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Monthly Archives: Gennaio 2016

In coda al semaforo

Qualche mattina fa ero in coda al semaforo e, nella corsia a fianco della mia, su una bella vettura costosa la mia attenzione è stata catturata da una interessante scena familiare fatta di discorsi animati e di sorrisi tra una madre e un figlio dall’età apparente di circa 10/12 anni. Nonostante si stessero presumibilmente recando a scuola l’atmosfera era comunque spensierata e gioiosa.

Il mio interesse (1) è stato però anche calamitato da un particolare della scena: sia la madre che il figlio NON indossavano le rispettive cinture di sicurezza, obbligatorie per il Codice della Strada a partire dalla fine degli anni ’80 del secolo scorso. La signora aveva la cintura attaccata al gancio (altrimenti suona, e se suona!!!) ma la teneva sotto il corpo mentre il ragazzino non ce l’aveva nemmeno attaccata.

Subito ho pensato che quelle persone, nell’ambito della circolazione stradale fatta di traffico, di alta velocità, talvolta di mancato rispetto delle distanze di sicurezza e, spesso, di disattenzioni varie, stavano mettendo a serio rischio la loro incolumità, senza arrivare per forza alla perdita della loro vita. Un incidente, anche banale, poteva far diventare quei corpi dei proiettili in balìa degli eventi – air-bag compresi – che avrebbero potuto determinare infortuni e lasciare sul loro corpo invalidità anche permanenti. Poi, però, ad evento accaduto si piange, si recrimina e, magari, si cita in giudizio la casa costruttrice per difetti progettuali o costruttivi oppure si chiedono anche grossi risarcimenti alle assicurazioni e ai fondi per le vittime della strada!

Subito ho fatto un parallelismo con le tematiche della sostenibilità ambientale e della bioimitazione che tratto in questo blog e mi sono chiesto come, al di là di tutte le ricerche autorevoli, di tutta la comunicazione in materia, al di là di tutta l’energia che si spende per “convincere” le persone sulla bontà delle soluzioni proposte – spesso malviste e considerate o disfattiste o “sempre contro” – sia possibile fare breccia e raggiungere l’obiettivo educativo su soggetti così apparentemente “normali” che, però, violano in maniera evidente e disinteressata regole che sono state stabilite solo a loro favore e per tutelare la loro sicurezza. Dietro non c’è nessuna lobby della cintura o nessuna organizzazione degli arrotolatori che ottengano vantaggi personali, eppure le regole vengono violate…

L’unica soluzione che mi viene in mente per ottenere il risultato del rispetto delle regole è quella – dopo aver ovviamente operato nell’ambito educazione e di aver lasciato il tempo che le regole siano assimiliate – di lasciare liberi i comportamenti ma di non fornire più gratuitamente i diversi servizi che in caso di incidente si dovessero rendere necessari. Ecco allora che, se accertata la palese violazione della regola di indossare la cintura di sicurezza, deve essere pagata l’ambulanza che esce a soccorrere gli incidentati; deve essere pagata la pattuglia delle forze dell’ordine che effettuano i rilievi; deve essere pagato il servizio di pronto soccorso ospedaliero. Magari non tutta la spesa ma una quota simbolica che faccia capire che il mancato rispetto delle regole – a seguito di un evento – incide economicamente sulle tasse pagate da chi le regole le rispetta e, pertanto, deve continuare ad avere servizi gratuiti.

Credo che potrebbero diminuire subito di molto i “furbetti” e credo che una tale pratica del chi sceglie di sbagliare paga applicata anche in alcuni ambiti ambientali dove sono interessati direttamente i comportamenti dei cittadini e le loro scelte possa portare a migliorare notevolmente i risultati desiderati.

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(1) Per lavoro mi occupo di prevenzione e di analisi dei rischi in ambito di salute e sicurezza e sul tema ho una discreta sensibilità.

 

Cosa non va nel riciclo della carta

Qualche tempo fa, mentre mi trovavo a Roma per lavoro, passo davanti ad un ufficio e rimango colpito da una persona che sta mettendo minuziosamente dei pezzi di carta in un sacchetto di plastica. Cosa inusuale per il suo lavoro di impiegato commerciale. Alla mia comprensibile curiosità mi viene risposto che sta “semplicemente” preparando la carta da portare a casa e da avviare al riciclo perché non è convinto che in azienda la separazione dei rifiuti venga ben fatta o, addirittura, non venga fatta per nulla nonostante si tratti di una multinazionale dotata di protocolli e rigide procedure interne nonché di certificazioni internazionali di ogni tipologia e grado.

