L’odore della morte
Lo avete mai provato? L’odore di morte è spaventoso e vomitevole. Un misto di sangue, urine, feci che impregna l’aria, ti entra nelle narici e si attacca per lungo tempo ai tuoi vestiti. Quando entri in un macello industriale, se ti avvicini all’area dell’uccisione dell’animale o alle fasi della catena di lavoro immediatamente successive e, in un rumore assordante dovuto alle urla delle povere bestie che “sentono” il patibolo, vieni investito da uno schizzo di sangue che sgorga dalla loro giugulare o che spilla dalle arterie dei loro arti che vengono recisi o del ventre che viene svuotato, capisci senza ombra di dubbio che cosa sia la morte.
Non quella di una zanzara, di una lucertola, di un microbo o di un pesce. Quella di un mammifero – il maiale, la mucca, il cavallo – che sente e vive quasi come te e che, spesso, hai accarezzato o fatto accarezzare ai tuoi figli sui pascoli o nelle stalle quando, con quel suo nasone buffo, ti si è avvicinato per sola curiosità o per scroccare un po’ di cibo.
L’esperienza non è affatto piacevole e, almeno le prime volte, ti resta incollata nel cervello per qualche giorno. Poi, purtroppo, con il tempo ti ci abitui e ti scivola un po’ più addosso.
Quello che ora mi colpisce e ancora mi angustia quando vado in un macello industriale non è tanto il cadavere dell’animale appeso, le sue convulsioni appena viene sgozzato o le fasi dell’eviscerazione e dello squartamento quanto, piuttosto, gli scarti e i rifiuti delle lavorazioni [vedi foto]. Se la carne inizia subito un processo che la porta ad essere lavata, controllata e igienicamente sicura (quindi, permettetemi il termine, “bella”) i rifiuti, invece, manifestano in tutto il loro ribrezzo che cosa sia la morte a livello industriale. In gran parte finiscono, convogliati da nastri trasportatori, verso cassoni o trituratori che ne fanno una poltiglia informe e viscida che mi richiama conati di vomito ogni volta che la vedo. In minima parte i rifiuti della macellazione – e anche questo non mi piace proprio – finiscono sparsi sulla pavimentazione a dimostrazione che la sacralità della vita, quella che esiste in forma rituale in gran parte delle tradizioni e delle religioni, nel sistema del cibo industriale, non esiste. Tutto – dico tutto – è semplicemente o “merce” o “rifiuto”, o “tempo” o “redditività”. E, alla fine, soldi!
Al di là di quello che provo quando frequento i macelli industriali io non sono totalmente contro la carne. Sono convinto che, nell’ultima fase evolutiva del suo percorso terrestre, l’uomo sia “diventato” anche carnivoro (1) e che l’assunzione della giusta dose di proteine animali non sia così deleteria per la salute. Ovviamente i quantitativi da consumare devono essere molto bassi, radi nella loro frequenza e quel poco che viene mangiato deve possedere una dimensione etica (la tipologia di allevamento, il cibo e la macellazione) e deve essere di enorme qualità. Quello che però non concepisco è il fatto che la carne – soprattutto quella di bassa qualità – sia entrata di prepotenza nel nostro immaginario e sia oramai diventata l’alimento ubiquitario e quotidiano dei nostri pasti. Questo mi fa comprendere quanto siamo scarsamente interessati (o quanto siamo scarsamente informati) sia all’etica nel trattamento degli animali sia alla nostra salute e alle sorti del pianeta che abitiamo che, a poco a poco, per far posto agli allevamenti in batteria e alle coltivazioni che garantiscono cibo agli animali, depauperiamo della sua biodiversità e alteriamo nei suoi equilibri chimici.
Sono comunque convinto che non sia necessario bandire totalmente la carne dalla dieta per compiere delle azioni sostenibili dal punto di vista ambientale. Per ottenere questo importantissimo risultato è sufficiente (ri)acquisire semplicemente una sorta di rispetto per l’animale che ci dona la vita perché tutto il resto – eliminazione degli allevamenti intensivi, delle violenze e limitazione delle problematiche legate alla salute – verrà poi di conseguenza. Ne sono certo!
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(1) Per approfondire il tema consiglio la lettura del libro La scimmia nuda. Studio zoologico sull’animale uomo (1967) di Desmond Morris. Ne vale la pena.
Uno dei motivi per cui sono vegetariano è il rispetto dell’animale.Bel post!