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Chi è la bestia?
Indovinello di fine estate: tra l’uomo e il bufalo chi è la bestia? [vedi il video]
Dopo la pubblicazione del video e l’eco che ha avuto sui media e sul web, le scuse da parte del Consorzio Mozzarella di Bufala Campana DOP risultano un po’ ipocrite e, soprattutto, tardive. Tutti sanno che negli allevamenti e nei mattatoi industriali – almeno prima delle denunce e delle campagne di sensibilizzazione – l’etica viene lasciata un po’ in disparte per far posto al reddito. Pertanto piangere, dispiacersi e tentare di proporre soluzioni solo dopo che qualcuno, a fatica e spesso dopo aver subito violenze ed attacchi, riesce a filmare e a far venire a galla le bestialità che in vari modi vengono fatti agli animali nel “sistema” industriale, non rappresenta assolutamente la cura al problema.
Le bestialità esercitate nei confronti degli animali spariranno solo dopo che sarà cambiato modello culturale, di produzione e di consumo.
Il modello culturale deve cambiare e dobbiamo semplicemente iniziare a pensare di non essere più né gli esseri predominanti né quelli più intelligenti.
Il modello di produzione deve cambiare e dobbiamo iniziare a pensare che non sia più tollerabile sacrificare la vita e il benessere di un essere vivente per soddisfare meri interessi economici: la vita è sacra e deve essere in qualche modo slegata dal profitto.
Il modello di consumo deve cambiare e dobbiamo iniziare a consumare meno carne per orientare la nostra alimentazione prevalentemente verso i vegetali. Oltre all’ambiente ne ricava grandi benefici anche la salute!
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ATTENZIONE: alcune immagini contengono scene di violenza esplicita e potrebbero urtare la vostra sensibilità.
Chi conosce il pangolino?
Anch’io, che sono un appassionato di animali e quando ero bambino letteralmente “divoravo” libri che ne parlavano e ne riconoscevo una grande quantità fin dalla tenera età, faccio fatica a mettere a fuoco il pangolino. So, bene o male, che forse potrebbe assomigliare vagamente ad una specie di faina ma non ne ricordo bene né il colore e nemmeno ricordo l’habitat in cui vive e di cosa si nutre. Non so neanche bene di che taglia sia. In effetti è un animale di cui si parla poco e che non rientra nemmeno nell’immaginario dei bambini, libri o peluche che siano. Con i nostri figli non ne imitiamo il verso e nemmeno facciamo riferimento ai suoi difetti o alle sue virtù. E questo ci aiuterebbe a riconoscerlo anche a noi adulti.
In effetti si tratta, ora che ho approfondito, di un mammifero un po’ particolare visto che è l’unico che al posto del pelo è dotato di scaglie protettive che lo ricoprono quasi interamente e che gli consentono di appallottolarsi per difendersi in caso di minaccia e di attacco. Esso è una specie di formichiere che vive un po’ ovunque nelle zone tropicali, dall’Africa all’Asia e ne sono stati rinvenuti fossili in Europa e in America settentrionale, a conferma della sua passata ampia diffusione.
Il pangolino, come tanti animali ora che l’uomo è diventato predominante e che ha colonizzato tutti gli ecosistemi, è un animale classificato prossimo all’estinzione da parte dell’IUCN (International Union for the Conservation of Nature and Natural Resources) (1). Le ragioni di tale stato compromesso di conservazione risiedono, purtroppo, sempre nelle due tipiche cause che lo determinano e che lo hanno determinato anche per altri animali: il commercio illegale per ragioni ludiche e la caccia sia per la prelibatezza della carne che per il presunto uso medicinale (nella medicina tradizionale cinese) delle scaglie. Si pensi, ad esempio, che in Vietnam 1 kg di pangolino può arrivare a costare addirittura 200 dollari.
Come osserva il giornale britannico The Guardian, il problema del pangolino è che, soprattutto in alcune aree del mondo come Vietnam e Cina meridionale, oltre ad essere utilizzato nella medicina tradizionale, la sua carne viene considerata una prelibatezza e mangiarlo è considerato una sorta di status symbol che dimostra ricchezza e conferisce una certa posizione sociale. Per tale assurda ragione si calcola che negli ultimi 10 anni siano stati cacciati e uccisi illegalmente più di un milione di pangolini. Questa situazione alimenta, inoltre, sempre di più il bracconaggio e lo estende anche in aree geografiche dove il pangolino non è generalmente cacciato per la sua carne: l’Africa.
Dopo essere venuti a conoscenza di ciò, chi può ancora osare di definire l’uomo “l’essere superiore”? Chi può ancora sopportare di sentire definire l’uomo “l’essere intelligente”? Io personalmente provo disgusto per l’assurdità di questa umana ignoranza – fatta di credenze, superstizioni ma anche di mancata conoscenza del ruolo che hanno gli animali nel mantenimento della salute e dell’equilibrio del Pianeta – e ribadisco la necessità che la biodiversità venga difesa strenuamente non solo da parte degli zoologi, degli scienziati e degli ambientalisti, ma anche che coinvolga, più in generale, il sistema culturale e produttivo attraverso pratiche che la insegnino alle persone e che non contribuiscono, anche solo indirettamente, alla sua distruzione.
È anche troppo semplicistico dire: “E io cosa posso fare?“. Anche se, immagino, non facciamo uso di carne di pangolino, cerchiamo di far sentire la nostra voce, facciamo o aderiamo a campagne di sensibilizzazione e mostriamo profonda indignazione verso tali pratiche, magari anche solo insegnando ai nostri figli il dovere di rispettare gli animali, tutti gli animali, al di là dei soliti animali domestici.
