto e quella dello smog è la stessa!
Per comprendere un po’ meglio la notizia andiamo con ordine.
Innanzitutto, anche se vi erano numerosi sospetti e se è da anni che se ne parla, ora si può dire ufficialmente che lo smog (o particolato, cioè quell’insieme di residui della combustione derivanti dalle più diverse attività umane: trasporti, incenerimento dei rifiuti, produzione di energia, riscaldamento domestico, emissioni industriali e agricole) provoca il cancro. La certificazione di tale pericolosità deriva dall’autorevole Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC – International Agency for Research on Cancer), un’agenzia dell’Organizzazione Mondiale della Sanità che qualche giorno fa – il 17 ottobre – ha pubblicato tale notizia. In pratica, dopo un lunghissimo iter di ricerche scientifiche la IARC ha affermato che “L’inquinamento dell’aria è una delle principali cause di morte per cancro”, inserendo il particolato nel Gruppo 1, cioè tra le sostanze che la ricerca scientifica ha dimostrato essere cancerogene per l’uomo.
A tale riguardo i dati più recenti indicano che, nel 2010, nel mondo, ci sono stati ben 223.000 casi di cancro ai polmoni dovuti proprio all’inquinamento dell’aria.
Come afferma il dott. Kurt Straif della IARC: “Ora sappiamo che l’inquinamento dell’aria non rappresenta solo un maggior rischio per la salute in generale, ma è anche la causa principale di morti per cancro”.
La soluzione a questo sacrificio inutile di vite umane non è né quella di fornire delle indicazioni di prudenza (1) né quella garantire migliori cure o una maggiore aspettativa di vita agli ammalati. La sola e unica soluzione è quella di abbandonare la pratica della combustione per la produzione di energia e calore.
Per liberarci dal pesante fardello del passato bisogna anche iniziare a pensare che, chi più e chi meno, attraverso le nostre scelte, siamo un po’ tutti in qualche modo responsabili per la sofferenza di qualcun altro. Che, talvolta, può essere anche una persona a noi vicina o, paradossalmente, possiamo essere anche noi stessi.
Agli amministratori, allora, un appello perché legiferino da subito nella direzione di rendere la vita difficile alla combustione; agli imprenditori e ai progettisti un appello perché cerchino immediatamente soluzioni produttive ed energetiche alternative; ai cittadini consumatori un appello perché quando aprono il portafoglio pensino che possono anche contribuire a difendere la loro salute e quella dei loro cari.
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(1) Per limitare l’esposizione allo smog si consiglia comunque di:
- evitare di fare sport in città
- evitare le strade trafficate utilizzando percorsi alternativi
- in caso di passeggiate con i bambini preferire gli zaini in spalla ai passeggini
- preferire di uscire con il brutto tempo e/o con il vento
- uscire evitando le ore di punta
- evitare di sedere all’aperto quando siete al bar o al ristorante
Tabella: Ansa
Vivere nel verde rende più felici
Se vivi in un’area ricca di prati, di alberi e di verde sarai più felice rispetto a chi non ha tale possibilità. L’affermazione potrebbe sembrare abbastanza ovvia ma a confermarla è intervenuto anche un recente studio condotto da parte di alcuni ricercatori dell’inglese Exeter University e pubblicato sul giornale Psychological Science.
Secondo gli autori per ottenere tale beneficio – che consiste in livelli più bassi di stress, di maggior efficienza sul lavoro e di minore irritabilità nei confronti delle cose e delle persone che ci circondano – non è necessario trasferirsi a vivere in campagna ma basterebbe investire ed aumentare la disponibilità di “verde” anche nelle aree urbane.
