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MAD Bike
L’obiettivo era quello di creare a Oslo, in Norvegia, un parcheggio per 200 biciclette in una strada molto stretta e scarsamente illuminata. Inoltre si desiderava fornire ai pedoni e ai ciclisti un interessante impatto visivo per invogliarli anche ad entrare nell’area commerciale posta al piano terra di uno dei palazzi della via.
La soluzione architettonica e urbana proposta dallo Studio MAD Arkitecter per realizzare il parcheggio è stata quella di creare delle installazioni stilizzate di biciclette in acciaio (le “MAD Bike”) che possano fornire contemporaneamente un parcheggio sicuro per le biciclette e un’installazione piacevole dal punto di vista estetico, data sia dalle originali strutture che dalle luci. Queste ultime, infatti, che forniscono anche l’illuminazione pubblica al parcheggio, ripropongono i fanalini (rossi dietro e bianchi davanti) delle vere biciclette, orientate in direzione del fiordo.
L’effetto finale dell’installazione è molto interessante perché, oltre a promuovere opere belle e originali da realizzare nelle città, agisce anche nell’ambito dell’urbanistica e della mobilità perché orienta i cittadini verso la percezione che il trasporto in bicicletta è efficace e alternativo a quello automobilistico (anche nella fredda Norvegia).
Se lo fanno loro perché non realizzarlo anche noi!?
Quattrocentoventimila
Il pedigree dell’INAIL è chiaro a tutti: non si tratta né di una delle più dure associazioni ambientaliste né di una delle organizzazioni più anarchiche e rivoluzionarie operanti in Italia.
Eppure, con il suo progetto Expah, co-finanziato dall’Unione europea, desidera studiare approfonditamente gli effetti sulla salute umana degli idrocarburi policiclici aromatici (IPA) (1) contenuti nel particolato presente soprattutto nelle aree fortemente urbanizzate. Le polveri sottili, infatti, possono avere effetti nocivi sulla salute colpendo soprattutto l’apparato respiratorio e quello cardiovascolare delle persone esposte.
Dal momento che le principali cause di inquinamento atmosferico sono legate al traffico veicolare, ai sistemi di riscaldamento domestico, alle emissioni industriali e di produzione energetica, l’idea dell’INAIL – che opera in collaborazione con l’Azienda sanitaria locale Roma E, il CNR, la società Arianet e il National Institute for Health and Welfare finlandese (THL) – è quella di ridurre l’inquinamento non mediante progetti ipertecnologici ma “banalmente” attraverso l’applicazione delle tecnologie già esistenti, supportando politiche ambientali e una legislazione in questo specifico ambito.
Sulla base delle misurazioni delle IPA e di altri inquinanti ambientali effettuate ed elaborando dei modelli matematici di esposizione della popolazione, si è potuto stimare che in Europa, ogni anno, muoiono presumibilmente almeno 420.000 persone a causa dell’inquinamento. “Una cifra assolutamente inaccettabile” secondo il commissario UE all’Ambiente Janez Potočnik (e non solo per lui!).
Finalmente si sta sgretolando il muro di scetticismo che nel tempo è stato eretto a difesa del sistema tecnologico e produttivo basato sulla combustione di materiali organici e, oltre alle associazioni indipendenti, anche Enti ed istituzioni governative cominciano a pensare che sia anche più vantaggioso economicamente nel medio-lungo periodo investire ora, per migliorare sia la produzione di energia e di beni che l’efficienza energetica dei prodotti, delle abitazioni e dei trasporti.
Una ulteriore conferma che per ottenere il massimo vantaggio per la salute e per le attività umane sia necessario imitare la natura che basa il proprio funzionamento “sull’energia solare e sull’energia cinetica, senza combustione”.
