Monthly Archives: Marzo 2013
Locale o globale?

In termini di sostenibilità ambientale ha molto più valore favorire le piccole produzioni artigianali locali o le grandi industrie operanti sul mercato globale?
La questione non è facile da dipanare e pone il seguente dilemma.
Le piccole produzioni artigianali locali alimentano – se non in minima parte – un sistema tecnologico legato alla produzione di macchinari o allo sviluppo di processi produttivi e organizzativi ma curano maggiormente la qualità dei materiali, delle lavorazioni, dell’abilità manuale e delle relazioni umane. I prodotti sono un po più cari ma sono destinati a durare di più nel tempo e i loro consumi sono difficilmente influenzabili dalla moda e dal marketing.
La produzione industriale, invece, crea, quando fiorente, enormi flussi monetari che spingono verso la ricerca scientifica e tecnologica, lo sviluppo di processi produttivi basati sulla quantità e lo sviluppo di processi organizzativi basati sulla spersonalizzazione dei saperi. I lavoratori sono “capitale umano”, i clienti sono “consumatori”, le risorse naturali sono “merci” e un’ampia fetta del sistema deve essere impiegata a variare continuamente le caratteristiche dei prodotti e a stimolare i desideri di possesso.
Non pretendo di aver ragione e forse sono sono un tantino ingenuo ma, nei termini della sostenibilità ambientale. a me sembra chiara la risposta.
Aniwell | Alimenti per animali

Gli animali da compagnia rappresentano un’importantissima fonte di benessere per le persone ma la loro gestione, soprattutto negli appartamenti e nelle città, può contribuire anche in maniera elevata a non garantire adeguata sostenibilità ambientale. Si pensi all’agricoltura, all’allevamento e alla pesca da cui si ottengono le materie prime; si pensi alla produzione, al trasporto e agli imballaggi dei prodotti; si pensi ai prodotti cosmetici, per la pulizia e l’igiene.
Il progetto Aniwell – Benessere bestiale nasce per offrire ai nostri amici a quattro zampe – cani e gatti – un’alimentazione sana, biologica, gustosa e poco impattante sull’ambiente.
Nelle ricette Aniwell ha privilegiato la carne e il pesce freschi, i prodotti da agricoltura biologica, il giusto dosaggio degli ingredienti senza usare conservanti artificiali, coloranti o additivi. In più Aniwell non usa nessun riempitivo: i prodotti hanno un’alta percentuale di carne senza la presenza di sottoprodotti. Inoltre non scatenano reazioni allergiche dovute alla presenza di residui chimici e di glutine di frumento e vengono conservati in modo naturale attraverso estratti di erbe aromatiche oppure attraverso la vitamina E (alpha-tocoferolo).
Aniwell dichiara che per questioni di corretta conservazione di prodotti le confezioni di prodotti secchi (crocchette) sono al massimo di 5 Kg per i cani e di 2 Kg per i gatti. Sacchi più grandi potrebbero comprometterne la giusta conservazione che può influire sull’igiene e la salubrità dei prodotti.
È possibile acquistare i prodotti Aniwell solo on-line perché la sua politica commerciale non prevede la distribuzione nei negozi.
Aniwell aderisce al progetto PETA (People for the Ethical Treatement of Animals) e si dichiara 100% Cruelty Free perché non effettua e non commissiona test sugli animali per i propri prodotti e per le materie prime che li compongono.
Attacco alla Terra

