Monthly Archives: Gennaio 2013
Super-Io

Chi è in grado di immaginare quanto sia grande il numero 100.000.000.000.000.000.000 (cento trilioni (1))? In effetti l’impresa è piuttosto ardua anche per chi la matematica la mastica con una certa dimestichezza!
Le ragioni che mi spingono a parlare di tale numero sono dovute al fatto che esso rappresenta la quantità di batteri e virus che vivono normalmente in un corpo umano, numero che è addirittura circa 10 volte superiore a quello di tutte le cellule che lo compongono. Tali batteri e virus non possono vivere in nessun altro luogo e con il corpo di cui sono ospiti instaurano una serie di relazioni reciproche, qualche volta purtroppo anche negative e patologiche. Nella maggior parte dei casi, però, le relazioni sono simbiotiche e indispensabili per il corretto funzionamento in piena salute del corpo che dai batteri e dai virus ottiene incredibili benefici metabolici e protettivi.
In questi anni la ricerca scientifica (2), dopo aver compreso l’esistenza e l’importanza di tali relazioni, sta tentando di capire quali possano essere i principali legami che contribuiscono al corretto funzionamento del corpo e al suo mantenimento in piena salute anche se l’impresa risulta piuttosto ardua e, per ora, è abbastanza lontana dall’avere delle risposte certe sia per il numero elevato di specie da analizzare sia per il fatto che tali batteri e virus sono diversi, per circa il 15%, da individuo a individuo. Essi si sono evoluti con noi per viverci dentro e per scambiare tra le nostre cellule e tra loro stessi continue relazioni, assolutamente indispensabili per la loro e la NOSTRA vita.
Per tale motivo gli scienziati, anche se hanno solo abbozzato l’impianto di conoscenze su questi nostri amati ospiti, stanno cominciando ad eliminare dal loro lessico il concetto di “io” per sostituirlo con quello di “super-io”, una sorta di superorganismo che va oltre il concetto di “individuo” per giungere a quello di “ecosistema” costituito da un enorme numero di elementi integrati che operano come opera una foresta, la savana o l’oceano.
Date queste premesse non è difficile pensare che il sistema “corpo umano” con le sue cellule, i suoi batteri e virus e le loro innumerevoli relazioni reciproche sia qualche cosa che esula dalla tecnica e sia una sorta di ambiente misterioso molto delicato che anche micro inquinamento, errata alimentazione, eccesso di farmaci, stress o altri elementi perturbatori possano inevitabilmente alterare e, così facendo, ne possano diminuire la funzionalità fino a causare irrimediabile perdita di salute.
L’ecosistema corpo umano, però, rappresenta anche la metafora di aspetti che interessano il funzionamento del pianeta Terra e del mantenimento nel tempo della vita sullo stesso. La natura – che l’economia e la scienza al servizio dell’economia vuole vedere solo nella dimensione tecnica, caratterizzata da singoli elementi separati gli uni dagli altri: i metalli, i mari, il petrolio… da spremere il più possibile per trarre profitti e crescita – è invece una sorta di “organismo” fatto di relazioni reciproche continue che vanno dal livello micro a quello macro. Più le alteriamo facendo finta che non esistano più comprometteremo la continuità del benessere che abbiamo raggiunto o, peggio, anche la nostra sopravvivenza.
Mi sa che è giunta l’ora di pensarci seriamente e di agire per evitare il peggio!
(1) 1 trilione = 10 (elevato 18)
(2) es. il National Institute of Health statunitense
Foto: The Economist
Bioimita: nascita di una consapevolezza culturale

Dal mio punto di vista è impressionante vedere come le discipline scientifiche che si occupano di ecologia, i movimenti ambientalisti, il giornalismo scientifico, alcuni intellettuali e imprenditori “illuminati” si prodighino da anni (almeno 30 e forse più) a scrivere dei problemi ecologici, sempre più chiari, che affliggono il Pianeta e le comunità umane che in esso vivono.
Vista questa enorme mole di informazioni teoriche si potrebbe ipotizzare che le cose stiano progressivamente migliorando. Invece, nonostante tutti questi sforzi, al di là di qualche lieve miglioramento in ambiti circoscritti, i principali dati che attestano la salute della Terra – anche perché sempre più precisi e accurati – sono sempre più negativi e non ci fanno ben sperare per il futuro. Il cambiamento climatico accelera; la disponibilità di cibo e di risorse (sia rinnovabili che non rinnovabili) scarseggia, i rifiuti aumentano, la biodiversità diminuisce, la popolazione mondiale cresce, gli ecosistemi sono fortemente sotto pressione, la ricchezza è sempre meno equamente distribuita…
Le soluzioni a tutto ciò possono avere due origini: una politico-giuridica che impone leggi, regolamenti, sanzioni e responsabilità; l’altra, economica, che si muove nell’ambito della produzione e dei consumi.
Se la prima è coercitiva, cioè obbliga a determinati comportamenti indipendentemente dalla volontà, la seconda nasce da scelte critiche individuali, maturate nel contesto di una consapevolezza culturale.
Bioimita si vuole preoccupare di questa seconda sfera e, allo scopo, propone, all’interno di un alveo di principi ben definiti, un percorso culturale di approfondimento attraverso il proprio blog e un percorso pratico dove consiglia prodotti e servizi già presenti sul mercato che consentono di intraprendere concretamente, attraverso scelte di consumo, una via verso la sostenibilità ambientale. Il punto di partenza è che le soluzioni non debbano essere il frutto di chissà quale tecnologia o di chissà quale manipolazione ingegneristica della biologia o della materia ma debbano essere ricercate nel luogo più ovvio: la natura stessa.
Nella consapevolezza che il percorso non è lineare e che le cose da studiare e da scoprire sono ancora molte Bioimita si propone di aprire la via ad un nuovo modo di pensare che possa contribuire a rendere meno pesante la nostra impronta sulla Terra e sia in grado di garantire più facilmente un futuro ancora prospero alle generazioni che verranno.
Bisphenol A