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(1) Gli idrocarburi policiclici aromatici (IPA) – il più famoso dei quali è il benzo(a)pirene, ritenuto cancerogeno – sono sostanze chimiche presenti nelle polveri fini atmosferiche prodotte dalla combustione incompleta di materiale organico. Le principali fonti di emissione sono il traffico stradale, le caldaie del riscaldamento domestico e le emissioni industriali. Le IPA hanno una elevata capacità di penetrare negli ambienti chiusi.
Foto: Struttura tridimensionale (modello space-filling) del corannulene, IPA strutturalmente formato dalla condensazione di 5 anelli benzenici e un anello centrale di ciclopentano. (Fonte Wikipedia)
Brutti, fastidiosi e antipatici
Qualche volta, di notte, durante i miei viaggi autostradali o percorrendo le strette e tortuose strade di campagna, mi soffermo a pensare a quell’innumerevole schiera di falene, moscerini, zanzare o coleotteri che appaiono improvvisamente alla luce dei fari e che, immediatamente dopo, lasciano inesorabilmente i loro corpi a disegnare graffiti sulle carrozzerie e sui vetri di auto e camion, compresa la mia. Vite che la velocità dell’automobile spezza su lunotti, su frontali cromati, su paraurti in plastica o su fanalini di vetro. Residui che, poi, al termine della stagione estiva risultano pure difficili da pulire e che lasciano segni sulle carrozzerie di vernice metallizzata pagate, magari, anche a rate.
Spesso il mio pensiero va alle loro umili vite e al ruolo apparentemente inutile ma, invece, estremamente prezioso, che essi hanno nel “tutto”.
Tra loro ci saranno sì dei parassiti per l’uomo e le sue attività ma anche animali di indubbia utilità agricola e ambientale. Tra loro ci saranno anche insetti senza una qualche particolare attrattiva naturalistica ma anche animali rari o particolarmente interessanti. Tra loro ci sono, comunque, vite che vanno rispettate in quanto tali perché partecipi di una funzione globale che è il mantenimento, nel trascorrere del tempo, della vita sul Pianeta, compresa anche la nostra.
Mi chiedo, allora, quali perdite ecologiche tali morti di massa possano comportare. Non è infatti un mistero che la massa vivente sulla terra (di cui gran parte è composta di insetti) si stia contraendo in termini di volumi, vuoi per effetto di una antropizzazione diffusa, vuoi per effetto di cambiamenti climatici che determinano la scomparsa di habitat, vuoi per effetto di una agricoltura sempre più invadente ed invasiva, vuoi per i sempre più “mostruosi” mezzi di trasporto umani.
La natura, per ben funzionare ha bisogno di tutti e ha bisogno che tra tutti gli esseri viventi esistano relazioni continue, non sempre necessariamente pacifiche.
Nostra cura dovrà essere quella di far sì che, nello svolgimento delle nostre vite e nell’esercizio delle attività economiche, tutte le specie, anche quelle apparentemente insignificanti, siano considerate “specie a rischio di estinzione” e siano oggetto di attenzioni e di protezione.
Progettisti e ingegneri di tutto il mondo, siete pronti ad accettare la sfida?
The Copenhagenize Index
Nell’immaginario comune la città più ciclabile d’Europa (e, forse, anche del mondo) è Amsterdam. In effetti tale risultato viene confermato dalla Copenhagenize Design Co., un’organizzazione che si occupa di cultura del ciclismo, di pianificazione urbana, di traffico, di comunicazione nell’ambito del ciclismo urbano e della vivibilità delle città e che, a partire dal 2011, elabora una classifica delle città più vivibili del mondo per gli utenti a due ruote.
