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Monthly Archives: Gennaio 2014

Aiuto! C’è un insetto negli spinaci

Addirittura un insetto negli spinaci! Aiutooooooooo!

Così strillano (o quasi) in questi giorni le locandine davanti alle edicole e titola L’Arena, il giornale di Verona.

Ma andiamo con ordine e vediamo cosa è successo. È successo che una scuola media cittadina ha segnalato la presenza di uno scarafaggio negli spinaci somministrati ai ragazzini nella mensa e, sulla questione, sono intervenute addirittura le autorità dell’Azienda che gestisce le mense comunali con comunicati e con provvedimenti che hanno portato ad eliminare l’intera partita di verdure incriminate. Inoltre il venefico insetto negli spinaci ha infiammato anche il dibattito politico vedendo, tra i contendenti, gli amministratori, l’azienda appaltatrice e l’opposizione.

“Un clima avvelenato – recita l’Arena – tanto che dopo il ritrovamento dello scarafaggio, comincia a serpeggiare (addirittura!) l’inquietante ipotesi del boicottaggio. Sempre ieri, tra l’altro, da un controllo fatto dall’ufficio refezione scolastica del Comune alle mense delle elementari N. e R., è emerso un giudizio positivo sul cibo servito. Gli stessi spinaci in tegame sono stati definiti «ottimi» in una scuola e «buoni» nell’altra. Tanto che «molti bambini», recita un comunicato di Palazzo Barbieri (la sede del Municipio, ndr), «hanno (udite, udite!) pure effettuato il bis»”. E non sono morti, dico io!

Sia ben chiaro che è assolutamente doveroso che il cibo fornito ai nostri figli nelle mense scolastiche debba essere di qualità, pulito, sicuro dal punto di vista igienico e privo di corpi estranei. Siano essi insetti o altro. Quello che mi fa sorridere (e, in parte, preoccupare) è il fatto che ci si stia accapigliando (1) per la presenza di un insetto in un piatto (che non ha mai ucciso nessuno e che, in un futuro, rappresenterà molto probabilmente una componente della nostra alimentazione abituale), mentre non si muove foglia, non si fanno locandine e non si fanno articoli per le vere cause che potrebbero rappresentare un pericolo per la salute dei nostri figli nelle mense scolastiche. Provo ad elencarle:

  1. cibi economici di scarsa qualità, con poca attenzione ai prodotti biologici;
  2. verdure con residui di pesticidi e carni con residui di antibiotici;
  3. diete non equilibrate che spesso eccedono in uso di carne, proteine animali, grassi e zuccheri;
  4. sistemi di cottura che potrebbero esporre i cibi ad inquinanti (es. teflon, metalli, ecc.)
  5. sistemi di cottura che non garantiscono il mantenimento delle proprietà dei cibi (es. vitamine);
  6. utilizzo di prodotti chimici pericolosi per le pulizie delle cucine o per il lavaggio di pentole e stoviglie;
  7. cibi serviti con piatti in materiale plastico usa e getta, non salutare in caso di cibi caldi e che produce un’enorme quantità di rifiuti non riciclabili.

Iniziare a preoccuparsi seriamente di questi VERI problemi e relegare ai margini della discussione (e dell’ansia pubblica) la presenza di un insetto nel piatto o di un moscerino in cucina contribuirebbe anche a porre importanti basi per una maggiore sostenibilità ambientale all’interno dell’enorme filiera dell’alimentazione non domestica.

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(1) Basta scorrere le cronache locali per vedere che il caso di Verona dell’insetto nel piatto non è un caso isolato di mamme preoccupate, di raccolte firme, di richieste di commissioni di vigilanza, ecc. ecc. (Pisa, Marino)

 

Una cintura… ecologica

In merito al recente ritrovamento di alcuni lupi uccisi a fucilate o massacrati a bastonate in Maremma, il giornale toscano “La Nazione” titola: “Lupi uccisi: è una guerra, non una caccia. Sospetti sugli allevatori di ovini”. Il problema – sempre secondo il giornale in questione – sono le migliaia di pecore trovate morte sgozzate o agonizzanti che hanno decimato produzione e portafogli di chi aveva nell’allevamento degli ovini l’unica fonte di sussistenza e che hanno spinto gli allevatori a passare ai fatti non rispettando più la legge o non tenendo conto dei progetti provinciali di protezione delle greggi dagli attacchi del lupo. “L’abbattimento dei lupi – ha osservato Luca Sani, Presidente della Commissione Agricoltura alla Camera – è motivo di seria preoccupazione. Tuttavia sarebbe da irresponsabili tenere la testa sotto la sabbia e non riconoscere che questa prassi rappresenta un segnale preoccupante dell’esasperazione degli allevatori”.

