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Prodotti biologici: garanzia di assenza di pesticidi o trovata commerciale?!
L’Azienda Sanitaria di Firenze ha pubblicato sul proprio sito internet un’interessante tesi di laurea del corso di “Tecniche della prevenzione nell’ambiente e nei luoghi di lavoro” di Arianna Ugolini dal titolo: “Prodotti biologici: garanzia di assenza di pesticidi o trovata commerciale?!”
Il lavoro, dopo aver ampiamente e chiaramente spiegato le caratteristiche dei prodotti fitosanitari in agricoltura e la loro classificazione, ne ha esaminato – focalizzandosi particolarmente sui composti organofosfati (1) – i possibili effetti sulla salute e ha spiegato le regole per un corretto impiego degli stessi nella Regione Toscana, concentrandosi anche nel valutare quali siano i limiti massimi accettabili negli alimenti.
L’obiettivo, visto il corso di laurea, era principalmente quello di capire se sia possibile fare un’azione di prevenzione nei riguardi dei composti organofosfati da parte dei consumatori attraverso il consumo di prodotti biologici oppure se tale prevenzione, in relazione alle caratteristiche e alle contaminazioni degli alimenti, sia del tutto ininfluente nei confronti del loro stato di salute in generale.
L’idea di realizzare questo studio, come osserva l’autrice nella Premessa della sua tesi, nasce dalla lettura di due articoli, antitetici nel loro contenuto. Il primo, tratto dal sito internet Il fatto alimentare, datato 25 febbraio 2015 e intitolato “Consumare biologico fa bene alla salute. Meno pesticidi nell’organismo. Pubblicato il primo studio che evidenzia l’accumulo” afferma che chi consuma abitualmente frutta e verdura biologiche espone il suo organismo a minori quantità di pesticidi ed erbicidi rispetto a chi mangia vegetali coltivati con i metodi convenzionali. E questo risulta particolarmente importante per i composti organofosfati. L’altro testo, tratto dalla rivista Altroconsumo e intitolato “Biologico, c’è chi dice no. La nostra inchiesta” dell’11 settembre 2015, assieme alla risposta alle discussioni suscitate, “Inchiesta bio: alimenti biologici e convenzionali, il confronto”, pubblicata sempre da Altroconsumo il 4 ottobre 2015, in maniera molto dubbiosa vuole invece porre in discussione l’idea che il biologico sia migliore del convenzionale, elencando i punti a favore e quelli contrari, allo scopo di informare correttamente il consumatore e consentirgli di fare corrette scelte alimentari.
Per arrivare alle proprie conclusioni la ricercatrice ha effettuato dei campionamenti sugli alimenti e sull’acqua piovana mirati a verificare, in essi, i residui di fitofarmaci. I rilievi sono stati effettuati su 4 principali canali di produzione/distribuzione:
- coltivatori non biologici
- coltivatori biologici non certificati
- negozi specializzati
- negozi della grande distribuzione (GDO).
Per fare ciò la ricercatrice ha utilizzato il kit BioPARD, Pesticide Analytical Remote Detector, che si basa su un sistema di sensori associato ad un rivelatore elettrochimico per la determinazione rapida di pesticidi organofosforici e carbammici in campioni di cibo, acqua e suolo. Il kit permette solo una valutazione fondamentalmente qualitativa (presenza/assenza di pesticidi) e non quantitativa (se non per una discriminazione di massima tra valori quantitativi definiti “High” e valori più bassi definiti “Medium”, mentre con valori “Low” s’intende l’assenza o la presenza in minime tracce di residui) di pesticidi organofosforici e carbammati. Sulla base di questa discriminazione di massima (High; Medium; Low) Arianna Ugolini ha poi elaborato dei grafici riassuntivi che hanno fornito, in linea di massima, i seguenti risultati: i prodotti biologici sono risultati “High” per circa il 63%, “Medium” per circa il 13% e “Low” per circa il 23%. i prodotti convenzionali sono invece risultati “High” per circa il 90%, “Medium” per circa il 10%; i due campioni di acqua piovana provenienti da Scandicci centro e Ginestra Fiorentina sono risultati rispettivamente “Medium” e “Low”.
Le conclusioni di questo interessante lavoro (Tabella A) arrivano ad affermare che, dal lato della produzione, la certificazione biologica fornisce, in generale, migliori prodotti di quella convenzionale anche se non in assoluto. I prodotti migliori sono infatti quelli che provengono dalle coltivazioni biologiche non certificate. Dal lato della commercializzazione e distribuzione dei prodotti attraverso il canale della grande distribuzione non ci sono invece differenze sostanziali tra prodotti biologici e prodotti non biologici.
Quanto di inaspettato emerge dalla tesi di laurea è un fatto molto interessante, da non sottovalutare nelle scelte alimentari e negli studi della sostenibilità ambientale e alimentare del futuro. La certificazione biologica non è in assoluto uno strumento per misurare la qualità dei prodotti (dal punto di vista dei residui chimici) e la qualità dei prodotti consumati è tanto più elevata quanto più il produttore è consapevole dal punto di vista etico della propria scelta colturale “ecologica”. Questo indipendentemente dall’ottenimento o meno della certificazione biologica. In buona sostanza lo studio osserva che coltivare bene i prodotti agricoli è una scelta chiara e netta operata da parte del produttore e chi produce prodotti biologici solamente per fare più soldi o perché il mercato va in quella direzione, non necessariamente è in grado di immettere sul mercato prodotti di qualità. Come, per altro, chi certifica non è in grado di garantirlo sempre.