Nella classifica del 2013 (The Copenhagenize Index) il primo posto è occupato da Amsterdam (con votazione 83), seguita da Copenhagen (votazione 82) e Utrecht (votazione 77). I dati per elaborare tale graduatoria vengono forniti da 400 persone che vivono sparse per le diverse città del mondo e che aiutano a verificare la rispondenza dei 13 criteri utilizzati per la valutazione:
- Advocacy: quanto le organizzazioni della città si occupano di mobilità in bicicletta e quale influenza hanno sulla politica locale;
- Cultura della bicicletta: quanto la bicicletta viene percepita dai cittadini come mezzo di trasporto;
- Infrastrutture per le biciclette: quanto nella città sono presenti infrastrutture specifiche per il trasporto in bicicletta (piste ciclabili, rampe, ponti, spazi sui mezzi di trasporto);
- Tasso infrastrutturale per le biciclette: in quale percentuale sono presenti le infrastrutture per la bicicletta;
- Programma di bike-sharing: quanto è presente e utilizzato il programma di bike-sharing;
- Utilizzo di genere: quanto la bicicletta è usata dalle donne;
- Modal share per le biciclette: obiettivi di sostenibilità urbana orientati allo sviluppo della cultura della bicicletta;
- Incremento del modal share dal 2006: quanto è incrementata la sostenibilità urbana legata all’uso della bicicletta dal 2006;
- Percezione della sicurezza: qual è la percezione della sicurezza dei ciclisti legata all’uso volontario del casco;
- Politica: qual è l’atteggiamento della politica locale nei confronti della mobilità in bicicletta;
- Accettazione sociale: quanto gli autisti e la comunità in generale considera la mobilità in bicicletta;
- Pianificazione urbanistica: quanto l’amministrazione comunale investe nelle infrastrutture ciclistiche e quanto è consapevole delle migliori pratiche;
- Limitazione del traffico: quanto l’amministrazione comunale fa nell’ambito della limitazione della velocità delle auto e nella limitazione del traffico per aumentare la sicurezza di pedoni e ciclisti.
Sia nella classifica del 2011 che in quella del 2013 non compare nessuna città italiana! Sarà forse un messaggio per capire che si deve fare subito qualcosa in più e considerare la mobilità in bicicletta e le sue infrastrutture un importante valore socio-economico piuttosto che una parola che riempie solo la bocca in occasione delle campagne elettorali?
Basta solo prendere i 13 criteri ed iniziare ad investire…
TOSA | Autobus elettrico
TOSA (Trolleybus Optimisation Systeme Alimentation) è il primo autobus a grande capacità di trasporto 100% elettrico che non necessita della linea aerea di contatto. Sviluppato in Svizzera da OPI (l’Ufficio per la promozione di Industrie e Tecnologie) – che funge da coordinatore – da ABB (che fornisce la tecnologia), da SIG Ginevra (distributore di energia) e TGP (società di trasporto pubblico di Ginevra), l’autobus è dotato di un sistema di ricarica rapida che non prevede arresto del mezzo ma che avviene direttamente alle fermate in pochi secondi, circa 15. In pratica, fintantoché le persone salgono e scendono alle fermate, un braccio mobile a controllo laser si connette al mezzo e gli fornisce energia sufficiente per raggiungere la fermata successiva dotata di dispositivo di ricarica. Il tempo di carica è così rapido che non interferisce con l’orario degli autobus. Inoltre migliora l’ambiente e il paesaggio urbano per l’assenza di linee aeree e garantisce, al gestore dei trasporti pubblici, maggiore flessibilità nella scelta dei percorsi rispetto ad un tram o autobus elettrico tradizionale. Una parte dell’energia viene inoltre recuperata, come nella tecnologia “ibrida”, in fase di frenata del veicolo.
L’energia è poi stoccata in batterie di accumulo posizionate sul tetto che forniscono ad un autobus di 133 posti totali l’autonomia necessaria per circolare in città senza produrre inquinamento e rumore.
Ovviamente l’autobus è a zero emissioni di carbonio (CO2) se l’energia elettrica che lo alimenta viene prodotta da fonti rinnovabili.