“Attacco alla Terra” sembrerebbe il titolo di un romanzo o di un film di fantascienza degli anni ’50 e ‘60 nel quale esseri alieni mostruosi dotati di antenne e proboscidi arrivano con le loro astronavi luminose avvolte da copioso fumo per conquistare il pianeta e per soggiogare con forza brutale la razza umana alla loro volontà.
L’attacco alla Terra che voglio descrivere, invece, riguarda un fenomeno abbastanza recente: la lenta – ma inesorabile – perdita di una qualsiasi sana relazione del pianeta verde-blu con gli uomini, gli animali che lo hanno (per ora) conquistato.
Nei secoli passati considerata fondamentale per la vita fino a chiamarla addirittura “Madre” ora la Terra è diventata, da un lato, un seno prosperoso da mungere all’infinito per ottenerne materie e vantaggi economici, mentre, dall’altro, è un’immensa pattumiera dove riversare senza fine i residui gassosi, liquidi o solidi non più utilizzabili dalla nostra laboriosità. Il tutto senza la minima idea di rispetto e di senso del limite.
La cosa ancora più preoccupante in questo fosco scenario è, a mio avviso, il fatto che di questo pensiero malato nel rapporto con la Madre Terra non si vede ancora chiaramente la fine ma, anzi, obiettivi sempre più spinti di utilizzarne le risorse e, addirittura, di modificarne le regole attraverso pesanti interventi ingegnieristici (geoingegneria), la manipolazione genetica delle specie vegetali (OGM) o quella atomica dei materiali (nanotecnologie).
Sono convinto – e come me una grande fetta di mondo scientifico – che tutta questa presunzione di onnipotenza, prima o poi, ci si ritorcerà contro. La cosa ancora più preoccupante è il fatto che gli effetti di tale ritorsione non sono facilmente prevedibili ma, a guardare la forza dei terremoti o quella degli uragani o degli tsunami, per la facile sopravvivenza della civiltà del genere umano potrebbe non essere proprio una passeggiata nel parco.
Ragioniamo per paradossi

Ragioniamo per paradossi e ipotizziamo che, oggi, almeno metà degli italiani abbia buttato un foglio di carta A4 da 80 g nel cestino della raccolta indifferenziata (1). Qualcuno lo ha fatto di proposito, qualcuno non ci ha pensato più di tanto. In tutto fa circa 30 milioni di fogli per un totale di 240.000 Kg di carta che, anziché finire in un centro di riciclaggio per il recupero della cellulosa, finisce in un inceneritore o in una discarica.
Se, poi, questa proporzione si dovesse ripetere tutti i giorni dell’anno si parlerebbe di 87.600.000 (87 milioni circa) annui di Kg di sola carta proveniente dal mancato riciclo di un foglio per persona.
A pensarci bene, avendo ben chiaro cosa siano 87 milioni di chilogrammi, fa venire i brividi! E dimostra, con limpida chiarezza, che il concetto del riciclo dei rifiuti è ambientalmente sostenibile solo a livello teorico. Purtroppo nella pratica questa operazione si scontra con troppe variabili (la cultura, la mancanza di sensibilità, l’inerzia della politica, l’assenza di un servizio pubblico di raccolta, la pigrizia) che vanificano gli sforzi dei cittadini virtuosi e che non fanno ottenere risultati concreti di recupero delle materie e di eliminazione delle discariche e degli inceneritori.
Sarà che dietro i rifiuti – e dietro la loro filiera fino ad arrivare al loro incenerimento – ci sono troppi interessi economici ma è chiaro che il sistema del riciclo ha un pieno valore ecologico solo se funziona come un orologio svizzero. Altrimenti sono solo chiacchiere!
Sì è vero, dirà qualcuno, che ogni anno si recuperano milioni di tonnellate di quella materia o di quell’altro prodotto e le cifre aumentano di anno in anno. Ma perché questo abbia un valore concreto a livello di sostenibilità ambientale deve essere pari al totale. Oramai la pratica del riciclo dei rifiuti è in campo da parecchi decenni e se non è ancora arrivata al livello del 100% significa che, in fondo, c’è qualcosa che non va!
Una possibile soluzione alternativa dovrebbe essere quella di mettere in campo idee e soluzioni nuove. A partire dalla semplice formazione dei cittadini casa per casa, per passare dalla dismissione delle cave e degli inceneritori con lo scopo di dare vita a centri di recupero totale del materiale, fino ad arrivare alla riprogettazione dei prodotti, dalle materie che li compongono alla facile separabilità delle stesse a fine vita.
Purtroppo i tempi cominciano, per mille ragioni, ad essere stretti e non è più tempo di buttare al vento parole… parole… parole…
(1) osservando i comportamenti negli uffici di varie città d’Italia che frequento in qualità di consulente, secondo me le quantità sono molto più elevate rispetto a quelle ipotizzate.
Foto: aliceandmyworld
Amore Raffaele Snc | Prodotti usa e getta