Per realizzare lo studio i ricercatori hanno analizzato i dati ricavati da un sondaggio nazionale al quale hanno partecipato oltre 10.000 adulti che vivono nel Regno Unito. Tra il 1991 e il 2008 i partecipanti hanno risposto a questionari relativi al loro benessere psicofisico descrivendo, anno dopo anno, l’evoluzione del proprio umore, degli stati d’animo e dei problemi lavorativi e familiari. Dati che poi i ricercatori hanno messo in relazione con gli spostamenti dei partecipanti verso aree urbane più verdi. Ne è risultato che chi vive più a contatto con la natura esprime evidenti benefici in termini di soddisfazione e di benessere, pari addirittura a situazioni della vita importanti come avere un lavoro soddisfacente o un matrimonio felice. Spiega Mathew White – il responsabile della ricerca – “Abbiamo visto che vivere in un’area urbana con livelli di verde relativamente elevati ha un impatto significativamente positivo sul benessere, pari all’incirca a un terzo di quello dato dalla vita matrimoniale. Questi dati devono essere tenuti in considerazione dai politici quando devono decidere come investire le risorse pubbliche, ad esempio per lo sviluppo o la manutenzione dei parchi”.
Il risultato dello studio non dimostra che andare a vivere in una zona verdeggiante potrà portare automaticamente a una maggiore felicità, ma spiega che per stare bene non possiamo prescindere dalla natura e che anche brevi immersioni in ambienti naturali sono assolutamente necessari per migliorare l’umore e il funzionamento cognitivo, ma anche per garantire minore mortalità per malattie cardio-circolatorie.
Allo scopo di evitare che tali ambienti naturali siano solo esterni alla città e che per raggiungerli sia necessario utilizzare grandi quantità di energia per i trasporti, bisogna sia chiara ai pianificatori urbani la necessità che nella gestione delle città si tenga assolutamente conto di tale aspetto. Ad esempio devono aumentare i parchi (non gli alberi isolati piantati in piccole aiuole); devono aumentare i prati; devono aumentare i corsi d’acqua; devono aumentare gli orti. Come controparte i nostri amministratori e le lobby che spesso li muovono (e li finanziano) devono rinunciare a qualche centro commerciale, a qualche stadio, a qualche palazzo o a qualche strada.
La società nel suo complesso sarà più sana e felice e si potranno risparmiare anche molti costi indiretti legati alla cura delle persone malate o con un basso livello di benessere psico-fisico.
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Fonte: la Repubblica
La luce artificiale nuoce alla salute
Per analizzare il fenomeno dell’inquinamento luminoso è sufficiente prestare un po’ di attenzione ai luoghi che si frequentano abitualmente per osservare, negli anni, come si moltiplichino sia i pali per l’illuminazione pubblica sia le fonti di illuminazione privata, nei giardini e davanti alle case (1).
Anno dopo anno sempre più numerosi in un inarrestabile processo di crescita quasi ad indicare l’illusione dell’uomo tecnologico di vincere la notte!
Il fenomeno viene anche segnalato da anni sia dai movimenti ambientalisti (che spesso si concentrano di più sul consumo energetico) sia dalla ricerca scientifica che osserva sempre di più problemi legati alla salute delle persone causati dall’eccessiva esposizione all’illuminazione artificiale notturna. Così come l’orecchio ha due funzioni, quella dell’udito e quella dell’equilibrio, anche l’occhio ne ha due, quella della visione ma anche quella di trasmettere al cervello, tramite le cellule gangliari della retina, le informazioni circa la presenza di luce nell’ambiente. Una volta giunti nel cervello questi segnali innescano una serie di effetti diversi: inibiscono i neuroni che promuovono il sonno, sopprimono il rilascio dell’ormone melatonina importante per la regolazione dei cicli sonno-veglia da parte dell’ipofisi, attivano i neuroni orexina nell’ipotalamo che promuovono lo stato di veglia.
