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Category Archives: Mobilità

Bike the Nobel

L’idea di candidare la bicicletta al Nobel per la Pace (1) mi sembra un geniale progetto di comunicazione che poggia su una rilevante base scientifica. È venuta ai conduttori di Caterpillar, la storica trasmissione radiofonica di Radio2 (RAI) che va in onda il tardo pomeriggio e che ascolto con regolarità quando mi muovo in auto.

La motivazione di tale candidatura – chiamata “Bike the Nobel” – è dovuta ai seguenti aspetti, di base corretti e condivisibili:

  • La bicicletta è il mezzo di spostamento più democratico a disposizione dell’umanità perché permette a tutti di muoversi, poveri e ricchi, più o meno alle stesse condizioni. Per questo riduce le differenze sociali.
  • La bicicletta non causa guerre perché riduce il bisogno di petrolio ed i conflitti si fanno spesso per il petrolio.
  • La bicicletta cambia il modello di sviluppo perché ogni chilometro pedalato genera un beneficio di 16 centesimi di euro per la società, mentre ogni chilometro percorso in auto provoca un danno di 10 centesimi. (Copenhagen Bicycle Account).
  • La bicicletta causa ed è oggetto di meno incidenti stradali mortali rispetto a quelli che avvengono a causa del traffico motorizzato.
  • La bicicletta non inquina perché è alimentata dalla forza muscolare umana e aiuta a rimanere in salute perché riduce per le persone il rischio di malattie e fa risparmiare ai sistemi sanitari i costi delle cure.
  • La bicicletta è stata uno strumento dei movimenti di liberazione e resistenza di molti paesi.
  • La bicicletta è un strumento di crescita per l’infanzia perché rende i bambini autonomi e indipendenti.
  • La bicicletta elimina le distanze fra i popoli perché i cicloviaggiatori sono accolti ovunque con favore: la bici è un mezzo che comunica rispetto e avvicina le persone e le culture.
  • La bicicletta “È la chiave di movimento e lettura delle grandi città. Un contributo sociale. E non ha controindicazioni. Fa bene al corpo e all’umore. Chi va in bici, fischietta, pensa, progetta, canta, sorride. Chi va in macchina, s’incattivisce o s’intristisce. La bicicletta non mi ha mai deluso. La bicicletta è sorriso, e merita il Nobel per la pace”. (Alfredo Martini, Marco Pastonesi, La vita è una ruota, Ediciclo, 2014).

Sulla base di queste premesse i conduttori di Caterpillar hanno fatto sul serio e si sono attivati concretamente affinché la causa fosse sostenuta con sondaggi, testimonianze e una raccolta firme ufficiale. Per suggellare poi tale richiesta hanno inviato la ciclista Paola Gianotti in bicicletta da Milano ad Oslo (circa 2000 km) per portare simbolicamente le firme raccolte alla Commissione di candidatura dei Nobel, che le ha accettate.

Ora mi auguro che tale iniziativa non rimanga un mero esercizio di comunicazione e che finalmente alla bicicletta venga riconosciuto l’importante ruolo sociale ed ambientale che effettivamente ha. Oltre alla mobilitazione dei singoli cittadini (vi invito a firmare la candidatura), perché l’obiettivo simbolico del Nobel per la Pace sia raggiunto, è necessario che aderiscano anche tutti gli altri attori della società, in primis la politica.

Il raggiungimento del Nobel per la Pace sarebbe uno strumento importante per dare visibilità a livello planetario alla bicicletta quale mezzo di trasporto, quale mezzo di liberazione dei popoli e dei generi nonché quale strumento fondamentale per la sostenibilità ambientale.

Non vedo l’ora che arrivi l’autunno e che i Nobel vengano assegnati per vedere come andrà a finire…

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(1) Bike the Nobel è un progetto che fa parte della campagna storica di Caterpillar “M’illumino di meno”, dedicata al risparmio energetico e alla produzione di energie rinnovabili. Giunta oramai alla 12esima edizione (si svolgerà oggi 19 febbraio 2016) e diventata molto famosa con l’adesione di numerosissimi enti, personaggi pubblici e cittadini comuni, nel 2016 la campagna M’illumino di meno è stata dedicata anche alla mobilità sostenibile.

 

Le città senz’auto

L’esperimento comunicativo non è nuovo ma, per sensibilizzarci su quanto le auto per il trasporto privato ci rubino spazi, vivibilità e benessere urbano (per non parlare anche della salute), recentemente un gruppo di esperti dell’International Sustainable Solutions ha realizzato una serie di immagini che mostrano la 2nd Avenue di Seattle (USA) in 5 diverse versioni.

1) 200 persone a bordo di 177 auto
2) 200 persone senz’auto
3) 200 persone in bicicletta
4) 200 persone su tre bus
5) 200 persone su una carrozza ferroviaria

The Commuter Toolkit

Sono abbastanza evidenti le differenze.