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Cooperativa Osiris | Prodotti agricoli
La cooperativa Osiris – che prende il proprio nome dalla dea della fertilità – è una tra le più significative realtà europee che operano nell’ambito dell’agricoltura biodinamica. Essa è stata fondata nel 1988 da un gruppo di agricoltori che, avendo iniziato ad interrogarsi sull’efficacia e sulla pericolosità dell’agricoltura “moderna” fatta di forza e di chimica, avevano prima fondato un gruppo di studio e, da pionieri, avevano iniziato, già dall’inizio degli anni ’80, a praticare l’agricoltura biodinamica. Siamo in Alto Adige, in provincia di Bolzano, nella vallata compresa tra Termeno, Egna e Ora il cui paesaggio è costellato da una distesa quasi infinita di frutteti, soprattutto mele, ma anche vigneti. Lo scopo della cooperativa era chiaro già dall’inizio: la creazione di una struttura di produzione e di marketing completamente indipendente dal sistema industriale della produzione e della distribuzione agricola, allo scopo di garantire ai consumatori sia l’origine che la qualità dei prodotti offerti.
Nella campagna dei soci della cooperativa Osiris la natura, guidata e non limitata dalla mano dell’uomo, trova lo spazio di potersi esprimere e tutto dà l’impressione di essere una specie di “disordine ordinato”. Nelle campagne si sente un forte profumo, dato dalle mille erbe spontanee che circondano le piante e che vengono lasciate crescere nelle bordure e nei cespugli e si sentono cinguettare numerosi uccelli di specie diverse che trovano un ambiente ospitale e nutrimento dato dagli insetti che, senza tregua, si posano sui fiori o volano nell’aria.
Il gruppo di studio sulla biodinamica è ancora il motore e il centro di ricerca della cooperativa Osiris che oramai ha acquisito esperienza e ha sviluppato importanti tecniche produttive nell’ambito dell’agricoltura biodinamica e che oggi esporta i suoi prodotti in tutta Europa. Tra questi prodotti, a fianco delle originarie mele e pere, sono stati introdotti anche piccoli frutti di bosco (mirtilli, lamponi, ribes, ecc.), il succo di mela e detersivi per la casa e per la persona, a base di aceto di mele. Il prodotti della cooperativa Osiris sono certificato Demeter, Codex e GlobalG.A.P.
Attualmente la cooperativa Osiris ha la propria sede a Postal (BZ).
Al supermercato con la bisnonna
“Quando andate al supermercato andateci sempre accompagnati dalla vostra bisnonna (immaginatevela con voi se non ce l’avete più) e tutto quello che la vostra bisnonna non riconosce come cibo… non compratelo. Leggendo l’etichetta, se ci sono sostanze che lei non capisce cosa siano… non compratelo. Se ci sono più di 5 ingredienti… non compratelo. Se c’è scritto che fa bene alla salute… non compratelo!!!”
Questo è quanto osserva – mutuando le raccomandazioni di Michael Pollan – con la sua proverbiale ironia e sagacia il prof. Franco Berrino, epidemiologo dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano dove dirige il dipartimento di medicina preventiva e predittiva..
In sostanza per vivere sani e in salute – e, magari, per scongiurare il più possibile il rischio di essere vittima di un tumore o di una grave patologia metabolica – è necessario consumare cibo sano ma, soprattutto, semplice, non raffinato e, di base, proveniente dal mondo vegetale. Questa pratica, che è anche molto sostenibile dal punto di vista ambientale, si rifà pienamente ai principi della bioimitazione.
Cosa dire allora: il vero progresso e la salute generale di un popolo passa per forza attraverso la natura (cibo sano), il suo rispetto (cibo vegetale) e l’imitazione del suo funzionamento (cibo semplice e non raffinato). Cosa aspettiamo a cambiare atteggiamento e a percorrere con maggiore convinzione questo cammino semplice e così rivoluzionario?
Il paradosso del pomodoro
Qualche anno fa, in Francia, due camion fecero uno scontro frontale terribile. La cosa non è strana, ne capitano tutti i giorni. Quello che è particolare, nell’incidente, è il fatto che entrambi i mezzi lasciarono sull’asfalto il medesimo prodotto: pomodori. Il paradosso è poi il fatto che un camion viaggiava da nord a sud e trasportava pomodori dall’Olanda a Barcellona e l’altro viaggiava da sud a nord e trasportava, sempre pomodori, da Almeria, in Spagna, all’Olanda.
Questa storia, che viene attribuita al contadino e filosofo francese Pierre Rabhi, è in grado di descrivere meglio di mille ricerche scientifiche e meglio di mille marce ambientaliste la follia che sta dietro al sistema della grande distribuzione organizzata (GDO) delle merci e dei trasporti delle stesse. Ci spiega, senza troppi giri di parole, che è un’assurdità il fatto che, alla ricerca del prezzo più basso di produzione con l’idea della sola massimizzazione dei profitti in un’agricoltura industriale, si possano produrre beni alimentari dove più conviene, per poi trasportarli in giro per il mondo, magari anche a discapito della qualità.
Se si vuole perseguire la vera sostenibilità ambientale I cibi devono essere prodotti e consumati localmente, magari creando rapporti di fiducia diretti con i produttori. A cosa serve coltivare (e consumare) le mele biologiche se poi il mercato di vendita è a 10.000 km di distanza? A cosa serve pagare un chilo di pomodori pochi centesimi di euro se poi non hanno gusto e la loro buccia è così dura (per ragioni di conservazione) che non si riesce a provare il piacere di addentarli? A cosa serve mangiare in primavera le vitamine di una pera che viene dal Cile se poi ci inquina indirettamente con i residui dei trasporti?
L’incidente dei camion di pomodori e l’assurdità che lo caratterizza dimostra bene questo paradosso ed è buona cosa che noi consumatori, attraverso le nostre scelte, vi poniamo fine. A tale proposito Pierre Rabhi è solito raccontare un’altra storia, quella del colibrì. “Un giorno – secondo tale storia – vi è un immenso incendio nella foresta. Tutti gli animali rimangono atterriti e impotenti di fronte a tale disastro e, tra loro, solo il piccolo colibrì è infaticabile nel trasportare con il suo piccolo becco l’acqua per spegnere il fuoco. Ad un certo punto l’armadillo, in tono sarcastico, gli chiede il perché di tale agitazione, visto e considerato che non saranno quelle piccole gocce sufficienti a spegnere l’incendio. Con molta naturalezza il colibrì gli risponde che sì, lui lo sa, ma vuole comunque fare la sua parte”.