In sostanza il quadro è il seguente: l’essere umano si è evoluto secondo i ritmi circadiani regolati sulla luce naturale. Quando c’è luce siamo attivi; quando c’è buio riposiamo. Se, però, durante la notte si accendono le luci artificiali, nel nostro sistema neurovegetativo vengono riprodotti gli stessi segnali che sarebbero propri del giorno. E il fenomeno è sempre più intenso e pervasivo, tantoché nelle zone abitate il buio assoluto quasi non esiste praticamente più!
In un recente articolo de “Le Scienze” viene trattato questo tema osservando che la privazione (o la riduzione) del sonno legata alla presenza di fonti di illuminazione artificiale sia esterne che interne alle abitazioni (compresa la televisione e il pc) predispone ad importanti problemi di salute quali obesità, diabete, malattie cardiovascolari, depressione e ictus.
Secondo le statistiche oramai circa un terzo degli statunitensi adulti attivi lamenta un numero insufficiente di ore di sonno (2), mentre era solo il 3 per cento 50 anni fa. Le cose non sono migliori per i bambini poichè i dati mostrano che, a livello mondiale, ogni notte dormono in media 1,2 ore in meno rispetto a un secolo fa.
Visto l’impatto sempre più evidente (dimostrato dalla scienza) che l’illuminazione notturna ha sulla salute interroghiamoci seriamente su alcuni aspetti ad essa legati:
- è proprio necessario moltiplicare ogni anno le installazioni luminose pubbliche e private o possiamo valutare di mantenere solo quelle assolutamente necessarie?
- è proprio necessario che il sistema economico del consumo ci proponga beni e servizi h 24/24 senza valutare la necessità di un’area franca di riposo notturna?
- è proprio necessario che i nostri comportamenti individuali domestici ci portino a rubare inutilmente ore di sonno al nostro corpo attraverso la televisione e il computer?
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(1) Si pensi che all’illuminazione artificiale viene destinato attualmente il 19 per cento dell’energia prodotta nel mondo!
(2) Normalmente la quantità ideale per gli adulti è di sei ore per notte.
Foto: La crescita dell’inquinamento luminoso in Italia (1971/1998/2025) – www.lightpollution.it
Fonte: “Le Scienze”
Gli alberi sono catalizzatori di polveri sottili
A livello intuitivo potrebbe sembrare cosa ovvia ma quando lo dice una ricerca scientifica pubblicata su riviste autorevoli la questione acquista maggior valore. Si tratta di quantificare l’importanza degli alberi nel contesto urbano non solo dal punto di vista paesaggistico e del benessere prodotto ma anche dal punto di vista depurativo e catalizzatore per le polveri sottili.
Le polveri sottili (o particolato fine) sono quella forma tipica di inquinamento delle nostre città. Esse derivano dalla combustione del carbonio (principalmente traffico veicolare, riscaldamento, industrie e inceneritori) e determinano una mortalità precoce non solo per infiammazioni croniche delle vie respiratorie ma anche per un’accelerata arteriosclerosi e per alterazioni delle funzioni cardiache. Oltre al carbonio e ai residui della combustione possono contenere anche metalli e agenti chimici vari. Inoltre la loro pericolosità è direttamente proporzionale alla loro dimensione: più le particelle di polvere derivante dalla combustione sono piccole e più riescono a penetrare in profondità nel corpo sino ad infiltrarsi (quando la loro dimensione è nanometrica) in tutti gli organi, con enormi difficoltà ad essere smaltite.
La ricerca (pubblicata da Environmental Pollution) è stata condotta in dieci grandi città statunitensi dal U.S. Forest Service e dal Davey Institute e rappresenta il primo sforzo per stimare l’impatto complessivo del verde urbano sulle concentrazioni delle polveri sottili inferiori ai 2,5 micron: le cosiddette Pm 2,5. Dallo studio, che ha interessato le città di Atlanta, Baltimora, Boston, Chicago, Los Angeles, Minneapolis, New York, Philadelphia, San Francisco e Syracuse (Stato di New York), è emerso che gli alberi urbani sono in grado di rimuovere il particolato fine dall’atmosfera e, pertanto, possono incidere fortemente sulla prevenzione di malattie gravi, potenzialmente mortali per i cittadini.