E le immagini, a pensarci bene, ci fanno capire quanto, sia il nostro spirito di sopportazione che la nostra stupidità, siano inclini ad accettare ingiuste condizioni di esistenza urbana che, con una buona progettualità ed una strategia nuova di mobilità, potrebbero essere enormemente migliorate.

 

1.800 – 189.000 = 750

È da due anni e mezzo che, stufo di pensare che ci debbano pensare sempre gli “altri”, ho deciso di dare una svolta radicale al mio modo di muovermi in città acquistando e usando con regolarità una bici pieghevole. La tengo sempre nel baule dell’auto e la uso, io che abito fuori città, ogniqualvolta mi debba recare nel centro storico di Verona dove si trova la sede del mio lavoro, in cui vado al massimo un paio di volte la settimana.

Qualche pomeriggio fa, mentre pedalavo per percorrere la strada che mi riportava all’auto parcheggiata in periferia, pensavo a quanti chilometri potevo aver percorso con quella bicicletta, a quale fosse l’ipotetico risparmio di inquinamento per il Pianeta (cioè per tutti) e a quale fosse stato il risparmio economico per le mie tasche quale conseguenza della mia scelta.

Quello che ne è uscito dal ragionamento – sarà statala fatica o l’inquinamento che respiravo, mah! – è la formula senza (apparente) senso che riporto nel titolo: 1.800 – 189.000 = 750. Circa 60 km al mese per trenta mesi di utilizzo fa 1.800 km totali percorsi. Tenuto conto di una emissione media bassa di CO2 da parte di un’auto (105 g/km), la mia scelta in questi anni ha risparmiato 189.000 grammi di CO2 (189 kg) in atmosfera, per non parlare di altri possibili inquinanti prodotti dal mio motore a benzina. Ho anche fatto qualche calcolo sul risparmio economico che la mia scelta ha comportato e, tenuto conto che spendevo circa 15 €/mese per i biglietti dell’autobus e circa 10 €/mese per il maggior consumo di carburante, il mio risparmio in questi 30 mesi è stato di circa 750 €. Tenuto conto che la bici, tra acquisto e piccole manutenzioni, mi è costata 550 €, il risparmio netto è già ora di 200 € e continuerà ad aumentare. Si tratta di soldi che posso utilizzare, ad esempio, per comperare prodotti di qualità per la mia famiglia (biologici per gli alimentari o ecologici per gli altri beni), investire in cultura oppure in viaggi.

In buona sostanza, senza fare troppi sforzi – se non quello di pedalare, ma mi fa bene alla salute – sto partecipando attivamente al mio benessere e a quello delle generazioni future, sto sostenendo un sistema economico – quello che ruota attorno al mondo della bicicletta – più sano e sostenibile di altri, sono coerente con le idee che ho della vita e della società praticandole in prima persona.

Ognuno di noi, senza aspettare che ci pensi la politica, la religione, la scuola, la medicina, il datore di lavoro o altri, può essere direttamente l’artefice del cambiamento che vuol vedere nel mondo.

Cosa aspettate allora a cogliere questa magnifica occasione?!

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Foto: Wikipedia

 

L’esperienza di un pendolare folgorato dalla bici pieghevole

Sul numero 140 di “Ruotalibera”, la rivista della FIAB di Verona, è stato recentemente pubblicato un mio articolo sull’uso della bicicletta pieghevole. Eccolo…

“Stanco dei soliti discorsi un po’ “italiani” che vedono le responsabilità e i comportamenti sbagliati sempre negli “altri” e che identificano le soluzioni ai diversi problemi che dovrebbero applicare sempre e solo gli “altri”, un paio di anni fa mi sono chiesto come, concretamente, con comportamenti pratici, avrei potuto limitare l’inquinamento che determinavo attraverso gli spostamenti con la mia auto privata. Capivo che c’era qualcosa che potevo migliorare e ci ho provato!

Per la cronaca vivo a circa 20 km da Verona ma ho la sede del mio lavoro in centro. Se è vero che, per ragioni di lavoro, mi ci reco al massimo solo un paio di giorni alla settimana, è altrettanto vero che per arrivarci o devo parcheggiare lontano e prendere un autobus oppure devo affrontare code e traffico per arrivare ad un parcheggio a pagamento con la preoccupazione, talvolta, di essere a rischio infrazione e di essere punito con una sanzione.