L’assurdo spreco di cibo negli USA
Negli Stati Uniti si spreca circa il 40% del cibo prodotto, pari ad un valore di circa 165 miliardi di dollari. Si tratta di cibo buono, non avariato, spesso non cucinato, che viene gettato nella spazzatura ancora confezionato direttamente da parte degli acquirenti. La causa più frequente è legata al raggiungimento e al superamento della data di scadenza (anche se non è detto che il cibo sia immangiabile!) dovuti alla sovrabbondanza di cibo presente nelle dispense di una famiglia media che, semplicemente, ne acquista troppo e si dimentica di averlo.
E pensare che questo cibo potrebbe anche aiutare quei 50 milioni di americani (circa il 16% della popolazione totale degli USA) che sono poveri e fanno fatica a procurarsi da mangiare.
Per spiegare questo fenomeno è interessante osservare l’esperienza di Nick Papadopulos, un agricoltore biologico californiano. Stanco di buttare intere cassette di frutta o verdura rimaste invendute, Papadopulos ha iniziato a confrontarsi con altri produttori locali interessati dallo stesso fenomeno. La sua soluzione è stata quella di creare CropMobster, un servizio per trovare persone interessate a comperare, a prezzi più vantaggiosi, prodotti invenduti.
L’ampliamento del mercato, però, non è l’unica strada da percorrere per risolvere il problema. Servirebbe anche più informazione dei cittadini sia sull’alimentazione che sulle questioni tecniche legate alla coltivazione, alla trasformazione e alla conservazione del cibo. Innanzitutto bisognerebbe insegnare loro a non acquistare il cibo solo per il suo bell’aspetto estetico ma, soprattutto, a tener conto della sua qualità. Inoltre bisognerebbe spiegare loro che le date di scadenza riportate sulle confezioni non sono valide in senso assoluto ma forniscono solamente un’indicazione di massima. Prima di consumarlo, il cibo, deve essere sempre assaggiato. Anche se ciò avviene entro la data di scadenza!
Lo spreco di cibo è una follia. Lo è sia dal punto di vista umano ed etico che dal punto di vista di sostenibilità ambientale. Produrre cibo “consuma” lavoro, energia, materie e produce inquinamento, diretto o indiretto. Purtroppo l’agricoltura è stata interessata da un progressivo fenomeno di industrializzazione che l’ha spinta, come per le produzioni meccaniche, chimiche o altro, verso l’obiettivo della massimizzazione della produttività e l’abbassamento dei prezzi, preoccupandosi relativamente della qualità. Ma il cibo, si sa, è molto diverso da un manufatto. Lo ingeriamo e, attraverso il metabolismo, diventa noi e noi diventiamo un po’ lui.
Paradossalmente, per risolvere il problema dello spreco di cibo ancora buono, si dovrebbe fare una cosa semplice e apparentemente assurda. Si dovrebbe puntare all’aumento dei prezzi di vendita. In un sistema industriale che tende a massimizzare la produzione e a fornire cibo a prezzi bassi ma a discapito della qualità, si dovrebbe aumentarne il valore per far comprendere ai cittadini la sua vera importanza.
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Fonte: Internazionale
Il pesce è sempre più caro? La colpa è degli Omega-3
Su “Il Venerdì di Repubblica” del 28 febbraio scorso Loretta Napoleoni, economista, nella sua rubrica “Follow the money” parla dei motivi per cui il pesce è caro (anche quello di allevamento).
Per argomentare le sue tesi scrive: “Quest’anno mangeremo più pesce di allevamento che selvaggio […]. Il motivo è presto detto: da oltre un decennio la domanda ittica mondiale aumenta a un ritmo che oscilla tra il 5 e il 10 per cento annuo e i responsabili sono in primis i Paesi in via di sviluppo, man mano che si arricchiscono cresce la voglia di mangiare pesce […]. Il pianeta mangia pesce ad un ritmo molto più elevato di quello della riproduzione, anche dell’allevamento”.
Sacrosante parole. “Secondo le previsioni – prosegue l’articolo – l’allevamento ittico aumenterà ancora di un 14 per cento prima di raggiungere il massimo della capacità, a meno che non si verifichi un cambiamento radicale, come una rivoluzione tecnologica che permetta di rimuovere l’ostacolo maggiore: per produrre il pesce bisogna usare come alimento principale il pesce”.
“Prendiamo il salmone, forse il pesce più gettonato al mondo, la dieta di quello di allevamento deve contenere una certa quantità di Omega-3, che si trova principalmente nei pesci dell’America Latina, che iniziano a scarseggiare. Questo spiega perchè dal 2013 il costo del salmone è in netto aumento […]. Ora la Monsanto sta studiando la possibilità di estrarre Omega-3 dalla soia, e altre multinazionali sperimentano l’utilizzo delle alghe. Una cosa è certa: finché qualcuno non trova la formula giusta, il prezzo del salmone continuerà a salire”.
Cara sig.ra Napoleoni, per risolvere il problema del prezzo del pesce che cresce a causa del depauperamento degli stock ittici che non sono oramai più in grado di soddisfare né la richiesta mondiale di pesce selvaggio né quella dell’industria dei mangimi per il pesce di allevamento non si può solo ragionare in termini di tecnica e di tecnologia. Non si può solo pensare che la soluzione possa essere quella di ottenere gli Omega-3 attraverso l’uso abbondante di energia per estrarli a forza dai prodotti agricoli come la soia o le alghe (che potrebbero essere consumati anche direttamente) al solo scopo di alimentare l’industria dell’allevamento. In più mettendo in competizione il mondo agricolo che produce direttamente cibo con quello che produce beni per l’industria.
