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Monthly Archives: Novembre 2013

Che fine sta facendo lo zinco?

La miniera irlandese Lisheen (che produce 170 mila ton/anno di zinco) fermerà l’attività estrattiva nel 2014. La miniera Century, in Australia, (che estrae 500 mila ton/anno), chiuderà nel 2016. Alcune miniere in Canada (Brunswick e Perseverance) sono state già chiuse e altre, in Sudafrica (Skorpion) e in Polonia (Pomorzany-Olkusz), chiuderanno entro i prossimi tre anni. Al posto di queste mega-miniere che si sono esaurite e che producevano 1,7 milioni di ton. di zinco annue che costituivano l’11% dei consumi mondiali, stanno per entrare in produzione giacimenti più piccoli, con il risultato di un forte calo dell’offerta di tale metallo.

Tale disequilibrio tra la domanda e l’offerta del minerale provocherà un suo inevitabile aumento di prezzo che, secondo alcuni analisti, arriverà addirittura a raddoppiare entro qualche anno. Infatti attualmente una tonnellata di zinco costa 1.865 dollari, ma si stima che il suo valore sarà di circa 3.500 $/ton. nel biennio 2016-2018 (1). Per tale ragione tra le multinazionali minerarie, le fonderie e, in particolare, la Cina (2) che deve sostenere la propria industria e la costruzione delle proprie infrastrutture, si sta consumando una corsa e una lotta senza quartiere per accaparrarsi le ultime riserve di questo metallo strategico, il cui esaurimento, da parte dell’USGS (United States Geological Survey), è previsto intorno all’anno 2024.

La corsa alle ultime tonnellate facilmente estraibili di zinco sta già spingendo colossi nel campo minerario come l’anglo-svizzera Glencore Xstrata, la belga Nyrstar e la cinese Ming ad investire nell’apertura di nuove miniere. Inoltre, da un lato gli australiani stanno facendo nuove prospezioni geologiche in Groenlandia, mente, dall’altro lato, giacimenti chiusi da anni stanno per essere riportati in funzione come diretta conseguenza dell’aumento dei prezzi, che consente di rientrare economicamente dagli elevati costi di estrazione.

La causa dell’importanza dello zinco per il sistema economico che giustifica l’enorme sforzo da parte delle compagnie minerarie e delle nazioni per ottenere concessioni allo sfruttamento del sottosuolo e all’apertura di nuove miniere, risiede nel fatto che esso, tramite un processo di zincatura che lo fa aderire alla superficie dei manufatti di acciaio, serve a rendere quest’ultimo meno attaccabile dalla ruggine, cioè dall’ossidazione.

Quanto descritto più sopra, allora, mi fa sorgere una semplice domanda: cosa faremo quando lo zinco non sarà più facilmente disponibile? Come proteggeremo a basso costo i nostri manufatti in acciaio e le nostre infrastrutture dal degrado dovuto all’ossidazione? Purtroppo anche la risposta è abbastanza semplice e dimostra la follia insita nel nostro sistema usa e getta che vuole tutto subito e che manca di un briciolo di lungimiranza per garantire le stesse nostre attuali condizioni di vita per le generazioni del futuro.

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(1) Gli analisti stimano il raddoppio del prezzo dello zinco nonostante il fatto che, quest’anno, il prezzo dello stesso al London Metal Excange (la più importante piazza finanziaria al mondo per i metalli non ferrosi) sia calato del 15% a causa di un surplus di produzione valutato in 110-120 mila tonnellate e il fatto che l’ILZSG (Gruppo internazionale di studio su piombo e zinco) non mostri alcun segnale di preoccupazione.

(2) La Cina, che è il principale costruttore di auto al mondo, utilizza una processo di zincatura dell’acciaio che ha un contenuto di metallo di tre quarti inferiore rispetto agli standard occidentali. La bassa qualità dello zinco impiegato – più facilmente intaccabile dalla ruggine – è anche una delle cause che impedisce alle auto cinesi di essere vendute all’estero. Il problema dello scarso contenuto di metallo nella fase di zincatura dell’acciaio cinese è così sentito da Pechino che la televisione di Stato Cctv ha di recente dedicato un servizio alla ruggine che attacca le auto prodotte in Cina e, inoltre, corrode i ponti.

 

“Prego, sig. Putin!”

È notizia di questi giorni che Vladimir Putin – il Presidente russo multimiliardario legato a doppio filo da interessi probabilmente anche personali con il sistema economico-produttivo del suo Paese – si è recato in Italia per incontrare una serie di personalità, tra cui il papa, il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, il Presidente del Consiglio dei Ministri Enrico Letta, Romano Prodi e l’ex premier condannato in via definitiva Silvio Berlusconi, suo vecchio amico.