Io, che sono particolarmente sensibile alla materia, cerco di approfondire la questione (magari ne viene fuori anche un bel articolo per Bioimita…) e scopro che per lui comportarsi in questo modo è una cosa assolutamente normale ma non viene ben visto dai colleghi che, quasi quasi, lo deridono per la piccola perdita di tempo e per la sensibilità un po’ troppo eccessiva (se non stupida) rispetto ad un problema secondario del lavoro o della vita come la gestione dei rifiuti prodotti sul lavoro. In effetti ci sono gli addetti alle pulizie che hanno il compito di liberare i cestini dai rifiuti a fine lavoro. Se, poi, non li avviano al previsto riciclo e li mescolano che vuoi che sia. Non cascherà mica il mondo!

Ragionando in seguito e con calma sull’episodio (mentre mi sto addormentando in albergo, tanto che devo prendere un foglio di carta e una penna dal comodino per appuntarmi le idee) penso che, in ambito lavorativo, per ogni persona che abbia questa spiccata sensibilità per il problema del riciclo dei rifiuti e della sostenibilità ambientale, ce ne siano purtroppo almeno 50 (o, forse, anche 100) che non si pongono affatto il problema o che, se se lo pongono, se lo pongono in maniera troppo superficiale e non fanno quasi nulla di concreto per risolverlo.

L’episodio è anche la dimostrazione evidente che un sistema basato sul continuo consumo delle materie e sulla conseguente produzione di rifiuti (anche se da avviare al riciclo) non può essere risolto solo dal punto di vista organizzativo e tecnico e non può prescindere dal comportamento e dalla cultura degli esseri umani-cittadini.

Il riciclo dei rifiuti, per funzionare veramente e per garantire una duratura sostenibilità ambientale come ci viene da più parti sbandierato, deve essere molto vicino al 100%. Cioè, all’interno della filiera, dovrebbero essere correttamente smaltiti tutti i rifiuti prodotti senza errori. Nessuno può permettersi di sbagliare contenitore e nessuno può permettersi di sbagliare le procedure. Mentre invece, come si sa, c’è sempre chi è “distratto” e sbaglia bidone; c’è chi è menefreghista e qualche volta si “dimentica”; c’è chi, come gli operatori della raccolta, non è attento sul lavoro. E chi più ne ha più ne metta…

Dal momento che il riciclo dei rifiuti non è adeguato quale strumento per garantire sostenibilità ambientale duratura perché è troppo influenzato da variabili comportamentali che è estremamente difficile poter orientare verso la direzione voluta, è allora necessario che in quest’ambito, cioè quello del fine vita dei prodotti, si operi a livelli diversi in modo tale da escludere il più possibile scelte troppo razionali e consapevoli da parte degli utenti.

In particolare è necessario che il sistema tecnocratico (la politica) e la forza critica dei consumatori spingano il sistema produttivo a farsi carico di riconsiderare la produzione riprogettando i beni nell’ottica finale della NON produzione dei rifiuti attraverso una maggiore riparabilità, il riuso tal quale delle parti e delle materie e, solo alla fine, il trattamento degli stessi attraverso il riciclo. In quest’ottica il sistema produttivo deve iniziare a ragionare che il rifiuto, così come lo abbiamo conosciuto fino ad ora da avviare all’incenerimento, alla discarica o, se va bene, al riciclo, non deve più esistere.

Ce lo mostra la natura che funziona in questo modo e ce lo chiede il futuro dei nostri figli.

 

Il più grande nemico del bio è il qualunquismo

Mentre ero in vacanza durante il periodo natalizio, spinto dalla curiosità di mia figlia ho avuto modo di visitare un frantoio di olive che si trova sulla riviera ligure. Bello e interessante il processo lavorativo che va dallo scarico dei frutti nel macchinario, al loro lavaggio, alle operazioni di spremitura “a freddo” con centrifugazione dei residui, fino alla spillatura del profumato liquido verde nei contenitori dei vari committenti.

La visione nel dettaglio di tutte le varie fasi della molitura delle olive è stata possibile per merito del proprietario del frantoio che ha dotato l’attrezzatura di numerosi vetri e di numerosi accessi sicuri per soddisfare la curiosità dei suoi clienti e dei suoi visitatori.