Estendendo queste conclusioni nel terreno della bioimitazione ne deduco anche che la sostenibilità ambientale non è – come ci vogliono far credere – solo un processo tecnico-economico che consente di far profitti in modo diverso. Così non funziona e non funzionerà mai! La sostenibilità ambientale è solamente un processo filosofico, del pensiero prima di tutto, che fa concepire la Natura come un tutt’uno, un insieme di processi complessi, nei confronti della quale non è sufficiente che mutiamo l’approccio tecnico-operativo, ma verso la quale dobbiamo mutare radicalmente il nostro modo di pensare consapevoli che nella partita della sostenibilità ambientale dobbiamo essere anche disposti a perdere molto. Altrimenti non funziona!!!
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La tesi di laurea di Arianna Ugolini è liberamente scaricabile qui.
(1) Ai composti organofosfati sono associati a diversi effetti negativi sulla salute umana, sia di tipo acuto (tremori, cefalea, difficoltà respiratorie) che cronico (disturbi neurologici, ansia), nonché, per quanto riguarda l’esposizione in gravidanza dei feti ritardo mentale, basso quoziente intellettivo e altro. Da uno studio condotto tra il 2010 e 2012 da parte dei ricercatori della School of Allied Health Sciences dell’università di Boise in Idaho, è risultato che esiste una relazione dose-dipendente tra consumo di alimenti non biologici e presenza di composti organofosfati nelle urine. (http://www.ilfattoalimentare.it/pesticidi-frutta-verdura-biologica.html).
Food Inc.
Se desiderate vedere quali potranno essere, di fatto, le conseguenze dell’Accordo TTIP (Transatlantic Trade and Investment Partnership o Partenariato Transatlantico per il commercio e gli investimenti-trad.) mettetevi comodi sulla sedia o sul divano per circa 90 minuti e godetevi il documentario “Food Inc.” allegato.
Al di là dei fiumi di parole che si potranno spendere sull’argomento, sia pro che contro, non c’è alcun dubbio che l’accordo in oggetto è una manovra messa in campo da parte delle (poche e sempre meno numerose) multinazionali del cibo per conquistare nuovi mercati attraverso l’industrializzazione spinta dello stesso. Chi vi dirà che il TTIP favorirà le produzioni locali e biologiche si sta prendendo solo gioco di voi.
Buona visione…
Per info: Campagna Stop TTIP (it); STOP TTIP (en)
Perché non andrò all’EXPO
Qualche giorno fa mentre salutavo alcuni amici sulla soglia di casa e si facevano gli ultimi discorsi parlando del più e del meno mi veniva da loro proposto di passare assieme una domenica all’EXPO. In fin dei conti la città di Milano non è poi così lontana da dove abito e il logo della manifestazione si trova un po’ ovunque, dalla bolletta della Telecom al biglietto del treno; dall’imballaggio degli alimenti alle pagine dei giornali che è difficile non esserne in qualche modo attratti.
Ho ripensato qualche giorno più tardi a quella proposta e mi sono chiesto se, al di là della mia refrattarietà alla manifestazione già ampiamente documentata su questo blog, esistano comunque dei validi motivi per andare a fare una capatina all’EXPO per curiosare tra i padiglioni e ammirare il cibo del mondo. In fin dei conti, dopo tante critiche, ora che la fiera è operativa e si può toccare con mano, non sarebbe male poterlo fare di persona. E, perché no, magari cambiare anche idea.
Alla luce dell’invito ho iniziato ad approfondire ulteriormente l’argomento e, da quello che ne è emerso, sono sempre più convinto che ad EXPO non ci voglio proprio andare e che questa mia convinzione non sia frutto di una presa di posizione aprioristica basata su dei preconcetti ma che si fondi su una mia profonda coerenza comportamentale e su delle motivazioni molto concrete che provo ad elencare e a motivare.
1) Secondo quanto afferma Vandana Shiva nel suo blog sull’Huffington Post, EXPO più che essere una manifestazione che cerca di approfondire sul cibo, sulla produzione dello stesso, sulla salute alimentare e sulla sostenibilità sociale ed ambientale che ad esso sono collegate (1), è piuttosto una manifestazione che funge da vetrina per le multinazionali dell’alimentazione e della chimica che, invece di “nutrire il pianeta”, pensano piuttosto a nutrire se stesse e i loro affari. Ne è una dimostrazione il fatto che tra i principali sponsor vi siano McDonald’s e Coca Cola (ma anche Monsanto, Syngenta, Nestlé, Eni, Dupont, Pioneer) e che ad EXPO – per esempio – non siano previste particolari iniziative sull’agricoltura familiare che coinvolge centinaia di milioni di persone nel mondo oppure sull’agricoltura alternativa e di nicchia, alternativa addirittura al biologico che anch’esso oramai è un affare.
Ovviamente il tutto, agli occhi dei cittadini, deve in qualche modo essere mascherato: ad esempio ci si concentra sul non spreco del cibo – cosa sacrosanta e giusta – senza pensare troppo a quale sia la qualità o la salubrità del cibo che si spreca. Ad esempio si parla di cibo regionale ma non ci si chiede troppo quanta chimica, quanta acqua, quante manipolazioni genetiche (OGM) o quanta energia sia necessaria per produrlo. Ad esempio si mette nel calderone tutto il cibo senza pensare troppo a quale possa essere il suo impatto sulla salute, sull’ambiente e sulla biodiversità.
Lo scopo è vendere. E la fiera EXPO deve far incrementare i fatturati delle industrie (2). Se poi ci sono degli effetti collaterali… si affronteranno in altre sedi.
