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Monthly Archives: Luglio 2013

MAD Bike

L’obiettivo era quello di creare a Oslo, in Norvegia, un parcheggio per 200 biciclette in una strada molto stretta e scarsamente illuminata. Inoltre si desiderava fornire ai pedoni e ai ciclisti un interessante impatto visivo per invogliarli anche ad entrare nell’area commerciale posta al piano terra di uno dei palazzi della via.

La soluzione architettonica e urbana proposta dallo Studio MAD Arkitecter per realizzare il parcheggio è stata quella di creareParcheggio bici_02 delle installazioni stilizzate di biciclette in acciaio (le “MAD Bike”) che possano fornire contemporaneamente un parcheggio sicuro per le biciclette e un’installazione piacevole dal punto di vista estetico, data sia dalle originali strutture che dalle luci. Queste ultime, infatti, che forniscono anche l’illuminazione pubblica al parcheggio, ripropongono i fanalini (rossi dietro e bianchi davanti) delle vere biciclette, orientate in direzione del fiordo.

L’effetto finale dell’installazione è molto interessante perché, oltre a promuovere opere belle e originali da realizzare nelle città, agisce anche nell’ambito dell’urbanistica e della mobilità perché orienta i cittadini verso la percezione che il trasporto in bicicletta è efficace e alternativo a quello automobilistico (anche nella fredda Norvegia).

Se lo fanno loro perché non realizzarlo anche noi!?

Parcheggio bici_03

Una gita in barca al Polo Nord

Le immagini girate dalla webcam del North Pole Environmental Observatory di Washington mostrano in timelapse quello che è successo al ghiaccio del Polo Nord dal 16 aprile 2013 al 24 luglio 2013.

La sequenza è impressionante e certifica con assoluta certezza come, a causa delle straordinariamente alte temperature raggiunte quest’anno, oramai il Polo Nord sia perfettamente navigabile.

Ne sa qualcosa anche un equipaggio inglese che qualche anno fa lo ha raggiunto in barca a remi.

Da quando sono iniziate le le rilevazioni (anni ’70), nel 2013 il ghiaccio ha raggiunto il livello minimo mai registrato. Quanto dovremo ancora aspettare per fare qualcosa per il clima? Che l’aria diventi rovente e non sia più respirabile?

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Foto: foto del Polo Nord del 25 luglio 2013, ore 13.23

 

Quattrocentoventimila

Il pedigree dell’INAIL è chiaro a tutti: non si tratta né di una delle più dure associazioni ambientaliste né di una delle organizzazioni più anarchiche e rivoluzionarie operanti in Italia.

Eppure, con il suo progetto Expah, co-finanziato dall’Unione europea, desidera studiare approfonditamente gli effetti sulla salute umana degli idrocarburi policiclici aromatici (IPA) (1) contenuti nel particolato presente soprattutto nelle aree fortemente urbanizzate. Le polveri sottili, infatti, possono avere effetti nocivi sulla salute colpendo soprattutto l’apparato respiratorio e quello cardiovascolare delle persone esposte.

Dal momento che le principali cause di inquinamento atmosferico sono legate al traffico veicolare, ai sistemi di riscaldamento domestico, alle emissioni industriali e di produzione energetica, l’idea dell’INAIL – che opera in collaborazione con l’Azienda sanitaria locale Roma E, il CNR, la società Arianet e il National Institute for Health and Welfare finlandese (THL) – è quella di ridurre l’inquinamento non mediante progetti ipertecnologici ma “banalmente” attraverso l’applicazione delle tecnologie già esistenti, supportando politiche ambientali e una legislazione in questo specifico ambito.

Sulla base delle misurazioni delle IPA e di altri inquinanti ambientali effettuate ed elaborando dei modelli matematici di esposizione della popolazione, si è potuto stimare che in Europa, ogni anno, muoiono presumibilmente almeno 420.000 persone a causa dell’inquinamento. “Una cifra assolutamente inaccettabile” secondo il commissario UE all’Ambiente Janez Potočnik (e non solo per lui!).