L’azienda Amore Raffaele S.n.c. è un’azienda a conduzione familiare che opera nel settore del catering e che da qualche anno si è specializzata nella fornitura di stoviglie monouso biodegradabili e compostabili, certificate secondo le normative tecniche UNI EN.
Le stoviglie offerte sono:
- piatti in polpa di cellulosa
- piatti in foglia di palma
- posate in amido di mais o in legno
- bicchieri per bevande fredde in PLA
- bicchieri per bevande calde in cartoncino e film in PLA
- vaschette in PLA con coperchio per cibi freddi
- vaschette Biopap® in cartoncino con e senza coperchio per utilizzi da -40° a + 215°, microonde compreso;
- shopper in amido di patate e PLA;
- prodotti in cellulosa (tovaglioli, carta igienica, bobine, etc.) certificati PEFC;
- personalizzazioni su cellulosa certificata FSC;
- kit bio personalizzati e imbustati nel PLA.
Tra i prodotti (acquistabili anche on-line) figurano anche prodotti alimentari da agricoltura biologica.
L’azienda Amore Raffaele S.n.c. sceglie i propri fornitori privilegiando quelli più vicini che consentano limitazioni nei trasporti con conseguente risparmio di emissione di CO2.
E se finisse il ferro?

Il dibattito sull’approvvigionamento e sull’incremento dei prezzi di questi ultimi anni delle principali fonti energetiche – petrolio e gas naturale – ha posto l’attenzione anche sulle dinamiche di altre materie prime, soprattutto metalli, prima non molto considerate dall’opinione pubblica in termini di flussi commerciali, tranne che nell’ambito molto ristretto delle speculazioni finanziarie.
L’analisi approfondita delle materie prime richieste dall’industria, l’aumento dei loro prezzi sul mercato mondiale, la loro nuova distribuzione geografica in termini di utilizzo attualmente orientata più verso est (Cina e India) che non verso l’Europa o l’America del Nord, ha fatto emergere un aspetto nuovo e, da un certo punto di vista, dirompente: le risorse cominciano ad essere scarse e, viste le riserve stimate e l’attuale ritmo di consumo crescente, molte di esse sono destinate ad esaurirsi entro breve tempo.
Ciò fa aprire una fase nuova nella storia dell’uomo moderno, che deve cominciare a misurarsi, prima, con la scarsità di risorse che credeva pressoché illimitate e, poi, con la loro scomparsa (per scopi industriali, naturalmente) dalla Terra.
In base alle dichiarazioni del USGS (United States Geological Survey), da qui ai prossimi 80 anni – ma molte materie si esauriranno prima del 2050 – dovremmo fare i conti con l’esaurimento dei ben conosciuti argento (anno 2021), oro (anno 2024), stagno (anno 2026), piombo (anno 2028), mercurio (anno 2033), rame (anno 2034), ferro (anno 2057), alluminio (anno 2074) e dei meno conosciuti ma altrettanto importanti per il mantenimento del nostro benessere: stronzio, cadmio, manganese, nichel, tungsteno e molti altri.
Sia ben chiaro che alle date presunte di esaurimento le materie non scompariranno come scompare il coniglio dal cilindro del mago. Esse, in quelle date, non saranno più economicamente cavabili dalle miniere, saranno all’interno di prodotti già presenti nel Sistema o saranno sepolte nelle discariche con i prodotti oramai diventati rifiuti. Quello che è abbastanza pronosticabile è che, dal loro esaurimento, esse non potranno più essere economicamente utilizzate nelle tecnologie di produzione dei beni. E ciò, se non si ha un’alternativa, non è il massimo!
Al di là dei vari proclami che enfatizzano l’onnipotenza della tecnologia nella soluzione di tutti i problemi – compreso quello della scarsità od esaurimento delle risorse – ciò che emerge con certezza da tutto ciò è che l’unica soluzione praticabile sia quella di iniziare da subito il percorso verso la riprogettazione del sistema economico e produttivo nonché del sistema di produzione dei prodotti verso la strada della sostenibilità ambientale. Perché il sistema economico e produttivo non deve più essere legato solo allo scambio e al consumo della materia e delle merci ma deve dare più valore al lavoro e alla qualità. Perché il sistema di produzione deve iniziare a progettare i beni con un minimo uso delle materie, con la totale loro riutilizzabilità e riciclabilità a fine vita basando il tutto sul principio dell’efficienza.
Solo così si potrà garantire la salvaguardia delle materie prime e la loro disponibilità alle generazioni future a cui, invece, per ora, stiamo solamente garantendo una pesante eredità di scarsità e che, al fine di soddisfare solo la nostra avidità, ignoranza e stupidità, esse non meritano!
Tempi esaurimento risorse | Fonte: Bioimita.it
Foto: Wikipedia
Perlage | Vini biologici