Ho deciso, pertanto, dopo essere rimasto folgorato da una bici pieghevole (folding bike) vista in una vetrina e dopo aver fatto una breve ricerca su internet relativamente a tale mezzo, di affrontare la spesa di circa 500 € e di acquistarne una. Il calcolo che ho fatto è stato sia quello di poter risparmiare dei soldi per il biglietto dell’autobus e dei parcheggi sia quello di poter fare anche un po’ di moto e, perché no, di vedere la mia città con occhi diversi: quelli di un ciclista che è all’aria aperta e che può meglio assaporare monumenti e spazi urbani. L’unico dubbio che mi rimaneva era solo quello di essere esposto all’inquinamento da gas di scarico che anch’io, prima di usare la bici, contribuivo a determinare in modo più rilevante.

Devo dire che dopo due anni il bilancio è assolutamente positivo. Dal punto di vista economico ho praticamente ammortizzato del tutto il costo del mezzo (che, tra l’altro, non ho mai dovuto portare dal meccanico) per minori spese di autobus o parcheggi; dal punto di vista del benessere fisico fare attività fisica aerobica mi fa sentire meglio e, tra l’altro, sono più allenato anche per fare altri sport; dal punto di vista del piacere ho iniziato a notare angoli che non avevo mai notato prima e ho iniziato ad essere veramente libero di muovermi per la pausa pranzo o per commissioni varie; dal punto di vista dell’inquinamento ho letto e ho sperimentato di persona che, in effetti, non è poi così elevato ma che, anzi, è maggiore nell’abitacolo di un’auto. L’unico difetto è rappresentato dal fatto che la città che frequento ama poco i ciclisti e rende loro la vita un po’ difficile – e rischiosa – nei trasferimenti quotidiani. Manca una vera rete di piste ciclabili; mancano regole certe di frequentazione degli spazi urbani e tra i ciclisti (ma anche tra i pedoni) vige una buona dose di anarchia; manca un corpo di polizia specializzato nell’educazione e nella repressione degli illeciti; manca una generale cultura alla sicurezza da parte dei ciclisti che non indossano caschi, non sono sufficientemente illuminati nelle ore serali e utilizzano dei mezzi senza freni e non del tutto efficienti.

Comunque alla bici pieghevole ci ho preso veramente gusto e, piano piano, l’ho iniziata ad usare sia in estate che in inverno, con la pioggerella e con il sole. Inoltre la faccio vedere agli altri con orgoglio e, dopo averne regalata una anche a mia moglie che la sta molto apprezzando, attualmente la tengo sempre nel baule della mia auto e ne vado veramente fiero quando qualcuno, che me la vede montare o smontare nei parcheggi o ai bordi delle strade, mi osserva con curiosità e attenzione. Vorrei dirgli “Fallo anche tu”: è una cosa semplice e veramente rivoluzionaria che, oltre a diminuire l’inquinamento (che rappresenta l’aspetto più importante), porta con sé anche altre interessanti rivoluzioni come quella del sistema infrastrutturale urbano e quella culturale dei cittadini”.

[scarica l’articolo]

 

3 Feet Please

Noi in Italia, dopo un ridicolo “balletto” parlamentare durato un paio di anni non riusciamo a rendere operativo il controsenso per le biciclette mentre in California, dal 16 settembre scorso, è stata approvata una nuova legge che stabilisce la distanza minima che deve essere tenuta dagli automobilisti quando superano le biciclette. Il “Three Feet for Safety Act” – così si chiama la norma – richiede agli automobilisti di lasciare almeno 3 piedi (circa 91 cm) di spazio vuoto quando superano ciclisti che viaggiano nella stessa direzione di marcia. L’obiettivo, pena una sanzione amministrativa che va dai 35 ai 220 dollari, è quello di avere una distanza di sicurezza che impedisca di urtare da dietro il ciclista con lo specchietto retrovisore oppure di metterne in pericolo la sicurezza e la stabilità con lo spostamento dell’aria.

La norma prende spunto dall’idea di un certo Joe Mizereck, promotore della campagna “3 Feet Please”, con la quale qualche anno fa, prendendo spunto dai dati statistici, ha stimolato un dibattito pubblico sull’importanza della sicurezza stradale per i ciclisti e, in particolare, per quando vengono superati dalle auto.

L’obiettivo che ha spinto il legislatore californiano ad analizzare il problema, a verificarne l’applicabilità e ad approvare la corrispondente norma di legge in tempi rapidi, non è solo quello di proteggere i ciclisti adulti ma anche – e soprattutto – quello di proteggere l’incolumità e le vite dei bambini quando vanno a scuola o si spostano per le strade delle città.