Finalmente si sta sgretolando il muro di scetticismo che nel tempo è stato eretto a difesa del sistema tecnologico e produttivo basato sulla combustione di materiali organici e, oltre alle associazioni indipendenti, anche Enti ed istituzioni governative cominciano a pensare che sia anche più vantaggioso economicamente nel medio-lungo periodo investire ora, per migliorare sia la produzione di energia e di beni che l’efficienza energetica dei prodotti, delle abitazioni e dei trasporti.

Una ulteriore conferma che per ottenere il massimo vantaggio per la salute e per le attività umane sia necessario imitare la natura che basa il proprio funzionamento “sull’energia solare e sull’energia cinetica, senza combustione”.

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(1) Gli idrocarburi policiclici aromatici (IPA) – il più famoso dei quali è il benzo(a)pirene, ritenuto cancerogeno – sono sostanze chimiche presenti nelle polveri fini atmosferiche prodotte dalla combustione incompleta di materiale organico. Le principali fonti di emissione sono il traffico stradale, le caldaie del riscaldamento domestico e le emissioni industriali. Le IPA hanno una elevata capacità di penetrare negli ambienti chiusi.

Foto: Struttura tridimensionale (modello space-filling) del corannulene, IPA strutturalmente formato dalla condensazione di 5 anelli benzenici e un anello centrale di ciclopentano. (Fonte Wikipedia)

 

Foto ricordo da Fukushima

Se qualcuno avesse ancora dubbi sulla potenziale pericolosità dell’energia nucleare…

… ecco qualche foto ricordo di fiori, frutti, piante o animali nati nella regione dell’incidente nucleare di Fukushima dell’11 marzo 2011.

Esse sono la dimostrazione lampante del motivo per cui la natura non fonda la produzione di energia sulle fonti radioattive. Troppo pericolose!!!

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Foto: Corriere.it

 

Brutti, fastidiosi e antipatici

Qualche volta, di notte, durante i miei viaggi autostradali o percorrendo le strette e tortuose strade di campagna, mi soffermo a pensare a quell’innumerevole schiera di falene, moscerini, zanzare o coleotteri che appaiono improvvisamente alla luce dei fari e che, immediatamente dopo, lasciano inesorabilmente i loro corpi a disegnare graffiti sulle carrozzerie e sui vetri di auto e camion, compresa la mia. Vite che la velocità dell’automobile spezza su lunotti, su frontali cromati, su paraurti in plastica o su fanalini di vetro. Residui che, poi, al termine della stagione estiva risultano pure difficili da pulire e che lasciano segni sulle carrozzerie di vernice metallizzata pagate, magari, anche a rate.

Spesso il mio pensiero va alle loro umili vite e al ruolo apparentemente inutile ma, invece, estremamente prezioso, che essi hanno nel “tutto”.

Tra loro ci saranno sì dei parassiti per l’uomo e le sue attività ma anche animali di indubbia utilità agricola e ambientale. Tra loro ci saranno anche insetti senza una qualche particolare attrattiva naturalistica ma anche animali rari o particolarmente interessanti. Tra loro ci sono, comunque, vite che vanno rispettate in quanto tali perché partecipi di una funzione globale che è il mantenimento, nel trascorrere del tempo, della vita sul Pianeta, compresa anche la nostra.

Mi chiedo, allora, quali perdite ecologiche tali morti di massa possano comportare. Non è infatti un mistero che la massa vivente sulla terra (di cui gran parte è composta di insetti) si stia contraendo in termini di volumi, vuoi per effetto di una antropizzazione diffusa, vuoi per effetto di cambiamenti climatici che determinano la scomparsa di habitat, vuoi per effetto di una agricoltura sempre più invadente ed invasiva, vuoi per i sempre più “mostruosi” mezzi di trasporto umani.

La natura, per ben funzionare ha bisogno di tutti e ha bisogno che tra tutti gli esseri viventi esistano relazioni continue, non sempre necessariamente pacifiche.