Perlage, un’azienda vitivinicola che opera nella zona del Prosecco Superiore di Conegliano DOCG, nasce nel 1985 quando i fratelli Nardi, precursori in quest’ambito, hanno deciso di iniziare l’avventura dell’agricoltura e della viticoltura biologica e biodinamica.
Perlage ha operato una scelta molto importante nell’ambito della naturalità e della sostenibilità ambientale che coinvolge l’intero processo produttivo. Essa inizia con la coltivazione del terreno più adatto per ogni singolo vitigno, si protrae nella cura in ogni pratica agronomica sui vigneti, si conclude nella vinificazione, nella conservazione e nella distribuzione del vino.
Come dichiara Perlage sul proprio sito internet, la produzione del vino avviene nel rispetto del seguente decalogo ecologico:
- Rispetto della vita: i vigneti di collina sono disetanei, ovvero le piante vivono la loro vita fisiologica non industriale, nel rispetto del ciclo della natura.
- Compost: la concimazione del vigneto è realizzata col solo impiego di compost vegetale ed animale.
- Poco rame: la difesa dei vigneti è effettuata impiegando basse quantità di rame e nessun pesticida.
- Pannelli solari: l’acqua calda utilizzata in cantina è ottenuta da una batteria di pannelli solari.
- Energia verde: l’energia elettrica di tutta la cantina proviene esclusivamente da fonti rinnovabili.
- Risparmio energetico: nella linea di imbottigliamento è in corso la sostituzione i vecchi motori elettrici con motori più moderni a minor consumo.
- Risparmio dell’acqua: la sciacquatrice della linea di imbottigliamento permette di riutilizzare l’acqua attraverso un innovativo sistema di filtraggio.
- Packaging più riciclabili: per alcuni vini è stato introdotto il tappo a vite: la bottiglia è più facile da aprire, è eco – friendly, e riciclabile!
- Posate in materiale ecologico: nelle nostre feste vengono impiegate posate e piatti di Mater B (un polimero vegetale che si smaltisce nel compost organico).
- Carta riciclata e poco inchiostro: Il nostro catalogo viene prodotto con carta riciclata ed è stampata con il font Spranq Eco per il minor utilizzo di inchiostro!
I nostri giardini sono immensi serbatoi di biodiversità

Non bisogna per forza andare in Amazzonia o nella foresta del Borneo a farsi “divorare” dalle zanzare per trovare una ricca biodiversità vegetale e un ecosistema vivace. Come emerge da una ricerca effettuata da parte di un gruppo di studio guidato dal prof. Bastow Wilson dell’università neozelandese di Otago e pubblicata dalla rivista scientifica Journal of Vegetation Science, era sufficiente guardare con attenzione nei prati incolti e nelle praterie dell’Europa centrale per trovare uno degli ambienti più ricchi al mondo in termini di biodiversità vegetale. In sostanza dallo studio emerge che, su scala molto limitata (meno di 50 mq), le praterie temperate europee sono tra gli ecosistemi più ricchi di piante (fino a 89 per mq), mentre nelle foreste tropicali si hanno al massimo 942 specie per ettaro (10 mila mq).
Ciò, tradotto nel linguaggio del cittadino comune che ha la sua bella casettina con giardino o che frequenta i parchi urbani, significa che può concretamente contribuire alla salvaguardia della biodiversità senza particolari sforzi. Deve solo abbandonare l’idea che il suo prato o il parco siano per forza “abitati” da un’unica specie di erba, tutta uguale e sempre ben rasata. Se proprio proprio non riesce a liberarsi dall’idea di avere un prato all’inglese – magari in aree geografiche con poca acqua e scarse precipitazioni piovose – può iniziare a riservare una parte del proprio giardino alla vegetazione spontanea, senza tagliarla frequentemente.
Da queste scelte ne riceveremo tutti enormi benefici: noi perché potremmo iniziare ad ammirare prati fioriti e profumati; le specie vegetali e animali perché potranno prosperare; la nostra salute perché si eviteranno quegli inutili intrugli chimici per diserbare o concimare; l’ambiente (e quindi sempre noi) perché potremmo iniziare a risparmiare acqua per le innaffiature ed energie per la frequente rasatura.
Foto: prato incolto presso l’interporto “Verona Quadrante Europa”
Quando è in pericolo la produzione del cibo