Non eravamo gli unici a compiere quella visita didattica e, per caso, mentre mi guardavo intorno, ho avuto modo di seguire un discorso tra il proprietario del frantoio – Giorgio – e un visitatore presente. Quello che mi ha colpito, nel dialogo, sono state le risposte di Giorgio alle seguenti domande: “Qual è la differenza tra la molitura a caldo e quella a freddo” e “Ci sono molte coltivazioni biologiche in zona e come riuscite a far sì che il marchio sia garantito voi che lavorate sia il bio che il tradizionale”?

Le domande erano assolutamente legittime e dimostravano che l’interlocutore aveva la idee chiare in merito alla qualità del prodotto e che cercava di avere delle conferme tecniche e organizzative da parte di un operatore esperto per poter effettuare i propri acquisti.

Le risposte di Giorgio sono state, purtroppo, le solite – tristi – parole che senti spesso pronunciare in Italia da un sessantenne che dimostrano come il più grande nemico del progresso e della sostenibilità ambientale – in questo caso l’agricoltura biologica – sia quel qualunquismo disfattista del “tanto non cambia nulla”; del “tanto è tutto uguale”.

Alla domanda sulla spremitura “a freddo” Giorgio replica osservando che non è che cambi nulla con quella “a caldo”. Lo si fa solamente per soddisfare le richieste dei consumatori. Dal momento che tra le due c’è una differenza di costo ma anche di qualità perché la molitura “a freddo” altera molto poco le qualità organolettiche dell’olio, quello che leggo nelle parole di Giorgio è il fatto che l’importante non è pensare di far star bene le persone fornendo loro il meglio a prezzi ragionevoli ma è fare tanti soldi, nella filiera, magari anche a discapito della loro salute. Inoltre Giorgio, indirettamente, dichiara che subisce pochi controlli e che potrebbe anche vendere, lui o altri colleghi, un certo processo al posto dell’altro perché le autorità pubbliche difficilmente fanno prevenzione delle sofisticazioni attraverso controlli preventivi o imposizioni metodologiche.

Alla domanda poi sul biologico, con un sorriso misto tra l’ironico e il furbetto, Giorgio risponde che tanto non cambia nulla, che i controlli e relativa certificazione non servono a nulla e che ci sono molti che dicono di fare il biologico ma poi fanno un po’ quello che vogliono. Le sue osservazioni in effetti sono realistiche e possono rappresentare una triste realtà – che deve essere perseguita dalla giustizia – ma, anziché chiedersi cosa si posa fare per migliorare la situazione, per garantire che in futuro le certificazioni e i controlli siano più incisivi, preferisce buttarla “in vacca” e dire che tanto il bio non serve a nulla. Giorgio, invece di chiedersi come si possa operare per fare un ulteriore salto di qualità – anche per la sua attività imprenditoriale – che superi il metodo biologico per ricercare qualcosa di più, attraverso il suo qualunquismo pone le basi perché si torni indietro senza progresso e senza sufficienti garanzie di salubrità per i cittadini. In tal modo, indirettamente, fa anche il gioco dei grandi produttori e delle multinazionali che chiedono “progresso” (quello che interessa loro), pochi controlli e tanto profitto.

Finché in Italia non ci libereremo della malattia molto contagiosa del qualunquis-disfattismo e non cercheremo la cura nei controlli, nella buona tecnica e nella cultura individuale, come potremo sperare di operare quel passaggio ancora più difficile che porta dal sistema attuale a quello rivoluzionario della bioimitazione?

 

Viva la burocrazia

La retorica comune, dall’amministratore delegato alla casalinga, dal parlamentare al giornalista, dal politico locale all’imprenditore, è fermamente convinta che la burocrazia sia il vero male della nostra società e il vero nemico del benessere economico perché rallenta il progresso ed è contraria al “fare”. In parte non possiamo negare che tale considerazione sia vera – ovviamente – soprattutto quando essa ostacola di proposito il corretto svolgimento della vita e delle attività delle persone per un qualche tornaconto personale o per scarso impegno lavorativo da parte dei funzionari pubblici che ne sono il motore, ma alla burocrazia dobbiamo anche riconoscere dei meriti e delle virtù perché, se non esistesse, sono convinto ci sarebbe meno giustizia sociale, meno giustizia economica e meno democrazia (1).

La burocrazia, che nella sua definizione è quella sorta di organizzazione di persone e risorse destinate alla realizzazione di un fine collettivo secondo criteri di razionalità, imparzialità e impersonalità, rappresenta quel collante sociale, quel sistema di controllo e di garanzia di rispetto delle regole che, mancando, farebbe venir meno quel patto sociale simbolico che esiste tra persone che, nonostante le loro numerose differenze, costituiscono e rappresentano la società nel suo insieme in quanto ne condividono diritti e doveri.

