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Monthly Archives: Aprile 2014

Patè de fois gras. Slurp!

Quando vedo un video come quello di Animal Equality sull’allevamento delle oche destinate alla produzione del paté de fois gras (paté di fegato d’oca o di anatra) (1), penso che l’unico VERO animale presente sulla Terra sia l’uomo.

La nostra consapevole brutalità non ha pari. La nostra bestialità nel procurare inutile dolore e sofferenza ad altri esseri viventi non ha pari. La nostra consapevole insensibilità per l’ottenimento di un prodotto non essenziale per la sopravvivenza non ha pari. Il nostro lucido calcolo puramente materialistico non ha pari. Tutto ciò non ha pari nemmeno tra i più sanguinari carnivori del Pianeta, come le tigri, i coccodrilli o gli squali che agiscono istintivamente (senza premeditazione o senza scopi materiali, come il denaro) solo per procurarsi il cibo destinato alla sopravvivenza, loro e del loro clan familiare.

Tornando al video, esso mostra i diversi passaggi produttivi necessari per ottenere il famoso fois gras. Dall’allevamento degli animali in minuscole gabbie, all’alimentazione forzata degli stessi che vengono ingozzati a forza, fino ad arrivare alla loro truce macellazione. Tutto ciò con un unico scopo: procurare agli animali un ingrossamento anomalo del fegato e grandi depositi di grasso nello stesso che gli conferiscono quella consistenza gelatinosa così tanto ricercata dalla gastronomia e dai consumatori.

Il video è stato messa in rete da parte di Animal Equality, l’organizzazione internazionale in difesa degli animali. “Ciò che abbiamo documentato sono scene terribili di animali confinati in minuscole gabbie, affetti da stress e depressione, feriti dal tubo che ogni giorno viene loro spinto con forza nell’esofago [fino anche a farlo sanguinare] per far passare il cibo, oppressi da problemi respiratori e di deambulazione per le abnormi dimensioni raggiunte dal fegato, maltrattati e lasciati morire senza cure” afferma Francesca Testi, portavoce di Animal Equality in Italia. Il tutto senza senso, senza uno scopo importante, direi io. Con il solo oboettivo di accontentare il palato ad un’umanità capricciosa  e senz’anima.

Sono certo che la nostra sopravvivenza futura dovrà passare inevitabilmente anche attraverso il rispetto degli animali. Boicottiamo il paté di fois gras e aderiamo con partecipazione alla campagna di sensibilizzazione di Animal Equality.

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(1) Wikipedia riporta che il fois gras è definito dalla legge francese come “fegato di anatra e di oca  fatta ingrassare tramite alimentazione forzata”. […] L’alimentazione forzata induce una crescita abnorme del fegato ed un aumento di grassi nelle cellule epatiche noto come steatosi. Questo fenomeno è stato interpretato come un adattamento naturale da alcuni esperti, ma come una vera e propria patologia, la steatosi epatica, da altri.

Video: ATTENZIONE: alcune immagini contengono scene di violenza esplicita e potrebbero urtare la vostra sensibilità.

 

Le “Giornate della Terra”

Ieri, 22 aprile, si è svolta la “Giornata della Terra”, un’iniziativa molto interessante nata negli anni ’70 per sensibilizzare l’opinione pubblica sulle tematiche ambientali e sulla necessità di conservazione delle risorse naturali. Ora, giunti alla 44^ edizione, ci sono però ancora numerosissime e importantissime cose da fare.

Se è troppo facile celebrare la “Giornata della Terra”, un po’ meno è mettere in pratica azioni concrete per fare in modo di essere, individualmente o collettivamente, il cambiamento necessario. Per evitare che tale manifestazione rimanga solo una valida iniziativa teorica da oggi, e poi per 364 giorni fino al prossimo 22 aprile, ognuno di noi dovrà impegnarsi seriamente ad agire in prima persona – talvolta rinunciando a qualcosa per guadagnare qualcos’altro – per dimostrare concretamente il proprio impegno a favore della Madre Terra.