La soluzione potrebbe (e dovrebbe) essere, invece, quella che passa attraverso il concetto della “sufficienza”, cioè l’ottenimento del benessere per la più ampia fetta possibile di popolazione mondiale attraverso la riduzione dei livelli di consumo e il miglioramento in termini qualitativi del consumo attuale. Nell’ambito del prezzo in aumento del pesce questo concetto della sufficienza dovrebbe esprimersi sostanzialmente in due direzioni fondamentali:
- diminuire i consumi di pesce e crostacei per quella fetta ricca della popolazione mondiale che ne consuma (e spesso ne getta) troppi;
- orientare i consumi alimentari verso i vegetali (di qualità, altrimenti finiamo dalla pentola alla brace) piuttosto che verso le carni.
Salute e sostenibilità ambientale sono concetti strettamente interconnessi
La sostenibilità ambientale passa inevitabilmente attraverso la salute e la salute passa attraverso la sostenibilità ambientale, in un pieno rapporto biunivoco. Senza la sostenibilità ambientale non ci può essere salute (soprattutto prevenzione, che è la componente più importante della salute) e senza salute (cioè senza una chiara idea di che cosa sia la salute e la prevenzione) non ci può essere sostenibilità ambientale.
Provo a fare degli esempi. Chi abusa dei farmaci (necessari, ma pur sempre tossici) per togliere qualsiasi sintomo senza preoccuparsi delle cause che lo determinano come può avere una chiara idea di che cosa sia la sostenibilità ambientale? Chi mangia male (cibo spazzatura) e specula sul prezzo del cibo (consumando cibo di bassa qualità) per avere più beni effimeri e non necessari come può agire per perseguire la sostenibilità ambientale? Chi butta la spazzatura a terra anziché adoperarsi per smaltirla correttamente come può capire a fondo cosa sia la salute e la prevenzione? Chi abusa di pesticidi e diserbanti (in agricoltura, negli spazi pubblici, negli spazi verdi privati) come può adoperarsi correttamente per garantire salute a se stesso e ai propri cari nel lungo periodo? E gli esempi potrebbero essere innumerevoli…
A tale proposito qualche giorno fa sono rimasto colpito da un bell’articolo del dott. Roberto Gava pubblicato su Il Fatto Quotidiano nel quale afferma un concetto fondamentale per ragionare in termini di salute e di sostenibilità ambientale: noi stessi siamo la causa delle nostre patologie (e del nostro benessere, aggiungo io).
Quello che afferma il dott. Gava – basandolo sulla propria esperienza clinica – è il fatto che la quasi totalità delle nostre patologie attuali – spesso croniche e invalidanti – sia il frutto di errori pubblici e sociali (ad esempio tollerare ancora elevati tassi di inquinamento per alimentare un sistema economico senza fine basato sulla continua produzione e consumo) e sulla scarsa cultura della prevenzione da parte delle persone. In tutto questo, io mi chiedo dove erano e dove sono i medici e i farmacisti? Qual è il loro ruolo nel rapporto con i pazienti all’interno del processo di mantenimento della salute e di cura? Cosa sanno e cosa percepiscono veramente della salute attraverso la prevenzione e del ruolo che ha la sostenibilità ambientale nel garantirla?
Per promuovere la salute il dott. Gava parla, nel dettaglio, di prevenzione alimentare e dei principali errori che si commettono nel campo della nutrizione:
- Troppi zuccheri semplici, comprendendo quelli che aggiungiamo noi e quelli che aggiunge l’industria alimentare.
- Troppi cereali, rispetto a verdure, legumi, frutta e proteine vegetali.
- Troppi carboidrati raffinati rispetto a quelli complessi.
- Troppi grassi saturi (grassi animali) e pochi grassi buoni (polinsaturi omega-3 di origine vegetale o ittica e monoinsaturi dell’olio di oliva).
- Carenza di micronutrienti essenziali: la produzione industriale del cibo li ha gravemente ridotti, insieme allo sfruttamento del terreno e all’inquinamento (viviamo in una situazione di carenza cronica che, di solito, non induce avitaminosi, ma altera il metabolismo dell’organismo e induce una instabilità genomica con maggior suscettibilità al danno del DNA con scarsa capacità di ripararlo).
- Carenza di fibra alimentare (assente in cibi raffinati) con conseguenti: stipsi, accumulo di sostanze tossiche, mancato legame di zuccheri e grassi (che verrebbero escreti più facilmente riducendo anche il colesterolo-LDL e aumentando il colesterolo-HDL) e aumento di diabete e vasculopatie aterosclerotiche.
- Alterazione dell’equilibrio acido-base con spostamento verso l’acidosi metabolica a causa di eccessivo consumo di cibi acidificanti (cibi confezionati, carne, uova, latte, formaggi, sale, additivi chimici, ecc.) a cui conseguono: perdita del tono muscolare, osteoporosi, calcoli renali, ipertensione arteriosa, infiammazione tessutale, ecc.
- Alterato equilibrio sodio/potassio con aumento del sodio (contenuto in abbondanza nei cibi industriali) e calo del potassio (che è scarso in carboidrati raffinati, latte e formaggi), con conseguente aumentato rischio di ipertensione arteriosa, ictus cerebrale, calcoli renali, osteoporosi, asma, insonnia, ecc.
Oltre a tener conto dei punti precedenti tra le possibili soluzioni elenca:
- La riduzione dell’introito calorico quale miglior modo per rallentare l’invecchiamento e per prevenire le patologie croniche;
- La restrizione calorica quale modo per facilitare l’eliminazione di cellule danneggiate e la loro sostituzione con cellule nuove derivate dalle riserve staminali.