2) EXPO è stata una enorme operazione di inutile cementificazione del territorio. Come affermano illustri esperti in materia sia di architettura che di cibo, si sarebbe potuto realizzare la manifestazione – in modo diverso rispetto alle precedenti, e qui stava la grande novità tecnologica e il grande progresso – senza utilizzare neanche un chilo di cemento. Inoltre si sarebbe potuto cercare di alimentare completamente la fiera con energia da fonti rinnovabili. E, invece, si sono riempiti milioni di metri quadrati di erba con milioni di metri cubi di edifici. Se poi ci sono le auto della polizia elettriche oppure quelle della manifestazione ecologiche alimentate a metano, oppure se c’è la raccolta differenziata dei rifiuti queste non sono atro che operazioni di greenwashing atte a creare confusione e a dare l’impressione di sostenibilità ambientale ad una cosa che con la vera sostenibilità ambientale, quella profonda, non quella di facciata, non ha nulla a che fare.
3) Gli edifici e le strutture che ora ospitano EXPO e che sono state realizzate anche con i soldi delle mie tasse non hanno, ad ora, una collocazione futura. In buona sostanza non si sa che cosa sarà di esse dopo il 31 ottobre prossimo. Città delle musica e del cinema? Mah! Università? Mah! Area manifatturiera o espositiva? Mah! I presupposti sono per ora quelli che tutto andrà presumibilmente in malora come molte delle strutture costruite per altri EXPO in giro per il mondo oppure per le olimpiadi varie che ogni 4 anni fingono di promuovere lo sport.
Al di là del fatto che si sarebbe dovuto utilizzare solo materiali rinnovabili per la realizzazione delle varie strutture, è da dire che si sarebbe anche dovuto progettare il tutto già nell’ottica della dismissione o della destinazione urbanistica finale. Si sarebbe dovuto fare come Londra che, dopo l’ubriacatura economica delle olimpiadi di qualche anno fa, sta ricavando denaro e sta producendo posti di lavoro anche dalla dismissione e dalla collocazione alternativa delle strutture sportive.
In conclusione anche se so che le critiche le dovrei fare dopo aver visto di persona, ritengo che questi tre motivi siano già più che sufficienti per esprimere il mio dissenso verso EXPO, non tanto e non solo per manifestazione in sé, quanto, e soprattutto, per le importanti occasioni perse.
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(1) Carlo Petrini, fondatore di Slow Food, dopo una prima polemica con gli organizzatori di EXPO per non aver invitato i pescatori, gli allevatori e gli agricoltori, ora propone di invitare a Milano, dal 3 al 6 ottobre 2015, 5.000 giovani contadini, allevatori e artigiani da 170 paesi per parlare finalmente di cibo e di produzione dello stesso.
(2) Come scrive La Repubblica la Regione Lombardia, attraverso le parole dell’assessore regionale Valentina Aprea che scrive una letera ai dirigenti scolastici, invita gli alunni delle scuole ad andare all’EXPO e di godere degli eccezionali sconti di prezzo da McDonald’s.
Quando il cibo può salvare il Pianeta
È stata inaugurata qualche giorno fa l’esposizione universale “EXPO – Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita” dedicata all’alimentazione e al cibo. Al netto di tutti gli scandali e i problemi che hanno interessato la manifestazione negli anni e nei mesi precedenti dove si doveva decidere cosa fare e dove si doveva costruirne le infrastrutture, l’EXPO, ora che si fa, potrebbe essere un utile strumento di discussione sul cibo e anche sul ruolo che ha nel determinare seri problemi ambientali o essere sostenibile.
Parliamo di cibo, allora. Il cibo è fondamentale per l’uomo non solo perché è il “carburante” della vita in quanto fornisce energia e riserve per le attività quotidiane, ma anche perché, in base alle sue caratteristiche, può dare salute, benessere e può contribuire o meno alla sostenibilità ambientale. Produrre e consumare cibi troppo grassi può, nel lungo periodo, nuocere alla salute ma anche contribuire alla deforestazione del pianeta. Produrre e consumare troppo pesce o troppa carne può non essere del tutto salutare e può contemporaneamente contribuire a far depauperare gli stock ittici selvatici o a deforestare per creare pascoli o colture per l’alimentazione animale. Produrre e consumare cibi fuori stagione e molto distanti dal luogo di produzione può creare seri problemi ambientali e può anche contribuire a fornire scarsi nutritivi e poche vitamine a chi se ne nutre. Distribuire non equamente il cibo significa poi ipernutrire una parte della popolazione mondiale (che va incontro poi a gravi problemi di obesità nonché a patologie croniche e gravi) e lasciare a secco un’altra parte della popolazione mondiale (che va incontro ad altrettanto gravi problemi di salute pubblica a causa della scarsa e cattiva nutrizione).
Per ovviare a tali problematiche e a tali ingiustizie il WWF ha pubblicato 10 consigli facili da applicare per educarci ad un’alimentazione sostenibile e salutare.
1) Acquista prodotti locali
2) Mangia prodotti di stagione
3) Diminuisci i consumi di carne
4) Scegli i pesci giusti
5) Riduci gli sprechi di cibo
6) Privilegia i prodotti biologici
7) Cerca di non acquistare prodotti con troppi imballaggi
8) Cerca di evitare cibi eccessivamente elaborati
9) Bevi l’acqua del rubinetto
10) Evita sprechi anche ai fornelli
A ciò io aggiungerei:
11) Rispetta e non nutrirti dei cuccioli
12) Ogni tanto digiuna
13) Il cibo è cultura: apprezza anche quello di altri popoli.
Vediamo se EXPO non sarà solo business ma anche il volano per iniziare a cambiare un po’ rotta…
Scegli quale biscotto mangiare e…
Scegli quale biscotto mangiare e salverai una tigre. Scegli quale brioche mangiare e salverai un orango. Scegli quale torta mangiare e salverai un rinoceronte.
