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Che fine sta facendo lo zinco?

La miniera irlandese Lisheen (che produce 170 mila ton/anno di zinco) fermerà l’attività estrattiva nel 2014. La miniera Century, in Australia, (che estrae 500 mila ton/anno), chiuderà nel 2016. Alcune miniere in Canada (Brunswick e Perseverance) sono state già chiuse e altre, in Sudafrica (Skorpion) e in Polonia (Pomorzany-Olkusz), chiuderanno entro i prossimi tre anni. Al posto di queste mega-miniere che si sono esaurite e che producevano 1,7 milioni di ton. di zinco annue che costituivano l’11% dei consumi mondiali, stanno per entrare in produzione giacimenti più piccoli, con il risultato di un forte calo dell’offerta di tale metallo.

Tale disequilibrio tra la domanda e l’offerta del minerale provocherà un suo inevitabile aumento di prezzo che, secondo alcuni analisti, arriverà addirittura a raddoppiare entro qualche anno. Infatti attualmente una tonnellata di zinco costa 1.865 dollari, ma si stima che il suo valore sarà di circa 3.500 $/ton. nel biennio 2016-2018 (1). Per tale ragione tra le multinazionali minerarie, le fonderie e, in particolare, la Cina (2) che deve sostenere la propria industria e la costruzione delle proprie infrastrutture, si sta consumando una corsa e una lotta senza quartiere per accaparrarsi le ultime riserve di questo metallo strategico, il cui esaurimento, da parte dell’USGS (United States Geological Survey), è previsto intorno all’anno 2024.

La corsa alle ultime tonnellate facilmente estraibili di zinco sta già spingendo colossi nel campo minerario come l’anglo-svizzera Glencore Xstrata, la belga Nyrstar e la cinese Ming ad investire nell’apertura di nuove miniere. Inoltre, da un lato gli australiani stanno facendo nuove prospezioni geologiche in Groenlandia, mente, dall’altro lato, giacimenti chiusi da anni stanno per essere riportati in funzione come diretta conseguenza dell’aumento dei prezzi, che consente di rientrare economicamente dagli elevati costi di estrazione.

La causa dell’importanza dello zinco per il sistema economico che giustifica l’enorme sforzo da parte delle compagnie minerarie e delle nazioni per ottenere concessioni allo sfruttamento del sottosuolo e all’apertura di nuove miniere, risiede nel fatto che esso, tramite un processo di zincatura che lo fa aderire alla superficie dei manufatti di acciaio, serve a rendere quest’ultimo meno attaccabile dalla ruggine, cioè dall’ossidazione.

Quanto descritto più sopra, allora, mi fa sorgere una semplice domanda: cosa faremo quando lo zinco non sarà più facilmente disponibile? Come proteggeremo a basso costo i nostri manufatti in acciaio e le nostre infrastrutture dal degrado dovuto all’ossidazione? Purtroppo anche la risposta è abbastanza semplice e dimostra la follia insita nel nostro sistema usa e getta che vuole tutto subito e che manca di un briciolo di lungimiranza per garantire le stesse nostre attuali condizioni di vita per le generazioni del futuro.

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(1) Gli analisti stimano il raddoppio del prezzo dello zinco nonostante il fatto che, quest’anno, il prezzo dello stesso al London Metal Excange (la più importante piazza finanziaria al mondo per i metalli non ferrosi) sia calato del 15% a causa di un surplus di produzione valutato in 110-120 mila tonnellate e il fatto che l’ILZSG (Gruppo internazionale di studio su piombo e zinco) non mostri alcun segnale di preoccupazione.