A ciò io aggiungerei anche:
- La scelta di prodotti alimentari coltivati e prodotti con il minor impatto ambientale possibile che, per semplificazione, potrebbero essere quelli certificati biologici o biodinamici, sono fondamentali per limitare l’inquinamento e garantire più alti livelli di salute sociale nonché per fornire cibi più sani alle persone;
- La scelta di prodotti alimentari locali che vengono coltivati o prodotti vicino al luogo di consumo viaggiano di meno: in tale modo possono essere raccolti al raggiungimento della maturazione e, per questo, possono garantire maggiore e migliore apporto di vitamine e nutrienti;
- La scelta di prodotti alimentari semplici e non troppo industrializzati. In tal modo si limitano inutili additivi (conservanti e insaporenti) e si garantisce più genuinità dei cibi;
- La scelta di prodotti alimentari che abbiano pochi imballaggi per limitare la produzione dei rifiuti che indirettamente, attraverso l’inquinamento che producono, possono contribuire a diminuire la qualità della salute pubblica.
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Foto: La nuova piramide alimentare
Patè de fois gras. Slurp!
Quando vedo un video come quello di Animal Equality sull’allevamento delle oche destinate alla produzione del paté de fois gras (paté di fegato d’oca o di anatra) (1), penso che l’unico VERO animale presente sulla Terra sia l’uomo.
La nostra consapevole brutalità non ha pari. La nostra bestialità nel procurare inutile dolore e sofferenza ad altri esseri viventi non ha pari. La nostra consapevole insensibilità per l’ottenimento di un prodotto non essenziale per la sopravvivenza non ha pari. Il nostro lucido calcolo puramente materialistico non ha pari. Tutto ciò non ha pari nemmeno tra i più sanguinari carnivori del Pianeta, come le tigri, i coccodrilli o gli squali che agiscono istintivamente (senza premeditazione o senza scopi materiali, come il denaro) solo per procurarsi il cibo destinato alla sopravvivenza, loro e del loro clan familiare.
Tornando al video, esso mostra i diversi passaggi produttivi necessari per ottenere il famoso fois gras. Dall’allevamento degli animali in minuscole gabbie, all’alimentazione forzata degli stessi che vengono ingozzati a forza, fino ad arrivare alla loro truce macellazione. Tutto ciò con un unico scopo: procurare agli animali un ingrossamento anomalo del fegato e grandi depositi di grasso nello stesso che gli conferiscono quella consistenza gelatinosa così tanto ricercata dalla gastronomia e dai consumatori.
Il video è stato messa in rete da parte di Animal Equality, l’organizzazione internazionale in difesa degli animali. “Ciò che abbiamo documentato sono scene terribili di animali confinati in minuscole gabbie, affetti da stress e depressione, feriti dal tubo che ogni giorno viene loro spinto con forza nell’esofago [fino anche a farlo sanguinare] per far passare il cibo, oppressi da problemi respiratori e di deambulazione per le abnormi dimensioni raggiunte dal fegato, maltrattati e lasciati morire senza cure” afferma Francesca Testi, portavoce di Animal Equality in Italia. Il tutto senza senso, senza uno scopo importante, direi io. Con il solo oboettivo di accontentare il palato ad un’umanità capricciosa e senz’anima.
Sono certo che la nostra sopravvivenza futura dovrà passare inevitabilmente anche attraverso il rispetto degli animali. Boicottiamo il paté di fois gras e aderiamo con partecipazione alla campagna di sensibilizzazione di Animal Equality.
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(1) Wikipedia riporta che il fois gras è definito dalla legge francese come “fegato di anatra e di oca fatta ingrassare tramite alimentazione forzata”. […] L’alimentazione forzata induce una crescita abnorme del fegato ed un aumento di grassi nelle cellule epatiche noto come steatosi. Questo fenomeno è stato interpretato come un adattamento naturale da alcuni esperti, ma come una vera e propria patologia, la steatosi epatica, da altri.
Video: ATTENZIONE: alcune immagini contengono scene di violenza esplicita e potrebbero urtare la vostra sensibilità.
2014: anno dell’agricoltura familiare
In Italia e, suppongo, nei paesi “occidentali” che hanno il baricentro sociale spostato sull’industria e sui servizi, l’agricoltura viene oramai relegata ad un ruolo gregario all’interno del sistema economico: tutti concordano sul fatto che serva e che sia fondamentale ma poi la snobbano o la superfinanziano senza criterio preferendo ad essa l’industria o l’edilizia, perché sono in grado di essere molto redditizie e di portar soldi agli investitori in tempi molto brevi, quelli che l’agricoltura non si può permettere. Nonostante i piccoli segnali di ripresa di questi ultimi anni dovuti alla crisi che porta sempre più giovani intraprendere la strada (e l’avventura) nel settore primario, l’agricoltura, da noi, viene vista comunque nell’ottica industriale fatta di mezzi meccanici sempre più sofisticati, di additivi chimici e biotecnologici, di assenza di manodopera nonché di grandi guadagni speculativi che spesso esulano dalla produzione del cibo e virano verso la produzione di energia o verso la gestione dei rifiuti.
È importante sapere, però, che questa idea di agricoltura interessa una minoranza di persone al mondo dove, invece, in massima parte, la stessa è basata sulla piccola agricoltura familiare (1) che coinvolge circa 400 milioni di famiglie di coltivatori diretti con meno di due ettari di terra, circa 100 milioni di pastori e circa 100 milioni di pescatori. In sostanza il 40% della forza lavoro del Pianeta è coinvolto nell’agricoltura familiare che produce circa il 70% del cibo disponibile.
L’agricoltura familiare è caratterizzata principalmente da tre elementi positivi:
- contribuisce sostanzialmente alla sicurezza alimentare mondiale;
- difende i prodotti alimentari tradizionali e contribuisce a garantire una dieta bilanciata per le persone povere salvaguardando, contestualmente, l’agro-biodiversità e l’uso sostenibile delle risorse naturali;
- rappresenta un’opportunità per migliorare ed accrescere le economie locali.
In quest’ottica la FAO ha dichiarato il 2014 “l’anno dell’agricoltura familiare” con lo scopo di porre l’attenzione pubblica sul suo importante ruolo nell’eradicazione della denutrizione e della povertà, nel garantire la sicurezza alimentare e il miglioramento delle condizioni di vita, nella corretta gestione delle risorse naturali, nella protezione dell’ambiente e nel raggiungimento di uno sviluppo sostenibile e durevole, soprattutto delle aree rurali. L’obiettivo è quello di posizionare l’agricoltura familiare al centro delle politiche sociali, ambientali ed economiche degli stati, quale volano per uno sviluppo dell’uomo più equo e bilanciato rispetto a quello che può essere garantito dall’agricoltura industriale.