Anche se tali affermazioni possono sembrare un po’ assurde, i dati e le statistiche invece parlano chiaro e certificano che da qualche decennio è in atto un imponente attività di distruzione di gran parte delle foreste tropicali asiatiche (soprattutto dell’Indonesia e della Malesia) per convertirle in monocolture di palma da olio. Da questa palma (Elaeis guineensis) viene estratto un olio alimentare dalle molteplici virtù industriali. È economico ed è solido a temperatura ambiente e, per questo, viene impiegato quale componente grassa in numerosi prodotti trasformati che si trovano nei supermercati (1).
Si pensi, tanto per citare qualche dato sull’entità della distruzione delle foreste, che 50 anni fa l’82% del territorio dell’Indonesia era ricoperto di boschi. Nel 1995 tale percentuale era già scesa al 52% e, al ritmo attuale di deforestazione, nel 2020 le foreste indonesiane saranno definitivamente e irreparabilmente distrutte con conseguenze terribili sia sull’economia delle popolazioni locali che sulla biodiversità e sulla sopravvivenza degli animali selvatici. Si pensi ancora che l’olio di palma è il principale responsabile della deforestazione dell’isola di Sumatra, dove vivono (ancora?) elefanti, tigri e rinoceronti. Tutte specie ridotte a poche manciate di individui in pochi anni (2).
Pertanto quando andate al supermercato e fate i vostri acquisti (purtroppo talvolta anche di prodotti biologici) non guardate solo il prezzo ma cercate di pensare anche alla salvaguardia delle foreste tropicali e degli animali che in esse vicono e scegliete quei prodotti che non contengono tra i loro ingredienti l’olio di palma. Per aiutarvi nella scelta consapevole qui un elenco di biscotti che non lo utilizzano.
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(1) L’olio di palma è costituito per il 50% da acidi grassi saturi (in particolare acido palmitico) e dal restante 50% da acidi grassi insaturi (soprattutto acido oleico, monoinsaturo e acido linoleico, polinsaturo). Proprio l’alto tenore dei grassi saturi rende l’olio di palma interessante per l’industria alimentare in quanto assomiglia al burro (che è molto più costoso) e conferisce una certa solidità agli alimenti a temperatura ambiente. Il problema però è che gli acidi grassi saturi risultano essere particolarmente dannosi per la salute e sono ampiamente coinvolti nel determinare un aumentato rischio di patologie cardiovascolari.
(2) Nell’ambito dell’olio di palma esiste una certificazione, la RSPO (Roundtable on Sustainable Palm Oil), che ne attesta la sostenibilità ambientale. Essa però copre una quota infinitesima della produzione e non è affatto in grado di incidere per mitigare i problemi di deforestazione che sono legati a tale grasso.
Immagine: La deforestazione dell’isola del Borneo (anni 1950-2005) – WWF
Foto: I terribili effetti sugli animali e sul territorio della deforestazione nel sud-est asiatico
Fonte: La Stampa; Il Fatto Alimentare
Cooperativa Osiris | Prodotti agricoli
La cooperativa Osiris – che prende il proprio nome dalla dea della fertilità – è una tra le più significative realtà europee che operano nell’ambito dell’agricoltura biodinamica. Essa è stata fondata nel 1988 da un gruppo di agricoltori che, avendo iniziato ad interrogarsi sull’efficacia e sulla pericolosità dell’agricoltura “moderna” fatta di forza e di chimica, avevano prima fondato un gruppo di studio e, da pionieri, avevano iniziato, già dall’inizio degli anni ’80, a praticare l’agricoltura biodinamica. Siamo in Alto Adige, in provincia di Bolzano, nella vallata compresa tra Termeno, Egna e Ora il cui paesaggio è costellato da una distesa quasi infinita di frutteti, soprattutto mele, ma anche vigneti. Lo scopo della cooperativa era chiaro già dall’inizio: la creazione di una struttura di produzione e di marketing completamente indipendente dal sistema industriale della produzione e della distribuzione agricola, allo scopo di garantire ai consumatori sia l’origine che la qualità dei prodotti offerti.
Nella campagna dei soci della cooperativa Osiris la natura, guidata e non limitata dalla mano dell’uomo, trova lo spazio di potersi esprimere e tutto dà l’impressione di essere una specie di “disordine ordinato”. Nelle campagne si sente un forte profumo, dato dalle mille erbe spontanee che circondano le piante e che vengono lasciate crescere nelle bordure e nei cespugli e si sentono cinguettare numerosi uccelli di specie diverse che trovano un ambiente ospitale e nutrimento dato dagli insetti che, senza tregua, si posano sui fiori o volano nell’aria.
Il gruppo di studio sulla biodinamica è ancora il motore e il centro di ricerca della cooperativa Osiris che oramai ha acquisito esperienza e ha sviluppato importanti tecniche produttive nell’ambito dell’agricoltura biodinamica e che oggi esporta i suoi prodotti in tutta Europa. Tra questi prodotti, a fianco delle originarie mele e pere, sono stati introdotti anche piccoli frutti di bosco (mirtilli, lamponi, ribes, ecc.), il succo di mela e detersivi per la casa e per la persona, a base di aceto di mele. Il prodotti della cooperativa Osiris sono certificato Demeter, Codex e GlobalG.A.P.
Attualmente la cooperativa Osiris ha la propria sede a Postal (BZ).
Al supermercato con la bisnonna
“Quando andate al supermercato andateci sempre accompagnati dalla vostra bisnonna (immaginatevela con voi se non ce l’avete più) e tutto quello che la vostra bisnonna non riconosce come cibo… non compratelo. Leggendo l’etichetta, se ci sono sostanze che lei non capisce cosa siano… non compratelo. Se ci sono più di 5 ingredienti… non compratelo. Se c’è scritto che fa bene alla salute… non compratelo!!!”
Questo è quanto osserva – mutuando le raccomandazioni di Michael Pollan – con la sua proverbiale ironia e sagacia il prof. Franco Berrino, epidemiologo dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano dove dirige il dipartimento di medicina preventiva e predittiva..