La notizia che ho descritto dimostra oramai una cosa che penso da tempo: la convivenza tra uomo e animali selvatici è oramai divenuta IMPOSSIBILE ed è un’utopia pensare, anche attraverso i più avanzati progetti ecologici e naturalistici, di poterla in qualche modo realizzare. Tutte le iniziative, anche se sembrano funzionare nel breve periodo, poi, con il passare del tempo, dimostrano lacune e scontri irrisolvibili tra uomo e animali. Lo dimostrano gli attacchi degli agricoltori nei confronti dei lupi in Toscana. Ma anche quelli nei confronti degli orsi in Trentino o in Germania. Per non parlare di quelli nei confronti degli elefanti e dei rinoceronti in Africa oppure quelli nei confronti di altri animali selvatici in giro per il mondo che non rientrano nella nostra dimensione comunicativa e che, pertanto, non percepiamo.

I motivi di tutto ciò sono molto semplici da comprendere: l’uomo, con i suoi 7 e passa miliardi di individui e con tutte le attività economiche ad essi correlate, si sono oramai spinti negli angoli più remoti del Pianeta, tanto da entrare in conflitto anche con ecosistemi periferici, come possono essere quelli delle montagne, della savana, della foresta più profonda e addirittura dell’Artide e dell’Antartide. Il rapporto “pacifico” che ancora vagamente perdura tra uomo e animale selvaggio è quello all’interno dei parchi naturali, ma è mediato sempre dagli interessi economici rappresentati dai turisti. Appena questi ultimi spariscono, vengono a mancare anche gli interessi per gli animali, che in pochi anni vengono a soccombere sotto l’aggressività (e la capacità omicida dovuta alle armi da fuoco) dell’uomo.

Dal momento che la biodiversità è assolutamente da difendere per preservare la sopravvivenza dell’uomo sulla Terra e dal momento che per difendere la biodiversità si devono preservare gli ambienti e gli animali selvatici, penso che l’unica strada che si possa percorrere a tale riguardo sia quella di creare delle cinture ecologiche (1) terrestri e marine sparse su tutto il Pianeta, interconnesse tra loro come una sorta di rete globale. Da tali cinture ecologiche deve essere tassativamente escluso l’uomo e tutte le sue attività economiche, senza deroga alcuna. In esse nemmeno gli scienziati vi dovranno accedere!

Solo così, in qualche centinaia di anni, si potrà sperare di ricreare degli ecosistemi selvatici, insostituibili serbatoi di biodiversità per le generazioni future e per la salute della Terra.

Ogni Paese, ogni comunità, ogni abitante del Mondo dovrà essere disposto a rinunciare a una parte del proprio territorio e ad una piccola parte di pretese economiche per costituire questa enorme cintura ecologica, azione inevitabile per garantire continuità di vita sulla Terra.

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(1) Delle caratteristiche tecniche delle cinture ecologiche ne parlerò nei dettagli in un prossimo articolo.

 

I leoni non sono animali violenti

Nel video è veramente impressionante quanto i leoni facciano al loro domatore durante uno spettacolo circense in Ucraina. Lo attaccano con una forza brutale e non desistono, nonostante le ripetute bastonate e i getti d’acqua ricevuti.

A dispetto dei commenti e dell’opinione comune, spesso frutto di pregiudizi o di antropocentrismo, i leoni non sono animali violenti. Sono solo animali carnivori selvatici.

Lasciamoli nel loro ambiente naturale (e difendiamoli lì dall’estinzione) evitando di usarli per stupidi spettacoli dove viene brutalmente violentata la loro indole.

Nell’ambito del divertimento boicottiamo tutti gli spettacoli con animali vivi!!! Non sono necessari per la qualità delle esibizioni e creano solo inutile sofferenza che spesso sfocia in violenza e aggressività.

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ATTENZIONE: alcune immagini contengono scene di violenza esplicita e potrebbero urtare la vostra sensibilità.

 

Sacchi a mare !!!

Come poter risolvere l’enorme problema dei rifiuti e dell’inquinamento del mare se fosse vero quanto riportato dal video mandato in onda lo scorso 20 dicembre della televisione brasiliana Sbt,  terza emittente televisiva del Paese per numero di telespettatori?

