Perché non andrò all’EXPO
Qualche giorno fa mentre salutavo alcuni amici sulla soglia di casa e si facevano gli ultimi discorsi parlando del più e del meno mi veniva da loro proposto di passare assieme una domenica all’EXPO. In fin dei conti la città di Milano non è poi così lontana da dove abito e il logo della manifestazione si trova un po’ ovunque, dalla bolletta della Telecom al biglietto del treno; dall’imballaggio degli alimenti alle pagine dei giornali che è difficile non esserne in qualche modo attratti.
Ho ripensato qualche giorno più tardi a quella proposta e mi sono chiesto se, al di là della mia refrattarietà alla manifestazione già ampiamente documentata su questo blog, esistano comunque dei validi motivi per andare a fare una capatina all’EXPO per curiosare tra i padiglioni e ammirare il cibo del mondo. In fin dei conti, dopo tante critiche, ora che la fiera è operativa e si può toccare con mano, non sarebbe male poterlo fare di persona. E, perché no, magari cambiare anche idea.
Alla luce dell’invito ho iniziato ad approfondire ulteriormente l’argomento e, da quello che ne è emerso, sono sempre più convinto che ad EXPO non ci voglio proprio andare e che questa mia convinzione non sia frutto di una presa di posizione aprioristica basata su dei preconcetti ma che si fondi su una mia profonda coerenza comportamentale e su delle motivazioni molto concrete che provo ad elencare e a motivare.
1) Secondo quanto afferma Vandana Shiva nel suo blog sull’Huffington Post, EXPO più che essere una manifestazione che cerca di approfondire sul cibo, sulla produzione dello stesso, sulla salute alimentare e sulla sostenibilità sociale ed ambientale che ad esso sono collegate (1), è piuttosto una manifestazione che funge da vetrina per le multinazionali dell’alimentazione e della chimica che, invece di “nutrire il pianeta”, pensano piuttosto a nutrire se stesse e i loro affari. Ne è una dimostrazione il fatto che tra i principali sponsor vi siano McDonald’s e Coca Cola (ma anche Monsanto, Syngenta, Nestlé, Eni, Dupont, Pioneer) e che ad EXPO – per esempio – non siano previste particolari iniziative sull’agricoltura familiare che coinvolge centinaia di milioni di persone nel mondo oppure sull’agricoltura alternativa e di nicchia, alternativa addirittura al biologico che anch’esso oramai è un affare.
Ovviamente il tutto, agli occhi dei cittadini, deve in qualche modo essere mascherato: ad esempio ci si concentra sul non spreco del cibo – cosa sacrosanta e giusta – senza pensare troppo a quale sia la qualità o la salubrità del cibo che si spreca. Ad esempio si parla di cibo regionale ma non ci si chiede troppo quanta chimica, quanta acqua, quante manipolazioni genetiche (OGM) o quanta energia sia necessaria per produrlo. Ad esempio si mette nel calderone tutto il cibo senza pensare troppo a quale possa essere il suo impatto sulla salute, sull’ambiente e sulla biodiversità.
Lo scopo è vendere. E la fiera EXPO deve far incrementare i fatturati delle industrie (2). Se poi ci sono degli effetti collaterali… si affronteranno in altre sedi.
2) EXPO è stata una enorme operazione di inutile cementificazione del territorio. Come affermano illustri esperti in materia sia di architettura che di cibo, si sarebbe potuto realizzare la manifestazione – in modo diverso rispetto alle precedenti, e qui stava la grande novità tecnologica e il grande progresso – senza utilizzare neanche un chilo di cemento. Inoltre si sarebbe potuto cercare di alimentare completamente la fiera con energia da fonti rinnovabili. E, invece, si sono riempiti milioni di metri quadrati di erba con milioni di metri cubi di edifici. Se poi ci sono le auto della polizia elettriche oppure quelle della manifestazione ecologiche alimentate a metano, oppure se c’è la raccolta differenziata dei rifiuti queste non sono atro che operazioni di greenwashing atte a creare confusione e a dare l’impressione di sostenibilità ambientale ad una cosa che con la vera sostenibilità ambientale, quella profonda, non quella di facciata, non ha nulla a che fare.
3) Gli edifici e le strutture che ora ospitano EXPO e che sono state realizzate anche con i soldi delle mie tasse non hanno, ad ora, una collocazione futura. In buona sostanza non si sa che cosa sarà di esse dopo il 31 ottobre prossimo. Città delle musica e del cinema? Mah! Università? Mah! Area manifatturiera o espositiva? Mah! I presupposti sono per ora quelli che tutto andrà presumibilmente in malora come molte delle strutture costruite per altri EXPO in giro per il mondo oppure per le olimpiadi varie che ogni 4 anni fingono di promuovere lo sport.
Al di là del fatto che si sarebbe dovuto utilizzare solo materiali rinnovabili per la realizzazione delle varie strutture, è da dire che si sarebbe anche dovuto progettare il tutto già nell’ottica della dismissione o della destinazione urbanistica finale. Si sarebbe dovuto fare come Londra che, dopo l’ubriacatura economica delle olimpiadi di qualche anno fa, sta ricavando denaro e sta producendo posti di lavoro anche dalla dismissione e dalla collocazione alternativa delle strutture sportive.
In conclusione anche se so che le critiche le dovrei fare dopo aver visto di persona, ritengo che questi tre motivi siano già più che sufficienti per esprimere il mio dissenso verso EXPO, non tanto e non solo per manifestazione in sé, quanto, e soprattutto, per le importanti occasioni perse.
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(1) Carlo Petrini, fondatore di Slow Food, dopo una prima polemica con gli organizzatori di EXPO per non aver invitato i pescatori, gli allevatori e gli agricoltori, ora propone di invitare a Milano, dal 3 al 6 ottobre 2015, 5.000 giovani contadini, allevatori e artigiani da 170 paesi per parlare finalmente di cibo e di produzione dello stesso.
(2) Come scrive La Repubblica la Regione Lombardia, attraverso le parole dell’assessore regionale Valentina Aprea che scrive una letera ai dirigenti scolastici, invita gli alunni delle scuole ad andare all’EXPO e di godere degli eccezionali sconti di prezzo da McDonald’s.
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