Il bisfenolo A (BPA) è un composto chimico di sintesi fondamentale nella produzione degli additivi plastici e delle materie plastiche e, in particolare, del policarbonato, materiale utilizzato per la produzione di bottiglie (PET) e di numerosi altri contenitori per uso alimentare o per uso medico/ospedaliero.
La pericolosità per la salute umana del bisfenolo A è nota fin dagli anni ’30 del secolo scorso ma è solo a partire dagli anni ’90, dopo la pubblicazione di molte ricerche scientifiche sull’argomento, che vengono inquadrati gli ambiti su cui tale composto chimico di sintesi manifesta i propri effetti negativi: apparato endocrino, apparato riproduttore e azioni sul feto anche a basse dosi. Per esempio gli organi più colpiti sono la mammella, la prostata, il pancreas (diabete) e il fegato.
A causa dei suoi potenziali effetti negativi sulla salute il bisfenolo A è stato oggetto, nei recenti anni passati, di un’azione legislativa da parte dei principali stati europei volta ad eliminarlo da alcuni tipi di plastiche, in particolare quelle a contatto con alimenti caldi (microonde) o destinati all’uso dei neonati o lattanti (biberon) allo scopo di evitare che esso possa migrare nei cibi.
Quello che mi ha colpito recentemente, dopo aver fatto un acquisto in Francia, è aver ricevuto uno scontrino fiscale nel quale era ben evidenziato il fatto che la carta veniva garantita “sans Bisphenol A”, cioè senza bisfenolo A.
In realtà il fatto che la carta termica utilizzata per gli scontrini fiscali o per innumerevoli altri usi contenesse elevati quantitativi di tale agente chimico non era una novità. Quello che invece sorprende è che più la scienza si addentra con precisione nei meandri della produzione industriale più scopre elementi, talvolta voluti, altre volte indotti dal processo produttivo o dall’utilizzo, che possono essere estremamente nocivi per la salute da parte degli utenti.
Pertanto, per garantire salute e sicurezza all’uomo e all’ambiente, non è più sufficiente preoccuparsi di mettere al bando una certa sostanza pericolosa da un certo prodotto (magari disinteressandosi di altri prodotti simili) perché, col tempo, emergerebbero nuove e più gravi situazioni che devono essere tamponate e che a loro volta determinerebbero altre e nuove gravi situazioni in una spirale senza fine. È necessario, invece, riformare completamente il sistema industriale e portare la produzione verso più elevati standard di sostenibilità attraverso metodologie che imitino il funzionamento della natura e impieghino i materiali – quelli innocui per l’uomo, si intende – in essa reperibili.
L’eliminazione del bisfenolo A da alcune plastiche senza conseguenze produttive, prima, e dalla carta termica, poi, è la dimostrazione che tale obiettivo è concretamente praticabile fin da subito e, anziché deprimerlo, arricchisce il sistema economico-produttivo di nuove idee e di nuove conoscenze.
Mi sa solo che bisognerà vincere la resistenza delle lobby ed è per questo che, in questo periodo storico, in Europa abbiamo governi tecnici. (Sig!).
Foto: Scontrino fiscale di un negozio Carrefour (Francia)
Il biologico Conad

“L’agricoltura biologica garantisce il rispetto dei cicli naturali, della salute dei suoli, delle acque, delle piante, degli animali e assicura un impiego responsabile dell’energia e delle risorse. I prodotti da agricoltura biologica sono ottenuti solo con sostanze e procedimenti naturali e ti aiutano a seguire un’alimentazione sana”.
Così recita, in evidenza, il retro di una confezione di 4 uova fresche biologiche Conad che ho recentemente acquistato.
Se l’italiano non è un’opinione ciò significa che l’altra agricoltura, quella tradizionale, NON garantisce il sufficiente rispetto della natura nonché un uso responsabile dell’energia e delle risorse. Inoltre si ammette indirettamente che nell’agricoltura tradizionale NON sempre vengono usate sostanze e procedimenti naturali e che attraverso essa NON è promossa una sana alimentazione.
Se anche la grande distribuzione organizzata lo dice, nessun ulteriore commento è necessario per capire quali scelte dobbiamo fare per garantirci un’adeguata salute e per promuovere la sostenibilità ambientale…
Ci vuole un fiore

Sergio Endrigo, poeta-cantautore un po’ malinconico degli anni tra i ’60 e gli ’80, aveva ben compreso l’idea della bioimitazione.
Per rendersene conto è sufficiente ascoltare la canzone “Ci vuole un fiore” che fornisce pienamente la portata del messaggio: in natura tutto torna e tutto è interconnesso…
Un omaggio a questa splendida poesia scritta appositamente per Sergio Endrigo da Gianni Rodari
Le cose di ogni giorno / raccontano segreti
a chi le sa guardare / ed ascoltare.
Per fare un tavolo / ci vuole il legno
per fare il legno / ci vuole l’albero
per fare l’albero / ci vuole il seme
per fare il seme / ci vuole il frutto
per fare il frutto / ci vuole un fiore
ci vuole un fiore, / ci vuole un fiore,
per fare un tavolo / ci vuole un fio-o-re.
Per fare un fiore / ci vuole un ramo
per fare il ramo / ci vuole l’albero
per fare l’albero / ci vuole il bosco
per fare il bosco / ci vuole il monte
per fare il monte / ci vuol la terra
per far la terra / ci vuole un fiore
per fare tutto / ci vuole un fio-o-re.
Per fare un tavolo / ci vuole il legno
per fare il legno / ci vuole l’albero
per fare l’albero / ci vuole il seme
per fare il seme / ci vuole il frutto
per fare il frutto / ci vuole il fiore
ci vuole il fiore, / ci vuole il fiore,
per fare tutto / ci vuole un fio-o-re.
Le Barbarighe | Azienda agricola