In pratica, secondo quanto affermato e documentato con video da parte di Sergio da Silva Oliveira, sembra che dalla nave da crociera MSC “Magnifica” siano stati gettati in mare alcuni sacchi neri in prossimità della costa brasiliana, addirittura nei pressi di un santuario naturalistico. “Non si trattava di rifiuti organici – racconta Sergio da Silva Oliveira parlando ai microfoni di Sbt – si sentiva il rumore delle bottiglie e delle lattine: una delle buste si è strappata e ne sono uscite scatole di tetrapack che sono rimaste a galleggiare in mare”.

Il presunto smaltimento irregolare dei rifiuti da parte della compagnia italo-svizzera MSC Crociere dimostra che la filiera dei rifiuti – dalla produzione dei prodotti e degli imballaggi, alla gestione del loro smaltimento una volta esaurita la loro utilità – è troppo, troppo fragile. Basta poco (e in questo caso potrebbe essere anche stato un dipendente dell’azienda poco istruito sulla gestione dei rifiuti o poco controllato dai superiori) per creare un problema ben più grave, sia per l’ambiente che per l’immagine di MSC Crociere.

Nonostante MSC Crociere affermi di essere a posto con la legislazione relativa al trattamento dei rifiuti del settore della navigazione, di essere impegnata in ambito ambientale e di aver ottenuto certificazioni riguardo a tale impegno, in ogni caso il problema dell’inquinamento, anche involontario del mare, permane.

L’unica via per combatterlo passa inevitabilmente attraverso i seguenti punti:

  • una politica di “rifiuti zero”, espressa sia in termini legislativi che culturali;
  • una legislazione orientata a favorire chi produce e chi consuma prodotti biodegradabili e a penalizzare chi non lo fa;
  • una legislazione che spinga i produttori a realizzare beni tenendo conto del ciclo di vita dei materiali, del riuso e della riparabilità degli stessi;
  • un sistema chiaro di sanzioni che penalizzi chi venga trovato ad inquinare o a smaltire illegalmente i rifiuti nell’ambiente;
  • un atteggiamento critico da parte dei consumatori che pongano, tra gli elementi di scelta di un fornitore o di un bene, non solo il prezzo o i servizi offerti ma anche le performance ambientali e di responsabilità sociale.

Solo così si verrà veramente fuori dal problema dei rifiuti e si provvederà a salvaguardare quell’enorme “pattumiera blu” che è il mare.

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Fonte: Il Fatto Quotidiano

 

La generosità del mare

Il mare è generoso, molto generoso e, prima o poi, restituisce tutto quello che gli gettiamo dentro. O come rifiuto; o come inquinamento e conseguente perdita di salute.

La gran parte dei rifiuti che il mare restituisce sono di materiale plastico: bottiglie, bidoni, bicchieri, boe, reti e chi più ne ha più ne metta (1). Un’altra parte dei rifiuti del mare sono in metallo e di materiale organico (principalmente alghe e tronchi).

Per quanto riguarda, invece, l’inquinamento, il mare non restituisce altro inquinamento. È più subdolo e restituisce sofferenza e morte per gli animali acquatici che lo popolano (e che dovrebbero fornire a noi una parte del nutrimento) e perdita di salute per gli esseri umani che abitano nelle sue vicinanze, che in esso si divertono o che si nutrono degli animali che in esso vivono.

Al di là di queste considerazioni – mi chiedo – forse un po’ troppo elaborate, mi è capitato recentemente di essere stato in vacanza in una località marittima da poco interessata da una forte mareggiata. Quello che mi ha stupito non è stato solo vedere la spiaggia piena di rifiuti e di detriti. Tanto, magari non riciclandoli, prima o poi verranno rimossi. Quello che invece mi ha stupito e profondamente turbato è stato constatare la totale indifferenza e apatìa delle persone (sia presenti in spiaggia sia di mia conoscenza) di fronte ai rifiuti presenti. Una sorta di assuefazione pericolosa che non è assolutamente positiva nell’ottica della ricerca urgente di soluzioni per la sostenibilità ambientale che, a mio avviso, oltre che attraverso soluzioni tecnologiche e produttive, dovranno passare per forza anche attraverso comportamenti individuali virtuosi e, molto probabilmente, una maggiore sobrietà di comportamenti.

Vi lascio, per ricordo, qualche foto che ho scattato nelle spiagge di Bordighera e Vallecrosia.

