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Cosa non va nel riciclo della carta
Qualche tempo fa, mentre mi trovavo a Roma per lavoro, passo davanti ad un ufficio e rimango colpito da una persona che sta mettendo minuziosamente dei pezzi di carta in un sacchetto di plastica. Cosa inusuale per il suo lavoro di impiegato commerciale. Alla mia comprensibile curiosità mi viene risposto che sta “semplicemente” preparando la carta da portare a casa e da avviare al riciclo perché non è convinto che in azienda la separazione dei rifiuti venga ben fatta o, addirittura, non venga fatta per nulla nonostante si tratti di una multinazionale dotata di protocolli e rigide procedure interne nonché di certificazioni internazionali di ogni tipologia e grado.
Io, che sono particolarmente sensibile alla materia, cerco di approfondire la questione (magari ne viene fuori anche un bel articolo per Bioimita…) e scopro che per lui comportarsi in questo modo è una cosa assolutamente normale ma non viene ben visto dai colleghi che, quasi quasi, lo deridono per la piccola perdita di tempo e per la sensibilità un po’ troppo eccessiva (se non stupida) rispetto ad un problema secondario del lavoro o della vita come la gestione dei rifiuti prodotti sul lavoro. In effetti ci sono gli addetti alle pulizie che hanno il compito di liberare i cestini dai rifiuti a fine lavoro. Se, poi, non li avviano al previsto riciclo e li mescolano che vuoi che sia. Non cascherà mica il mondo!
Ragionando in seguito e con calma sull’episodio (mentre mi sto addormentando in albergo, tanto che devo prendere un foglio di carta e una penna dal comodino per appuntarmi le idee) penso che, in ambito lavorativo, per ogni persona che abbia questa spiccata sensibilità per il problema del riciclo dei rifiuti e della sostenibilità ambientale, ce ne siano purtroppo almeno 50 (o, forse, anche 100) che non si pongono affatto il problema o che, se se lo pongono, se lo pongono in maniera troppo superficiale e non fanno quasi nulla di concreto per risolverlo.
L’episodio è anche la dimostrazione evidente che un sistema basato sul continuo consumo delle materie e sulla conseguente produzione di rifiuti (anche se da avviare al riciclo) non può essere risolto solo dal punto di vista organizzativo e tecnico e non può prescindere dal comportamento e dalla cultura degli esseri umani-cittadini.
Il riciclo dei rifiuti, per funzionare veramente e per garantire una duratura sostenibilità ambientale come ci viene da più parti sbandierato, deve essere molto vicino al 100%. Cioè, all’interno della filiera, dovrebbero essere correttamente smaltiti tutti i rifiuti prodotti senza errori. Nessuno può permettersi di sbagliare contenitore e nessuno può permettersi di sbagliare le procedure. Mentre invece, come si sa, c’è sempre chi è “distratto” e sbaglia bidone; c’è chi è menefreghista e qualche volta si “dimentica”; c’è chi, come gli operatori della raccolta, non è attento sul lavoro. E chi più ne ha più ne metta…
Dal momento che il riciclo dei rifiuti non è adeguato quale strumento per garantire sostenibilità ambientale duratura perché è troppo influenzato da variabili comportamentali che è estremamente difficile poter orientare verso la direzione voluta, è allora necessario che in quest’ambito, cioè quello del fine vita dei prodotti, si operi a livelli diversi in modo tale da escludere il più possibile scelte troppo razionali e consapevoli da parte degli utenti.
In particolare è necessario che il sistema tecnocratico (la politica) e la forza critica dei consumatori spingano il sistema produttivo a farsi carico di riconsiderare la produzione riprogettando i beni nell’ottica finale della NON produzione dei rifiuti attraverso una maggiore riparabilità, il riuso tal quale delle parti e delle materie e, solo alla fine, il trattamento degli stessi attraverso il riciclo. In quest’ottica il sistema produttivo deve iniziare a ragionare che il rifiuto, così come lo abbiamo conosciuto fino ad ora da avviare all’incenerimento, alla discarica o, se va bene, al riciclo, non deve più esistere.
Ce lo mostra la natura che funziona in questo modo e ce lo chiede il futuro dei nostri figli.
Terme ecologiche
Qualche giorno fa ho terminato un ciclo di terapie inalatorie presso le Terme di Sirmione per tentare di combattere (o almeno di alleviare) con meno medicinali possibile i sintomi di una presunta fastidiosa allergia. Non l’ho ancora accertato con precisione ma, dal momento che non è stagionale, molto probabilmente si tratta di allergia agli acari della polvere o al pelo di gatto (il mio si rotola e ronfa un po’ ovunque in casa e si è “preso” spazi che qualche anno fa non si sognava neppure).