In sostanza per vivere sani e in salute – e, magari, per scongiurare il più possibile il rischio di essere vittima di un tumore o di una grave patologia metabolica – è necessario consumare cibo sano ma, soprattutto, semplice, non raffinato e, di base, proveniente dal mondo vegetale. Questa pratica, che è anche molto sostenibile dal punto di vista ambientale, si rifà pienamente ai principi della bioimitazione.
Cosa dire allora: il vero progresso e la salute generale di un popolo passa per forza attraverso la natura (cibo sano), il suo rispetto (cibo vegetale) e l’imitazione del suo funzionamento (cibo semplice e non raffinato). Cosa aspettiamo a cambiare atteggiamento e a percorrere con maggiore convinzione questo cammino semplice e così rivoluzionario?
Caseificio Tommasoni
Il Caseificio Tommasoni di Gottolengo (BS) è un’azienda a conduzione familiare che continua una lunga tradizione, iniziata nel lontano 1815, nella produzione di grana padano, ricotta e robiole.
Il Caseificio Tommasoni è certificato biologico da novembre del 2000 e, la scelta che sembrava una scommessa azzardata per i tempi, si è rivelata invece estremamente positiva perché ha portato l’azienda a fare un interessante percorso culturale e a promuovere i principi che abbracciano tutto il benessere dell’uomo e dell’ambiente che lo circonda. Nell’ambito di questo percorso l’obiettivo non rimane solo quello commerciale ma anche quello etico (e strategico) perché si vuole dimostrare concretamente la possibilità di uno sviluppo eco-sostenibile, attento al rispetto e alla conservazione delle risorse nel tempo.
Il Caseificio Tommasoni trasforma solo latte da agricoltura biologica proveniente da stalle della pianura lombarda. Le vacche, che da marzo a novembre sono lasciate al pascolo, sono alimentate senza l’aggiunta di insilato di mais che, specie nei mesi molto caldi, determina anomale fermentazioni del latte che potrebbero ripercuotersi anche sul sapore dei formaggi e provocare rigonfiamenti alle forme.
Sia il latte che i prodotti caseari ottenuti sono certificati ICEA (Istituto per la Certificazione Etica ed Ambientale).
Il Caseificio Tommasoni, oltre allo spaccio aziendale di Gottolengo, distribuisce i propri prodotti o mediante consegne dirette o tramite corriere ed è molto attivo nella fornitura ai Gruppi di Acquisto Solidali (GAS).
Foto ricordo da Fukushima
Se qualcuno avesse ancora dubbi sulla potenziale pericolosità dell’energia nucleare…
… ecco qualche foto ricordo di fiori, frutti, piante o animali nati nella regione dell’incidente nucleare di Fukushima dell’11 marzo 2011.
Esse sono la dimostrazione lampante del motivo per cui la natura non fonda la produzione di energia sulle fonti radioattive. Troppo pericolose!!!
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Foto: Corriere.it
el Restel | Azienda agricola
“Immaginiamo quello che desideriamo mangiare e cominciamo a produrlo”.
L’azienda agricola el Restel, che si trova nella Pianura Padana in provincia di Verona, si estende su una superficie di 30 ettari dove si coltivano, nel rispetto della metodologia dell’agricoltura biologica, cereali e alberi da frutta, soprattutto actinidia (kiwi).
Anticamente l’azienda era concentrata prevalentemente sulla produzione del riso e da qualche anno si è deciso di riprendere tale coltivazione che sta incontrando sempre più interesse tra i clienti dell’azienda.
L’azienda agricola el Restel segue completamente la metodologia biologica certificata da ente terzo e tutte le colture annuali vengono avvicendate per consentire il mantenimento della caratteristiche chico-fisiche del terreno. Inoltre le coltivazioni sono intervallate da siepi e boschi che consentono di interrompere le folate di vento e rappresentano un ottimo habitat per la flora e la fauna, soprattutto volatile.
L’azienda agricola el Restel desidera organizzare sempre di più una filiera di commercio diretto per portare a un numero sempre maggiore di consumatori un prodotto di gran qualità che arriverebbe sulle tavole a un prezzo troppo elevato se passasse attraverso i canali della grande distribuzione.
I principali prodotti aziendali sono:
- riso
- altri cereali (grano, mais, soia)
- succhi di frutta.
Terre e Tradizioni | Prodotti alimentari
“Non applichiamo ciecamente la Tecnologia moderna a discapito della Tecnica, non ci evolviamo senza tener conto del nostro passato, non forziamo la natura delle cose danneggiando l’armonia donataci. Proveniamo dalla Terra e osserviamo il Cielo per capire se possiamo depositare il Seme. Ci soffermiamo sui significati profondi dell’Opera accordandoci con essa evitando il rischio di essere Note Stonate”.
Terre e Tradizioni nasce dall’unione di più operatori del settore agroalimentare e ha come obiettivo la creazione di una filiera virtuosa che controlli la qualità di ogni prodotto dal luogo di produzione sino al piatto del consumatore, valorizzando i produttori di eccellenza e la Civiltà Rurale, diffondendo la cultura della buona alimentazione e difendendo la salute di chi acquista i suoi prodotti.
I prodotti proposti sono:
- Paste pronte
- Pasta fresca e ripiena
- Pasta fresca senza uova
- Pasta secca
- Prodotti da forno
- Cous Cous e Semi
- Farine
Antico Molino Rosso | Farine
Antico Molino Rosso è un’azienda che opera nell’ambito della macinazione delle farine che si trova a Buttapietra, in provincia di Verona. La struttura originaria del molino risale al XVI secolo e, attualmente, è ancora presente e funzionante una ruota a pale del 1858. L’impianto dedicato alla molatura dei cereali e alla produzione della farina rigorosamente di origine biologica si compone di numerose macine a pietra ristrutturate, risalenti alla prima metà del ‘900.
