IKEA
Verona, la mia città, vorrebbe che IKEA si insediasse sul proprio territorio. Lo desidera così come pure Nizza, Ventimiglia e, probabilmente, molte altre città italiane e non che anelano ad IKEA come fosse una specie di manna che piove dal cielo e che dispensa, in una pioggia battente e continua, prosperità per tutti, ricchi e meno ricchi.
Non ho nulla di particolare contro IKEA che, anzi, nell’ambito della grande distribuzione, manifesta standard ecologici ed etici abbastanza elevati. In più produce buon design per tutti!
Quello che contesto, però, a chi vede in IKEA la soluzione dei problemi economici e di piena occupazione di una comunità, è il fatto che essa è solamente un grande magazzino di stoccaggio e di distribuzione di prodotti di ottimo design e di discreto rapporto qualità/prezzo, che dispensa la vera ricchezza ai proprietari svedesi e ai produttori (sia ben inteso non ai lavoratori) normalmente dislocati nelle aree più depresse del mondo. Da noi IKEA offre solamente posizioni impiegatizie di basso profilo nel settore commerciale e nella gestione del magazzino.
La vera ricchezza di una comunità sarebbe rappresentata, invece, dalla promozione di attività industriali innovative dal punto di vista progettuale (a mio avviso si dovrebbe lavorare molto sulla ricerca e sullo sviluppo di prodotti che imitano il funzionamento della natura), nonché sull’artigianato e sull’agricoltura di prodotti di qualità.
Solo così si sosterrebbe l’occupazione e il “benessere”, non solo economico ma anche culturale, di una comunità nel lungo periodo.
Cosa resterebbe, in termini di conoscenza, ad una comunità se IKEA (o altre grandi distribuzioni internazionali), in una sala riunioni a 2.000 o a 20.000 Km di distanza, dovesse decidere di andarsene?
Mi sa proprio che, a guardarlo bene, il desiderio di far installare IKEA in un dato territorio da parte di numerosi soggetti locali sia più che altro un disegno di speculazione edilizia, ben mascherato dietro il solito miraggio del lavoro, dello sviluppo e del benessere.
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