Accertata l’effettiva produttività del legislatore californiano (chapeau!) e il suo interesse spassionato per il benessere dei sui cittadini, provate adesso ad immaginare la stessa cosa da noi. Provate ad immaginare che un pinco pallino qualsiasi decida di creare un movimento di opinione su un tema interessante di pubblica utilità. Magari proprio relativo al mondo della sicurezza nella circolazione stradale delle biciclette. Se, per puro caso o per errore dovesse essere diffuso dai media, al di là dell’indifferenza che fa più male dell’ignoranza, ve li immaginate tutti i noiosi discorsi corporativi e di parte di chi cerca di vedere il torbido nella proposta? Di chi interpreta a suo uso e consumo le statistiche? Di chi invoca problemi di viabilità? Problemi di struttura urbana? Problemi per la libertà degli automobilisti? Certo, questi discorsi ci saranno stati anche in California ma poi il legislatore, dati alla mano, elimina il rumore di fondo e decide.

Se vi sta a cuore la questione si fa prima ad andare dall’Italia in California in bicicletta che vedere approvata una tale legge, se mai ciò avverrà.

 

Controsenso per le biciclette

Nel 2012 la FIAB aveva proposto al Ministero dei Trasporti che si consentisse alle biciclette di procedere in “controsenso” nelle strade a senso unico (1) e, tale richiesta, era stata approvata. Ottimo. Perché finalmente ci si rendeva conto e si dava atto che il trasporto e la mobilità in bicicletta non era un giochino per soli appassionati delle due ruote o per bambini che non possono avere altri mezzi a motore, ma si trattava di una cosa seria che, soprattutto per essere sicura (2), doveva essere gestita anche a livello normativo attraverso una modifica seria del Codice della Strada. In più non si faceva nulla di così rivoluzionario perché bastava girare un po’ per le città nel resto d’Europa, soprattutto quella del nord, per vedere che tale pratica del controsenso per le biciclette viene applicata già da tempo (3).

Finalmente, dopo due anni di discussioni in Commissione Trasporti della Camera dei Deputati, la cosa sembrava fatta e ci si apprestava a stappare le bottiglie di champagne oramai impolverate quando, udite udite, su proposta di Scelta Civica (un partito politico che è ancora in Parlamento ma che ha un consenso assolutamente risibile), è stato approvato un emendamento che, di fatto, cancella il controsenso ciclabile.

Il relatore dell’emendamento a favore dell’introduzione del controsenso per le biciclette e portavoce delle istanza della FIAB era stato Paolo Gandolfi (PD) che aveva raccolto in via informale i consensi degli altri membri della commissione circa la votazione. Erano d’accordo tutti ma, poi, lo scorso 4 agosto qualche cosa è andato storto e, sembra a causa di presunte osservazioni da parte dei rappresentanti delle Polizie Municipali e della Polizia Stradale che hanno addotto ragioni di maggiore pericolosità delle strade dove le biciclette procedono in controsenso, quasi tutti i partiti hanno fatto marcia indietro… et voila. Siamo ancora al punto di partenza!

In realtà, da studi condotti a livello europeo, si può osservare che i tassi di incidenti sono molto elevati nelle strade con traffico tradizionale, mentre sono esigui in quelle in cui vige il controsenso per le biciclette. Il motivo di ciò è molto semplice e intuitivo: sulla strada ci sono più utenti, tutti lo sanno in maniera chiara attraverso i cartelli e, di conseguenza, tutti stanno molto più attenti e moderano la velocità.

A me personalmente sembra che più che per motivi di sicurezza la mancata approvazione dell’emendamento sia piuttosto frutto di due ragioni: la lobby molto articolata delle moto/auto che non vuole perdere il predominio sulle strade, anche urbane; l’ignoranza di fondo e la mancata analisi scientifica della politica che si informa poco e che vota più secondo quanto orienta il partito (vedi punto precedente relativo alle lobby) che sulla base della coscienza personale.

Vista la lentezza e l’incapacità di gestire una cosa così semplice come il controsenso per le biciclette, mi vengono i brividi a pensare che questi stessi amministratori pubblici dovrebbero anche decidere su temi ben più importanti e significativi per il nostro benessere futuro come le grandi opere infrastrutturali, l’energia, il cambiamento climatico, il consumo del territorio, l’alimentazione.

Per non pensarci troppo è meglio che vada a farmi un bel giro in bicicletta…

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(1) È ammessa la circolazione in bicicletta nei due sensi di marcia nelle strade a senso unico, su strade larghe almeno 4,25 metri, in zone con limite di 30 km/h, nelle zone a traffico limitato e in assenza di traffico pesante. In sostanza si da’ ai ciclisti la possibilità di procedere nel senso inverso a quello delle auto in strade ben specifiche: aree con limiti di 30 km/h su vie a senso unico sufficientemente larghe e sempre a discrezione del sindaco, in funzione alle esigenze del traffico locale.
(2) Vedi fenomeno del salmoning
(3) Sul palo del segnale stradale di divieto di accesso delle strade ad un senso di marcia viene applicato un cartello integrativo con la scritta “eccetto bici” (vedi foto: Parigi).