Nostra cura dovrà essere quella di far sì che, nello svolgimento delle nostre vite e nell’esercizio delle attività economiche, tutte le specie, anche quelle apparentemente insignificanti, siano considerate “specie a rischio di estinzione” e siano oggetto di attenzioni e di protezione.

Progettisti e ingegneri di tutto il mondo, siete pronti ad accettare la sfida?

 

Topten | Prodotti efficienti

Topten è una guida on-line gratuita nata con lo scopo di fornire ai consumatori strumenti pratici per risparmiare energia e combattere i cambiamenti climatici scegliendo, in fase di acquisto, prodotti efficienti.

L’obiettivo è quello di permettere ai consumatori di trovare, velocemente, i migliori prodotti in vendita che soddisfino i seguenti requisiti:

  • consumino poca energia
  • siano rispettosi dell’ambiente
  • abbiano una buona funzionalità
  • non siano nocivi per la salute
  • siano di qualità elevata.

Per valutare tali caratteristiche Topten, che desidera rimanere competente, trasparente e neutrale rispetto ai produttori, analizza e valuta i test effettuati da istituti riconosciuti, le etichette e le indicazioni del produttore.

Il sito Topten è nato nel 2000 in Svizzera e rapidamente si è diffuso in tutta Europa. Oggi ne fanno parte 20 Paesi, tra cui gran parte di quelli europei, gli USA, la Cina e, a breve, l’India. L’obiettivo di Topten è quello, primario, di far maturare delle scelte di acquisto consapevoli verso l’efficienza energetica e, secondariamente, di ingaggiare una sfida tra i produttori alla messa in commercio di beni sempre più performanti, indipendentemente dalle normative esistenti nei vari Paesi.

Si pensi che il settore elettrico – che contribuisce per il 37% delle emissioni di CO2 in atmosfera – all’interno dei propri prodotti ha un’energia “nascosta” rappresentata dall’inefficienza, che esiste perché la tecnologia con cui sono stati costruiti non consente di ridurre l’assorbimento inutile (o spreco) di elettricità. Si pensi anche che Europa, USA e Cina contribuiscono per il 55% delle emissioni mondiali di CO2 e il raggiungimento di traguardi di efficienza consentirebbe di risparmiare milioni di tonnellate di CO2 emesse in atmosfera.

Per questo non è cosa banale attaccare la spina di un congelatore qualsiasi, premere il pulsante di una lavatrice qualsiasi, girare la chiave di un’auto qualsiasi.

 

Barroso e la transizione verso la green economy

Quando le mie orecchie sentono parlare di sostenibilità e in qualche modo di “decrescita” figure politiche del calibro di José Manuel Barroso (Presidente della Commissione Europea) mi sorge spontanea una domanda: ci crederanno veramente a quello che dicono o ci stanno solo vendendo la solita minestra (economico-politica) ben mascherata con una rassicurante patina “verde”? Avendo un minimo di esperienza sulle spalle so che l’attuale sistema economico predatorio basato sui consumi e sulle merci è estremamente resistente e difficile da scardinare perché, oltre che rappresentare un’importante fonte di ricchezza personale per le oligarchie economiche mondiali che sfruttano politici compiacenti, è anche ben radicato nella nostra filosofia sociale. Nonostante ciò, però, una piccola speranza comincia a farsi luce e, via via che passa il tempo, diventa sempre più luminosa. Essa, alimentata da una crisi economica sempre più dura da combattere e che si preannuncia duratura perché insita nel malfunzionamento del sistema capitalistico, comincia a far breccia anche tra la classe dirigente del vecchio continente in cerca di soluzioni per mantenere in vita l’apparato socio-politico europeo. Questa speranza è rappresentata dalla cosiddetta green economy e dallo sviluppo sostenibile.