L’azienda agricola “Le Barbarighe” – che si trova a San Martino di Venezze, in provincia di Rovigo – è gestita dalla famiglia Gagliardo da tre generazioni.
L’azienda, specializzata nella coltivazione dei cereali, su una parte della propria superficie è impegnata nella coltivazione con metodo biologico certificato ma, in generale, è da tempo orientata ad una conduzione eco-compatibile dei propri terreni finalizzata non alla quantità ma alla qualità dei prodotti ottenuti. L’azienda, pertanto, ha aderito ai regolamenti comunitari riguardanti l’impianto di boschetti, di siepi, di bande tampone, erbai da sovescio e da colture a perdere a fini faunistici, in quanto ricadente in una zona di ripopolamento della selvaggina.
I cereali biologici attualmente coltivati nell’azienda e destinati alla trasformazione sono: grano tenero, grano duro, farro dicocco, orzo mondo, avena nuda, segale, mais cinquantino, mais biancoperla. In rotazione ai cereali, per obbligo in agricoltura biologica, si coltivano: soia, pisello proteico, loietto, erba medica.
Le varietà Il granoturco coltivato non sono ibride e appartengono a specie nostrane che risultano particolarmente adatte alla produzione di farine da polenta.
L’azienda ha intrapreso da alcuni anni la strada della trasformazione dei propri prodotti biologici allestendo in un vecchio granaio ristrutturato un impianto per la macinazione a pietra dei cereali. Si producono così farine integrali rifacendosi alla vecchia tradizione polesana dei mulini natanti fluviali del Po e dell’Adige, che erano ancora presenti fino agli anni 50 nei paesi rivieraschi.
Tutte le farine prodotte dall’azienda Le Barbarighe provengono da agricoltura biologica ed il mulino macina solo cereali biologici la cui certificazione è avvallata dall’ente di certificazione BIOS.
L’azienda fa anche parte della rete di fattorie didattiche “Bambini in fattoria” promossa dall’Associazione degli agricoltori di Rovigo. Per visite di mezza giornata essa accoglie scolaresche in qualsiasi periodo dell’anno e propone percorsi stagionali con temi da concordare assieme agli insegnanti.
BIO in VI | Abbigliamento

BIO in VI è un progetto della Cooperativa Sociale Studio Progetto di Vicenza che propone capi di abbigliamento in cotone biologico, dal design moderno, confezionati a Km zero e venduti ad un prezzo equo. Il cotone e i coloranti impiegati sono certificati ICEA mentre la filiera di tutte le lavorazioni, dal confezionamento alla tintura dei tessuti, sono realizzate in un’area locale, molto vicina alla sede della Cooperativa.
La Cooperativa sociale Studio Progetto si occupa di inserimento delle persone psicologicamente svantaggiate che sono impiegate nel progetto di produzione e vendita dei capi di abbigliamento. Tali persone sono affiancate da tutor qualificati in grado di accompagnarle non solo nell’acquisizione di competenze manuali ma anche di valori sociali, lavorativi ed umani.
Gli obiettivi educativi che il progetto “BIO in VI” si propone vi sono:
- rendere consapevole la persona che, nonostante la sua disabilità, può svolgere attività lavorative di qualità;
- aiutare la persona a valorizzare l’importanza di un lavoro riuscito al meglio, nato dalle proprie forze e sviluppato con le proprie mani;
- portare la persona a sfruttare le proprie risorse manuali, creative ed intellettuali accrescendo anche le capacità di concentrazione;
- offrire opportunità lavorative.
Per informazioni sul progetto e sui prodotti contattare:
Studio Progetto – Società Cooperativa Sociale
Via Monte Ortigara, 115/b – Cornedo Vicentino (VI)
tel. 348.74 92 822
bioinvi@studioprogetto.org
AURO | Colori naturali

All’inizio degli anni ’80 il dott. Hermann Fisher, uno dei pionieri della chimica pulita e sostenibile, si convinse che il progresso senza rispetto per la natura avrebbe contribuito a peggiorare la qualità della vita degli uomini, sia direttamente attraverso una minore salute, sia indirettamente attraverso il degrado ecologico e l’inquinamento di aria, terra, acqua. Alla petrolchimica così impattante sull’ambiente doveva essere contrapposto qualcosa di migliore.
Fu così che nacque, nel 1983, la AURO Pflanzenchemie AG, una delle principali aziende pionieristiche nel settore del costruire, dell’abitare e del vivere sano. I colori AURO sono pregiati, adatti alle esigenze e alle richieste del mercato ma sviluppati sulla base di una ricerca ecologica.
AURO è ormai uno dei marchi più noti nel campo dei prodotti ecologici ed è oggetto di una grande attenzione e di riconoscimenti che vanno ben aldilà dell’originario movimento ecologico del suo fondatore.
Con un impegno costante a livello di Ricerca & Sviluppo, basato su competenze scientifiche ed esperienze tecnico-applicative, negli ultimi 20 anni, oltre ai colori, sono nati numerosi prodotti per la protezione e il trattamento del legno, ma anche del metallo, della pietra e di altri materiali di costruzione. L’assortimento è completato da colle, intonaci, detersivi e detergenti ecologici.
Persegona | Azienda agricola