Per ora si tratta di un prototipo messo in strada per effettuare dei test sul campo ma può rappresentare un ottimo punto di partenza per rivoluzionare i trasporti pubblici e i mezzi che li caratterizzano, oramai entrambi obsoleti.
Mi auguro che anche il sindaco della mia città – Verona – riesca a cogliere questa opportunità e si muova per realizzare un sistema di trasporto pubblico urbano all’avanguardia.
ll parco eolico autostradale
Qualche anno fa, percorrendo frequentemente l’autostrada A4 per motivi di lavoro, ne vedevo un prototipo installato non lontano da un cavalcavia. Dopo una prima fase di dubbio nella quale mi chiedevo cosa fosse, ho capito che la strana turbina verticale che ruotava al passaggio del traffico non poteva essere che un’originale strumento per la produzione di energia elettrica.
In effetti, come riporta “la Repubblica”, l’idea è venuta nel 2010 a tre amici durante una cena a Verona (la mia città) dove hanno immaginato di produrre energia in un modo particolare, cioè sfruttando quel fastidioso (e pericoloso) spostamento d’aria prodotto dal traffico autostradale, in particolare quello dei camion.
Dopo 3 anni di sperimentazioni i risultati sono stati abbastanza incoraggianti ed ENEL ha deciso di investire 250 mila euro nella ATEA, la start-up di Giovanni Favalli, Stefano Sciurpa e Gianluca Gennai, con l’impegno di investirne altri 400 mila qualora i risultati si rivelino positivi. In particolare il prototipo iniziale, costituito da una turbina dalla potenza nominale di 2,2 kW e un diametro di vela di 1,2 m, ha prodotto giornalmente 9 kWh di energia che, dopo alcune modifiche intervenute, è arrivata a 12 kWh. Il che equivale a dire che, in circa 250 giorni utili di produzione, sia stato soddisfatto il fabbisogno annuale di una famiglia media.
Il passo successivo sarà quello di sperimentare una turbina più potente da 9,2 kW e, se i risultati saranno buoni, quello di installare un piccolo parco eolico autostradale costituito da 10 pale eoliche a 50 m l’una dalle altre.
L’obiettivo è naturalmente quello di sfruttare l’energia cinetica prodotta dallo spostamento d’aria degli automezzi che sfrecciano in autostrada (1) (un’energia che altrimenti andrebbe sprecata) per azionare il moto rotatorio di una turbina ad asse verticale e, in tal modo, produrre energia elettrica “eolica”. L’idea, anche se non risolverà la fame di energia del mondo moderno, è molto buona per le seguenti ragioni:
- sfrutta un’energia, quella cinetica, che in sé può essere definita “pulita”
- sfrutta un’energia che altrimenti andrebbe perduta
- alimenta la rete con un’energia prodotta da una fonte alternativa rispetto a quelle già impiegate (maggiori sono le fonti maggiore sarà la sicurezza di approvvigionamento)
- sviluppa un sistema tecnico-economico locale, fatto soprattutto di conoscenza.
Anche se l’idea non è del tutto nuova speriamo che il progetto possa proseguire nel suo cammino evolutivo e non trovi troppe resistenze (soprattutto da parte di qualche lobby) perché, anche se limitato, rappresenta pur sempre una goccia che, assieme a molte altre, contribuisce a costruire l’oceano (della sostenibilità).
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(1) Dati statistici del 2010 ponevano l’Italia al secondo posto in Europa per volume di traffico circolante sulla rete stradale e autostradale.
Bicicletta pieghevole
Da qualche mese mi sono comperato una bicicletta pieghevole che tengo sempre nel bagagliaio dell’auto per gli spostamenti, soprattutto urbani.
Grande esempio di modernità o patetico ritorno al passato?
La bicicletta non inquina. La bicicletta occupa poco spazio. La bicicletta ci dà il dono della lentezza. La bicicletta ci fa ammirare i paesaggi. La bicicletta ci fa fare attività fisica. La bicicletta richiede meno manutenzioni e investimenti stradali. La bicicletta ci dà libertà di movimento.