 

Auto ibrida ad aria compressa

Vi ricordate della storia dell’auto ad aria compressa che qualche anno fa girava in rete? Che fine avrà mai fatto? Quale oscuro complotto internazionale ne ha determinato la sua scomparsa?

E vi ricordate, ancora, del brevetto dell’auto ad aria compressa acquistato qualche anno fa da un produttore indiano di auto? Che fine ha fatto e che fine ha fatto l’auto economica tanto decantata che avrebbe dovuto rivoluzionare il sistema di trasporto a bassissimo impatto ambientale e a bassissimi costi?

Sembra che adesso un tale progetto, sulla base di un modello di auto prodotta dall’ing. francese Guy Negre, sia stato ripreso da alcuni produttori sardi, ma è ancora tutto molto aleatorio e di nicchia (basta vedere il design delle auto per comprenderlo) tanto che e non mi pare ci siano intenzioni troppo serie nemmeno questa volta di rivoluzionare il mercato del trasporto attraverso innovazioni rivoluzionarie nel sistema di propulsione.

Al di là delle legittime supposizioni legate anche allo spionaggio internazionale e ai complotti industriali che vorrebbero ancora per molto tempo il petrolio quale unica fonte combustibile per i trasporti, rimane comunque ancora una chimera quella dell’auto ad aria compressa che percorre, praticamente gratis, centinaia e centinaia di chilometri mossa solo dall’energia cinetica dell’aria ingabbiata ad elevata pressione in una bombola.

Personalmente piuttosto che scervellarmi sullo spionaggio ritengo che tali auto ad aria compressa abbiano ancora dei problemi tecnici da risolvere (come ad esempio la produzione di ghiaccio) che le rendono buone per le prove, per le fiere o per i lanci pubblicitari ma che poi, alla resa dei conti con i problemi quotidiani della mobilità urbana ed extraurbana, le relegano ancora al ruolo di prototipi.

Dal momento che l’energia cinetica è uno dei pilastri su cui si fonda il sistema naturale, Bioimita ritiene che tale tecnologia, più di quella elettrica, debba essere perseguita e sviluppata per migliorare l’efficienza energetica dei trasporti e per limitare (o, magari, eliminare) l’uso di combustibili petroliferi che, oltre ad inquinare e ad emettere numerosi residui (tra cui la CO2), via via andranno ad esaurimento.

Poiché ritengo che sia altamente improbabile – se mai tecnicamente fattibile – il passaggio immediato alla tecnologia ad aria compressa ma sarà necessario attraversare alcune fasi intermedie, sono rimasto positivamente colpito dall’iniziativa del Gruppo PSA Peugeot Citroën che si è posto come obiettivo, da qui al 2020, che il consumo medio dei suoi veicoli non superi i 2 litri di carburante per 100 km. Per realizzare tale obiettivo la casa costruttrice sembra aver abbandonato la ricerca sull’elettrico e l’ha sostituita con quella sull’aria compressa, chiamandola “Hybrid Air”. In sostanza il gruppo automobilistico francese – che ha depositato ben 80 brevetti internazionali per proteggere il proprio progetto – si propone di mettere in commercio al più presto (entro l’anno 2016) dei veicoli “ibridi” dotati sia di propulsione a scoppio sia di propulsione cinetica ad aria compressa.

Anche se molto simile all’auto ibrida-elettrica nei principi di funzionamento (ricarica della bombola durante la marcia e le frenate, uso dell’aria prevalentemente in partenza e a basse velocità, gestione e distribuzione dei sistemi mediante sistema elettronico), dal punto di vista tecnico la parte “ibrida” non sarà più costituita da motore elettrico + batterie di accumulo ma da un motore idraulico (pompa) + un serbatoio di aria compressa + trasmissione epicicloidale.

Stando a quanto dichiarato dal costruttore con l’Hybrid Air i veicoli potranno circolare in città senza generare emissioni per il 60-80% del tempo, abbattendo i consumi di circa il 45%. Inoltre l’autonomia senza l’uso del motore a scoppio potrebbe aumentare del 90% rispetto ai tradizionali sistemi ibridi-elettrici.

hybrid airIn relazione, poi, ai vantaggi rispetto ai sistemi ibridi-elettrici l’Hybrid Air elimina tutti gli inconvenienti legati alle batterie (costi elevati, durata limitata, peso consistente, oneri di smaltimento, limitatezza delle materie prime) e fornisce, invece, numerosi vantaggi di un sistema prevalentemente meccanico.

La strada verso la piena sostenibilità dei trasporti è e sarà ancora lunga e, magari, non si concluderà proprio e solo con la propulsione ad aria compressa. L’importante è che il settore inizi seriamente a rinnovare una tecnologia obsoleta basata solo sui combustibili petroliferi e metta in campo risorse verso una migliore efficienza energetica e verso sistemi di propulsione che siano il meno impattanti possibile sull’ambiente.