(2) La Cina, che è il principale costruttore di auto al mondo, utilizza una processo di zincatura dell’acciaio che ha un contenuto di metallo di tre quarti inferiore rispetto agli standard occidentali. La bassa qualità dello zinco impiegato – più facilmente intaccabile dalla ruggine – è anche una delle cause che impedisce alle auto cinesi di essere vendute all’estero. Il problema dello scarso contenuto di metallo nella fase di zincatura dell’acciaio cinese è così sentito da Pechino che la televisione di Stato Cctv ha di recente dedicato un servizio alla ruggine che attacca le auto prodotte in Cina e, inoltre, corrode i ponti.

 

E se finisse il ferro?

Il dibattito sull’approvvigionamento e sull’incremento dei prezzi di questi ultimi anni delle principali fonti energetiche – petrolio e gas naturale – ha posto l’attenzione anche sulle dinamiche di altre materie prime, soprattutto metalli, prima non molto considerate dall’opinione pubblica in termini di flussi commerciali, tranne che nell’ambito molto ristretto delle speculazioni finanziarie.

L’analisi approfondita delle materie prime richieste dall’industria, l’aumento dei loro prezzi sul mercato mondiale, la loro nuova distribuzione geografica in termini di utilizzo attualmente orientata più verso est (Cina e India) che non verso l’Europa o l’America del Nord, ha fatto emergere un aspetto nuovo e, da un certo punto di vista, dirompente: le risorse cominciano ad essere scarse e, viste le riserve stimate e l’attuale ritmo di consumo crescente, molte di esse sono destinate ad esaurirsi entro breve tempo.

Ciò fa aprire una fase nuova nella storia dell’uomo moderno, che deve cominciare a misurarsi, prima, con la scarsità di risorse che credeva pressoché illimitate e, poi, con la loro scomparsa (per scopi industriali, naturalmente) dalla Terra.

In base alle dichiarazioni del USGS (United States Geological Survey), da qui ai prossimi 80 anni – ma molte materie si esauriranno prima del 2050 – dovremmo fare i conti con l’esaurimento dei ben conosciuti argento (anno 2021), oro (anno 2024), stagno (anno 2026), piombo (anno 2028), mercurio (anno 2033), rame (anno 2034), ferro (anno 2057), alluminio (anno 2074) e dei meno conosciuti ma altrettanto importanti per il mantenimento del nostro benessere: stronzio, cadmio, manganese, nichel, tungsteno e molti altri.

Sia ben chiaro che alle date presunte di esaurimento le materie non scompariranno come scompare il coniglio dal cilindro del mago. Esse, in quelle date, non saranno più economicamente cavabili dalle miniere, saranno all’interno di prodotti già presenti nel Sistema o saranno sepolte nelle discariche con i prodotti oramai diventati rifiuti. Quello che è abbastanza pronosticabile è che, dal loro esaurimento, esse non potranno più essere economicamente utilizzate nelle tecnologie di produzione dei beni. E ciò, se non si ha un’alternativa, non è il massimo!

Al di là dei vari proclami che enfatizzano l’onnipotenza della tecnologia nella soluzione di tutti i problemi – compreso quello della scarsità od esaurimento delle risorse – ciò che emerge con certezza da tutto ciò è che l’unica soluzione praticabile sia quella di iniziare da subito il percorso verso la riprogettazione del sistema economico e produttivo nonché del sistema di produzione dei prodotti verso la strada della sostenibilità ambientale. Perché il sistema economico e produttivo non deve più essere legato solo allo scambio e al consumo della materia e delle merci ma deve dare più valore al lavoro e alla qualità. Perché il sistema di produzione deve iniziare a progettare i beni con un minimo uso delle materie, con la totale loro riutilizzabilità e riciclabilità a fine vita basando il tutto sul principio dell’efficienza.

Solo così si potrà garantire la salvaguardia delle materie prime e la loro disponibilità alle generazioni future a cui, invece, per ora, stiamo solamente garantendo una pesante eredità di scarsità e che, al fine di soddisfare solo la nostra avidità, ignoranza e stupidità, esse non meritano!

Tempi esaurimento risorse | Fonte: Bioimita.it

Foto: Wikipedia