“Produzioni biologiche ad impatto 0”.
L’Azienda agricola biologica Persegona si trova a Fidenza, in provincia di Parma, da circa un secolo. Essa è a conduzione familiare e, attualmente, è nelle mani dei fratelli Giuliano, Carlo e Milena.
Essa è composta da un allevamento di circa 180 capi di mucche lasciate prevalentemente libere di pascolare su terreni recintati e alimentate quasi esclusivamente dai prodotti (fieno, frumento, grano duro, soia, mais, sorgo) che vengono coltivati su circa 180 ettari di terreno. Le mucche forniscono il latte che viene trasformato nel piccolo caseificio aziendale dal quale si ottengono circa 3 forme di parmigiano-reggiano biologico al giorno.
Oltre ai bovini nell’azienda Persegona si allevano anche alcuni cinghiali, qualche daino, qualche maiale nero di razza autoctona e alcuni maiali tradizionali allevati allo stato brado e alimentati con farine e fiocchi di mais prodotti in azienda. L’allevamento è completato dalle galline e da altri animali da cortile.
Recentemente l’azienda agricola Persegona, con lo scopo di azzerare le proprie emissioni di CO2, ha installato un impianto fotovoltaico da 15 kW presso il caseificio e uno da 20 kW presso la stalla. Inoltre sono stati installato impianti solari termici per la produzione di acqua calda da utilizzare nei processi produttivi.
Tutta l’azienda è controllata e certificata da I.C.E.A.
I prodotti proposti sono: formaggio parmigiano-reggiano, burro, ricotta, sottoli, salumi, miele, farine, confetture e aceto balsamico di Modena. Per acquistarli, oltre all’acquisto diretto presso lo spaccio aziendale, è possibile ordinarli via e-mail. Una particolare attenzione l’azienda agricola Persegona la rivolge ai Gruppi di Acquisto Solidale (GAS) con sconti e agevolazioni da concordare.
Per informazioni:
Azienda agricola Persegona
Località Pieve Cusignano, 63
43036 Fidenza (PR)
tel/fax 0524.62 163
e-mail: persegonagiuliano@tiscalinet.it
Engel | Abbigliamento biologico

“L’abbigliamento copre il 90 % del nostro corpo ed è continuamente a contatto con il nostro organo sensoriale più grande e importante, la pelle”.
Così recita il sito internet della tedesca Engel, azienda che a partire dagli anni ’60, ha fatto la scelta di produrre capi di abbigliamento in sintonia con la natura e con la salute.
I tessuti impiegati da Engel sono: cotone (bio), lana vergine merino (bio) e seta. Tutti i coloranti utilizzati sono privi di metalli pesanti e privi di qualsiasi AZO (azocomposto) nocivo per la salute mentre per quanto riguarda il trattamento dei tessuti Engel ha rinunciato a qualsiasi tipo di finissaggio.
Tutte le materie utilizzate devono essere biodegradabili e non devono inquinare il suolo, l’aria e l’acqua. Tutte le parti in metallo utilizzate sono prive di nichel e gli altri materiali eventualmente utilizzati devono essere materie prime naturali e ricrescenti. Per garantire l’elevata qualità dei propri prodotti Engel stabilisce inoltre degli specifici requisiti di resistenza alla luce, al sudore, alla saliva, ai lavaggi e al restringimento.
Queste caratteristiche dei prodotti e la presenza di eventuali residui di sostanze nocive per la salute o inquinanti per l’ambiente vengono controllati periodicamente da laboratori autonomi.
Oltre all’aspetto ecologico (produzione, trasporto e smaltimento sostenibili) Engel prende in considerazione anche quelli umani e sociali promuovendo la produzione locale, tutta in Germania.
La collezione Engel comprende un completo sistema di pannolini lavabili, intimo per bebé, bambini e adulti, una collezione di intimo da notte per bebé e bambini, abbigliamento per bebé e anche un piccolo assortimento di vestiario in pile di soffice lana vergine merino per bebé, bambini e adulti.
I segreti dell’isola di San Matteo