Il suo arrivo sarà preceduto da una serie di figure di spicco del mondo politico ed economico russo e i suoi movimenti in Italia saranno accompagnati da un corteo di ben 50 auto che, scortate da polizia e servizi segreti in un roboante tripudio di alta velocità, sirene, guardie del corpo e bandierine svolazzanti, bloccheranno il traffico e infastidiranno gli spostamenti e le quotidiane attività degli italiani.

Leggendo la notizia e accostandola a quella della lunga e coraggiosa protesta dei cittadini gravemente malati di SLA che – da mesi – inutilmente desiderano essere ricevuti da un qualche rappresentante per far valere le loro sacrosante ragioni (anche se sbagliate, questo si vedrà), mi viene in mente un aspetto assurdo del mondo “democratico” in cui ci fanno credere di vivere.

Quando il mondo economico chiama… oplà! Tutti sull’attenti! “Dica signor Putin”. “Cosa desidera signor Putin!” “Prego signor Putin”, e giù inchini e salamelecchi. Quando, invece, chiama il cittadino per questioni che non muovono miliardi di euro e numerosi interessi privati della solita classe dirigente ma che si riferiscono alla salute, al benessere, alla cultura, all’educazione, alle relazioni, alla comunità e, in generale, ai veri e unici aspetti per cui la vita deve essere vissuta, si trovano solamente porte chiuse, sorrisi sarcastici e false promesse.

In un “sistema” politico sostanzialmente falso, fortemente sbilanciato solo sugli aspetti economici e che ci fa credere che la ricetta sia solo la crescita (per arricchire loro e per impoverire le nostre già misere esistenze), mi chiedo quale possa essere il ruolo della sostenibilità ambientale e del vero progresso della società.

Lascio a tutti voi l’amara risposta augurandomi che siate in grado, come a fatica cerco di fare anch’io, di essere fortemente critici e di essere disposti ad intraprendere una rivoluzione che sia il motore del vero sviluppo e del vero benessere, nonché di essere in grado di vedere al di là di quello che quotidianamente ci e vi viene fatto ingurgitare come medicina assolutamente necessaria.

 

L’Amazzonia muore

Non servono parole per descrivere la follia…

Ettaro dopo ettaro la foresta amazzonica sta lentamente morendo. Mangiata dalla deforestazione selvaggia, dagli incendi per destinare nuove terre all’agricoltura e agli allevamenti intensivi, all’estrazione mineraria, a nuove strade. Così la foresta pluviale più grande al mondo, secondo i dati dell’agenzia spaziale brasiliana, è diminuita di oltre un terzo nel corso dell’anno passato. Mentre secondo uno studio pubblicato sul londinese “Regional Environmental Change”, negli ultimi 3 anni nella parte brasiliana della foresta (il 60% della superficie totale) sono state costruite oltre 50 mila nuove strade”.

Un reportage, firmato dal fotografo Nacho Doce per l’agenzia Reuters, testimonia questa devasazione. Il titolo: “Amazzonia, da paradiso a inferno” (Reuters)

[vedi foto]

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Fonte: Corriere della Sera

 

Vapur | Bottiglia riutilizzabile

L’anti-bottle Vapur è una borraccia riutilizzabile molto versatile che si può piegare, lavare e portare sempre con sé.

L’anti-bottle Vapur ha le seguenti caratteristiche:

  • è lavabile, anche in lavastoviglie;
  • è pieghevole e, quando vuota, può essere facilmente arrotolata, piegata e appiattita per essere messa in borsa o in tasca: quando piena, invece, rimane stabilmente in piedi;
  • è congelabile;
  • è agganciabile mediante un moschettone che consente di portarla praticamente ovunque senza doversi preoccupare di ammaccarla o di romperla;
  • è leggera per l’ambiente e versatile: infatti quando è appiattita limita il suo ingombro e favorisce il trasporto; inoltre il suo imballaggio è stato studiato per ridurre al minimo l’utilizzo di carta e di colla ed è stampato con inchiostri a base vegetale;
  • è sicura in quanto è composta da tre stati di plastica che le conferiscono diverse caratteristiche: di questi quello più interno, approvato dalla Food & Drug Administration degli USA, è certificato senza bisfenolo A (BPA free).

VapurL’idea di realizzare questa bottiglia pieghevole è venuta a tre appassionati di outdoor californiani che hanno deciso di dare una risposta ecologica all’enorme consumo annuo di bottiglie di plastica che ammonta all’immensa cifra di circa 200 miliardi di pezzi l’anno. Di queste solo il 12% viene riciclato, mentre i restanti 176 miliardi finiscono nelle discariche o galleggiano negli oceani con un immenso impatto ambientale.