In particolare dovremo, per citarne alcune:

limitare l’uso e il consumo del territorio          non sprecare energia          impegnarsi ad usare energia proveniente solo da fonti rinnovabili          limitare il consumo sia dei prodotti finiti che delle materie          limitare e possibilmente evitare il consumo di carne          limitare il consumo dei pesticidi          eliminare il consumo di erbicidi          consumare prodotti e favorire le economie locali          limitare la deforestazione          essere informati sui prodotti che acquistiamo          esercitare il controllo sull’azione politica e amministrativa          scegliere solo finanza etica e, se possibile, limitare comunque la finanza speculativa          limitare l’utilizzo delle auto private e usare maggiormente i trasporti collettivi          preferire la bicicletta per la mobilità urbana          limitare i voli aerei          salvaguardare gli animali selvatici          salvaguardare gli ambienti selvaggi          salvaguardare il paesaggio          difendere le popolazioni indigene          limitare la produzione di rifiuti          separare e riciclare sempre meglio i rifiuti prodotti          non inquinare il suolo, l’aria e i mari          effettuare scelte di consumo orientate verso i prodotti ecologici          riutilizzare e recuperare i vecchi prodotti…

… e se avete altre idee che non ho indicato, sono le benvenute!

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Per approfondire: Earth Day Italia; Earth Day Network

 

2014: anno dell’agricoltura familiare

In Italia e, suppongo, nei paesi “occidentali” che hanno il baricentro sociale spostato sull’industria e sui servizi, l’agricoltura viene oramai relegata ad un ruolo gregario all’interno del sistema economico: tutti concordano sul fatto che serva e che sia fondamentale ma poi la snobbano o la superfinanziano senza criterio preferendo ad essa l’industria o l’edilizia, perché sono in grado di essere molto redditizie e di portar soldi agli investitori in tempi molto brevi, quelli che l’agricoltura non si può permettere. Nonostante i piccoli segnali di ripresa di questi ultimi anni dovuti alla crisi che porta sempre più giovani intraprendere la strada (e l’avventura) nel settore primario, l’agricoltura, da noi, viene vista comunque nell’ottica industriale fatta di mezzi meccanici sempre più sofisticati, di additivi chimici e biotecnologici, di assenza di manodopera nonché di grandi guadagni speculativi che spesso esulano dalla produzione del cibo e virano verso la produzione di energia o verso la gestione dei rifiuti.

È importante sapere, però, che questa idea di agricoltura interessa una minoranza di persone al mondo dove, invece, in massima parte, la stessa è basata sulla piccola agricoltura familiare (1) che coinvolge circa 400 milioni di famiglie di coltivatori diretti con meno di due ettari di terra, circa 100 milioni di pastori e circa 100 milioni di pescatori. In sostanza il 40% della forza lavoro del Pianeta è coinvolto nell’agricoltura familiare che produce circa il 70% del cibo disponibile.

large_AfricaL’agricoltura familiare è caratterizzata principalmente da tre elementi positivi:

  • contribuisce sostanzialmente alla sicurezza alimentare mondiale;
  • difende i prodotti alimentari tradizionali e contribuisce a garantire una dieta bilanciata per le persone povere salvaguardando, contestualmente, l’agro-biodiversità e l’uso sostenibile delle risorse naturali;
  • rappresenta un’opportunità per migliorare ed accrescere le economie locali.