Da buon osservatore sulle problematiche ecologiche (non smetto di farlo neanche quando l’acqua calda mi viene sparata nel naso o quando devo respirare a pieni polmoni un aerosol bollente di acqua sulfurea) posso dire che il centro che ho frequentato si dà da fare sul tema. Tra gli aspetti positivi dal punto di vista ambientale che ho potuto notare di persona (altri ce ne saranno che non ho visto) posso elencare:
- la presenza di pannelli fotovoltaici con indicazione puntuale dell’energia prodotta e della CO2 non emessa in atmosfera (Foto 1);
- la presenza di bidoni per la raccolta differenziata sparsi un po’ ovunque con l’indicazione chiara e precisa della tipologia di rifiuto da conferire;
- la fornitura dei dispositivi per le cure (nel mio caso mascherina per l’aerosol e strumento per i lavaggi nasali) non usa e getta ma da riutilizzare fino alla fine della cura (Foto 2);
- l’utilizzo dei fazzoletti e dei rotoli di carta usa e getta prodotti da carta proveniente dalla raccolta differenziata.
Al di là degli elementi virtuosi l’aspetto su cui desidero prestare l’attenzione e prendere come spunto per fare un ragionamento più ampio in materia di sostenibilità ambientale è un elemento che può sembrare apparentemente banale nell’insieme dell’attività termale, ma che si offre come sponda per far luce sulla vera causa dei problemi ecologici che stiamo continuamente affrontando senza mai giungere ad una vera conclusione della questione. In buona sostanza la stragrande maggioranza dei numerosi clienti/pazienti che ho avuto modo di vedere nelle sale delle cure dopo ogni seduta si toglieva la grande bavaglia di carta e plastica che veniva loro fornita per proteggere il collo e i vestiti da eventuali schizzi di acqua calda, la appallottolava con noncuranza e la gettava in un bidone a caso tra quelli ben segnalati per la raccolta differenziata dei rifiuti. Io, invece, la tenevo per tutta la sessione quotidiana di cura che comprendeva tre diversi trattamenti. Quello che mi colpiva nel loro atteggiamento e nei loro gesti era la totale noncuranza di capire che la bavaglia poteva anche non essere inutilmente gettata di volta in volta ma poteva assolvere egregiamente al proprio compito per più trattamenti.
Quello che desidero osservare con queste considerazioni è il fatto che il raggiungimento della sostenibilità ambientale passa inevitabilmente attraverso due macroaree di azioni che operano congiuntamente e che non possono essere efficaci da sole. Da un lato vi sono gli interventi di natura tecnica, gli investimenti, le soluzioni e, dall’altro, vi sono i comportamenti umani.
Se i primi possono essere imposti dalle leggi o possono essere promossi dalla ricerca del risparmio e dell’efficienza, mi chiedo chi si occupa dei secondi? Chi si deve sobbarcare l’onere – e, spesso, le delusioni – di educare le persone? Se non si provvederà a farlo al più presto si rischierà seriamente di non raggiungere mai gli obiettivi prefissati e di continuare a girare infinitamente in tondo. Come un cane che cerca di mordere la sua coda!
Ragioniamo per paradossi
Ragioniamo per paradossi e ipotizziamo che, oggi, almeno metà degli italiani abbia buttato un foglio di carta A4 da 80 g nel cestino della raccolta indifferenziata (1). Qualcuno lo ha fatto di proposito, qualcuno non ci ha pensato più di tanto. In tutto fa circa 30 milioni di fogli per un totale di 240.000 Kg di carta che, anziché finire in un centro di riciclaggio per il recupero della cellulosa, finisce in un inceneritore o in una discarica.
Se, poi, questa proporzione si dovesse ripetere tutti i giorni dell’anno si parlerebbe di 87.600.000 (87 milioni circa) annui di Kg di sola carta proveniente dal mancato riciclo di un foglio per persona.
A pensarci bene, avendo ben chiaro cosa siano 87 milioni di chilogrammi, fa venire i brividi! E dimostra, con limpida chiarezza, che il concetto del riciclo dei rifiuti è ambientalmente sostenibile solo a livello teorico. Purtroppo nella pratica questa operazione si scontra con troppe variabili (la cultura, la mancanza di sensibilità, l’inerzia della politica, l’assenza di un servizio pubblico di raccolta, la pigrizia) che vanificano gli sforzi dei cittadini virtuosi e che non fanno ottenere risultati concreti di recupero delle materie e di eliminazione delle discariche e degli inceneritori.