Rifiuti_bidone

Rifiuti_bottiglie plastica

Rifiuti_rifiuti vari

Rifiuti_rifiuti vari bianco

Rifiuti_copertone

Rifiuti_rifiuti vari blu

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(1) Gran parte dei rifiuti di plastica che il mare restituisce sono imballaggi e prodotti usa e getta. Per salvaguardarlo e per garantire VERA sostenibilità ambientale è assolutamente necessario che si provveda con urgenza a favorire – in qualsiasi modo – la produzione e il consumo di materiali plastici di origine vegetale completamente biodegradabili e si pongano limiti, di qualsiasi natura, alla produzione di materiale plastici di origine petrolifera e sintetica.

 

Il paradosso di Jevons

Per spiegare il paradosso di Jevons desidererei fare un esempio concreto e vorrei considerare, banalmente, la strada che divide casa mia da quella dei miei genitori, nella campagna (esiste ancora la campagna, mah!) a sud di Verona. Questa strada che percorro abitualmente è caratterizzata dalla presenza di alcune aziende agricole le più grandi delle quali, in questi ultimi anni, hanno fatto  investimenti per produrre biogas dalle deiezioni degli animali di allevamento, dal quale ottenere energia elettrica. Sia ben chiaro che l’operazione è assolutamente positiva nell’ambito degli allevamenti industrializzati che caratterizzano l’agricoltura moderna. La cosa che mi stupisce, però, è che da quando queste aziende hanno a disposizione più energia, praticamente gratis, dal miglioramento dell’efficienza del processo, hanno anche riempito l’azienda stessa di un tripudio di fari, accesi tutta la notte, che non fanno altro che aumentare il consumo di energia rispetto a prima. La stessa cosa interessa anche la famiglia dei miei genitori dove, con la “scusa” di pannelli fotovoltaici che hanno sul tetto e con l’idea di poter consumare l’energia prodotta gratuitamente durante le ore diurne, sono considerevolmente aumentati i consumi di energia elettrica rispetto a quando non avevano i pannelli fotovoltaici ed è anche aumentato il numero di elettrodomestici presenti in casa. Tra il dubbio di accendere una lavatrice mezza piena o dosare l’utilizzo del condizionatore in estate, dopo l’installazione dei pannelli fotovoltaici prevale sempre la scelta verso il consumo con la scusa che: “Tanto l’energia è gratis!”.

Ma chi era Jevons? William Stanley Jevons era un economista e logico britannico vissuto nell’800 il quale, osservando il consumo inglese del carbone del suo tempo, si rese conto che miglioramenti di efficienza tecnologica dovuti a sviluppi nei motori e nelle caldaie a vapore non contribuivano a diminuirne il consumo ma, anzi, paradossalmente, in termini generali contribuivano ad incrementarlo.

In sostanza, estendendo questa osservazione in qualsiasi altro campo dove vi è aumento di efficienza a causa di miglioramenti tecnologici, Jevons sviluppò una regola accettata dall’economia (il cosiddetto “paradosso di Jevons”) secondo cui i miglioramenti tecnologici che aumentano l’efficienza di una risorsa possono far aumentare, anziché diminuire, il consumo di quella risorsa. In sostanza le tecnologie efficaci migliorano l’efficienza da un punto di vista tecnologico ma sollecitano la crescita della domanda a livello globale.

L’osservazione che desidero fare parlando del paradosso di Jevons consiste nel fatto che l’efficienza è un concetto assolutamente positivo nell’ambito tecnologico e produttivo perché consente di risparmiare risorse, energia e rifiuti prodotti. Pertanto deve essere sempre perseguita, nell’ottica del miglioramento continuo. Quello che non è affatto positivo, invece, è il comportamento umano che non ne coglie veramente la portata e che, illuso dal fatto di avere a disposizione più risorse per effetto dei miglioramenti di cui è consapevole, aumenta i propri consumi e, assurdamente, vanifica i benefici prodotti dall’efficienza stessa. Ad esempio soddisfatti di avere ridotto il consumo di energia attraverso la coibentazione della casa ci offriamo un viaggio in più ai Caraibi; il treno ad alta velocità va più veloce, allora andiamo più lontano e viaggiamo più spesso; se abbiamo un pannello solare sul tetto per la produzione di acqua calda consumiamo più acqua perché, avendo a disposizione energia gratis, ci laviamo di più e più a lungo.