Bioimita sostiene l’agricoltura familiare perché rappresenta un punto focale dei suoi principi. Essa, in effetti, è caratterizzata dal fatto di avere caratteristiche specifiche per ciascuna area geografica; essa, essendo di piccola scala è necessariamente basata su una rete di relazioni tra diversi soggetti che si devono scambiare le sementi, le conoscenze, i prodotti; essa favorisce la biodiversità in quanto, non essendo industriale, valorizza i prodotti locali.
Aiuto! C’è un insetto negli spinaci
Addirittura un insetto negli spinaci! Aiutooooooooo!
Così strillano (o quasi) in questi giorni le locandine davanti alle edicole e titola L’Arena, il giornale di Verona.
Ma andiamo con ordine e vediamo cosa è successo. È successo che una scuola media cittadina ha segnalato la presenza di uno scarafaggio negli spinaci somministrati ai ragazzini nella mensa e, sulla questione, sono intervenute addirittura le autorità dell’Azienda che gestisce le mense comunali con comunicati e con provvedimenti che hanno portato ad eliminare l’intera partita di verdure incriminate. Inoltre il venefico insetto negli spinaci ha infiammato anche il dibattito politico vedendo, tra i contendenti, gli amministratori, l’azienda appaltatrice e l’opposizione.
“Un clima avvelenato – recita l’Arena – tanto che dopo il ritrovamento dello scarafaggio, comincia a serpeggiare (addirittura!) l’inquietante ipotesi del boicottaggio. Sempre ieri, tra l’altro, da un controllo fatto dall’ufficio refezione scolastica del Comune alle mense delle elementari N. e R., è emerso un giudizio positivo sul cibo servito. Gli stessi spinaci in tegame sono stati definiti «ottimi» in una scuola e «buoni» nell’altra. Tanto che «molti bambini», recita un comunicato di Palazzo Barbieri (la sede del Municipio, ndr), «hanno (udite, udite!) pure effettuato il bis»”. E non sono morti, dico io!
Sia ben chiaro che è assolutamente doveroso che il cibo fornito ai nostri figli nelle mense scolastiche debba essere di qualità, pulito, sicuro dal punto di vista igienico e privo di corpi estranei. Siano essi insetti o altro. Quello che mi fa sorridere (e, in parte, preoccupare) è il fatto che ci si stia accapigliando (1) per la presenza di un insetto in un piatto (che non ha mai ucciso nessuno e che, in un futuro, rappresenterà molto probabilmente una componente della nostra alimentazione abituale), mentre non si muove foglia, non si fanno locandine e non si fanno articoli per le vere cause che potrebbero rappresentare un pericolo per la salute dei nostri figli nelle mense scolastiche. Provo ad elencarle:
- cibi economici di scarsa qualità, con poca attenzione ai prodotti biologici;
- verdure con residui di pesticidi e carni con residui di antibiotici;
- diete non equilibrate che spesso eccedono in uso di carne, proteine animali, grassi e zuccheri;
- sistemi di cottura che potrebbero esporre i cibi ad inquinanti (es. teflon, metalli, ecc.)
- sistemi di cottura che non garantiscono il mantenimento delle proprietà dei cibi (es. vitamine);
- utilizzo di prodotti chimici pericolosi per le pulizie delle cucine o per il lavaggio di pentole e stoviglie;
- cibi serviti con piatti in materiale plastico usa e getta, non salutare in caso di cibi caldi e che produce un’enorme quantità di rifiuti non riciclabili.
Iniziare a preoccuparsi seriamente di questi VERI problemi e relegare ai margini della discussione (e dell’ansia pubblica) la presenza di un insetto nel piatto o di un moscerino in cucina contribuirebbe anche a porre importanti basi per una maggiore sostenibilità ambientale all’interno dell’enorme filiera dell’alimentazione non domestica.
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(1) Basta scorrere le cronache locali per vedere che il caso di Verona dell’insetto nel piatto non è un caso isolato di mamme preoccupate, di raccolte firme, di richieste di commissioni di vigilanza, ecc. ecc. (Pisa, Marino)
Salva un agnello
È semplicemente disumano fare ad un essere vivente quello che è ben documentato dal video di Animal Equality. In particolare – per chi è genitore può ben capire – se fatto ad un cucciolo.
Che cittadino, che genitore, che compagno, che educatore potrà mai essere colui che maltratta gli animali o che consente ad altri di farlo?
Oltre a chiedere comportamenti etici all’industria della carne, limitiamone fortemente anche il consumo. Ne beneficerà l’ambiente e, soprattutto, la nostra salute!
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Foto: www.campaniasuweb.it
Video: Salva un Agnello – ATTENZIONE: alcune immagini contengono scene di violenza esplicita e potrebbero urtare la vostra sensibilità.
Plutarco e la carne
“Se sei convinto di essere naturalmente predisposto a mangiar carne, prova anzitutto ad uccidere tu stesso l’animale che devi mangiare. Ma ammazzalo tu in persona, con le tue mani, senza ricorrere ad un coltello, ad un bastone o ad una scure. Fa come i lupi, gli orsi e i leoni che ammazzano da sé quanto mangiano”.
Con una lucidità incredibile e una lungimiranza inimmaginabile sui riflessi negativi che l’eccessivo consumo di carne avrebbe determinato qualche decina di secoli dopo, Plutarco elaborò questo suo pensiero nel I secolo d.C.
È troppo facile delegare altri (ad esempio l’asettica industria) per procurare la morte degli animali destinati al cibo. Sono certo, anche a seguito delle mie esperienze professionali nei macelli industriali, che gran parte dei consumatori di carne (1) desisterebbe da tale pratica di fronte al proprio coinvolgimento diretto nella morte di un animale, di fronte alla sua sofferenza, alla sua resistenza e al sua attaccamento alla vita.