L’auto, invece…
La biciclette viene chiusa (circa 20 sec)
La bicicletta chiusa ha le dimensioni di una piccola valigia (80 x 66 x 30 cm)
La bicicletta sta comodamente nel baule di una Renault Twingo
Bicicletta: Dahon
Il noleggio di auto private
Che l’auto inquini, che intasi di traffico le città e che richieda cementificazione e consumo di territorio per le infrastrutture non è una novità. Anzi.
Che l’auto si “divori” una parte importante del reddito a causa del suo costo iniziale e per il pagamento di tasse, assicurazione e manutenzione è altrettanto chiaro.
Per far fronte alle sempre minori risorse economiche familiari dovute alle conseguenze della crisi economica perdurante si è iniziato, prima in Gran Bretagna e, da poco, anche in Spagna, a noleggiare auto tra privati. Si tratta di un’iniziativa che consente un evidente piccolo guadagno a chi affitta e qualche risparmio a chi prende in affitto, che migliora la sostenibilità ambientale dei trasporti e che consolida le relazioni umane, soprattutto comunitarie.
Il tutto nasce da una semplice constatazione: un’auto – soprattutto quelle appartenenti agli abitanti delle città – circola in media 4,6 ore alla settimana e rimane parcheggiata per il 96% del tempo. Una tale inefficienza, a cui può essere facilmente attribuito un valore monetario, se la può permettere solamente chi ha un reddito elevato e costante. Se quest’ultimo declina o diventa incostante ecco che determina inevitabili tagli ai costi che si riflettono anche sul possesso dell’auto privata o sulla modifica delle caratteristiche dello stesso.
Per venire incontro a tali esigenze nel Regno Unito è nata la Whipcar, una società che attraverso il web e dietro il pagamento di una commissione del 15%, collega la domanda (di noleggio di auto) all’offerta (di chi ne ha bisogno). Sulla scia di Whipcar è nata la spagnola Social Car che conta su un nutrito parco auto e di utenti. L’affitto costa circa 35 € al giorno e può rendere al proprietario fino a 350 € al mese.
La crisi economica viene sempre demonizzata per le sue conseguenze negative ma, al di là degli evidenti impatti sociali per i quali vi devono essere degli ammortizzatori, la crisi porta con sé anche delle interessanti idee.
Questa dell’auto privata in affitto è sicuramente una di queste perché ci libera della sua funzione di status symbol, ci concentra più sulla robustezza e sulla riparabilità che sul design e sui gadget tecnologici, ci fa capire che le auto private possono costituire anche una rete di trasporti collettivi.
La strada verso un nuovo sistema di trasporto privato si sta delineando. Le case automobilistiche che saranno in grado di coglierla, magari gestendo in proprio tutta la rete del noleggio, della manutenzione e dei servizi di condivisione, saranno in grado di sopravvivere alla crisi che nel loro settore, in Europa, le ha più duramente colpite rispetto ad altri settori. Saranno in grado inoltre di essere artefici di un cambiamento epocale che potrà dare un importante contributo alla sostenibilità ambientale di un settore che, sino ad ora, aveva inciso in questa direzione solo limitatamente investendo più sul green marketing che sullo studio di reali soluzioni alternative.
La mia auto è pronta in strada per la conidvisione. E la vostra?
Fonte: “Internazionale” del 05.10.2012
Foto: Eco in città
Rotatorie
Da qualche anno spuntano come funghi nei punti di contatto delle vie di comunicazione. Sempre più numerose e sempre più brutte e improbabili dal punto di vista estetico. È sufficiente percorrere una qualche strada secondaria per vedere – negli spazi interni alle rotatorie – vigneti, leoni di bronzo, giardini (pseudo) zen, sculture moderne, selciati nei materiali più disparati, cartelloni pubblicitari e luci… luci… luci…
Si tratta delle rotatorie, viste da amministratori pubblici, da progettisti e dagli utenti della strada come una manna per rendere più fluido e meno pericoloso il traffico.