Si immagini un piccolo puntino di tundra e scogliere – lungo circa 18 Km e largo circa 2 – sperduto nelle gelide acque del Mare di Bering abitato solamente dalle volpi artiche e da immense colonie di uccelli e mammiferi marini.
Questa è l’isola di San Matteo. E quanto segue è il segreto ambientale che essa nasconde.
Nel 1944, nel bel mezzo della II Guerra Mondiale, la Guardia Costiera statunitense introdusse sul territorio della remota e disabitata isola 29 renne (Rangifer tarandus) allo scopo di fornire una scorta di cibo per i 19 uomini impiegati nella locale stazione strategica e di rilevamento aero-navale. Dal momento che gli esseri umani erano i loro unici potenziali predatori, esse trovarono nel nuovo ambiente un vero e proprio paradiso. Cibo in abbondanza, assenza di predatori animali, un territorio esteso in relazione al loro esiguo numero: in sostanza tutti gli ingredienti necessari ad una loro esplosione demografica.
Quando l’anno seguente la guerra terminò e la base militare venne chiusa gli uomini presenti abbandonarono l’isola lasciando le renne al loro probabile destino: quello di moltiplicarsi e di prosperare a lungo in un ambiente non ostile.
Per lungo tempo nessun essere umano, nemmeno i più arditi avventurieri, mise piede sul piccolo scoglio perduto nell’oceano. Fu solamente dopo 12 anni, nel 1957, che il biologo David Klein del U.S. Fish and Wildlife Service (Dipartimento USA della Fauna Selvatica) approdò nuovamente sull’Isola di San Matteo scoprendo una florida popolazione di 1.350 renne che si nutrivano degli abbondanti licheni che il magro suolo dell’isola poteva loro offrire.
Klein, durante questa sua visita, notò che le renne presentavano caratteristiche diverse rispetto alle popolazioni di altri ambienti. Erano di peso nettamente superiore e godevano, in generale, di una salute eccellente a causa dell’abbondanza di cibo e del loro numero limitato rispetto al territorio, che determinava una bassa competizione tra gli esemplari.
Klein ebbe la possibilità di tornare nuovamente sull’isola solamente 5 anni dopo, nel 1963, e notò subito, non appena mise piede a terra, che ovunque il suo sguardo si posasse vi erano tracce di renne. Le renne erano presenti in ogni angolo dell’isola e la loro popolazione aveva oramai raggiunto la quota di circa 6.000 esemplari.
Rispetto alla prima visita Klein si rese immediatamente conto, però, che non godevano più della buona salute di qualche anno prima: il loro peso medio era notevolmente diminuito e il loro tasso di natalità era molto basso.
Un disastro si profilava, pertanto, all’orizzonte…
«Stanno letteralmente devastando i licheni» disse Klein ai suoi collaboratori.
Una serie di difficoltà lo tennero, in seguito, lontano dall’isola per 3 anni. Solo nel 1966 poté farvi nuovamente ritorno, accompagnato da un biologo e da un botanico.
Lo spettacolo che subito si presentò ai loro occhi non appena toccarono il suolo fu impressionante. L’isola era letteralmente ricoperta da scheletri di renna.
Ne rimanevano vivi solamente 42 esemplari di cui 41 femmine, 1 maschio malato incapace di procreare e nessun cucciolo.
L’ultimo esemplare di renna dell’Isola di San Matteo è morto intorno agli anni ’80 e l’involontario esperimento di dinamica demografica, iniziato per caso nel 1944, è fallito circa quarant’anni dopo con la sua definitiva scomparsa.
Quando ho avuto modo di leggere, qualche tempo fa, un articolo sull’Isola di San Matteo e sulle sue renne, sono rimasto subito molto colpito dalle numerose similitudini che legano questa storia alla dinamica demografica e ai comportamenti dell’uomo. E, naturalmente, anche alle possibili conseguenze che essi possono determinare.
Così come le renne si sono sviluppate inizialmente con estrema rapidità, sono arrivate a sfruttare fino all’osso le limitate risorse che l’ambiente poteva loro offrire e poi sono declinate molto rapidamente arrivando, addirittura, al loro completo annientamento, allo stesso modo le comunità umane sono sempre state caratterizzate dalla stessa dinamica in presenza di condizioni ambientali iniziali favorevoli.
Sviluppo demografico elevato. Utilizzo massiccio di risorse, superiore a quelle che sono in grado di rigenerarsi autonomamente.
Declino e, talvolta, autodistruzione.
In sostanza si verifica quello che gli scienziati chiamano “overshoot and collapse mode” (modalità di superamento e crollo). Esiste cioè un punto di ipotetico superamento dei limiti che determina una recessione difficilmente arrestabile.
Dall’analisi storica di civiltà antiche estinte si è potuto appurare che i principali indicatori del loro declino non sono stati fattori economici, come inizialmente si pensava, ma sono stati proprio quelli di natura ambientale. Agli archeologi odierni appare molto familiare la sequenza: aumento di popolazione; declino delle foreste e aumento delle colture agricole; erosione e impoverimento del terreno; declino della comunità umana nel suo insieme.
Per le società moderne questa relazione si complica notevolmente in quanto sono coinvolti anche altri aspetti quali: la diminuzione delle disponibilità di acqua potabile; l’antropizzazione diffusa del Pianeta; la diminuzione degli stock ittici; la presenza di condizioni climatiche più disastrose e la contrazione delle fonti energetiche non rinnovabili, soprattutto di petrolio e di gas naturale.
Se vogliamo analizzare le caratteristiche del “overshoot and collapse mode” nel contesto delle comunità umane del XXI secolo, possiamo osservare che, dal punto di vista demografico, le più recenti proiezioni elaborate dall’ONU mostrano un trend di crescita della popolazione mondiale che va dai 6,1 miliardi del 2000 ai probabili 9,1 miliardi nel 2050.
Per quanto riguarda l’utilizzo delle risorse, soprattutto quelle energetiche non rinnovabili come il carbone, il petrolio e il gas naturale, la maggioranza dei geologi sostiene che in questi anni la produzione abbia raggiunto il suo massimo e che in futuro sia destinata a diminuire. Inoltre, Paesi emergenti quali la Cina e l’India, che hanno tassi di crescita economica annuale molto elevati e una popolazione enorme, tenderanno sempre di più a richiedere questo tipo di risorse, determinandone anche un elevato e inarrestabile incremento di prezzo.
Dato questo quadro, il problema, come per le renne sull’isola di San Matteo, è che non si può prevedere con una ragionevole precisione il momento del declino e, soprattutto, quali saranno i suoi effetti finali. Se esso, come per le renne, sarà fulmineo e implacabile oppure se sarà più lento e benevolo, consentendo delle politiche correttive.
Quello che è pressoché certo è che se i due ingredienti principali del problema – e cioè l’incremento demografico e lo sfruttamento massiccio delle risorse – aumenteranno continuamente, la conseguenza del declino sarà pressoché inevitabile.
Che cosa fare, allora, per poter contrastare questo trend e per poter sperare in un futuro dell’uomo prospero dal punto di vista economico e sociale ma in armonia con l’ecosistema?
La ricetta è molto semplice ma, nel complesso, anche molto difficile da attuare.
A livello globale si basa, da un lato, su scelte politiche coraggiose, soprattutto da parte dei paesi trainanti cosiddetti “sviluppati”, che siano in grado di modificare gli schemi su cui si basa l’economia, avida di risorse energetiche e di materie prime per garantire elevati consumi. Dall’altro, su uno sviluppo culturale e sociale delle comunità umane che ritornino a comprendere i cicli di base del funzionamento del Pianeta nonché la sua vulnerabilità, e, di conseguenza, ne abbiano maggior cura attraverso, ad esempio, il risparmio e la sobrietà; il riciclo e il riuso; l’eco-efficienza e la bioimitazione. Queste misure, unite anche ad una distribuzione più equa delle risorse e dei redditi, potrebbero contribuire ad abbassare i trend di crescita della richiesta di risorse non rinnovabili e della popolazione mondiale.
A livello locale invece (e mi riferisco all’area dei paesi cosiddetti “sviluppati”), dal momento che il trend di decrescita della popolazione è già evidente da qualche decennio, il lavoro deve essere concentrato prevalentemente sul lato della cosiddetta bioeconomia e del consumo di prodotti ecoefficienti, unica vera espressione dello sviluppo sostenibile, in quanto si propongono di ridurre il prelievo di risorse naturali per raggiungere un livello compatibile con la capacità di carico accertata del pianeta.
La strada è tutta in salita e soffia un forte vento contrario ma è un sentiero obbligato che ciascun individuo, a seconda della sua funzione sociale (politico, cittadino, intellettuale), deve iniziare a scalare per non compromettere seriamente la possibilità di sopravvivenza su questo Pianeta per le generazioni future e, chissà, anche per quelle attuali.
Bioplat® Bio-Line | Prodotti usa e getta