Senza entrare troppo nel merito del ritardo almeno trentennale con cui i nostri politici se ne sono accordi e dell’entità esigua degli aiuti finanziari a sostegno di pratiche economico-sociali sostenibili (una briciola rispetto a quelli che tengono in vita il sistema produttivo-finanziario tradizionale), desidero fare solo un’osservazione, fondamentale perché tale onda di pensiero basata sull’ecologia e sull’attenzione per il benessere degli individui possa avere successo nel lungo periodo.

È estremamente importante che non si faccia poggiare la green economy sugli stessi pilastri ideologici della fase economica precedente!!!

Pertanto, nel disegnare la nuova economia del futuro deve essere abbandonata la logica cieca e unica della crescita e deve essere dato, invece, più “ascolto” alla natura e ai principi del suo funzionamento. Principi che devono poi essere applicati al sistema economico, produttivo e sociale.

Solo così si potrà sperare di uscire veramente dal tunnel della insostenibilità ambientale e di creare un sistema economico-produttivo duraturo e in grado di interessare la più ampia percentuale possibile di popolazione mondiale.

 

La luce artificiale nuoce alla salute

Per analizzare il fenomeno dell’inquinamento luminoso è sufficiente prestare un po’ di attenzione ai luoghi che si frequentano abitualmente per osservare, negli anni, come si moltiplichino sia i pali per l’illuminazione pubblica sia le fonti di illuminazione privata, nei giardini e davanti alle case (1).

Anno dopo anno sempre più numerosi in un inarrestabile processo di crescita quasi ad indicare l’illusione dell’uomo tecnologico di vincere la notte!

Inquinamento luminoso Italia

Il fenomeno viene anche segnalato da anni sia dai movimenti ambientalisti (che spesso si concentrano di più sul consumo energetico) sia dalla ricerca scientifica che osserva sempre di più problemi legati alla salute delle persone causati dall’eccessiva esposizione all’illuminazione artificiale notturna. Così come l’orecchio ha due funzioni, quella dell’udito e quella dell’equilibrio, anche l’occhio ne ha due, quella della visione ma anche quella di trasmettere al cervello, tramite le cellule gangliari della retina, le informazioni circa la presenza di luce nell’ambiente. Una volta giunti nel cervello questi segnali innescano una serie di effetti diversi: inibiscono i neuroni che promuovono il sonno, sopprimono il rilascio dell’ormone melatonina importante per la regolazione dei cicli sonno-veglia da parte dell’ipofisi, attivano i neuroni orexina nell’ipotalamo che promuovono lo stato di veglia.

In sostanza il quadro è il seguente: l’essere umano si è evoluto secondo i ritmi circadiani regolati sulla luce naturale. Quando c’è luce siamo attivi; quando c’è buio riposiamo. Se, però, durante la notte si accendono le luci artificiali, nel nostro sistema neurovegetativo vengono riprodotti gli stessi segnali che sarebbero propri del giorno. E il fenomeno è sempre più intenso e pervasivo, tantoché nelle zone abitate il buio assoluto quasi non esiste praticamente più!

In un recente articolo de “Le Scienze” viene trattato questo tema osservando che la privazione (o la riduzione) del sonno legata alla presenza di fonti di illuminazione artificiale sia esterne che interne alle abitazioni (compresa la televisione e il pc) predispone ad importanti problemi di salute quali obesità, diabete, malattie cardiovascolari, depressione e ictus.

Secondo le statistiche oramai circa un terzo degli statunitensi adulti attivi lamenta un numero insufficiente di ore di sonno (2), mentre era solo il 3 per cento 50 anni fa. Le cose non sono migliori per i bambini poichè i dati mostrano che, a livello mondiale, ogni notte dormono in media 1,2 ore in meno rispetto a un secolo fa.

