Due cose certe
Due cose sono certe: che l’Homo sapiens si estinguerà e che la natura, magari con caratteristiche mutate rispetto alle attuali, gli sopravviverà ancora a lungo.
Sul fatto che l’uomo si estinguerà, analizzando i dati paleontologici, non ci sono dubbi: i mammiferi sono una specie che, dopo la scomparsa dei grandi rettili avvenuta circa 65 milioni di anni fa, ha trovato enormi nicchie ecologiche a disposizione ma ha caratteristiche fisiche troppo vulnerabili, ad esempio rispetto agli insetti, con limitate capacità di adattamento a situazioni estreme, soprattutto se in repentino cambiamento. Lo scopo è pertanto quello di evitare che tale estinzione si verifichi entro breve ma, soprattutto, che si verifichi troppo velocemente tanto da non poterci permettere di adottare iniziative di adattamento. Ecco perché ci si preoccupa dei cambiamenti climatici, della scarsità delle risorse non rinnovabili, della scarsità dell’acqua dolce e chi più ne ha più ne metta…
Sul fatto poi che la natura sopravviverà all’uomo – almeno per qualche milione di anni ancora – ciò è dimostrato dalle 5 grandi estinzioni di massa della storia della vita del Pianeta. Qualche specie – le più resistenti – sopravvive a un grande evento perturbatore che determina estinzioni di massa e da lì, attraverso mutazioni delle caratteristiche fisiche, riparte la vita che inizia a colonizzare le aree lasciate libere dalle specie estinte.
Se vi è certezza – almeno alle conoscenze attuali – sui due punti precedenti, incerti sono invece gli strumenti che l’uomo dovrà (o potrà) mettere in campo per evitare che venga a mancare troppo presto uno degli scopi principali della biologia (e della vita): la sopravvivenza della specie! O, per lo meno, vista in termini più sociali, la difesa e la maggiore diffusione dei livelli di benessere e civiltà che una parte degli esseri umani ha raggiunto.
Una parte dell’opinione scientifica e intellettuale ritiene che tale difesa possa avvenire solo ed esclusivamente attraverso una sempre più forte ingegnerizzazione della natura. Ecco allora proposte come gli OGM, le nanotecnologie, la geoingegneria e l’uso di tecnologia sempre più spinta: una sorta di ubriacatura tecnologica senza fine che alimenta sé stessa e che può essere realizzata solo attraverso l’immissione nel “sistema” di enormi quantitativi di energia.
Un’altra parte del pensiero, invece, è fermamente convinta che l’obiettivo della sopravvivenza possa passare solo ed esclusivamente attraverso l’imitazione della natura e delle regole del gioco che essa ha determinato per la vita sul pianeta Terra. Ecco che quindi risulta necessario studiarne a fondo i meccanismi e applicarli a tutte le attività umane allo scopo di renderle il meno impattanti possibile sui precari equilibri della Terra.
Personalmente non ho dubbi e credo che solo la bioimitazione potrà darci la speranza di una prospera e duratura sopravvivenza. Al contrario la tecnologia, come affermò il filosofo Paolo Rossi, talvolta per difetto di conoscenza e altre volte per presunzione di assoluta veridicità, “Quando risolve un problema ne apre altri dieci, ancora più complessi”.
Foto: Wikipedia
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