La quantità totale di Pm 2,5 rimossa annualmente dagli alberi varia dalle 4,7 tonnellate a Syracuse alle 64,5 tonnellate di Atlanta.
«Abbiamo bisogno di più ricerca per migliorare queste stime» – dice David J. Nowak, uno dei ricercatori – «ma il nostro studio suggerisce, una volta di più, che gli alberi sono uno strumento efficace nella riduzione dell’inquinamento dell’aria e la creazione di ambienti urbani più sani».
Spiega inoltre Michael T. Rains, Direttore della stazione di ricerca del servizio forestale: «Questo studio illustra chiaramente che i boschi urbani degli Stati Uniti sono investimenti di capitale perché, aiutando a produrre aria e acqua pura, riducono i costi energetici e rendono la città più vivibile. Semplicemente, le foreste urbane migliorano la vita!».
E tu, caro Sindaco, cosa scegli? Bosco o tunnel? (1)
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(1) Il riferimento è al Sindaco della città di Verona che desidererebbe costruire una nuova importante arteria (auto)stradale (in parte sotto un tunnel) nei pressi della città.
Il carbone è un killer dei polmoni
Lo studio “Silent Killer” commissionato da Greenpeace all’università di Stoccarda ha dimostrato che il carbone è il killer dei polmoni (cioè della salute in generale) e del clima. I Paesi dove questo fenomeno è più intenso sono la Polonia, la Germania, la Romania e la Bulgaria.
Le oltre 300 centrali elettriche a carbone in funzione nell’Unione europea e le 52 in costruzione o in progettazione uccidono (e uccideranno) prematuramente circa 22.300 persone l’anno, circa 60 al giorno che corrispondono a 5 persone ogni 2 ore. I gas e le micro polveri emesse determinano, inoltre, la perdita di 5 milioni di giornate lavorative l’anno per malattie.
In più il carbone avvelena pesantemente anche il clima visto che, a parità di energia prodotta, le sue emissioni di CO2 sono più che doppie rispetto a quelle del metano.
Come afferma Andrea Boraschi, responsabile della campagna Energia e Clima di Greenpeace Italia, « Lo studio è l’ennesima prova che il carbone pulito sbandierato dalle compagnie energetiche non esiste. Il carbone è una delle principali cause di avvelenamento dell’aria e per salvare i nostri polmoni dobbiamo mettere fine all’era del carbone e avviare una radicale rivoluzione energetica».
Le centrali a carbone producono un quarto dell’energia elettrica consumata nell’Ue, ma emettono il 70% degli ossidi di zolfo e più del 40% degli ossidi di azoto provenienti dal settore elettrico. Inoltre le circa 300 centrali europee sono la fonte di quasi la metà di tutte le emissioni industriali di mercurio, di un terzo di quelle di arsenico e producono quasi un quarto del totale delle emissioni europee di CO2. L’Agenzia Internazionale dell’Energia (IEA) il 10 giugno scorso ha reso noto che nel 2012 le emissioni di CO2 provenienti dalle centrali elettriche sono aumentate, nel mondo, dell’1,2%.
Lo studio “Silent Killer” è la prova lampante che non esistono centrali a carbone né di terza né di quarta e né di quinta generazione che si possano definire innocue per la salute della popolazione. Se è vero che quelle più evolute dal punto di vista tecnologico sono un po’ migliori rispetto a quelle degli anni precedenti, è anche vero che, di fondo, si poggiano su un fondamento sbagliato: quello della combustione, sulla quale NON si fonda il corretto funzionamento della natura. Di cui i morti, i malati e le alterazioni del clima ne sono una prova evidente!
