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Gli investimenti sono necessari per la ripresa
In questo particolare periodo storico caratterizzato dalla presenza di una lunga crisi economica che sta mettendo in ginocchio il sistema produttivo e sociale di gran parte degli stati mondiali numerose sono le ricette di politica economico-finanziaria che vengono proposte dagli economisti, dai politici e dalle diverse parti sociali. Si va dalla necessità di far ripartire gli investimenti pubblici al reddito di cittadinanza per chi è indigente o perde lavoro. Si va dalle politiche di acquisto del debito pubblico degli Stati da parte della Banca Centrale Europea (BCE) a quelle di incentivo dei consumi. Si va dalla svendita del patrimonio statale per far cassa attraverso le privatizzazioni alla facile concessione di autorizzazioni per le estrazioni petrolifere e di altri minerali.
OK, tutto corretto! O quasi, perché tali politiche funzionano bene solo nel breve o nel brevissimo periodo, cioè nell’arco massimo di 5 anni. Agli stessi teorici che le propongono (e che di solito appartengono alla classe medio-alta della società) desidererei anche chiedere quale visione del mondo hanno tra 10, 20 o 30 anni. Cosa succederà ai nostri figli quando saranno dei quarantenni/cinquantenni? Che sistema sociale e che sistema economico troveranno? Vivranno in un modo di pace, di civiltà e di democrazia o saranno costretti ad una folle competizione, a difendere con i denti e con la violenza quel poco che hanno e a mendicare dai potenti di turno?
A mio avviso nulla si sta veramente facendo per portarci veramente fuori dalla crisi economica. Quello che vedo sono solo piccole manovre correttive che tendono sempre di più ad impoverire i popoli e i cittadini a vantaggio di quei pochi (tra l’altro sempre meno) che detengono la ricchezza globale del Pianeta.
Prendiamo, ad esempio, gli investimenti pubblici così tanto agognati per fornire la teorica ripresa. Al netto della corruzione, gli interventi pubblici a cui si fa spesso riferimento sono quelli “rousveltiani” della gradi opere: autostrade, ferrovie, tunnel, porti, ponti, EXPO, MOSE e chi più ne ha più ne metta. Ci siamo però mai chiesti chi le usa queste grandi opere faraoniche se le famiglie hanno meno reddito disponibile? E quali sono i costi per le loro manutenzioni? Ci siamo mai chiesti se ci possono essere delle alternative a queste cattedrali nel deserto che, oltre ad essere altamente impattanti dal punto di vista della sostenibilità ambientale, non sono più così necessarie alla crescita economica come lo erano nel periodo della ricostruzione post bellica, quando la gente agognava a possedere beni che non aveva? Ci siamo mai chiesti se, piuttosto che muovere terra, scavare buche, gettare colate infinite di cemento e lastricare il territorio di asfalto non sia più conveniente lavorare, per esempio, per cambiare completamente il sistema produttivo e di approvvigionamento energetico? Ci siamo mai chiesti se invece di creare grandi strutture centralizzate di produzione, di commercio e di distribuzione di beni e servizi non sia più interessante creare piccole reti locali in connessione tra loro che distribuiscano maggiormente la ricchezza e che facciano aumentare i saperi?
Dal lato dei consumi, poi, si continua a ricercare la crescita e la ripresa economica incentivando sistemi consumistici lineari del tipo: produci, consuma e butta (qualcuno, sui muri delle città, scrive “crepa”). Ci siamo mai chiesti se non sia più conveniente iniziare seriamente un percorso che ribalti completamente tale assurdo sistema e che operi in modo più circolare limitando l’uso delle materie e la produzione dei rifiuti?
Nel nostro attuale contesto certifichiamo continue disuguaglianze e viviamo nell’ansia costante di perdere quello che possediamo (attraverso il consumismo) e abbiamo fatto (sacrificando il nostro tempo nel lavoro). Cambiando completamente prospettiva potremo anche gettare le basi perché le comunità siano più eque e le relazioni siano più armoniche. Magari non solo quelle umane ma anche quelle nei confronti della natura!
Terme ecologiche
Qualche giorno fa ho terminato un ciclo di terapie inalatorie presso le Terme di Sirmione per tentare di combattere (o almeno di alleviare) con meno medicinali possibile i sintomi di una presunta fastidiosa allergia. Non l’ho ancora accertato con precisione ma, dal momento che non è stagionale, molto probabilmente si tratta di allergia agli acari della polvere o al pelo di gatto (il mio si rotola e ronfa un po’ ovunque in casa e si è “preso” spazi che qualche anno fa non si sognava neppure).
Da buon osservatore sulle problematiche ecologiche (non smetto di farlo neanche quando l’acqua calda mi viene sparata nel naso o quando devo respirare a pieni polmoni un aerosol bollente di acqua sulfurea) posso dire che il centro che ho frequentato si dà da fare sul tema. Tra gli aspetti positivi dal punto di vista ambientale che ho potuto notare di persona (altri ce ne saranno che non ho visto) posso elencare:
- la presenza di pannelli fotovoltaici con indicazione puntuale dell’energia prodotta e della CO2 non emessa in atmosfera (Foto 1);
- la presenza di bidoni per la raccolta differenziata sparsi un po’ ovunque con l’indicazione chiara e precisa della tipologia di rifiuto da conferire;
- la fornitura dei dispositivi per le cure (nel mio caso mascherina per l’aerosol e strumento per i lavaggi nasali) non usa e getta ma da riutilizzare fino alla fine della cura (Foto 2);
- l’utilizzo dei fazzoletti e dei rotoli di carta usa e getta prodotti da carta proveniente dalla raccolta differenziata.
Al di là degli elementi virtuosi l’aspetto su cui desidero prestare l’attenzione e prendere come spunto per fare un ragionamento più ampio in materia di sostenibilità ambientale è un elemento che può sembrare apparentemente banale nell’insieme dell’attività termale, ma che si offre come sponda per far luce sulla vera causa dei problemi ecologici che stiamo continuamente affrontando senza mai giungere ad una vera conclusione della questione. In buona sostanza la stragrande maggioranza dei numerosi clienti/pazienti che ho avuto modo di vedere nelle sale delle cure dopo ogni seduta si toglieva la grande bavaglia di carta e plastica che veniva loro fornita per proteggere il collo e i vestiti da eventuali schizzi di acqua calda, la appallottolava con noncuranza e la gettava in un bidone a caso tra quelli ben segnalati per la raccolta differenziata dei rifiuti. Io, invece, la tenevo per tutta la sessione quotidiana di cura che comprendeva tre diversi trattamenti. Quello che mi colpiva nel loro atteggiamento e nei loro gesti era la totale noncuranza di capire che la bavaglia poteva anche non essere inutilmente gettata di volta in volta ma poteva assolvere egregiamente al proprio compito per più trattamenti.
Quello che desidero osservare con queste considerazioni è il fatto che il raggiungimento della sostenibilità ambientale passa inevitabilmente attraverso due macroaree di azioni che operano congiuntamente e che non possono essere efficaci da sole. Da un lato vi sono gli interventi di natura tecnica, gli investimenti, le soluzioni e, dall’altro, vi sono i comportamenti umani.
Se i primi possono essere imposti dalle leggi o possono essere promossi dalla ricerca del risparmio e dell’efficienza, mi chiedo chi si occupa dei secondi? Chi si deve sobbarcare l’onere – e, spesso, le delusioni – di educare le persone? Se non si provvederà a farlo al più presto si rischierà seriamente di non raggiungere mai gli obiettivi prefissati e di continuare a girare infinitamente in tondo. Come un cane che cerca di mordere la sua coda!