Bioplat® Bio-Line è la gamma di prodotti usa e getta biodegradabili ed ecologici prodotti dalla SDG – Scatolificio del Garda. La serie comprende bicchieri in cartoncino e PLA, posate in legno, contenitori misti in foglie di palma, in polpa di cellulosa e in canna da zucchero.
In particolare:
Canna da zucchero: consente di produrre contenitori che hanno caratteristiche simili all’alluminio e al polistirolo;
Cellulosa: accoppiata ad un film di bioplastica consente di produrre contenitori (soprattutto bicchieri e coppette) resistenti sia al freddo che al caldo;
Foglie di palma: proveniente dall’indonesia, consente di produrre contenitori semirigidi e resistenti;
Legno: consente di produrre elementi particolarmente resistenti, soprattutto posate;
PLA: il PLA (acido polilattico) è un materiale derivante dall’amido di mais e per la sua trasparenza consente di produrre soprattutto bicchieri per bevande fredde.
Tutta la gamma Bioplat® Bio-Line è completamente biodegradabile e va conferita con la frazione organica nella raccolta differenziata dei rifiuti.
La filosofia usa e getta non si può definire sostenibile ma se proprio non se ne può fare a meno… è doveroso usare prodotti biodegradabili con basso impatto ambientale.
Awà

Chi saranno mai questi Awà?
Secondo Survival International, l’organizzazione che si occupa della difesa degli ultimi popoli indigeni, si tratta probabilmente di una delle tribù più minacciate del mondo. Essi sono dei cacciatori-raccoglitori nomadi che vivono nell’Amazzonia orientale del Brasile i cui territori sono fortemente minacciati da taglialegna, da allevatori di bestiame e da minatori che entrano nelle loro foreste, tagliano i grandi alberi, bruciano il loro sottobosco, inquinano il loro terreno e i loro corsi d’acqua.
Gli Awá conoscono e “sentono” le loro foreste intimamente. Ogni valle, corso d’acqua e sentiero è inciso nella loro mappa mentale. Sanno dove trovare il miele migliore, quali, dei grandi alberi della foresta, stanno per dare frutti e quando la selvaggina è pronta per essere cacciata senza comprometterne, nel tempo, la sopravvivenza.
Perdere gli Awà significa perdere gli ultimi retaggi di conoscenza profonda della natura. Una conoscenza che esula dalla tecnica e dall’approccio scientifico della biologia e delle scienze naturali ma che poggia, invece, le sue basi, sul saper “sentire” intimamente e sul saper “leggere” i segnali che essa continuamente fornisce.
Perdere gli Awà – soprattutto quegli individui che mai si sono contaminati con la civiltà – rappresenta un grave problema non tanto per gli stessi indigeni quanto per tutta l’umanità che, in tal modo, perde un importante pezzo della sua profonda conoscenza della natura che, prima o poi, potrebbe venir utile per risolvere questioni di più ampia portata.
Sulla base di questi dati sostenere Survival International (attraverso il sostegno alla divisione italiana) diventa doveroso ma è doveroso anche che si lavori, a qualsiasi livello, per diffondere la cultura della protezione delle tribù indigene, a volte serbatoi unici di enormi e partticolari conoscenze.
Fonte: National Geographic
Erba Madre | Cosmetica ed erboristica

L’idea di base di Erba Madre è quella di produrre prodotti cosmetici ed erboristici di qualità. Per ottenere tale risultato vengono poste al centro le proprietà e le caratteristiche delle piante utilizzate piuttosto che altri aspetti, come la confezione o la vendibilità dei prodotti.
La pianta viene raccolta durante il tempo balsamico, secondo la stagionalità, ed immediatamente viene trattata per ricavarne l’estratto o per l’essicazione. Nel processo di produzione non viene utilizzato nessun solvente, oltre ad olio, acqua, glicerina ed alcol. Inoltre non viene applicato nessun processo termico per velocizzare il processo estrattivo.
Semplicemente si aspetta…
Il ph dei prodotti è regolato utilizzando acido citrico e acido ascorbico (vitamina C), noti anche per le loro proprietà antiossidanti. I conservanti utilizzati sono inclusi nella lista degli ingredienti cosmetici AIAB (Associazione Italiana Agricoltura Biologica).
Non vengono impiegati siliconi, parabeni, EDTA, lauril solfati.
I punti di forza dei prodotti Erba Madre sono:
- Territorialità: gli ingredienti principali ed i principi attivi si ottengono dalle piante spontanee del territorio e dai prodotti di aziende biologiche;
- Assenza di derivati totalmente sintetici: sono esclusi tutti i sottoprodotti dell’industria petrolchimica;
- Formulazione: è effettuata in accordo con il protocollo AIAB che prevede l’esclusione di migliaia di sostanze di comune uso cosmetico;
- Alta concentrazione del principio attivo vegetale: i prodotti Erba Madre non sono estetici ma si propongono di essere dermo-cosmetici, con funzioni ed efficacia ben precise;
- Ecosostenibilità: Erba Madre utilizza energia elettrica prodotta da pannelli fotovoltaici e utilizza quasi esclusivamente contenitori riciclabili in vetro, da restituire per il riutilizzo.
Erba Madre produce detergenti, creme, shampoo, doccia-shampoo, unguenti, dentifrici, piante erboristiche curative.
Per informazioni:
Erba Madre – Azienda agrituristica e coltivazine biologica certificata ICEA
Via Pian di Cologna, 5 “Contrada Cattazzi”, Tregnago (VR)
telefono e fax 045.65 00 283
cell. 348.99 51 354; 349.80 74 319
E-mail: erbamadre@alice.it
I love OGM