Paradosso Jevons_grafico auto

Se vogliamo veramente perseguire la sostenibilità ambientale dobbiamo, da un lato, come ci insegna il funzionamento della natura, operare per ottenere la massima efficienza. Contestualmente, però, dobbiamo anche fare uno sforzo culturale e renderci conto che il vero obiettivo non è quello di ottenere l’efficienza per aumentare i consumi, ma quello di perseguirla con lo scopo di operare contestualmente un percorso verso la sobrietà. Altrimenti è come un cane che rincorre la sua coda…

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Grafico: Il grafico indica che, secondo il paradosso di Jevons, la migliore efficienza dovuta al passaggio da un’auto a scoppio ad una ibrida (che costa la metà in termini di costo per 40 km percorsi)  è vanificata dal fatto che si modificano le abitudini di guida ed aumenta il numero di km percorsi settimanalmente (circa 250 km in più).

Foto: William Stanley Jevons

 

“Pollution” by Bryan Clark

Siamo abituati a pensare all’inquinamento come ad un fenomeno – certamente negativo – che interessa solo l’ambiente che ci circonda, pensando invece poco alle conseguenze che esso può avere sulla nostra salute e sul nostro benessere.

Inquinata è l’aria; inquinata è l’acqua; inquinato è il terreno; inquinate sono le città ma poco si pensa a quali siano le conseguenze su coloro che abitano tali ambienti.

Quello che invece cerca di farci comprendere Bryan Clark nel suo breve video d’animazione “Pollution” [guarda il video] è il fatto che inquinato può essere anche il nostro organismo e, in particolare, il cuore. Nel video Bryan Clark ci fa vedere quali siano le conseguenze del nostro sistema economico-produttivo su ciò che ci circonda: dapprima l’ambiente appare incontaminato, le acque sono pulite e  boschi rigogliosi ricoprono le colline. Lentamente, però, l’inquinamento delle industrie che si sviluppano e crescono sempre più numerose tanto da sostituirsi ai boschi, inizia a contaminare l’erba e i corsi d’acqua fino a penetrare inesorabilmente nel corpo umano… e raggiungere il cuore.

above all else, guard your heart, for everything you do flows from it ” (con ogni cura vigila sul cuore, perché da esso sgorga la vita) – Bibbia, Proverbi 4:23

 

Bioimita – Anno Primo

Oggi, primo gennaio, Bioimita compie ufficialmente un anno di vita e, lo devo dire, sono veramente soddisfatto di quello che, tra mille peripezia, in questo 2013 appena trascorso sono riuscito a pubblicare compatibilmente con i miei numerosi impegni di lavoro e familiari: 106 articoli per il “BLOG” e 56 articoli per la parte “PRODOTTI”.

Lo ritengo un ottimo risultato – che corrisponde a circa un articolo pubblicato ogni tre giorni – che mi vede operare nei ritagli di tempo, sui treni, sugli autobus, nelle stanze d’albergo, quando sono solo al ristorante e in qualsiasi luogo dove sia possibile scrivere su un pezzo di carta o su un computer. Quando mi viene un’idea mentre sono in auto perché sento qualcosa alla radio o vedo fuori dai finestrini qualcosa che desta la mia curiosità, me la continuo a ripetere in testa per non dimenticarmelo e, poi, scrivo su tutto quello che mi capita a tiro: dal telefono cellulare ai foglietti volanti che trovo poi sparsi in tutte tasche dei pantaloni e delle giacche.

A prima vista potrebbe sembrare uno sforzo eccessivo rispetto a quello che ne ricavo, ma mi diverto e sono appagato da quello che faccio. E questo è già più che sufficiente.

In questo primo anno di vita Bioimita ha ricevuto circa 12.000 visite globali che, se paragonate a Google o a Facebook, sono un’inezia che loro raggiungono in qualche decimo di secondo, ma che per me è tanto. Oserei dire tantissimo. E di cui vi voglio ringraziare di cuore. Uno per uno se vi conoscessi tutti.

L’obiettivo primario per il 2014 è quello di essere almeno in grado di mantenere lo stesso ritmo del 2013. In più, se fosse possibile, desidererei ampliare il ventaglio comunicativo utilizzando i social network e, magari, cercando anche uno o più collaboratori che condividano le idee che stanno alla base di Bioimita e che mi supportino nella redazione e nella pubblicazione degli articoli e del materiale vario.

Se siete interessati fatevi pure avanti comunicandomelo all’indirizzo: alessandro.adami@bioimita.it. Sarete contattati e… non si sa mai!

Con queste prospettive non si può che augurare un bel Tanti Auguri a Bioimita e… Buon 2014.