Visto l’impatto sempre più evidente (dimostrato dalla scienza) che l’illuminazione notturna ha sulla salute interroghiamoci seriamente su alcuni aspetti ad essa legati:

  • è proprio necessario moltiplicare ogni anno le installazioni luminose pubbliche e private o possiamo valutare di mantenere solo quelle assolutamente necessarie?
  • è proprio necessario che il sistema economico del consumo ci proponga beni e servizi h 24/24 senza valutare la necessità di un’area franca di riposo notturna?
  • è proprio necessario che i nostri comportamenti individuali domestici ci portino a rubare inutilmente ore di sonno al nostro corpo attraverso la televisione e il computer?

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(1) Si pensi che all’illuminazione artificiale viene destinato attualmente il 19 per cento dell’energia prodotta nel mondo!

(2) Normalmente la quantità ideale per gli adulti è di sei ore per notte.

Foto: La crescita dell’inquinamento luminoso in Italia (1971/1998/2025) – www.lightpollution.it

Fonte: “Le Scienze

 

Gli alberi sono catalizzatori di polveri sottili

A livello intuitivo potrebbe sembrare cosa ovvia ma quando lo dice una ricerca scientifica pubblicata su riviste autorevoli la questione acquista maggior valore. Si tratta di quantificare l’importanza degli alberi nel contesto urbano non solo dal punto di vista paesaggistico e del benessere prodotto ma anche dal punto di vista depurativo e catalizzatore per le polveri sottili.

Le polveri sottili (o particolato fine) sono quella forma tipica di inquinamento delle nostre città. Esse derivano dalla combustione del carbonio (principalmente traffico veicolare, riscaldamento, industrie e inceneritori) e determinano una mortalità precoce non solo per infiammazioni croniche delle vie respiratorie ma anche per un’accelerata arteriosclerosi e per alterazioni delle funzioni cardiache. Oltre al carbonio e ai residui della combustione possono contenere anche metalli e agenti chimici vari. Inoltre la loro pericolosità è direttamente proporzionale alla loro dimensione: più le particelle di polvere derivante dalla combustione sono piccole e più riescono a penetrare in profondità nel corpo sino ad infiltrarsi (quando la loro dimensione è nanometrica) in tutti gli organi, con enormi difficoltà ad essere smaltite.

La ricerca (pubblicata da Environmental Pollution) è stata condotta in dieci grandi città statunitensi dal U.S. Forest Service e dal Davey Institute e rappresenta il primo sforzo per stimare l’impatto complessivo del verde urbano sulle concentrazioni delle polveri sottili inferiori ai 2,5 micron: le cosiddette Pm 2,5. Dallo studio, che ha interessato le città di Atlanta, Baltimora, Boston, Chicago, Los Angeles, Minneapolis, New York, Philadelphia, San Francisco e Syracuse (Stato di New York), è emerso che gli alberi urbani sono in grado di rimuovere il particolato fine dall’atmosfera e, pertanto, possono incidere fortemente sulla prevenzione di malattie gravi, potenzialmente mortali per i cittadini.

La quantità totale di Pm 2,5 rimossa annualmente dagli alberi varia dalle 4,7 tonnellate a Syracuse alle 64,5 tonnellate di Atlanta.

«Abbiamo bisogno di più ricerca per migliorare queste stime» – dice David J. Nowak, uno dei ricercatori – «ma il nostro studio suggerisce, una volta di più, che gli alberi sono uno strumento efficace nella riduzione dell’inquinamento dell’aria e la creazione di ambienti urbani più sani».

Spiega inoltre Michael T. Rains, Direttore della stazione di ricerca del servizio forestale: «Questo studio illustra chiaramente che i boschi urbani degli Stati Uniti sono investimenti di capitale perché, aiutando a produrre aria e acqua pura, riducono i costi energetici e rendono la città più vivibile. Semplicemente, le foreste urbane migliorano la vita!».

E tu, caro Sindaco, cosa scegli? Bosco o tunnel? (1)

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(1) Il riferimento è al Sindaco della città di Verona che desidererebbe costruire una nuova importante arteria (auto)stradale (in parte sotto un tunnel) nei pressi della città.