Con la recente introduzione, da parte dell’Unione europea, delle colture di prodotti agricoli geneticamente modificati all’interno della comunità, si è riacceso l’inevitabile dibattito tra i favorevoli e i contrari. Qualche ministro ha aperto subito le porte e ha dato inizio alle semine; qualche altro, compreso quello italiano, ha chiuso i cancelli.
Al di là dei dibattiti molto noiosi con elencazione di dati e di conclusioni scientifiche che si smentiscono gli uni con gli altri in una spirale di confusione vorrei osservare, semplicemente, quanto segue.
Ipotizziamo, senza alcun pregiudizio e presunzione di colpevolezza, che gli organismi geneticamente modificati non impoveriscano o sterilizzino il terreno più dei prodotti “naturali”.
Ipotizziamo che essi siano effettivamente in grado di aumentare rese e produttività nel lungo periodo oppure che siano in grado di sconfiggere fitopatologie o parassiti altrimenti affrontabili con dosi massicce di prodotti chimici, spesso anche molto pericolosi per la salute di agricoltori, comunità agricole e consumatori.
Ipotizziamo che anziché diminuire la biodiversità la favoriscano.
Ipotizziamo infine, in questo caso anche contro l’opinione di numerosi scienziati, studiosi e casalinghe, che gli OGM facciano bene alla salute: cioè che siano in grado di favorire, più dei loro fratelli non-OGM, l’assunzione di maggiori quantità di vitamine o altri nutrienti importanti per il mantenimento del corpo in buono stato di funzionamento metabolico.
Nonostante tutto questo, però, con gli OGM non mi sento ancora del tutto tranquillo! Il motivo potrà sembrare banale ma, per me, è di vitale importanza: gli OGM azzerano oltre 3 miliardi di anni di evoluzione!
Questa tecnica di manipolazione del dna delle specie vegetali (e, in futuro, anche delle specie animali, compreso l’uomo?) applicata da un uomo arrogante spazza via, con una sola folata di vento, i numerosi tentativi, i numerosi fallimenti, gli infiniti micro-adattamenti, i rapporti simbiotici delle specie viventi ad ambienti in costante mutamento. In sostanza elimina quel bio-ingegnere invisibile rappresentato dal tempo.
Vista la nostra enorme ignoranza sul funzionamento di ciò che ci circonda, sulle relazioni occulte esistenti tra miliardi di specie viventi, sulle possibili influenze cosmiche, elettromagnetiche, chimiche con la vita, voler a tutti i costi modificare, spesso forzandola con legami estremi, la struttura genetica delle specie viventi mi sembra una cosa stupida che, anche se non ora, potrebbe in un futuro portare verso direzioni inaspettate e, in quel caso sì, potenzialmente pericolose per l’uomo e per l’ambiente dal momento che non si è ora in grado di prevederne i possibili risultati.
Si tratta, volendo usare una metafora, di pretendere di scrivere a tutti i costi un romanzo in una lingua straniera di cui non si conosce la grammatica utilizzando solamente il vocabolario oppure quei terribili traduttori presenti su internet. Qualcosa ne viene fuori ma il senso vero, quello che si vuole veramente esprimere, si perde e, anzi, talvolta ne può venire addirittura stravolto il significato.
Foto: www.kokopelli.it
Terra Nuova | Rivista mensile

35 anni di pubblicazioni, 100 pagine in carta riciclata, 10 mila abbonati, oltre 24 mila copie mensili vendute. Questi sono i numeri di Terra Nuova, la rivista mensile che dal 1977 costituisce lo strumento insostituibile di controinformazione sulle tematiche di alimentazione e medicina naturale, di agricoltura biologica e biodinamica, di maternità e infanzia, di bioedilizia, ecoturismo, consumo critico, energie rinnovabili, nonviolenza, ricerca interiore, finanza etica e, più in generale, di ambiente ed ecologia.
Da sempre punto di riferimento del mondo del naturale e delle buone pratiche per uno stile di vita solidale e a basso impatto ambientale, Terra Nuova si è fatta promotrice già negli anni ’80 del movimento dell’agricoltura biologica, più tardi della Rete italiana degli ecovillaggi e, oggi, del movimento del cohousing.
Come ulteriore approfondimento dei contenuti della rivista, Terra Nuova Edizioni pubblica un ricco e variegato catalogo di libri che a oggi conta più di 100 titoli (per scaricare il catalogo aggiornato www.terranuovalibri.it).
Il mensile Terra Nuova non è distribuito in edicola: si riceve per abbonamento o si trova in vendita negli oltre 1200 centri di alimentazione naturale, librerie specializzate, botteghe del mondo, ambulatori di medicina naturale e altre realtà che si occupano di consumo critico e sostenibile.
In viaggio fino alla fine del mondo

Scrive Massimo Gramellini su “La Stampa” del 16 dicembre 2012, commentando l’ipotetica profezia dei Maya sulla fine del mondo.
“Mi piace pensare che i Maya non avessero del tutto torto. Che il 12.12.2012 non finirà il mondo, ma un altro comincerà a prendere forma. Anch’io avrò la possibilità di farne parte, se smetterò di fidarmi ciecamente dei sensi, che intercettano solo una piccola fetta della realtà, e imparerò a rinvigorire il muscolo rattrappito dell’intuizione […]. Per chi non ha, o non ha più, un lavoro o un affetto, la fine del mondo è già arrivata e questi sembreranno discorsi astratti, brodini caldi per anime intirizzite. Ma non è così. La crisi psicologica e poi – solo poi – economica in cui versiamo è anzitutto una crisi del modello materialista che ha dominato il Novecento. Se non torniamo a chiederci chi siamo, e non solo cosa abbiamo, finiremo per non avere più nulla. Qualunque profezia non va presa alla lettera: è l’indicatore di un cambiamento spirituale […].”
Parole sacrosante quelle di Gramellini.
Però ora che la fine del mondo (quella tragica) l’abbiamo scampata ma siamo ancora sulla buona strada per subire quella lenta, inesorabile, che subiremo se non modifichiamo la rotta della nostra esistenza sulla Terra, dobbiamo riboccarci le maniche per passare dalle parole ai fatti e cambiare il sistema della produzione e dei consumi.
Al più presto, perché oramai il tempo stringe!!!
Solas | Vernici naturali