Il ricercatore argentino Lucas Garibaldi dell’Università Nazionale di Rio Negro in San Carlos de Bariloche, capo progetto di uno studio coordinato pubblicato recentemente su Science, partendo dalla constatazione che gli insetti stanno diminuendo nel mondo, ha dimostrato con i suoi colleghi che, oltre alle api, contribuiscono all’impollinazione delle piante anche mosche, farfalle e coleotteri e che la profonda alterazione degli ecosistemi agricoli in corso sta mettendo in pericolo la produzione del cibo.
Nel corso dell’indagine sono stati analizzati più di 40 sistemi di coltivazione di frutta e verdura in 20 Paesi. La ricerca sul campo è stata poi incrociata con i dati storici relativi alle produzioni agricole della fine dell’Ottocento, della fine degli anni Settanta e fra il 2009 e il 2010. Si è capito in maniera chiara ed inequivocabile che, sia la qualità e la quantità dell’impollinazione che la produzione di fiori da frutto sono diminuiti proporzionalmente alla diminuzione degli insetti selvatici.
I fattori descritti dai ricercatori quali cause che determinano tale declino sono molteplici anche se i più importanti risultano i seguenti. In primo piano vi è la distruzione degli habitat (boschi, siepi, prati) dove vivono e si riproducono gli insetti utili per far spazio a monocolture o per realizzare città e infrastrutture. In secondo luogo la causa è da ricercarsi nei cambiamenti climatici che producono veloci mutamenti nel periodo della fioritura o nella vegetazione delle piante determinando alterazioni nell’attività degli impollinatori, che devono ancora trovare un equilibrio evolutivo ai cambiamenti.
Nessun intervento umano operato da parte degli agronomi o da parte dei biologi consistente, ad esempio, nell’immissione nell’ambiente di impollinatori da allevamento, sta dando i risultati sperati perché gli insetti selvatici sono molto più efficienti e la loro funzione sembra insostituibile.
La soluzione che i ricercatori propongono è abbastanza ovvia e consiste, da un lato, nella salvaguardia degli habitat naturali e, dall’altro, nella riduzione dei pesticidi usati perché non sono selettivi e inevitabilmente colpiscono anche gli insetti utili.
Mi permetto di osservare che l’interessante ricerca aggiunge un importante tassello alla conoscenza scientifica (importanza degli animali selvatici nell’impollinazione e della biodiversità nella produzione del cibo) ma, a mio avviso, la problematica avrebbe già dovuto essere patrimonio di conoscenza da parte di un attento osservatore della natura. Quest’ultima, infatti, per poter prosperare ha bisogno del contributo di una molteplicità di esseri viventi. Ognuno cerca di soddisfare i propri bisogni ma, indirettamente e involontariamente, agisce anche per la realizzazione dei bisogni degli altri. Il tutto opera seguendo un andamento ciclico, come una vite senza fine.
Se non siamo stati in grado di intervenire fino ad ora per arrestare il degrado degli habitat e per impedire (non diminuire!) l’uso dei pesticidi di sintesi dubito che questo possa avvenire a seguito di tale ricerca.
Mi auguro, però, che, anche attraverso queste ricerche, si faccia sempre più forte la consapevolezza di quali siano e di quali relazioni vi siano tra i comportamenti umani sbagliati dal punto di vista della sostenibilità ambientale in modo tale da orientare soprattutto l’economia e la società verso lo sviluppo e l’accettazione di pratiche produttive che abbiano il minor impatto possibile sull’ambiente che, in fin dei conti, è base della vita e della prosperità. Anche la nostra!
Fonte: The Guardian
The Fashion Duel – Greenpeace