In questa triste notizia si può però intravvedere una luce di speranza che ben presto il carbone verrà eliminato dalla scena europea. Basandosi sugli andamenti storici della produzione di energia elettrica in Europa è possibile definire uno scenario per l’anno 2030 che si fonda sui seguenti pilastri (si veda il grafico):
- aumento delle rinnovabili, secondo il trend esponenziale degli ultimi 20 anni
- calo del nucleare, secondo il trend decrescente degli ultimi 7 anni
- aumento del gas, secondo il trend attuale
- diminuzione del carbone, con una riduzione annua del 10%
- diminuzione dell’olio combustibile (petrolio), fino ad azzerarsi nel 2025
- i consumi totali rimarranno più o meno stabili grazie all’aumento dell’efficienza energetica e alla moderazione dei consumi individuali.
L’uso del carbone per produrre energia è, in proiezione, già consegnato alla storia. Spetta a noi chiedere ai decisori politici che il processo sia il più veloce possibile per evitare inutili sofferenze umane e danni all’equilibrio del clima.
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Grafico: EcoAlfabeta
Foto: www.ecologiae.com
Fonte: Greenpeace, EcoAlfabeta
Super-Io
Chi è in grado di immaginare quanto sia grande il numero 100.000.000.000.000.000.000 (cento trilioni (1))? In effetti l’impresa è piuttosto ardua anche per chi la matematica la mastica con una certa dimestichezza!
Le ragioni che mi spingono a parlare di tale numero sono dovute al fatto che esso rappresenta la quantità di batteri e virus che vivono normalmente in un corpo umano, numero che è addirittura circa 10 volte superiore a quello di tutte le cellule che lo compongono. Tali batteri e virus non possono vivere in nessun altro luogo e con il corpo di cui sono ospiti instaurano una serie di relazioni reciproche, qualche volta purtroppo anche negative e patologiche. Nella maggior parte dei casi, però, le relazioni sono simbiotiche e indispensabili per il corretto funzionamento in piena salute del corpo che dai batteri e dai virus ottiene incredibili benefici metabolici e protettivi.
In questi anni la ricerca scientifica (2), dopo aver compreso l’esistenza e l’importanza di tali relazioni, sta tentando di capire quali possano essere i principali legami che contribuiscono al corretto funzionamento del corpo e al suo mantenimento in piena salute anche se l’impresa risulta piuttosto ardua e, per ora, è abbastanza lontana dall’avere delle risposte certe sia per il numero elevato di specie da analizzare sia per il fatto che tali batteri e virus sono diversi, per circa il 15%, da individuo a individuo. Essi si sono evoluti con noi per viverci dentro e per scambiare tra le nostre cellule e tra loro stessi continue relazioni, assolutamente indispensabili per la loro e la NOSTRA vita.
Per tale motivo gli scienziati, anche se hanno solo abbozzato l’impianto di conoscenze su questi nostri amati ospiti, stanno cominciando ad eliminare dal loro lessico il concetto di “io” per sostituirlo con quello di “super-io”, una sorta di superorganismo che va oltre il concetto di “individuo” per giungere a quello di “ecosistema” costituito da un enorme numero di elementi integrati che operano come opera una foresta, la savana o l’oceano.
Date queste premesse non è difficile pensare che il sistema “corpo umano” con le sue cellule, i suoi batteri e virus e le loro innumerevoli relazioni reciproche sia qualche cosa che esula dalla tecnica e sia una sorta di ambiente misterioso molto delicato che anche micro inquinamento, errata alimentazione, eccesso di farmaci, stress o altri elementi perturbatori possano inevitabilmente alterare e, così facendo, ne possano diminuire la funzionalità fino a causare irrimediabile perdita di salute.