 

Bicicletta: la Francia lancia un piano per incentivarne l’uso

In Francia è in preparazione un nuovo piano per la mobilità ciclistica che dovrebbe concretizzarsi per la fine dell’anno. L’obiettivo primario è e la promozione dell’uso della bicicletta come mezzo di trasporto attraverso l’erogazione di incentivi finanziari e, in secondo luogo, il miglioramento delle condizioni di mobilità per i ciclisti. Per ottenere tale risultato il Governo francese, riprendendo un piano del precedente governo non portato a compimento, ha istituito un Comitato, guidato da Dominique Lebrun, soprannominato “Mr. Velo” (trad. “Sig. Bici”), che avrà lo scopo di valutare le misure necessarie per rendere operativo il progetto. Il Comitato sarà composto da rappresentanti dell’industria, ciclisti e funzionari governativi e opererà per trovare una sintesi tra le diverse esigenze.

Lo strumento principale che verrà messo in campo sarà la creazione di incentivi per chi decide di recarsi al lavoro in bicicletta. La forma non è ancora stata decisa in maniera definitiva ma potrebbe riguardare i datori di lavoro coinvolgendoli nell’erogazione di un bonus economico ai propri dipendenti che decidano di usare la bicicletta per andare al lavoro. Questo sistema di incentivi esiste già in Belgio dove i lavoratori ricevono 21 cent./km di compensazione oppure in Germania dove vengono assegnati premi ai dipendenti che percorrono in bicicletta una certa quota di km all’anno.

Con riferimento, invece, al miglioramento delle condizioni di mobilità per i ciclisti, sono allo studio soluzioni di trasporto intermodale che facilitino l’uso dei treni con le biciclette, la realizzazione di parcheggi sicuri nelle città oppure progetti per migliorare la sicurezza dei ciclisti e la creazione di un codice della strada ad hoc.

Ovviamente l’iniziativa si propone il raggiungimento di importanti benefici economici, ambientali e sociali dal momento che promuove un modo di muoversi all’interno delle città che limita il traffico e l’inquinamento, che costa meno in termini di infrastrutture urbane e che costa meno in termini di persone curate per patologie respiratorie (e non) legate all’inquinamento.

Questo progetto francese si inserisce in un insieme di piani di mobilità innovativi che stanno per essere varati in tutta Europa. L’Italia non sembra (ancora?) particolarmente interessata all’argomento e non è una buona notizia per uno dei Paesi più inquinati e trafficati d’Europa!

Siamo stanchi di vedere che la politica (spesso attraverso un giornalismo complice) parli solo di sé stessa o di questioni marginali rispetto all’interesse collettivo. Vogliamo, invece, che sia un po’ più visionaria ed inizi a decidere su progetti concreti che trasformino questo Paese paralizzato (dalle corporazioni, dall’ignoranza, dalle speculazioni) adeguandolo ai tempi in cambiamento. Se non sapremo cogliere con lungimiranza le opportunità che si aprono all’orizzonte ci potranno essere tempi bui, molto bui!

 

The Copenhagenize Index

Nell’immaginario comune la città più ciclabile d’Europa (e, forse, anche del mondo) è Amsterdam. In effetti tale risultato viene confermato dalla Copenhagenize Design Co., un’organizzazione che si occupa di cultura del ciclismo, di pianificazione urbana, di traffico, di comunicazione nell’ambito del ciclismo urbano e della vivibilità delle città e che, a partire dal 2011, elabora una classifica delle città più vivibili del mondo per gli utenti a due ruote.

The Copenhagenize Index_2013

Nella classifica del 2013 (The Copenhagenize Index) il primo posto è occupato da Amsterdam (con votazione 83), seguita da Copenhagen (votazione 82) e Utrecht (votazione 77). I dati per elaborare tale graduatoria vengono forniti da 400 persone che vivono sparse per le diverse città del mondo e che aiutano a verificare la rispondenza dei 13 criteri utilizzati per la valutazione:

  1. Advocacy: quanto le organizzazioni della città si occupano di mobilità in bicicletta e quale influenza hanno sulla politica locale;
  2. Cultura della bicicletta: quanto la bicicletta viene percepita dai cittadini come mezzo di trasporto;
  3. Infrastrutture per le biciclette: quanto nella città sono presenti infrastrutture specifiche per il trasporto in bicicletta (piste ciclabili, rampe, ponti, spazi sui mezzi di trasporto);
  4. Tasso infrastrutturale per le biciclette: in quale percentuale sono presenti le infrastrutture per la bicicletta;
  5. Programma di bike-sharing: quanto è presente e utilizzato il programma di bike-sharing;
  6. Utilizzo di genere: quanto la bicicletta è usata dalle donne;
  7. Modal share per le biciclette: obiettivi di sostenibilità urbana orientati allo sviluppo della cultura della bicicletta;
  8. Incremento del modal share dal 2006: quanto è incrementata la sostenibilità urbana legata all’uso della bicicletta dal 2006;
  9. Percezione della sicurezza: qual è la percezione della sicurezza dei ciclisti legata all’uso volontario del casco;
  10. Politica: qual è l’atteggiamento della politica locale nei confronti della mobilità in bicicletta;
  11. Accettazione sociale: quanto gli autisti e la comunità in generale considera la mobilità in bicicletta;
  12. Pianificazione urbanistica: quanto l’amministrazione comunale investe nelle infrastrutture ciclistiche e quanto è consapevole delle migliori pratiche;
  13. Limitazione del traffico: quanto l’amministrazione comunale fa nell’ambito della limitazione della velocità delle auto e nella limitazione del traffico per aumentare la sicurezza di pedoni e ciclisti.

Sia nella classifica del 2011 che in quella del 2013 non compare nessuna città italiana! Sarà forse un messaggio per capire che si deve fare subito qualcosa in più e considerare la mobilità in bicicletta e le sue infrastrutture un importante valore socio-economico piuttosto che una parola che riempie solo la bocca in occasione delle campagne elettorali?

Basta solo prendere i 13 criteri ed iniziare ad investire…

 

Bicicletta pieghevole

Da qualche mese mi sono comperato una bicicletta pieghevole che tengo sempre nel bagagliaio dell’auto per gli spostamenti, soprattutto urbani.

Grande esempio di modernità o patetico ritorno al passato?

La bicicletta non inquina. La bicicletta occupa poco spazio. La bicicletta ci dà il dono della lentezza. La bicicletta ci fa ammirare i paesaggi. La bicicletta ci fa fare attività fisica. La bicicletta richiede meno manutenzioni e investimenti stradali. La bicicletta ci dà libertà di movimento.

L’auto, invece…

Bicicletta pieghevole_02

La biciclette viene chiusa (circa 20 sec)

Bicicletta pieghevole_03

La bicicletta chiusa ha le dimensioni di una piccola valigia (80 x 66 x 30 cm)

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La bicicletta sta comodamente nel baule di una Renault Twingo

Bicicletta: Dahon

Il noleggio di auto private

Che l’auto inquini, che intasi di traffico le città e che richieda cementificazione e consumo di territorio per le infrastrutture non è una novità. Anzi.

Che l’auto si “divori” una parte importante del reddito a causa del suo costo iniziale e per il pagamento di tasse, assicurazione e manutenzione è altrettanto chiaro.

Per far fronte alle sempre minori risorse economiche familiari dovute alle conseguenze della crisi economica perdurante si è iniziato, prima in Gran Bretagna e, da poco, anche in Spagna, a noleggiare auto tra privati. Si tratta di un’iniziativa che consente un evidente piccolo guadagno a chi affitta e qualche risparmio a chi prende in affitto, che migliora la sostenibilità ambientale dei trasporti e che consolida le relazioni umane, soprattutto comunitarie.

Il tutto nasce da una semplice constatazione: un’auto – soprattutto quelle appartenenti agli abitanti delle città – circola in media 4,6 ore alla settimana e rimane parcheggiata per il 96% del tempo. Una tale inefficienza, a cui può essere facilmente attribuito un valore monetario, se la può permettere solamente chi ha un reddito elevato e costante. Se quest’ultimo declina o diventa incostante ecco che determina inevitabili tagli ai costi che si riflettono anche sul possesso dell’auto privata o sulla modifica delle caratteristiche dello stesso.

Per venire incontro a tali esigenze nel Regno Unito è nata la Whipcar, una società che attraverso il web e dietro il pagamento di una commissione del 15%, collega la domanda (di noleggio di auto) all’offerta (di chi ne ha bisogno). Sulla scia di Whipcar è nata la spagnola Social Car che conta su un nutrito parco auto e di utenti. L’affitto costa circa 35 € al giorno e può rendere al proprietario fino a 350 € al mese.

La crisi economica viene sempre demonizzata per le sue conseguenze negative ma, al di là degli evidenti impatti sociali per i quali vi devono essere degli ammortizzatori, la crisi porta con sé anche delle interessanti idee.

Questa dell’auto privata in affitto è sicuramente una di queste perché ci libera della sua funzione di status symbol, ci concentra più sulla robustezza e sulla riparabilità che sul design e sui gadget tecnologici, ci fa capire che le auto private possono costituire anche una rete di trasporti collettivi.