Anche se la campagna “The Fashion Duel” di Greenpeace potrebbe sembrare troppo di nicchia in quanto si occupa delle case produttrici dell’alta moda che interessano solamente un’esigua parte della popolazione, la ritengo comunque interessante da analizzare in quanto, a mio avviso, più che condizionare le scelte dei loro clienti, si propone piuttosto di far sì che il loro eventuale percorso virtuoso di miglioramento possa essere poi emulato anche dalle altre aziende produttrici di abbigliamento e di moda in generale.
Greenpeace si è chiesta se i prodotti che le case dell’alta moda producono contribuiscano o meno alla deforestazione e all’inquinamento. Per accertarlo ha inviato loro un questionario con 25 domande. Sulla base delle loro risposte (o mancate risposte) ecco la classifica della loro sostenibilità ambientale.
[Scarica la Classifica in pdf]
Sulla base dei risultati della classifica si può facilmente capire come le scelte operate in fase di consumo di beni e servizi (preferendo le aziende più virtuose) possano realmente contribuire alla sostenibilità ambientale sia attraverso il miglioramento del processo produttivo di tutte le aziende in generale, sia attraverso lo sviluppo di una maggiore cultura e consapevolezza da parte dei cittadini.
L’unico inconveniente a tale scelta può essere rappresentato, in alcune circostanze, dal prezzo di vendita che è ovviamente minore per le produzioni meno virtuose. Per effetto degli aspetti indiretti (maggiore inquinamento, maggiore perdita di salute, maggiore delocalizzazione), è facilmente intuibile come tale minor prezzo risulti alla lunga effimero perché si ribalta lentamente sulla società che deve bonificare, curare i malati o affrontare problemi di scarsità di lavoro.
Prima di risparmiare una manciata di euro per prodotti simili che abbiano caratteristiche ambientali molto diverse tra loro chiediamoci se ne valga veramente la pena!
Otto marzo

Oggi, 8 marzo, è la festa della donna.
Di motivi per festeggiarla la donna, al di là di quelli originari, ce ne sono anche molti altri, che devono andare al di là del simbolo e che devono consistere in comportamenti o atteggiamenti concreti da parte dei maschi.
Anziché regalarle le “solite” mimose o fiori recisi che sono molto inquinanti sia in fase di produzione, sia durante il loro trasporto, sia con la loro confezione usa e getta spesso a base di materiale plastico di difficile riciclo, perché non omaggiarla con la messa a dimora di un bell’albero, di un arbusto, una pianta di rosa o di un bulbo? O, se questo non fosse possibile, perché non richiedere al nostro comune, alla nostra azienda o alla nostra scuola che lo facciano per noi nei parchi pubblici, nelle aree dismesse, ai bordi delle strade o nelle aree industriali?
Senza fare troppi sforzi avremo, in Italia, nell’arco di una manciata di ore, qualche milione di piante in più che abbelliranno il paesaggio, daranno dimora agli animali selvatici, creeranno maggiore cultura ecologica, forniranno frutti commestibili, potranno essere usate per scopi economici, assorbiranno anidride carbonica e produrranno ossigeno.
Cara donna, Tanti Auguri!
TEK | Spazzole e pettini

Anche la cura della persona può avere un considerevole impatto sull’ambiente.
L’azienda TEK, che produce principalmente spazzole e pettini per la cura dei capelli, ha da sempre una particolare attenzione per la natura e un grande impegno per l’ecologia. Difatti ogni prodotto viene realizzato artigianalmente in Italia e solamente con materiali naturali come il legno che garantisce, oltre alla cura dei capelli, anche quella per il cuoi capelluto e per la salute in generale.
Le spazzole TEK sono realizzate con manico e con dentini in legno mentre il supporto di questi ultimi è in gomma naturale antistatica. I pettini TEK sono realizzati interamente in legno.
Per la sua particolare attenzione nei riguardi della sostenibilità ambientale TEK sceglie legno che non abbia comportato disboscamenti selvaggi. Pertanto tutti i legnami utilizzati sono certificati FSC (Forest Stewardship Council). Inoltre viene utilizzata solamente gomma naturale ricavata dal caucciù senza alcun derivato petrolifero. La parte di finitura viene realizzata solo attraverso l’uso di olio di cera d’api e colorata con aniline vegetali. Il packaging infine è in cartone naturale realizzato secondo il Well Managed Forest secondo il quale le fibre del supporto cartaceo provengano da foreste a coltivazione integrata sostenibile. Per tutta la sua produzione TEK utilizza energia elettrica proveniente da fonti rinnovabili (sole, vento e acqua) certificata RECS.
Tutti i prodotti TEK, oltre agli aspetti ambientali, si propongono anche di assicurare salute e benessere per gli utilizzatori attraverso un contatto delicato con il cuoio capelluto.
Se niente importa