La passione di Gaetano Mirandola – il proprietario – verso un’alimentazione sana ed equilibrata, unita alla consapevolezza dell’importanza della coltivazione biologica e della riscoperta di vecchi cereali (quasi) dimenticati, ha fatto sì che attualmente Antico Molino Rosso rappresenti un’importante realtà nella produzione di farine biologiche.
L’azienda, oltre alla produzione di farina, si propone anche:
- di sensibilizzare ed incoraggiare le aziende agricole a coltivare con il metodo biologico e di trasmettere loro i valori della sostenibilità ambientale;
- di recuperare e valorizzare le vecchie varietà di cereali (grano, farro, khorasan KAMUT®, riso, avena, orzo, grano saragolla, grano duro, grano Senatore Cappelli, Akrux®, segale, piccolo farro);
- di realizzare corsi di formazione formazione sull’importanza dell’agricoltura biologica, sia nei confronti dei professionisti del settore che dei consumatori.
Antico Molino Rosso si occupa anche di ricerca sui cereali e sulle farine mettendo a punto particolari ricette per panificatori e pizzaioli.
Noi siamo Natura
Noi siamo natura e il nostro corpo è il contenitore che racchiude e custodisce la nostra essenza.
Come pretendere di stare bene e di essere in salute se non abbiamo il più totale rispetto per tutto ciò che ci circonda e, in particolare, di ciò che mettiamo dentro di noi: l’aria, l’acqua, il cibo?
Con particolare attenzione a quest’ultimo poche e semplici sono le regole che ci consentono un’alimentazione sana, di qualità, in armonia con noi stessi e con quello che ci circonda, ovvero con i principi del nostro funzionamento metabolico e con le dinamiche di equilibrio del pianeta che ci ospita (in buona sostanza la bioimitazione!).
Proverò ad elencarne alcune, quelle che ritengo essere le più importanti e sulle quali non è possibile derogare:
- L’alimentazione di base deve essere fondata sull’assunzione di vegetali, in particolare non troppo lavorati e, possibilmente, anche crudi. L’elevato consumo di carne, di pesce e di derivati animali è troppo impattante, oltre che sulla salute, anche a livello energetico e di uso delle risorse (consumo di territorio, di acqua e depauperamento degli oceani).
- I metodi di produzione del cibo devono essere scarsamente impattanti sugli equilibri ecologici dell’ambiente che ci circonda. Per semplicità si potrebbe fare riferimento all’agricoltura biologica o biodinamica ma sono validi tutti i metodi che potremmo definire “naturali” e cioè che non usano prodotti chimici di sintesi, che risparmiano acqua e che consentono la coesistenza a tutti gli esseri viventi del Pianeta
- La produzione deve essere locale e i consumi devono essere “di stagione” perché i cibi trasportati per lunghe distanze, oltre a consumare enormi quantità di energia e di risorse, nel processo di lunga conservazione perdono una buona parte delle loro proprietà organiche e nutritive.
Diffidate da chi, adducendo le più diverse motivazioni, vi propone il contrario. Essi basano le convinzioni – quando non sono direttamente al soldo dei produttori – su ricerche scientifiche settoriali o finanziate in maniera dubbia che non hanno una visione olistica e che perdono di vista il fatto che…
… noi siamo natura e la natura è noi!
Gildo Rachelli Bio | Gelati
Gildo Rachelli Bio nasce da un’esperienza di oltre 65 anni nel settore della gelateria artigianale, da una costante ricerca della qualità e da un progetto imprenditoriale e di vita orientato alla tutela della natura e dell’ambiente.
Nel 1997 l’azienda Rachelli investe sul biologico e inizia la produzione del primo gelato italiano certificato prodotto con soli ingredienti biodinamici e biologici. La nuova linea di gelati, che si fregia del marchio Demeter, viene premiata da istituzioni e riviste del settore. Nella primavera del 2009 Rachelli avvia la partnership con l’Associazione Fairtrade Italia e, nell’estate dello stesso anno, con la Fondazione Slow Food per la Biodiversità.
I prodotti offerti sono:
- DEMETER: i gelati e i sorbetti Rachelli Demeter sono senza lattosio, completamente privi di glutine (certificati AIC) e preparati con ingredienti biologici e biodinamici.
- BIO FAIRTRADE: i gelati Rachelli Bio Fairtrade nascono dalla collaborazione fra Rachelli e l’Associazione Fairtrade Italia. Tutte le materie sono provenienti dall’agricoltura biologica.
- BIO FREE FROM: i gelati Rachelli Bio Free From hanno un basso contenuto di lattosio (< 0,1%) e tutte le materie sono provenienti dall’agricoltura biologica.
- BIO: minigelati al gusto di lampone e cioccolato.
- MAESTRO: i dessert Maestro sono preparati con ingredienti dei presidi Slow Food, associazione che difende, oltre alla qualità, anche la sostenibilità ambientale. I prodotti Maestro non hanno conservanti, aromi o coloranti e le materie prime non provengono dall’agricoltura biologica.
Non tutta la produzione dell’azienda Rachelli è biologica o biodinamica ed esistono anche linee di prodotti tradizionali.
ROB del Bosco Scuro | Azienda agricola
L’Azienda agricola ROB del Bosco Scuro di Rasi Andrea ha iniziato a coltivare con il metodo biologico dal 1995 su una superficie di 8 ettari nella cornice geografica delle colline moreniche a sud del Lago di Garda. I prodotti sono: frutta (mele ed albicocche) e verdura (meloni, cipolle, pomodori).