L’ecosistema corpo umano, però, rappresenta anche la metafora di aspetti che interessano il funzionamento del pianeta Terra e del mantenimento nel tempo della vita sullo stesso. La natura – che l’economia e la scienza al servizio dell’economia vuole vedere solo nella dimensione tecnica, caratterizzata da singoli elementi separati gli uni dagli altri: i metalli, i mari, il petrolio… da spremere il più possibile per trarre profitti e crescita – è invece una sorta di “organismo” fatto di relazioni reciproche continue che vanno dal livello micro a quello macro. Più le alteriamo facendo finta che non esistano più comprometteremo la continuità del benessere che abbiamo raggiunto o, peggio, anche la nostra sopravvivenza.
Mi sa che è giunta l’ora di pensarci seriamente e di agire per evitare il peggio!
(1) 1 trilione = 10 (elevato 18)
(2) es. il National Institute of Health statunitense
Foto: The Economist
Bisphenol A
Il bisfenolo A (BPA) è un composto chimico di sintesi fondamentale nella produzione degli additivi plastici e delle materie plastiche e, in particolare, del policarbonato, materiale utilizzato per la produzione di bottiglie (PET) e di numerosi altri contenitori per uso alimentare o per uso medico/ospedaliero.
La pericolosità per la salute umana del bisfenolo A è nota fin dagli anni ’30 del secolo scorso ma è solo a partire dagli anni ’90, dopo la pubblicazione di molte ricerche scientifiche sull’argomento, che vengono inquadrati gli ambiti su cui tale composto chimico di sintesi manifesta i propri effetti negativi: apparato endocrino, apparato riproduttore e azioni sul feto anche a basse dosi. Per esempio gli organi più colpiti sono la mammella, la prostata, il pancreas (diabete) e il fegato.
A causa dei suoi potenziali effetti negativi sulla salute il bisfenolo A è stato oggetto, nei recenti anni passati, di un’azione legislativa da parte dei principali stati europei volta ad eliminarlo da alcuni tipi di plastiche, in particolare quelle a contatto con alimenti caldi (microonde) o destinati all’uso dei neonati o lattanti (biberon) allo scopo di evitare che esso possa migrare nei cibi.
Quello che mi ha colpito recentemente, dopo aver fatto un acquisto in Francia, è aver ricevuto uno scontrino fiscale nel quale era ben evidenziato il fatto che la carta veniva garantita “sans Bisphenol A”, cioè senza bisfenolo A.
In realtà il fatto che la carta termica utilizzata per gli scontrini fiscali o per innumerevoli altri usi contenesse elevati quantitativi di tale agente chimico non era una novità. Quello che invece sorprende è che più la scienza si addentra con precisione nei meandri della produzione industriale più scopre elementi, talvolta voluti, altre volte indotti dal processo produttivo o dall’utilizzo, che possono essere estremamente nocivi per la salute da parte degli utenti.
Pertanto, per garantire salute e sicurezza all’uomo e all’ambiente, non è più sufficiente preoccuparsi di mettere al bando una certa sostanza pericolosa da un certo prodotto (magari disinteressandosi di altri prodotti simili) perché, col tempo, emergerebbero nuove e più gravi situazioni che devono essere tamponate e che a loro volta determinerebbero altre e nuove gravi situazioni in una spirale senza fine. È necessario, invece, riformare completamente il sistema industriale e portare la produzione verso più elevati standard di sostenibilità attraverso metodologie che imitino il funzionamento della natura e impieghino i materiali – quelli innocui per l’uomo, si intende – in essa reperibili.
L’eliminazione del bisfenolo A da alcune plastiche senza conseguenze produttive, prima, e dalla carta termica, poi, è la dimostrazione che tale obiettivo è concretamente praticabile fin da subito e, anziché deprimerlo, arricchisce il sistema economico-produttivo di nuove idee e di nuove conoscenze.
Mi sa solo che bisognerà vincere la resistenza delle lobby ed è per questo che, in questo periodo storico, in Europa abbiamo governi tecnici. (Sig!).
Foto: Scontrino fiscale di un negozio Carrefour (Francia)