In quest’ottica la FAO ha dichiarato il 2014 “l’anno dell’agricoltura familiare” con lo scopo di porre l’attenzione pubblica sul suo importante ruolo nell’eradicazione della denutrizione e della povertà, nel garantire la sicurezza alimentare e il miglioramento delle condizioni di vita, nella corretta gestione delle risorse naturali, nella protezione dell’ambiente e nel raggiungimento di uno sviluppo sostenibile e durevole, soprattutto delle aree rurali. L’obiettivo è quello di posizionare l’agricoltura familiare al centro delle politiche sociali, ambientali ed economiche degli stati, quale volano per uno sviluppo dell’uomo più equo e bilanciato rispetto a quello che può essere garantito dall’agricoltura industriale.

large_budapestBioimita sostiene l’agricoltura familiare perché rappresenta un punto focale dei suoi principi. Essa, in effetti, è caratterizzata dal fatto di avere caratteristiche specifiche per ciascuna area geografica; essa, essendo di piccola scala è necessariamente basata su una rete di relazioni tra diversi soggetti che si devono scambiare le sementi, le conoscenze, i prodotti; essa favorisce la biodiversità in quanto, non essendo industriale, valorizza i prodotti locali.

 

Il funerale di Windows XP

Oggi, 8 aprile 2014, sarà l’ultimo giorno di vita del sistema operativo Windows XP e, a partire dalla mezzanotte, non ci saranno più aggiornamenti di sicurezza e il software sarà, entro breve, destinato inesorabilmente a morire. Troppo elevato è infatti il rischio che il computer possa essere esposto a rischi di crash o, peggio, ad attacchi di virus che ne possano compromettere definitivamente la funzionalità.

Attualmente si stima che il sistema operativo XP sia ancora utilizzato da quesi il 30% degli utenti che si collegano a internet, ovvero poco meno di 600 milioni di persone nel mondo.

Secondo le indicazioni di Windows questi “quattro gatti” hanno due sole possibilità:

  1. buttare il loro PC (magari ancora perfettamente funzionante) e comperarne uno nuovo che abbia già preinstallato Windows 8.1;
  2. Comperare la licenza di Windows 8.1, da installare sul vecchio PC ad esso compatibile.

In sostanza si tratta della cosiddetta “obsolescenza programmata“, una pratica assurda sulla quale, in Italia, ci sono state delle interessanti proposte di legge ma che non è ancora stata disciplinata con chiarezza da un punto di vista normativo. Nell’ambito del settore informatico essa consente ad un qualsiasi imprenditore di prendere una decisione… et voilà, in poco tempo, circa 600 milioni di macchine, inquinanti e che hanno richiesto notevole energia e materie per essere prodotte (spesso addirittura ancora perfettamente funzionanti), devono essere mandate al macero per far posto ad altre 600 milioni di macchine che in pochi anni saranno obsolete e dovranno essere buttate per far posto ad altre macchine che…

L’alternativa a questa abberrante politica industriale che minaccia seriamente la sostenibilità dell’industria e che dimostra la stupidità dei comportamenti umani è quella di usare software libero, slegato dai brevetti e dalle licenze d’uso a pagamento, sia come sistema operativo (ad es. Linux-Ubuntu) sia come gestore di altre applicazioni (es. Libre Office per il pacchetto “ufficio”). Ciò consente di far durare a lungo il PC pur avendo gli stessi servizi forniti dai software a pagamento che, invece, nella logica del consumismo, li rendono prematuramente obsoleti.

IBM X40Io, ad esempio, che sono passato al software libero qualche anno fa quando Windows 2000 mi è andato definitivamente in crash, sto utilizzando ancora un vecchio IBM X40 del 2003 sia per i miei svaghi che per ragioni professionali. Il PC funziona bene ed è sufficientemente veloce, ma lo avrei buttato già da qualche anno se non avessi seguito la strada del software libero.

P.S. Per info sul software libero e sull’uso di vecchi PC perfettamente funzionanti eventualmente contattare l’Associazione OS3 di Verona.