 

La città diffusa è come un cancro…

La città diffusa è come un cancro che divora inesorabilmente tutto il territorio di una determinata area geografica. Strade, case, infrastrutture, capannoni industriali, servizi, centri commerciali si diffondono sempre più numerosi e crescono come funghi velenosi nelle campagne, sulle pendici dei monti, ai bordi delle vie di comunicazione, sulle coste dei mari e dei laghi.

Molti lo chiamano “sviluppo”, soprattutto i politici e gli affaristi locali, ma agli occhi di un osservatore attento appare difficile poterlo definire come tale dal momento che in esso non si riesce ad intuire, nemmeno con la più acuta fantasia, un algoritmo che lo regoli nel profondo. È pura confusione, puro rumore di fondo senza un minimo di armonia.

Certo è che una tale (non) pianificazione territoriale non garantisce uno sviluppo durevole dal momento che per poter funzionare ha bisogno di enormi quantità di energia per gli spostamenti e frammenta, come nello scoppio di una bomba, il tessuto urbano e sociale in mille parti, spesso disunite e difficili da gestire con equilibrio.

La natura, ad osservarla bene invece, ci insegnerebbe l’esatto contrario e gli animali sociali (come l’Homo urbanus, versione moderna dell’Homo sapiens) che in essa vivono, per poter raggiungere la massima efficienza energetica e la massima collaborazione reciproca, dovrebbero vivere in ambienti “concentrati” pur migrando, anche lontano, alla ricerca di risorse. Ecosistemi che noi dovremmo iniziare a studiare approfonditamente e a copiare nell’organizzare le nostre città, le nostre vite e le nostre relazioni.

L’unica soluzione al baratro rappresentato dalla città diffusa è quella, da un lato, di partecipare alla vita sociale e di esercitare un’azione di controllo sulla sfera politica ed economica nonché, dall’altro, di esigere (attraverso il voto e il consenso) che la politica inizi a porsi seriamente delle domande su che cosa sia importante al di là della dimensione presente e inizi a mettere sul tavolo (della legge) regole certe di tutela del territorio e di efficienza urbana che consentano di sperare anche in un futuro più durevolmente prospero.

Temo che quello che ora percepiamo potrebbe essere solo benessere apparente e temporaneo che in questi ultimi anni si sta affievolendo e che presto, forse troppo presto e troppo velocemente, potrebbe anche finire!

 

“IL PD e il futuro che ci aspetta”

Il 29 ottobre 2013 il lettore Melquiades scrive alla rubrìca “Mail Box” del giornale “Il Fatto Quotidiano” la seguente lettera dal titolo “Il PD e il futuro che ci aspetta”:

Renzi e colleghi candidati democratici dovrebbero dirci qualcosa sul debito ecologico. È vero: abbiamo ipotecato le pensioni delle prossime generazioni. Ma soprattutto il loro futuro in termini di risorse ambientali e di qualità dell’ambiente nel quale vivranno. Uscite dall’orizzonte del prossimo sondaggio elettorale e pensate globalmente. Non viviamo un periodo di crisi, ma di transizione. Nulla sarà più come prima. Se vogliamo davvero dare un nome vincente al futuro non possiamo dimenticare la questione ambientale. E non basta qualche superficiale riga, tanto per non dimenticare. Ci vogliono prese di posizione coraggiose. Alla Leopolda nessuna consapevolezza di questo. Solo il rituale piccolo cabotaggio per il potere di domani. L’unico sogno, tante fantastiche nuove tecnologie e tre milioni di nuovi consumatori. Un futuro di morte per il quale non potete chiederci voti”.

Il contesto storico-politico di tale lettera è rappresentato dalle fasi preparatorie per la costituzione – attraverso le primarie – della nuova classe dirigente del Partito Democratico che vede in Matteo Renzi il probabile vincitore assoluto. Per discutere pubblicamente delle sue idee Renzi ha organizzato un evento politico-culturale alla Stazione Leopolda di Firenze.

L’osservazione di Melquiades è sacrosanta e ce la stiamo ponendo in tanti. Sempre di più!

La retorica della politica è vuota e purtroppo Renzi sta ripetendo gli stessi errori che abbiamo visto più e più volte in passato, soprattutto da parte della sinistra: demagogia iniziale per attrarre voti e, una volta raggiunto il potere, scheletrizzazione dell’azione e mantenimento dello status quo. In fin dei conti i principali finanziatori della politica non vogliono assolutamente cambiare!

Visto e considerato il fatto, invece, che la crisi non è solo temporanea ma è “di sistema”, è necessario che si comincino a mettere sul tavolo delle decisioni e a dare in pasto all’opinione pubblica nuove idee, nuovi paradigmi culturali e qualche decisione rivoluzionaria. Unica e sola strada per poter uscire dall’empasse socio-ambientale oramai creata dal sistema basato sul binomio produzione-consumo, maledettamente e sciaguratamente ripetuto all’infinito.