La strada verso un nuovo sistema di trasporto privato si sta delineando. Le case automobilistiche che saranno in grado di coglierla, magari gestendo in proprio tutta la rete del noleggio, della manutenzione e dei servizi di condivisione, saranno in grado di sopravvivere alla crisi che nel loro settore, in Europa, le ha più duramente colpite rispetto ad altri settori. Saranno in grado inoltre di essere artefici di un cambiamento epocale che potrà dare un importante contributo alla sostenibilità ambientale di un settore che, sino ad ora, aveva inciso in questa direzione solo limitatamente investendo più sul green marketing che sullo studio di reali soluzioni alternative.

La mia auto è pronta in strada per la conidvisione. E la vostra?

Fonte: Internazionale” del 05.10.2012

Foto: Eco in città

Rotatorie

Rotatoria

Da qualche anno spuntano come funghi nei punti di contatto delle vie di comunicazione. Sempre più numerose e sempre più brutte e improbabili dal punto di vista estetico. È sufficiente percorrere una qualche strada secondaria per vedere – negli spazi interni alle rotatorie – vigneti, leoni di bronzo, giardini (pseudo) zen, sculture moderne, selciati nei materiali più disparati, cartelloni pubblicitari e luci… luci… luci…

Si tratta delle rotatorie, viste da amministratori pubblici, da progettisti e dagli utenti della strada come una manna per rendere più fluido e meno pericoloso il traffico.

A guardarle bene, però, le rotatorie non rappresentano affatto un elemento positivo perché dove sorgono indicano un nodo nel flusso, un elemento negativo del sistema di trasporto delle persone e delle merci che una buona amministrazione del territorio non avrebbe dovuto far nascere. Le rotatorie sono solo la medicina ad un sintomo che non cura la malattia, cioè un sistema di trasporto sostanzialmente individualista basato su una grande disponibilità di energia a basso costo, poco efficiente ed estremamente dispendioso.

Tutto ciò non ha nulla a che fare con la bioimitazione che, invece, imporrebbe di ragionare a monte della rotatoria, in termini di flussi, di mezzi e di efficienza energetica. Le soluzioni alla rotatoria, pertanto, sono numerose e possono essere apprese sia dalle civiltà del passato che avevano minore disponibilità di energia sia da alcuni animali di comunità, come le api o le formiche. Esse vanno dall’incremento del trasporto collettivo con mezzi più sostenibili dal punto di vista energetico fino ad arrivare ad una nuova pianificazione urbanistica più compatta oppure ad una accettazione del telelavoro che limiti i movimenti inutili e non necessari delle persone.

Ne gioverebbe di più l’ambiente ma, sono convinto, anche il benessere delle persone.

Foto: Wikipedia

Non chiamiamola auto ecologica, please!

La parola d’ordine per chi vuole vendere un’automobile in questi anni di grande crisi economica è: «ecologica». Seguita, in ordine di importanza, da «CO2», «basse emissioni» «basso consumo» e «ambiente».

Nessun venditore o direttore marketing può prescindere da tale concetto. E, difatti, una statistica molto empirica che prenda come riferimento la televisione, la carta stampata, la radio nonché la frequentazione degli autosaloni d’Europa non può far altro che confermare questa affermazione. Ovunque si vede e si sente parlare di ciò!

Ciò che desidererei osservare su tale fenomeno è il fatto che le informazioni fornite sono, nella realtà dei fatti, in massima parte fuorvianti per l’acquirente e che, in effetti, nessuna automobile attualmente in commercio può definirsi veramente ecologica. Questo anche se i produttori hanno sviluppato, nei tempi, tecnologie che consentono effettivamente minori emissioni di gas di scarico e maggiore efficienza nella gestione dell’energia. Si tratta comunque di minimi risultati rispetto al vero obiettivo incarnato dal concetto di “ecologia”, cioè lo scarso o nullo impatto sull’ambiente dell’uomo e delle sue attività per salvaguardare le risorse a favore anche delle generazioni future.

Sulla base di tali osservazioni ecologica sarebbe, allora, quell’auto che non usa la combustione, diretta del motore a scoppio o indiretta per la produzione elettrica, quale energia di propulsione.

Ecologica sarebbe quell’auto che prevede parti o materiali provenienti da fonti rinnovabili ma, soprattutto, facilmente riparabili, riutilizzabili e, solo in casi limite, riciclabili.

Ecologica, infine, sarebbe quell’auto che non richiedesse la proprietà (e l’uso) individuale ma che basasse la propria funzione sul servizio di trasporto, magari collettivo.

La strada per ottenere automobili ecologiche è, quindi, molto più tortuosa e in salita rispetto a quella che ci è proposta dal marketing. Si tratta, in sostanza, di ripensare il settore nella sua totalità lavorando, in più, anche sulle abitudini di fondo dei cittadini e utilizzatori del trasporto.

Il risultato, però, potrebbe essere veramente nuovo e gli obiettivi della sostenibilità ambientale, nonché del trasporto per tutti (anche per i paesi poveri), potrebbero essere realmente raggiunti.

Foto: Hajo de Reue