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(1) Ci sto provando da tempo e, prima o poi, diventerò vegetariano.
66 milioni
Con i suoi 66 milioni di tonnellate prodotti nel 2012 il pesce allevato ha superato la quantità del manzo allevato (63 milioni di tonnellate annue). Ad incidere fortemente su questo superamento e sul trend in crescita del consumo di pesce è l’allevamento ittico cinese che, da solo, copre il 62% della produzione mondiale.
I dati sono riportati dalla rivista inglese “New Scientist” che, anziché sottolineare solamente gli aspetti positivi riferiti a tale dato (minore deforestazione, minore emissioni di metano, uso poco efficiente delle risorse agricole legate alla produzione della carne e minore sfruttamento degli stock ittici oceanici), evidenzia, citando un rapporto dell’Earth Policy Institute di Washington, che la pescicoltura può rappresentare anche una grave minaccia per gli ecosistemi. I motivi di preoccupazione per tale minaccia sono rappresentati dal fatto che spesso, per ragioni puramente commerciali o di moda alimentare, vengono allevate le specie “sbagliate”, quelle cioè che hanno il maggior impatto sull’ambiente.
Le specie “sbagliate” sono quelle carnivore (come il salmone, il branzino o il tonno) che, per essere nutrite, necessitano di animali o mangimi prodotti con pesci più piccoli, pescati in mare aperto. Ecco che così si ripropone il problema che si desiderava (o sperava) risolvere: quello della pesca insostenibile e del depauperamento degli stock ittici oceanici.
Le specie “giuste”, invece, sono quelle tipiche dell’allevamento cinese che, una volta tanto, rappresenta un elevato standard di sostenibilità ambientale. Esso è principalmente basato sull’allevamento della carpa argentata o di specie simili che, vivendo nelle risaie ed essendo essenzialmente vegetariane, possono nutrirsi di erbe, plankton e detriti organici e possono avere un limitato impatto ambientale. Anzi, possono addirittura limitare l’inquinamento delle acque dove sono presenti e migliorare le produzioni agricole.
I dubbi e le preoccupazioni che caratterizzano l’allevamento del pesce fanno emergere un concetto molto importante che la bioimitazione si propone di analizzare, di comprendere e di risolvere: in natura tutto è collegato da una serie infinita di relazioni che interessano le specie viventi, l’equilibrio del Pianeta, la salute e il benessere degli esseri umani. Se tale rapporto viene fortemente e malamente perturbato può dare origine a effetti o reazioni a catena che possono manifestarsi anche in ambiti e con modalità non del tutto prevedibili.
Pertanto perdere (o mettere fortemente a repentaglio) gli stock ittici dei mari potrebbe non solo mettere in difficoltà l’approvvigionamento di proteine animali per una elevata percentuale di popolazione mondiale ma potrebbe avere anche effetti sugli equilibri biochimici degli oceani che ora facciamo fatica a comprendere appieno.
Il cibo, come le lingue, le culture e il sapere è stato ed è in continua evoluzione. Facciamo in modo che possa essere, anziché una fonte di problemi da risolvere, un importante mezzo per la salvaguardia del Pianeta.
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Foto: Il Fatto Alimentare
Caseificio Tommasoni
Il Caseificio Tommasoni di Gottolengo (BS) è un’azienda a conduzione familiare che continua una lunga tradizione, iniziata nel lontano 1815, nella produzione di grana padano, ricotta e robiole.
Il Caseificio Tommasoni è certificato biologico da novembre del 2000 e, la scelta che sembrava una scommessa azzardata per i tempi, si è rivelata invece estremamente positiva perché ha portato l’azienda a fare un interessante percorso culturale e a promuovere i principi che abbracciano tutto il benessere dell’uomo e dell’ambiente che lo circonda. Nell’ambito di questo percorso l’obiettivo non rimane solo quello commerciale ma anche quello etico (e strategico) perché si vuole dimostrare concretamente la possibilità di uno sviluppo eco-sostenibile, attento al rispetto e alla conservazione delle risorse nel tempo.
Il Caseificio Tommasoni trasforma solo latte da agricoltura biologica proveniente da stalle della pianura lombarda. Le vacche, che da marzo a novembre sono lasciate al pascolo, sono alimentate senza l’aggiunta di insilato di mais che, specie nei mesi molto caldi, determina anomale fermentazioni del latte che potrebbero ripercuotersi anche sul sapore dei formaggi e provocare rigonfiamenti alle forme.
Sia il latte che i prodotti caseari ottenuti sono certificati ICEA (Istituto per la Certificazione Etica ed Ambientale).
Il Caseificio Tommasoni, oltre allo spaccio aziendale di Gottolengo, distribuisce i propri prodotti o mediante consegne dirette o tramite corriere ed è molto attivo nella fornitura ai Gruppi di Acquisto Solidali (GAS).
el Restel | Azienda agricola
“Immaginiamo quello che desideriamo mangiare e cominciamo a produrlo”.
L’azienda agricola el Restel, che si trova nella Pianura Padana in provincia di Verona, si estende su una superficie di 30 ettari dove si coltivano, nel rispetto della metodologia dell’agricoltura biologica, cereali e alberi da frutta, soprattutto actinidia (kiwi).
Anticamente l’azienda era concentrata prevalentemente sulla produzione del riso e da qualche anno si è deciso di riprendere tale coltivazione che sta incontrando sempre più interesse tra i clienti dell’azienda.
L’azienda agricola el Restel segue completamente la metodologia biologica certificata da ente terzo e tutte le colture annuali vengono avvicendate per consentire il mantenimento della caratteristiche chico-fisiche del terreno. Inoltre le coltivazioni sono intervallate da siepi e boschi che consentono di interrompere le folate di vento e rappresentano un ottimo habitat per la flora e la fauna, soprattutto volatile.