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Foto: la tastiera oramai consunta del mio PC IBM X40

 

Dimmi che font usi e ti dirò chi sei

È proprio vero che l’informazione di massa – quella a cui possiamo accedere, in primis, mediante televisioni e giornali – ci racconta un po’ quello che vuole, tanto da far sembrare delle vecchie idee come delle assolute novità. (1)

È il caso dello studente quattordicenne Suvir Mirchandani di Pittsburgh, Pennsylvania, che, intervistato dalla Cnn, fa addirittura un appello indiretto al presidente Barak Obama affinché sia il garante di un considerevole risparmio di inchiostro – e di denaro – nella stampa dei documenti pubblici. Suvir, nel passaggio dalle scuole elementari a quelle medie si accorge quanto aumenti il numero delle fotocopie distribuite dalla scuola agli studenti. Facendo un po’ di conti, il ragazzo osserva che, oltre alla carta e all’usura delle macchine, a pesare sul costo delle fotocopie è anche l’inchiostro utilizzato che, in termini di prezzo, non è affatto economico. Nel partecipare, poi, ad un progetto della scuola finalizzato a ridurre gli sprechi e a risparmiare soldi, Suvir pensa a come poter tentare di ridurre le notevoli spese per l’inchiostro, visto che il risparmio energetico è spesso garantito dalla macchina mediante sistemi di spegnimento automatici e quello della carta è garantito dalla stampa fronte-retro. Suvir ragiona su una cosa che può sembrare ovvia e, come prima cosa, inizia a raccogliere le varie dispense che gli vengono distribuite e ad analizzare dal punto di vista tecnico e grafico le lettere utilizzate. Con l’aiuto di un software commerciale (APFill Ink) si spinge poi a valutare quanto inchiostro consumano i diversi font principalmente impiegati (Century Gothic, Comic Sans, Garamond, Times New Roman) e quali siano le differenze tra gli stessi. Dal calcolo emerge che il font più efficiente è il Garamond – caratterizzato da tratti grafici più sottili – che arriva a far risparmiare anche fino al 24% di inchiostro rispetto a quelli meno efficienti. La sua ricerca si spinge anche più in là e, oltre a quantificare il risparmio di inchiostro per la sua scuola (circa 21.000 $ l’anno), osserva che se l’enorme quantità di documenti federali fossero stampati con font Garamond al posto del più comune Times New Roman, il governo USA risparmierebbe ben 136 milioni di dollari l’anno in inchiostro e, se lo facesse anche ogni stato americano, la cifra arriverebbe a 370 milioni, con un risparmio globale maggiore di 400 milioni.

Dall’articolo sembrerebbe che il “genietto” Suvir abbia scoperto l’acqua calda e debbano essere a lui attribuite particolari doti di analisi della realtà che nemmeno i migliori geni matematici del MIT o di Harvard hanno mai osato valutare.

Ricordo, però, che questo problema, come anche le soluzioni, non sono nuove. Qualche anno fa (ne ho parlato anch’io su questo blog) Colin Willems, con il contributo di SPRANQ Creative Comunications di Utrecht, in Olanda, ha fatto gli stessi calcoli e si è spinto addirittura oltre producendo lui stesso un font (Ecofont), da impiegare nelle stampe per risparmiare il 20% di inchiostro rispetto ai font tradizionali. Ecofont, a differenza del font Garamond a cui fa riferimento Suvir, ha qualcosa in più: è svuotato graficamente da fori trasparenti (in sostanza è bucherellato) che non ne pregiudicano la leggibilità nei formati di stampa più comuni.

Cari utenti, cari impiegati, caro presidente Obama e cari presidenti e primi ministri del Mondo, sappiate che le buone idee per garantire maggior efficienza e sostenibilità ci sono già e spesso sono gratuite tanto da non richiedere per forza enormi investimenti per renderle operative. Nel caso della stampa dei documenti è sufficiente che iniziate ad utilizzare, già da ora, i font Garamond o, meglio, dopo averlo acquistato, il font Ecofont. Metteteli predefiniti nei vostri computer: l’ambiente e il vostro (e nostro) portafogli ringrazieranno!

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(1) La cosa non è grave, ma noi “ambientalisti” ne parliamo da anni. Voi, dove eravate?

Fonte: Corriere della Sera