 

La morte del paesaggio

Mi fa inorridire sentir dire a priori, senza alcun spirito critico, che l’Italia è bella solo perché ha un invidiabile patrimonio artistico-culturale e un magnifico paesaggio. Balle!

L’Italia, è vero, ha un enorme patrimonio artistico-culturale che vanta il più grande numero di siti UNESCO del mondo ma, invece di essere coccolato e difeso, viene in gran parte lasciato marcire nei magazzini dei musei, viene fatto crollare o viene pian piano sommerso da strade, cavalcavia, capannoni industriali o da villette a schiera, spesso abusive. Se questa è bellezza?!

L’Italia, è altrettanto vero, vanta interessanti paesaggi naturali, spesso associati ad attività agricole o a centri abitati e borghi che fondano le loro origini nell’antichità. Sempre più spesso, però, questi capolavori di armonia estetica, frutto di secoli di lavoro e di ingegno umano, vengono orribilmente deturpati da imprenditori senza scrupoli e da amministratori privi di idee che approvano, spesso nei luoghi più impensabili, la distruzione del territorio attraverso la costruzione di nuove periferie  abitative fatte di case anonime senza estetica, di rotatorie inguardabili, di aree industriali senza identità, di strade, di capannoni isolati, di ponti, di cavalcavia, di ferrovie, di pollai, di muri di cemento armato…

La difesa, nel tempo, dell’economia e del benessere sociale deve passare anche attraverso la salvaguardia del territorio, fatto di paesaggi e di patrimonio artistico-culturale, molto spesso interconnessi.

Noi cittadini, per questo, ci dobbiamo indignare nei confronti di chi ha minacciato e continua a minacciare tale risorsa e dobbiamo iniziare a chiedere, da subito, che il Parlamento vari due semplici provvedimenti già da tempo sperimentati dagli altri paesi europei più evoluti di noi:

  • Una maggiore tassazione del patrimonio immobiliare rispetto al reddito, con esenzione o limitazione delle tasse per chi non consumi territorio attraverso restauri o recuperi di aree già urbanizzate;
  • Una limitazione annua del consumo di territorio a livello globale che impedisca l’espansione eccessiva del sistema economico dell’edilizia e delle infrastrutture consentendo allo stesso (quello più meritevole in termini di capacità imprenditoriale) di sopravvivere più a lungo nel tempo.

Da questi due nuovi capisaldi normativi si deve poi immaginare un nuovo sistema urbanistico compatto che è più efficiente in termini energetici e che conserva la bellezza dei paesaggi nonché un sistema di infrastrutture realizzato in funzione dei flussi e delle necessità reali piuttosto che fondato sul principio che gli appalti, anche se non necessari, sono comunque il volano dell’economia.

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Foto: www.verdeepaesaggio.it

 

el Restel | Azienda agricola

Immaginiamo quello che desideriamo mangiare e cominciamo a produrlo”.

L’azienda agricola el Restel, che si trova nella Pianura Padana in provincia di Verona, si estende su una superficie di 30 ettari dove si coltivano, nel rispetto della metodologia dell’agricoltura biologica, cereali e alberi da frutta, soprattutto actinidia (kiwi).

Anticamente l’azienda era concentrata prevalentemente sulla produzione del riso e da qualche anno si è deciso di riprendere tale coltivazione che sta incontrando sempre più interesse tra i clienti dell’azienda.

L’azienda agricola el Restel segue completamente la metodologia biologica certificata da ente terzo e tutte le colture annuali vengono avvicendate per consentire il mantenimento della caratteristiche chico-fisiche del terreno. Inoltre le coltivazioni sono intervallate da siepi e boschi che consentono di interrompere le folate di vento e rappresentano un ottimo habitat per la flora e la fauna, soprattutto volatile.

L’azienda agricola el Restel desidera organizzare sempre di più una filiera di commercio diretto per portare a un numero sempre maggiore di consumatori un prodotto di gran qualità che arriverebbe sulle tavole a un prezzo troppo elevato se passasse attraverso i canali della grande distribuzione.