La verdura viene venduta fresca mentre la frutta, in parte viene destinata alla vendita diretta a negozi e privati e, in parte, viene trasformata in marmellate, mostarde, puree e succhi di frutta. La maggior parte dei processi produttivi sono interni all’azienda e l’obiettivo prossimo futuro è quello di portarli tutti presso il laboratorio interno, dove possono essere meglio gestiti e controllati.
Interessanti sono le scelte economiche che l’azienda esprime:
- la massimizzazione della produzione non è una priorità;
- il mercato alimentare biologico non è (e non deve essere) un mercato di nicchia;
- la differenziazione produttiva – al contrario della monocoltura – quale garanzia di sopravvivenza.
L’Azienda agricola ROB del Bosco Scuro osserva che il lavoro dei contadini deve essere la continuazione di un rapporto profondo tra l’uomo e la natura e non il cieco sfruttamento di risorse naturali a scapito delle future generazioni. Per secoli l’ambiente naturale è stato curato, difeso e rispettato dagli agricoltori che ci hanno lasciato in dote il rispetto e la conoscenza della natura. Il suo compito primario è quello di continuare nel solco tracciato dagli antenati, per far sì che le generazioni future non perdano la conoscenza e la saggezza contadina, frutto di secoli di esperimenti.
Amore Raffaele Snc | Prodotti usa e getta
L’azienda Amore Raffaele S.n.c. è un’azienda a conduzione familiare che opera nel settore del catering e che da qualche anno si è specializzata nella fornitura di stoviglie monouso biodegradabili e compostabili, certificate secondo le normative tecniche UNI EN.
Le stoviglie offerte sono:
- piatti in polpa di cellulosa
- piatti in foglia di palma
- posate in amido di mais o in legno
- bicchieri per bevande fredde in PLA
- bicchieri per bevande calde in cartoncino e film in PLA
- vaschette in PLA con coperchio per cibi freddi
- vaschette Biopap® in cartoncino con e senza coperchio per utilizzi da -40° a + 215°, microonde compreso;
- shopper in amido di patate e PLA;
- prodotti in cellulosa (tovaglioli, carta igienica, bobine, etc.) certificati PEFC;
- personalizzazioni su cellulosa certificata FSC;
- kit bio personalizzati e imbustati nel PLA.
Tra i prodotti (acquistabili anche on-line) figurano anche prodotti alimentari da agricoltura biologica.
L’azienda Amore Raffaele S.n.c. sceglie i propri fornitori privilegiando quelli più vicini che consentano limitazioni nei trasporti con conseguente risparmio di emissione di CO2.
Perlage | Vini biologici
Perlage, un’azienda vitivinicola che opera nella zona del Prosecco Superiore di Conegliano DOCG, nasce nel 1985 quando i fratelli Nardi, precursori in quest’ambito, hanno deciso di iniziare l’avventura dell’agricoltura e della viticoltura biologica e biodinamica.
Perlage ha operato una scelta molto importante nell’ambito della naturalità e della sostenibilità ambientale che coinvolge l’intero processo produttivo. Essa inizia con la coltivazione del terreno più adatto per ogni singolo vitigno, si protrae nella cura in ogni pratica agronomica sui vigneti, si conclude nella vinificazione, nella conservazione e nella distribuzione del vino.
Come dichiara Perlage sul proprio sito internet, la produzione del vino avviene nel rispetto del seguente decalogo ecologico:
- Rispetto della vita: i vigneti di collina sono disetanei, ovvero le piante vivono la loro vita fisiologica non industriale, nel rispetto del ciclo della natura.
- Compost: la concimazione del vigneto è realizzata col solo impiego di compost vegetale ed animale.
- Poco rame: la difesa dei vigneti è effettuata impiegando basse quantità di rame e nessun pesticida.
- Pannelli solari: l’acqua calda utilizzata in cantina è ottenuta da una batteria di pannelli solari.
- Energia verde: l’energia elettrica di tutta la cantina proviene esclusivamente da fonti rinnovabili.
- Risparmio energetico: nella linea di imbottigliamento è in corso la sostituzione i vecchi motori elettrici con motori più moderni a minor consumo.
- Risparmio dell’acqua: la sciacquatrice della linea di imbottigliamento permette di riutilizzare l’acqua attraverso un innovativo sistema di filtraggio.
- Packaging più riciclabili: per alcuni vini è stato introdotto il tappo a vite: la bottiglia è più facile da aprire, è eco – friendly, e riciclabile!
- Posate in materiale ecologico: nelle nostre feste vengono impiegate posate e piatti di Mater B (un polimero vegetale che si smaltisce nel compost organico).
- Carta riciclata e poco inchiostro: Il nostro catalogo viene prodotto con carta riciclata ed è stampata con il font Spranq Eco per il minor utilizzo di inchiostro!
Se niente importa
Mangiare carne non è necessario per sopravvivere e mangiarne troppa non è nemmeno salutare. Produrla non è neppure sostenibile dal punto di vista ambientale, soprattutto se la carne proviene da allevamenti intensivi dove migliaia e migliaia di animali vivono ammassati in spazi angusti, iperselezionati, ipernutriti e ipermedicalizzati. Dei mostri che se fossero lasciati scorrazzare liberamente per le aie o per i pascoli non riuscirebbero a reggersi in piedi e morirebbero di stenti in pochi giorni.
Al di là della componente etica e dei diversi problemi che affliggono gli allevamenti intensivi, percorrendo l’autostrada A4 in direzione Venezia, a pochi chilometri dall’uscita di Brescia Est, sono rimasto molto colpito (e, non lo nego, anche piuttosto turbato) da quanto si è presentato a bordo strada: un manichino di bovino adulto e uno di vitello (talvolta anche un maialino) appesi per il collo ad una impalcatura metallica.
Sì, è vero, gli animali sono dipinti con colori inequivocabilmente patriottici e forse hanno anche una finalità comunicativa polemica (mah!) nei confronti di politiche agricole che “strozzano” gli imprenditori del settore. Magari le quote latte!?