A guardarle bene, però, le rotatorie non rappresentano affatto un elemento positivo perché dove sorgono indicano un nodo nel flusso, un elemento negativo del sistema di trasporto delle persone e delle merci che una buona amministrazione del territorio non avrebbe dovuto far nascere. Le rotatorie sono solo la medicina ad un sintomo che non cura la malattia, cioè un sistema di trasporto sostanzialmente individualista basato su una grande disponibilità di energia a basso costo, poco efficiente ed estremamente dispendioso.
Tutto ciò non ha nulla a che fare con la bioimitazione che, invece, imporrebbe di ragionare a monte della rotatoria, in termini di flussi, di mezzi e di efficienza energetica. Le soluzioni alla rotatoria, pertanto, sono numerose e possono essere apprese sia dalle civiltà del passato che avevano minore disponibilità di energia sia da alcuni animali di comunità, come le api o le formiche. Esse vanno dall’incremento del trasporto collettivo con mezzi più sostenibili dal punto di vista energetico fino ad arrivare ad una nuova pianificazione urbanistica più compatta oppure ad una accettazione del telelavoro che limiti i movimenti inutili e non necessari delle persone.
Ne gioverebbe di più l’ambiente ma, sono convinto, anche il benessere delle persone.
Foto: Wikipedia
Non chiamiamola auto ecologica, please!
La parola d’ordine per chi vuole vendere un’automobile in questi anni di grande crisi economica è: «ecologica». Seguita, in ordine di importanza, da «CO2», «basse emissioni» «basso consumo» e «ambiente».
Nessun venditore o direttore marketing può prescindere da tale concetto. E, difatti, una statistica molto empirica che prenda come riferimento la televisione, la carta stampata, la radio nonché la frequentazione degli autosaloni d’Europa non può far altro che confermare questa affermazione. Ovunque si vede e si sente parlare di ciò!
Ciò che desidererei osservare su tale fenomeno è il fatto che le informazioni fornite sono, nella realtà dei fatti, in massima parte fuorvianti per l’acquirente e che, in effetti, nessuna automobile attualmente in commercio può definirsi veramente ecologica. Questo anche se i produttori hanno sviluppato, nei tempi, tecnologie che consentono effettivamente minori emissioni di gas di scarico e maggiore efficienza nella gestione dell’energia. Si tratta comunque di minimi risultati rispetto al vero obiettivo incarnato dal concetto di “ecologia”, cioè lo scarso o nullo impatto sull’ambiente dell’uomo e delle sue attività per salvaguardare le risorse a favore anche delle generazioni future.
Sulla base di tali osservazioni ecologica sarebbe, allora, quell’auto che non usa la combustione, diretta del motore a scoppio o indiretta per la produzione elettrica, quale energia di propulsione.
Ecologica sarebbe quell’auto che prevede parti o materiali provenienti da fonti rinnovabili ma, soprattutto, facilmente riparabili, riutilizzabili e, solo in casi limite, riciclabili.
Ecologica, infine, sarebbe quell’auto che non richiedesse la proprietà (e l’uso) individuale ma che basasse la propria funzione sul servizio di trasporto, magari collettivo.
La strada per ottenere automobili ecologiche è, quindi, molto più tortuosa e in salita rispetto a quella che ci è proposta dal marketing. Si tratta, in sostanza, di ripensare il settore nella sua totalità lavorando, in più, anche sulle abitudini di fondo dei cittadini e utilizzatori del trasporto.
Il risultato, però, potrebbe essere veramente nuovo e gli obiettivi della sostenibilità ambientale, nonché del trasporto per tutti (anche per i paesi poveri), potrebbero essere realmente raggiunti.
Foto: Hajo de Reue