I principali prodotti aziendali sono:

  • riso
  • altri cereali (grano, mais, soia)
  • succhi di frutta.

el Restel

 

The Copenhagenize Index

Nell’immaginario comune la città più ciclabile d’Europa (e, forse, anche del mondo) è Amsterdam. In effetti tale risultato viene confermato dalla Copenhagenize Design Co., un’organizzazione che si occupa di cultura del ciclismo, di pianificazione urbana, di traffico, di comunicazione nell’ambito del ciclismo urbano e della vivibilità delle città e che, a partire dal 2011, elabora una classifica delle città più vivibili del mondo per gli utenti a due ruote.

The Copenhagenize Index_2013

Nella classifica del 2013 (The Copenhagenize Index) il primo posto è occupato da Amsterdam (con votazione 83), seguita da Copenhagen (votazione 82) e Utrecht (votazione 77). I dati per elaborare tale graduatoria vengono forniti da 400 persone che vivono sparse per le diverse città del mondo e che aiutano a verificare la rispondenza dei 13 criteri utilizzati per la valutazione:

  1. Advocacy: quanto le organizzazioni della città si occupano di mobilità in bicicletta e quale influenza hanno sulla politica locale;
  2. Cultura della bicicletta: quanto la bicicletta viene percepita dai cittadini come mezzo di trasporto;
  3. Infrastrutture per le biciclette: quanto nella città sono presenti infrastrutture specifiche per il trasporto in bicicletta (piste ciclabili, rampe, ponti, spazi sui mezzi di trasporto);
  4. Tasso infrastrutturale per le biciclette: in quale percentuale sono presenti le infrastrutture per la bicicletta;
  5. Programma di bike-sharing: quanto è presente e utilizzato il programma di bike-sharing;
  6. Utilizzo di genere: quanto la bicicletta è usata dalle donne;
  7. Modal share per le biciclette: obiettivi di sostenibilità urbana orientati allo sviluppo della cultura della bicicletta;
  8. Incremento del modal share dal 2006: quanto è incrementata la sostenibilità urbana legata all’uso della bicicletta dal 2006;
  9. Percezione della sicurezza: qual è la percezione della sicurezza dei ciclisti legata all’uso volontario del casco;
  10. Politica: qual è l’atteggiamento della politica locale nei confronti della mobilità in bicicletta;
  11. Accettazione sociale: quanto gli autisti e la comunità in generale considera la mobilità in bicicletta;
  12. Pianificazione urbanistica: quanto l’amministrazione comunale investe nelle infrastrutture ciclistiche e quanto è consapevole delle migliori pratiche;
  13. Limitazione del traffico: quanto l’amministrazione comunale fa nell’ambito della limitazione della velocità delle auto e nella limitazione del traffico per aumentare la sicurezza di pedoni e ciclisti.

Sia nella classifica del 2011 che in quella del 2013 non compare nessuna città italiana! Sarà forse un messaggio per capire che si deve fare subito qualcosa in più e considerare la mobilità in bicicletta e le sue infrastrutture un importante valore socio-economico piuttosto che una parola che riempie solo la bocca in occasione delle campagne elettorali?

Basta solo prendere i 13 criteri ed iniziare ad investire…

 

Il passaporto dei prodotti

Sussulto quando le mie orecchie sentono figure politiche del calibro di Janez Potočnik (Commissario europeo all’Ambiente) affermare che in Europa, per mantenere competitiva l’industria, è necessario cambiare il modo in cui si produce e si consuma. Il motivo del sussulto è che, dopo anni – forse già decenni – che “noi” ambientalisti lo diciamo, se ne sono finalmente accorti anche “loro”. Loro che, invece, fino ad ora, ci hanno sempre detto che tutto andava bene e che dovevamo essere solo più ottimisti.

La realtà dei fatti è che nel mondo – vuoi per l’emergere di nuove economie che ci fanno competizione, vuoi per la scarsità delle risorse che si profila, all’orizzonte, sempre più profonda – vi è sempre meno disponibilità di materie e, se si desiderano acquistare, i loro prezzi sono elevati.