“Solas” in gaelico significa “luce, bianco, candore” e, non a caso, il primo prodotto creato è stato un’idropittura murale bianca dalla forte luminosità, dalla mano vellutata e dall’ottima resa.
Era il lontano 1993, anno in cui fu gettato il seme della Solas da parte di un gruppo di imprenditori mossi dal desiderio di creare prodotti per la casa che fossero efficaci ma anche compatibili con i tempi vitali e la delicatezza del Pianeta. In sostanza non si voleva dare solo una “veste naturale” ai prodotti ma piuttosto dotarli di un “cuore naturale” attraverso una reale ricerca verso uno sviluppo eco-compatibile.
I prodotti Solas, ottenuti con materie prime vegetali e minerali, sono totalmente esenti da solventi petrolchimici, resine acriliche, viniliche, alchidiche e da biocidi. Dal momento che Solas non utilizza sostanze tossiche o composti chimici non bio-compatibili ma solo ingredienti naturali semplici, i cicli di produzione sono brevi, l’impiego di energia è minore rispetto ai cicli di produzione dei prodotti convenzionali e le scorie sono completamente biodegradabili.
Per questo Solas può garantire che la produzione delle proprie pitture e delle proprie vernici sia a bassissimo impatto ambientale e che i propri prodotti, pur mantenendo elevate prestazioni tecniche, non sono nocivi per la salute dei lavoratori e degli abitanti della casa.
A garanzia di ciò Solas, in etichetta o nelle schede tecniche, dichiara volontariamente tutte le materie prime utilizzate e ciò risulta utile anche per individuare componenti nei confronti dei quali vi siano allergie, intolleranze o incompatibilità individuali.
Non chiamiamola auto ecologica, please!

La parola d’ordine per chi vuole vendere un’automobile in questi anni di grande crisi economica è: «ecologica». Seguita, in ordine di importanza, da «CO2», «basse emissioni» «basso consumo» e «ambiente».
Nessun venditore o direttore marketing può prescindere da tale concetto. E, difatti, una statistica molto empirica che prenda come riferimento la televisione, la carta stampata, la radio nonché la frequentazione degli autosaloni d’Europa non può far altro che confermare questa affermazione. Ovunque si vede e si sente parlare di ciò!
Ciò che desidererei osservare su tale fenomeno è il fatto che le informazioni fornite sono, nella realtà dei fatti, in massima parte fuorvianti per l’acquirente e che, in effetti, nessuna automobile attualmente in commercio può definirsi veramente ecologica. Questo anche se i produttori hanno sviluppato, nei tempi, tecnologie che consentono effettivamente minori emissioni di gas di scarico e maggiore efficienza nella gestione dell’energia. Si tratta comunque di minimi risultati rispetto al vero obiettivo incarnato dal concetto di “ecologia”, cioè lo scarso o nullo impatto sull’ambiente dell’uomo e delle sue attività per salvaguardare le risorse a favore anche delle generazioni future.
Sulla base di tali osservazioni ecologica sarebbe, allora, quell’auto che non usa la combustione, diretta del motore a scoppio o indiretta per la produzione elettrica, quale energia di propulsione.
Ecologica sarebbe quell’auto che prevede parti o materiali provenienti da fonti rinnovabili ma, soprattutto, facilmente riparabili, riutilizzabili e, solo in casi limite, riciclabili.
Ecologica, infine, sarebbe quell’auto che non richiedesse la proprietà (e l’uso) individuale ma che basasse la propria funzione sul servizio di trasporto, magari collettivo.
La strada per ottenere automobili ecologiche è, quindi, molto più tortuosa e in salita rispetto a quella che ci è proposta dal marketing. Si tratta, in sostanza, di ripensare il settore nella sua totalità lavorando, in più, anche sulle abitudini di fondo dei cittadini e utilizzatori del trasporto.
Il risultato, però, potrebbe essere veramente nuovo e gli obiettivi della sostenibilità ambientale, nonché del trasporto per tutti (anche per i paesi poveri), potrebbero essere realmente raggiunti.
Foto: Hajo de Reue
SIGG | Bottiglie di alluminio

« Più del 90% dell’impatto ambientale di una bottiglia di plastica usa e getta si ha prima che venga aperta dal consumatore. Petrolio per la plastica, petrolio per il traporto, petrolio per il raffreddamento e, per una piccola percentuale di bottiglie, petrolio per il riciclo » dichiara il dott. Allen Hershkowitz, scienziato senior presso il U.S. Natural Resources Defense Council.
A livello mondiale ogni anno vengono prodotti più di 60 miliardi di tonellate di rifiuti di plastica che risultano particolarmente impattanti a livello ambientale a causa della loro difficile riciclabilità e per il fatto che, se non correttamente gestiti, entrano nella catena alimentare dei mari. Pertanto riciclare le bottiglie di plastica è sicuramente una cosa positiva ma impiegare una bottiglia riutilizzabile è molto più vantaggioso per l’ambiente e per la salute.
Dal momento che riutilizzare una bottiglia di plastica potrebbe essere poco salutare a causa della possibile migrazione degli additivi della plastica nelle bevande e, la svizzera SIGG produce bottiglie riutilizzabili in alluminio attraverso un processo di estrusione, senza saldature, di un unico pezzo di metallo. Per garantire sicurezza e salute all’utilizzatore un laboratorio indipendente certifica che l’interno delle bottiglie SIGG è privo di composti organici volatili (COV), ftalati, BADGE, BFDGE NOGE e bisfenolo. Per questo la bottiglia può essere impiegata, oltre che per l’acqua, anche per bevande gasate e acide.
Foto: www.ecosigg.it