Mangiare carne non è necessario per sopravvivere e mangiarne troppa non è nemmeno salutare. Produrla non è neppure sostenibile dal punto di vista ambientale, soprattutto se la carne proviene da allevamenti intensivi dove migliaia e migliaia di animali vivono ammassati in spazi angusti, iperselezionati, ipernutriti e ipermedicalizzati. Dei mostri che se fossero lasciati scorrazzare liberamente per le aie o per i pascoli non riuscirebbero a reggersi in piedi e morirebbero di stenti in pochi giorni.
Al di là della componente etica e dei diversi problemi che affliggono gli allevamenti intensivi, percorrendo l’autostrada A4 in direzione Venezia, a pochi chilometri dall’uscita di Brescia Est, sono rimasto molto colpito (e, non lo nego, anche piuttosto turbato) da quanto si è presentato a bordo strada: un manichino di bovino adulto e uno di vitello (talvolta anche un maialino) appesi per il collo ad una impalcatura metallica.
Sì, è vero, gli animali sono dipinti con colori inequivocabilmente patriottici e forse hanno anche una finalità comunicativa polemica (mah!) nei confronti di politiche agricole che “strozzano” gli imprenditori del settore. Magari le quote latte!?
Il quadro, però, nel suo insieme, mi sembra alquanto stupido, per non dire veramente disgustoso. Appendere una mucca per il collo assieme ad un cucciolo (magari al suo cucciolo) è una cosa che reputo inutile dal punto di vista comunicativo e triste da quello etico. Dimostra, a mio parere, che in troppi allevamenti intensivi ed industrializzati non si ha nessun rapporto empatico con gli esseri viventi e non ci si prende sufficiente cura dell’animale, del suo benessere e della sua salute. Magari addirittura lo si maltratta e l’animale, in quanto essere vivente, è visto come un mero oggetto commerciale scomponibile in diversi pezzi dai quali ottenere la più alta remunerazione economica possibile.
Jonathan Safran-Foer, nel suo libro “Se niente importa”, un’acuta e attenta analisi del mondo degli allevamenti e della produzione della carne degli USA, chiede alla nonna ebrea scampata per miracolo ai lager nazisti perché, durante il suo peregrinare in fuga per l’Europa, pelle e ossa per la fame, abbia rifiutato un’offerta di carne di maiale (non kosher) che le poteva salvare la vita. Lei, serafica, gli risponde: “Se niente importa (nella vita), non c’è niente da salvare”.
Video: TG1 – Allevamenti tortura per mucche
Video: L’orrore degli allevamenti
Buon Compleanno

Qualche giorno fa, il 25 febbraio, è stato il compleanno della vita sulla Terra.
Anche se in ritardo le urliamo “Buon Compleanno”!!!
Per capire il messaggio, che potrebbe apparire un po’ folle, è necessario operare di fantasia e trasporre la formazione del pianeta Terra, la nascita della vita su di esso, la comparsa degli animali più complessi e lo sviluppo delle attività umane all’interno di un ipotetico anno solare.
La Terra nasce il 1 gennaio alle ore 00.01. Il 25 febbraio (circa 3,8 miliardi di anni fa) appaiono le prime elementari forme di vita. Il 28 marzo inizia la fotosintesi clorofilliana. Il 16 di agosto iniziano a comparire le prime forme di vita pluricellulari. Dal 15 novembre inizia l’avventura dei primi funghi, il 22 novembre delle prime piante terrestri, il 24 novembre degli insetti e, a partire dal 2 dicembre, degli anfibi, dei rettili, dei mammiferi (il 13 dicembre), gli uccelli e i fiori. Il 25 dicembre si estinguono i dinosauri (circa 65 milioni di anni fa). Il 31 dicembre alle ore 11.30 gli ominidi iniziano a camminare; alle 23.36 compare l’Homo sapiens alle 23.59 inizia l’agricoltura (circa 10 mila anni fa); alle 23.59 58” inizia la rivoluzione industriale.
[scarica il pdf – Vita sulla Terra]
Alla luce di tale interessante e simpatica trasposizione che vede comparire il protagonismo tecnico-scientifico dell’uomo all’interno del Sistema Terra solo negli ultimi 2 secondi dell’ipotetico anno, come si può credere che lo stesso potrà affrontare i diversi problemi che gli si presentano all’orizzonte solo con l’uso della tecnologia? È una pura follia pensarlo e non concentrarsi, invece, su quello che rappresenta il vero motore e la vera molla di tutto: LA NATURA!
Che prima va rispettata. Poi va capita e studiata. E alla fine va copiata.
Fonte: Biomimicry