L’idea che ha lanciato il Commissario Potočnik, spinto da alcuni paesi europei (tra cui l’Italia) e da alcune ONG, è quella di istituire una sorta di “Passaporto dei prodotti”, allo scopo di massimizzare l’uso delle risorse europee, il riciclo e il riuso dei materiali.

In sostanza l’idea del Commissario è quella di creare un’economia circolare delle risorse interne all’Ue, possibile solamente se, a monte, si conosce come è composto un prodotto e quali sono le modalità per disassemblarlo e riutilizzarne correttamente i materiali. Inoltre i prodotti devono anche essere (ri)progettati e fabbricati con l’idea di riutilizzarne poi i materiali che li compongono.

Secondo le stime della Ue da questa manovra si potrebbe ridurre realisticamente la richiesta di materiali fra il 17% e il 24%, aumentando il Pil e creando fra 1,4 e 2,8 milioni di posti di lavoro.

All’interno del progetto proposto potrebbero essere previste anche norme riguardanti l’uso di agenti chimici e prodotti pericolosi in agricoltura nonché azioni verso l’eliminazione progressiva dei sussidi nocivi per l’ambiente e la salute pubblica come quelli ai carburanti fossili, nel settore energetico nonché sull’uso dell’acqua in agricoltura e nell’industria.

Se dalle parole si passerà ai fatti si vedranno realizzare concretamente i principi della bioimitazione.

Chapeau!

 

L’Islanda ha ripreso la caccia alle balene

Greenpeace, la nota ONG ambientalista, sul suo sito internet riporta la notizia che l’Islanda ha da poco ripreso la caccia alle balene nonostante l’esistenza di un divieto alla caccia commerciale delle stesse stabilito dalla Commissione Baleniera Internazionale (IWC – International Whaling Commission).

Sempre secondo quello che riporta Greenpeace, il primo esemplare ad essere catturato è stato un maschio di balenottera comune (Balaenoptera pysalus) lungo più di 20 metri che è stato macellato nel porto di Hvalfjörður, vicino a Reykjavik.

Nonostante il fatto che la balenottera comune faccia parte della lista rossa delle specie minacciate di estinzione redatta da parte del IUCN (International Union for Conservation of Nature), i balenieri islandesi, in pieno disprezzo delle regole e sostenuti dal Governo del loro Paese, hanno intenzione di cacciarne quest’estate addirittura fino a 180 esemplari.

È da notare che la gran parte delle balene catturate in Islanda vengono inviate in Giappone dove, però, il consumo di carne di balena sta progressivamente calando e dove, in massima parte, vengono impiegate per la produzione di cibo per cani. A tale riguardo anche gli operatori turistici islandesi si sono espressi sull’argomento sostenendo che il whale watching porta al Paese decisamente più benefici economici rispetto alla caccia delle balene.

La questione della caccia alle balene è una questione che periodicamente torna alla ribalta e che rivela, a mio avviso, l’assurdità del nostro sistema economico-produttivo. Un sistema predatorio e distruttivo che non ha nessuna capacità di “vedere” (nel senso di osservare e capire) le relazioni profonde della natura, fatta di continui interscambi tra le specie viventi.

Sia ben chiaro che la caccia è un fenomeno assolutamente naturale che non voglio affatto demonizzare per preconcetto, ma farla mettendo a repentaglio una specie già a rischio vuol dire che l’uomo che la pratica non ha nemmeno a cuore il senso della propria sopravvivenza, tipico di ogni specie animale.

Dal momento che Bioimita si interessa di sostenibilità ambientale applicata ai prodotti e ai servizi, oltre a sviluppare la cultura e la conoscenza sulla materia, propone anche di boicottare con qualsiasi mezzo l’Islanda per le sue scelte in materia di caccia alle balene perché ritiene possa essere uno strumento commerciale efficace per far cambiare loro strategia.