L’azienda agricola el Restel desidera organizzare sempre di più una filiera di commercio diretto per portare a un numero sempre maggiore di consumatori un prodotto di gran qualità che arriverebbe sulle tavole a un prezzo troppo elevato se passasse attraverso i canali della grande distribuzione.
I principali prodotti aziendali sono:
- riso
- altri cereali (grano, mais, soia)
- succhi di frutta.
Terre e Tradizioni | Prodotti alimentari
“Non applichiamo ciecamente la Tecnologia moderna a discapito della Tecnica, non ci evolviamo senza tener conto del nostro passato, non forziamo la natura delle cose danneggiando l’armonia donataci. Proveniamo dalla Terra e osserviamo il Cielo per capire se possiamo depositare il Seme. Ci soffermiamo sui significati profondi dell’Opera accordandoci con essa evitando il rischio di essere Note Stonate”.
Terre e Tradizioni nasce dall’unione di più operatori del settore agroalimentare e ha come obiettivo la creazione di una filiera virtuosa che controlli la qualità di ogni prodotto dal luogo di produzione sino al piatto del consumatore, valorizzando i produttori di eccellenza e la Civiltà Rurale, diffondendo la cultura della buona alimentazione e difendendo la salute di chi acquista i suoi prodotti.
I prodotti proposti sono:
- Paste pronte
- Pasta fresca e ripiena
- Pasta fresca senza uova
- Pasta secca
- Prodotti da forno
- Cous Cous e Semi
- Farine
Antico Molino Rosso | Farine
Antico Molino Rosso è un’azienda che opera nell’ambito della macinazione delle farine che si trova a Buttapietra, in provincia di Verona. La struttura originaria del molino risale al XVI secolo e, attualmente, è ancora presente e funzionante una ruota a pale del 1858. L’impianto dedicato alla molatura dei cereali e alla produzione della farina rigorosamente di origine biologica si compone di numerose macine a pietra ristrutturate, risalenti alla prima metà del ‘900.
La passione di Gaetano Mirandola – il proprietario – verso un’alimentazione sana ed equilibrata, unita alla consapevolezza dell’importanza della coltivazione biologica e della riscoperta di vecchi cereali (quasi) dimenticati, ha fatto sì che attualmente Antico Molino Rosso rappresenti un’importante realtà nella produzione di farine biologiche.
L’azienda, oltre alla produzione di farina, si propone anche:
- di sensibilizzare ed incoraggiare le aziende agricole a coltivare con il metodo biologico e di trasmettere loro i valori della sostenibilità ambientale;
- di recuperare e valorizzare le vecchie varietà di cereali (grano, farro, khorasan KAMUT®, riso, avena, orzo, grano saragolla, grano duro, grano Senatore Cappelli, Akrux®, segale, piccolo farro);
- di realizzare corsi di formazione formazione sull’importanza dell’agricoltura biologica, sia nei confronti dei professionisti del settore che dei consumatori.
Antico Molino Rosso si occupa anche di ricerca sui cereali e sulle farine mettendo a punto particolari ricette per panificatori e pizzaioli.
Aniwell | Alimenti per animali
Gli animali da compagnia rappresentano un’importantissima fonte di benessere per le persone ma la loro gestione, soprattutto negli appartamenti e nelle città, può contribuire anche in maniera elevata a non garantire adeguata sostenibilità ambientale. Si pensi all’agricoltura, all’allevamento e alla pesca da cui si ottengono le materie prime; si pensi alla produzione, al trasporto e agli imballaggi dei prodotti; si pensi ai prodotti cosmetici, per la pulizia e l’igiene.
Il progetto Aniwell – Benessere bestiale nasce per offrire ai nostri amici a quattro zampe – cani e gatti – un’alimentazione sana, biologica, gustosa e poco impattante sull’ambiente.
Nelle ricette Aniwell ha privilegiato la carne e il pesce freschi, i prodotti da agricoltura biologica, il giusto dosaggio degli ingredienti senza usare conservanti artificiali, coloranti o additivi. In più Aniwell non usa nessun riempitivo: i prodotti hanno un’alta percentuale di carne senza la presenza di sottoprodotti. Inoltre non scatenano reazioni allergiche dovute alla presenza di residui chimici e di glutine di frumento e vengono conservati in modo naturale attraverso estratti di erbe aromatiche oppure attraverso la vitamina E (alpha-tocoferolo).
Aniwell dichiara che per questioni di corretta conservazione di prodotti le confezioni di prodotti secchi (crocchette) sono al massimo di 5 Kg per i cani e di 2 Kg per i gatti. Sacchi più grandi potrebbero comprometterne la giusta conservazione che può influire sull’igiene e la salubrità dei prodotti.
È possibile acquistare i prodotti Aniwell solo on-line perché la sua politica commerciale non prevede la distribuzione nei negozi.
Aniwell aderisce al progetto PETA (People for the Ethical Treatement of Animals) e si dichiara 100% Cruelty Free perché non effettua e non commissiona test sugli animali per i propri prodotti e per le materie prime che li compongono.
Il biologico Conad
“L’agricoltura biologica garantisce il rispetto dei cicli naturali, della salute dei suoli, delle acque, delle piante, degli animali e assicura un impiego responsabile dell’energia e delle risorse. I prodotti da agricoltura biologica sono ottenuti solo con sostanze e procedimenti naturali e ti aiutano a seguire un’alimentazione sana”.
Così recita, in evidenza, il retro di una confezione di 4 uova fresche biologiche Conad che ho recentemente acquistato.
Se l’italiano non è un’opinione ciò significa che l’altra agricoltura, quella tradizionale, NON garantisce il sufficiente rispetto della natura nonché un uso responsabile dell’energia e delle risorse. Inoltre si ammette indirettamente che nell’agricoltura tradizionale NON sempre vengono usate sostanze e procedimenti naturali e che attraverso essa NON è promossa una sana alimentazione.
Se anche la grande distribuzione organizzata lo dice, nessun ulteriore commento è necessario per capire quali scelte dobbiamo fare per garantirci un’adeguata salute e per promuovere la sostenibilità ambientale…