Per comprendere appieno questa mia considerazione qualche tempo fa mi ha colpito una lettera aperta a vari sindaci scritta da parte del WWF veronese che lamentava la richiesta da parte di un privato – il proprietario – di trasformare 4 ettari di terreno, facenti parte di un Sito di Importanza Comunitaria (SIC) per la salvaguardia della natura, in un “vigneto di tipo moderno e intensivo”. E molto remunerativo, direi io. Dalla lettura approfondita della lettera – tra l’altro contestata da parte di altre associazioni ambientaliste locali in quanto troppo morbida e troppo accondiscendente – si comprende che i terreni oggetto di tale progetto agro-industriale sono stati prima sottoposti allo screening X per poi avere la relazione Y, contestata dalla valutazione Z. Insomma su quei miseri 4 ettari di terreno, che non sono nulla dal punto di vista economico ma che rappresentano una boccata di ossigeno per la natura in un territorio fortemente antropizzato quale è l’hinterland veronese, si sono espressi un po’ tutti – la burocrazia – e, per fortuna, ancora nulla è successo in termini di trasformazione agricola. Almeno spero, visto che nonho più seguito la vicenda.

Proviamo ora ad immaginare se non fosse esistita la burocrazia cosa ne sarebbe di quei 4 ettari di terreno. Giusto! Proviamo ora a pensare cosa ne sarebbe di una splendida isola, di una splendida scogliera, di una magnifica montagna o di una magnifica collina. Esatto! Proviamo solo ad immaginare che fine avrebbe fatto il paesaggio o la tutela del patrimonio artistico, quelli considerati dall’art. 9 della Costituzione (2). Risposta corretta! Proviamo solamente ad immaginare  – nel Paese degli abusi edilizi e dei numerosi condoni – quali scempi urbanistici, più di quelli attuali, ci sarebbero stati senza burocrazia. Giusto!

E allora, cosa ci lamentiamo a fare. Dobbiamo solo dire: “Viva la burocrazia”! (3)

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(1) I paesi civili del nord Europa e del nord America funzionano meglio del nostro non perché non esiste la burocrazia – anzi ce n’è molta – ma perché esiste la giustizia sociale. Quella della troppo burocrazia è solo una scusa.
(2) L’art. 9 della Costituzione recita: “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e della ricerca scientifica e tecnica. / Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”.
(3) La burocrazia siamo noi. Solo la cultura, il senso etico e il senso civico sono i motori della giustizia sociale e dell’economia.

 

Lo scimmione nudo

Vi dice qualcosa la definizione di “scimmione nudo”? Per facilitarvi nella soluzione dell’enigma non ci troviamo ne in uno zoo e nemmeno in una riserva africana ma invece, più banalmente, all’interno delle città e negli spazi di vita a noi umani molto familiari. Infatti, se ci pensate bene, quello scimmione nudo siamo proprio noi, Homo sapiens, unica specie di scimmie – tra le 193 esistenti in totale – a non essere ricoperte di pelo.

Questa definizione un po’ ironica e un po’ irriverente dell’uomo la diede per la prima volta lo zoologo inglese Desmond Morris nel suo famoso libro scientifico-divulgativo “The Nacked Ape: a zoologist’s study of the uman animal” (tradotto in italiano con il titolo “La scimmia nuda – Studio zoologico sull’animale uomo”), pubblicato nel 1967 (1).

Come osserva Morris siamo una razza estremamente capace che trascorre molto tempo ad esaminare i propri moventi più nobili ma altrettanto tempo ad ignorare quelli fondamentali rappresentati dal fatto di essere rimasta in moltissimi elementi una scimmia che si comporta ancora istintivamente e impulsivamente. Per una serie di circostanze fortunose e anche casuali siamo diventati, in breve tempo, l’animale predominante della Terra ma non ce ne dobbiamo compiacere troppo e non dobbiamo essere presuntuosi di pensare di essere eterni. Molte specie sensazionali del passato si sono estinte e noi non costituiamo un’eccezione a tale regola biologica. Prima o poi scompariremo per far posto a qualcos’altro, ma se vogliamo che ciò avvenga il più tardi possibile è necessario che cominciamo a considerarci in modo attento e spietato come esemplari biologici e cominciamo a renderci conto dei nostri limiti.