Sarà che dietro i rifiuti – e dietro la loro filiera fino ad arrivare al loro incenerimento – ci sono troppi interessi economici ma è chiaro che il sistema del riciclo ha un pieno valore ecologico solo se funziona come un orologio svizzero. Altrimenti sono solo chiacchiere!
Sì è vero, dirà qualcuno, che ogni anno si recuperano milioni di tonnellate di quella materia o di quell’altro prodotto e le cifre aumentano di anno in anno. Ma perché questo abbia un valore concreto a livello di sostenibilità ambientale deve essere pari al totale. Oramai la pratica del riciclo dei rifiuti è in campo da parecchi decenni e se non è ancora arrivata al livello del 100% significa che, in fondo, c’è qualcosa che non va!
Una possibile soluzione alternativa dovrebbe essere quella di mettere in campo idee e soluzioni nuove. A partire dalla semplice formazione dei cittadini casa per casa, per passare dalla dismissione delle cave e degli inceneritori con lo scopo di dare vita a centri di recupero totale del materiale, fino ad arrivare alla riprogettazione dei prodotti, dalle materie che li compongono alla facile separabilità delle stesse a fine vita.
Purtroppo i tempi cominciano, per mille ragioni, ad essere stretti e non è più tempo di buttare al vento parole… parole… parole…
(1) osservando i comportamenti negli uffici di varie città d’Italia che frequento in qualità di consulente, secondo me le quantità sono molto più elevate rispetto a quelle ipotizzate.
Foto: aliceandmyworld
Il rito quotidiano
È una delle cose più naturali per gli esseri viventi. Una funzione corporale inevitabile che consente, direttamente, l’eliminazione di pericolosi “rifiuti tossici” e, indirettamente, l’arricchimento dei terreni per una crescita rigogliosa di alberi e fiori.
Peccato, però, che in un “rito” quotidiano (per i più fortunati) così apparentemente innocuo e insospettabile si possa nascondere un rischio, anche grave, di natura ambientale che supera, in termini di impatto, addirittura quello dei SUV ingolla-petrolio, delle emissioni di metano dei bovini, degli scarichi dei motori dei jet.
La colpa è attribuibile all’abitudine di americani, europei e asiatici (ma l’emulazione da parte di due miliardi tra cinesi, indiani e africani è sempre dietro l’angolo) di coccolare le loro parti intime con enormi quantità di carta igienica sempre più soffice e prodotta con fibre di pura cellulosa derivanti dall’abbattimento di importanti foreste, anche secolari, sparse in tutto il mondo.
Una pugnalata al cuore per la nostra grande Madre Terra vista l’evidente perdita di massa vegetale in grado di assorbire CO2 e di regolare il clima di importanti aree del pianeta, nonché la meno evidente, ma altrettanto reale, perdita di biodiversità e di patrimonio genetico animale e vegetale.
Per il suo bene e per la nostra sopravvivenza ci potremmo accontentare, senza troppi sforzi, di carta igienica riciclata lievemente più ruvida, magari non arricchita di inutili lozioni emollienti e profumi chimici. Anzi, potremmo riscoprire e rielaborare tecnologicamente anche l’acqua che già alcune culture del passato avevano ampiamente utilizzato quale importante strumento di igiene personale.
In fin dei conti, nonostante le nostre radicate abitudini dure a morire, potrebbe non essere poi un sacrificio così terribile!
Grazie Natural Lucart
“Niente si disperde se tutto si ricicla!”
È questa l’idea da cui, prendendo spunto dalla sua lunga esperienza nella produzione di carta riciclata, è partita la cartiera della Lucart Group per realizzare i prodotti Grazie Natural. L’obiettivo, in particolare, era quello del riciclo e del recupero della materia dai contenitori di Tetra Pack.
Un normale contenitore di Tetra Pack è composto, per i 3/4 del suo peso, da fibre di cellulosa. Attraverso un processo di separazione meccanico queste ultime vengono separate dal resto dei componenti: l’alluminio e il polietilene. Inoltre, al fine di evitare l’uso di agenti chimici per la sbiancatura o coloranti il prodotto finito presenta una colorazione naturale.
I prodotti Grazie Natural Lucart sono prodotti per l’igiene, carte igieniche, fazzoletti e asciuga tutto e sono sottoposti a rigidi criteri di qualità previsti dalle certificazioni ottenute da Lucart Group (Ecolabel, Emas, ISO 14001, ISO 9001, test dermatologico).