Il quadro, però, nel suo insieme, mi sembra alquanto stupido, per non dire veramente disgustoso. Appendere una mucca per il collo assieme ad un cucciolo (magari al suo cucciolo) è una cosa che reputo inutile dal punto di vista comunicativo e triste da quello etico. Dimostra, a mio parere, che in troppi allevamenti intensivi ed industrializzati non si ha nessun rapporto empatico con gli esseri viventi e non ci si prende sufficiente cura dell’animale, del suo benessere e della sua salute. Magari addirittura lo si maltratta e l’animale, in quanto essere vivente, è visto come un mero oggetto commerciale scomponibile in diversi pezzi dai quali ottenere la più alta remunerazione economica possibile.
Jonathan Safran-Foer, nel suo libro “Se niente importa”, un’acuta e attenta analisi del mondo degli allevamenti e della produzione della carne degli USA, chiede alla nonna ebrea scampata per miracolo ai lager nazisti perché, durante il suo peregrinare in fuga per l’Europa, pelle e ossa per la fame, abbia rifiutato un’offerta di carne di maiale (non kosher) che le poteva salvare la vita. Lei, serafica, gli risponde: “Se niente importa (nella vita), non c’è niente da salvare”.
Video: TG1 – Allevamenti tortura per mucche
Video: L’orrore degli allevamenti
Le Barbarighe | Azienda agricola
L’azienda agricola “Le Barbarighe” – che si trova a San Martino di Venezze, in provincia di Rovigo – è gestita dalla famiglia Gagliardo da tre generazioni.
L’azienda, specializzata nella coltivazione dei cereali, su una parte della propria superficie è impegnata nella coltivazione con metodo biologico certificato ma, in generale, è da tempo orientata ad una conduzione eco-compatibile dei propri terreni finalizzata non alla quantità ma alla qualità dei prodotti ottenuti. L’azienda, pertanto, ha aderito ai regolamenti comunitari riguardanti l’impianto di boschetti, di siepi, di bande tampone, erbai da sovescio e da colture a perdere a fini faunistici, in quanto ricadente in una zona di ripopolamento della selvaggina.
I cereali biologici attualmente coltivati nell’azienda e destinati alla trasformazione sono: grano tenero, grano duro, farro dicocco, orzo mondo, avena nuda, segale, mais cinquantino, mais biancoperla. In rotazione ai cereali, per obbligo in agricoltura biologica, si coltivano: soia, pisello proteico, loietto, erba medica.
Le varietà Il granoturco coltivato non sono ibride e appartengono a specie nostrane che risultano particolarmente adatte alla produzione di farine da polenta.
L’azienda ha intrapreso da alcuni anni la strada della trasformazione dei propri prodotti biologici allestendo in un vecchio granaio ristrutturato un impianto per la macinazione a pietra dei cereali. Si producono così farine integrali rifacendosi alla vecchia tradizione polesana dei mulini natanti fluviali del Po e dell’Adige, che erano ancora presenti fino agli anni 50 nei paesi rivieraschi.
Tutte le farine prodotte dall’azienda Le Barbarighe provengono da agricoltura biologica ed il mulino macina solo cereali biologici la cui certificazione è avvallata dall’ente di certificazione BIOS.
L’azienda fa anche parte della rete di fattorie didattiche “Bambini in fattoria” promossa dall’Associazione degli agricoltori di Rovigo. Per visite di mezza giornata essa accoglie scolaresche in qualsiasi periodo dell’anno e propone percorsi stagionali con temi da concordare assieme agli insegnanti.
Persegona | Azienda agricola
“Produzioni biologiche ad impatto 0”.
L’Azienda agricola biologica Persegona si trova a Fidenza, in provincia di Parma, da circa un secolo. Essa è a conduzione familiare e, attualmente, è nelle mani dei fratelli Giuliano, Carlo e Milena.
Essa è composta da un allevamento di circa 180 capi di mucche lasciate prevalentemente libere di pascolare su terreni recintati e alimentate quasi esclusivamente dai prodotti (fieno, frumento, grano duro, soia, mais, sorgo) che vengono coltivati su circa 180 ettari di terreno. Le mucche forniscono il latte che viene trasformato nel piccolo caseificio aziendale dal quale si ottengono circa 3 forme di parmigiano-reggiano biologico al giorno.
Oltre ai bovini nell’azienda Persegona si allevano anche alcuni cinghiali, qualche daino, qualche maiale nero di razza autoctona e alcuni maiali tradizionali allevati allo stato brado e alimentati con farine e fiocchi di mais prodotti in azienda. L’allevamento è completato dalle galline e da altri animali da cortile.
Recentemente l’azienda agricola Persegona, con lo scopo di azzerare le proprie emissioni di CO2, ha installato un impianto fotovoltaico da 15 kW presso il caseificio e uno da 20 kW presso la stalla. Inoltre sono stati installato impianti solari termici per la produzione di acqua calda da utilizzare nei processi produttivi.
Tutta l’azienda è controllata e certificata da I.C.E.A.
I prodotti proposti sono: formaggio parmigiano-reggiano, burro, ricotta, sottoli, salumi, miele, farine, confetture e aceto balsamico di Modena. Per acquistarli, oltre all’acquisto diretto presso lo spaccio aziendale, è possibile ordinarli via e-mail. Una particolare attenzione l’azienda agricola Persegona la rivolge ai Gruppi di Acquisto Solidale (GAS) con sconti e agevolazioni da concordare.
Per informazioni:
Azienda agricola Persegona
Località Pieve Cusignano, 63
43036 Fidenza (PR)
tel/fax 0524.62 163
e-mail: persegonagiuliano@tiscalinet.it