Alcuni – osserva Morris – sostengono che poiché l’uomo ha sviluppato un elevato livello di intelligenza e un potente impulso all’invenzione, sarà sempre e in ogni caso in grado di adattarsi a tutte le nuove situazioni che si verificheranno sul pianeta Terra, magari anche modificando la natura. In realtà la nostra primitiva natura animale e i nostri comportamenti opportunistici non lo consentiranno mai. Sarà solo riconoscendo apertamente i nostri limiti che avremo maggiori probabilità di sopravvivenza.

Ciò non significa – approfondisce ancora Morris – per forza un ingenuo “ritorno alla natura”, ma vuol dire semplicemente che dovremo adattare i nostri progressi dovuti all’intelligenza alle caratteristiche del nostro comportamento, aggressivo e talvolta violento. In sostanza dobbiamo migliorare in qualità piuttosto che in quantità e in forza. Potremo così continuare a progredire tecnologicamente in modo sensazionale e sbalorditivo senza necessariamente negare la nostra eredità evolutiva di rimanere pur sempre degli animali. In caso contrario i nostri compressi impulsi biologici si accumuleranno fino a far crollare la diga e tutta la nostra complessa esistenza sarà spazzata via dalla piena.

Non male come analisi per essere stata fatta quasi 50 anni fa. E, alla luce di quanto è successo in questa manciata di anni (in rapporto al tempo della nostra evoluzione), quanta ragione Morris aveva?

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(1) Desmond Morris afferma nel libro di aver “deliberatamente insultato la nostra specie, usando una espressione come “scimmione nudo” per “mantenere il senso delle proporzioni che ci obbliga ad osservare quello che accade appena al di sotto della nostra superficie di esseri superiori”.

 

Il più grande esperto di inquinamento? Il Papa

Ma i morti per smog saranno 25 mila, 650 mila o 68 mila? Ma saranno più dannose le polveri sottili PM 10 o PM 2,5? Ma questo smog sarà causato dal trasporto veicolare privato, dall’industria, dai riscaldamenti domestici o dall’incenerimento dei rifiuti?

Queste domande non potranno avere risposte univoche e, in parte, sono anche un po’ retoriche o buttate là nel calderone dell’opinione pubblica (come il numero dei morti, stimabile a grandi linee ma in sé difficilmente quantificabile). Quello che è abbastanza certo in questi ultimi giorni pre e post natalizi è che gli strumenti di rilevazione dell’inquinamento dell’aria stanno impazzendo, causa un anomalo inverno tiepido e una lunghissima siccità che non ha fatto piovere in Italia da più di due mesi.

Qualsiasi commentatore o politico a caccia di consenso ora si improvvisa “esperto” e si sente legittimato a dire qualsiasi cosa sul tema anche se fino a ieri si è occupato di economia, di politica interna o, più banalmente, di gossip. E magari criticava anche gli ambientalisti o gli scienziati di essere contro il progresso. A tale riguardo vorrei ricordare a tutti noi una cosa molto semplice: il problema dell’inquinamento atmosferico e urbano non è un fenomeno recente ma sono almeno 40 anni che gli scienziati (sia coloro che si occupano di materie tecniche, sia coloro che si occupano di curare i malati) ci dicono che c’è un problema e che questo problema deve essere assolutamente affrontato e risolto.

Mettere – come hanno fatto alla spicciolata qualche sindaco, qualche prefetto o qualche governatore di regione – gli autobus gratis la domenica, le targhe alterne il giorno di Natale o il blocco totale del traffico per 2/3 giorni durante le vacanze invernali (per non disturbare il “lavoro”) è semplicemente una cosa ridicola che non risolve il problema dello smog e prende in giro i cittadini, soprattutto quelli malati o quelli che si ammaleranno negli anni futuri.

È giunta finalmente l’ora di essere onesti e di dire che lo smog siamo noi! Si, certo, avete capito bene. Lo smog è Alessandro (io), Paola, Marco, Laura, Giovanna, Luca, Patrizia, Franco, Marta… Lo smog non è una cosa che nasce dal nulla e che improvvisamente, come è arrivato, svanirà! Lo smog è il frutto del nostro agire quotidiano, del nostro stare comodi in casa in maniche corte quando fuori è sotto zero. Del nostro andare a prendere il pane e il giornale con il culo ben piantato sul sedile della nostra auto diesel con filtro antiparticolato quando abitiamo a soli 200 metri dai negozi. Del nostro comprare e buttare imballaggi. Del nostro spreco alimentare. Della nostra bulimia di oggetti e di elettronica usa e getta. Della nostra arroganza verso la natura. Della nostra…

Tutto questo produce smog! E quest’ultimo sparirà solo dopo che avremo radicalmente cambiato i nostri comportamenti. Tutto il resto, invece, è solo fuffa che svanirà agli occhi dell’opinione pubblica non appena le concentrazioni rilevate si saranno un po’ abbassate e i media smetteranno di parlarne.

A parte i “soliti” che è da anni che studiano l’argomento e che si esprimono con precisione e grande conoscenza della materia, in questi giorni di trambusto emotivo sull’inquinamento mi ha molto colpito il Papa che, nella notte di Natale, si è espresso da grande esperto della materia. Sotto la forma dell’ammonimento morale si è spinto a dire: “In una società spesso ebbra di consumo e di piacere, di abbondanza e lusso, Lui ci chiama ad un comportamento sobrio, cioè semplice, equilibrato, lineare capace di cogliere e vivere l’essenziale”.

Un duro e per nulla velato attacco (finalmente da parte di una grande autorità) al modello di sviluppo industriale e consumistico. Quale migliore ricetta contro lo smog!?

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Per approfondire
Video: con questa classe politica, con quello che pensa e con l’arroganza che dimostra verso la scienza sarà molto difficile (sig.) ottenere dei validi risultati nell’ambito della lotta all’inquinamento.

 

Bioimita – Anno Terzo

Il tempo passa velocemente e oggi, 1 gennaio 2016, è il terzo anno che Bioimita ha preso vita. Nonostante il tempo trascorra e i miei impegni di lavoro (quello “ufficiale”) aumentino, devo dire che mantengo inalterato, rispetto all’inizio, il mio desiderio di approfondire e di comunicare sui temi della sostenibilità ambientale e della bioimitazione. È vero, l’argomento mi piace e incontra le mie attitudini, ma posso dire che lo sento anche come un dovere. Quello di amplificare il più possibile i gravi problemi ecologici che zavorrano il nostro agire di ora, pregiudicando quello futuro, e che, a ben guardare il funzionamento della natura, in parte potrebbero essere anche risolti attraverso soluzioni semplici, che non richiedono né troppo impegno tecnologico né troppa dedizione individuale. Basta solo che i decisori politici, in parte legati a filo doppio con i principali inquinatori, in parte non troppo pungolati dai cittadini, decidano di intervenire. E il gioco sarebbe (quasi) fatto!

Venendo a qualche dato, i numeri di Bioimita – malgrado la mia cronica mancanza di tempo e la mancanza di collaborazione per la redazione degli articoli – dicono che il sito è in lieve crescita. Nonostante il numero degli articoli annuali sia più o meno lo stesso dello scorso anno (1), Bioimita vede leggermente crescere sia il numero dei totale dei visitatori, delle sessioni aperte e delle pagine viste (2). Merito anche del fatto che, per metà del 2015 mi sono anche concentrato ad utilizzare altri canali comunicativi, come i social network, che fino ad ora avevo lasciato abbastanza in disparte.

L’obiettivo primario per il 2016 – oltre a cercare di descrivere con dovizia di particolari e approfondimenti la realtà vista sempre nell’ottica della bioimitazione – sarà anche quello di iniziare nuovi argomenti (es. autocostruzioni di oggetti) e di trovare ulteriori percorsi comunicativi.

Di certo tutti questi obiettivi saranno quasi impossibili da raggiungere da solo, con le scarse forze che mi rimangono dopo il lavoro e dopo la gestione di una casa e di una famiglia. Avrò sicuramente bisogno di un aiuto e, se per caso desiderate cimentarvi in un percorso di questo tipo o se per caso desiderate aiutare in qualche modo, le porte di Bioimita saranno sempre aperte e sarete senz’altro i benvenuti. We want (and we need) you!

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(1) Nel 2015 ho pubblicato 48 articoli per il “BLOG” e 4 per la categoria “PRODOTTI”.
(2) È difficile dare un numero univoco dei visitatori totali, delle sessioni e delle pagine viste perché da quest’anno (non dall’inizio) utilizzo due sistemi di analisi statistica (Google Analytics e Jetpack di WordPress) che mi forniscono dati leggermente discordanti tra loro. Ad ogni modo dai grafici annuali si può vedere l’andamento in lieve crescita.