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Le luci e le ombre del 2016 per il WWF

WWF: luci e le ombre del 2016

Sull’onda del primo articolo del 2017: “Bioimita – Anno Quarto” riporto alcuni dati interessanti riguardanti l’ambiente e la sua tutela pubblicati alla fine dell’anno scorso da parte del WWF che ha fatto un bilancio delle cose fatte (e non fatte o fatte male) nel 2016. Come era intuibile cercando di ripercorrere mentalmente le notizie dei mesi passati, ne sono uscite più ombre che luci. Vediamo quali sono state…

Il 2016 ha segnato un traguardo importante per l’associazione ambientalista: l’anniversario dei 50 anni della fondazione di WWF Italia. Essa è stata celebrata sia da parte di papa Francesco che da parte delle massime cariche istituzionali del Paese che, per lo meno nel cerimoniale, hanno dimostrato interesse per i temi e i problemi che il WWF ha evidenziato in questi decenni di lotte e di azioni. In particolare si è discusso dell’Agenda 2030 dell’ONU per lo sviluppo sostenibile (1); della lotta ai cambiamenti climatici; della “Emergenza Mediterraneo” (antropizzazione della fascia costiera e sovrasfruttamento degli stock ittici); della necessità di dare il giusto valore al capitale naturale del Pianeta; della perdita di biodiversità (2).

Per quanto riguarda la politica italiana il WWF osserva, per il 2016, come le istituzioni del nostro Paese siano state capaci di contribuire agli impegni internazionali per la definizione di obiettivi globali ambiziosi sul cambiamento climatico e per la definizione di piani d’azione efficaci in attuazione delle Direttive europee sulla Natura. Purtroppo, dentro i confini nazionali, ci si attesta ancora su posizioni di retroguardia, come il referendum votato lo scorso 17 aprile sulla durata delle concessioni delle piattaforme offshore per estrarre combustibili fossili (petrolio e gas) e con riforme che, di fatto (nello smantellamento del Parco Naturale dello Stelvio) e delle norme vigenti (revisione della legge 394/1991, legge quadro sulle aree protette), depotenziano la tutela della natura indebolendo la governance delle aree protette e la loro vocazione alla tutela della biodiversità. Segnali poco incoraggianti giungono anche dal fronte della sostanziale cronicità dei crimini di natura, soprattutto il bracconaggio, che colpiscono in Italia ancora specie simbolo come lupi, orsi, uccelli rapaci e persino animali quasi scomparsi come gli ibis eremita. Sulla strategia nazionale di decarbonizzazione stiamo ancora muovendo i primi passi, mentre lo sviluppo delle energie rinnovabili o dei trasporti più sostenibili continuano ad essere una corsa ad ostacoli di scarsa cultura e burocrazia.

Il 2016 è stato un anno cruciale anche dal punto di vista della difesa della biodiversità del Pianeta. Sul fronte internazionale la notizia migliore è stata quella della istituzione, nell’oceano Meridionale che circonda l’Antartide, della più grande area protetta marina di sempre: 1,57 milioni di km quadrati (una superficie grande circa come 5 Italie) per proteggere mammiferi marini, pinguini, procellarie e gli ecosistemi più fragili e importanti del pianeta. Buone notizie anche per alcune specie minacciate: per la prima volta in 100 anni il numero delle tigri è in crescita (3.890 individui, erano 200 nel 2010), mentre un accordo internazionale ha costituito una importante vittoria per fermare il commercio illegale di pangolini, braccati per le loro squame, vendute a 600-1000 dollari al kg. Un nuovo regolamento fa poi segnare un passo in avanti per stroncare il commercio di avorio. Sono, infatti, centinaia di migliaia gli esemplari di elefante uccisi ogni anno, venduti come specialità gastronomiche o ridotti in preparati dalle indubbie qualità mediche. Anno positivo infine anche per il panda gigante – simbolo del WWF (e di tutte le specie minacciate) – declassato da una categoria di minaccia maggiore (endangered) ad una minore (vulnerabile). Le cattive notizie riguardanti la biodiversità però non mancano: quattro specie di grandi scimmie su sei sono ora in pericolo di estinzione e continuano le stragi di elefanti (ne abbiamo persi più di 100.000 in 10 anni).

Tornando all’Italia, in merito al consumo del suolo e alla manutenzione del territorio – tema caldo nella percezione dell’opinione pubblica italiana che vede continue colate di cemento e asfalto anche nei nostri paesaggi più belli – dopo 4 anni di continui tentennamenti da parte dei Governi che si sono succeduti, dalla fine del 2012 al 2016, il 12 maggio scorso è stato finalmente approvato in prima lettura alla Camera il disegno di legge sul consumo del suolo che, finalmente, tra gli aspetti positivi, stabilisce che il suolo è risorsa non rinnovabile e che debbano essere fissati obiettivi nazionali, regionali e locali per il contenimento del consumo del suolo e strumenti che favoriscano la rigenerazione urbana, cioè il riuso di aree già urbanizzate. Nel contempo, però, attraverso i soliti cavilli linguistici e normativi, le potenti lobby del cemento rischiano di ottenere l’obiettivo opposto: quello di fingere la difesa del suolo e invece favorire nuove edificazioni, sostanzialmente attraverso i cosiddetti compendi agricoli neorurali.

In buona sostanza la partita per garantire un prospero futuro ai nostri figli e alle nuove generazioni volge quasi alla fine e, purtroppo, la stiamo perdendo 2 a 0. La rimonta è possibile e deve essere sempre ricercata ma ci dobbiamo tutti rimboccare le maniche perché il gioco della squadra avversaria è spesso scorretto (le lobby) e gli arbitri (la politica) non sempre fischiano correttamente i falli.

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(1) Un nome a mio avviso orribile per parlare seriamente dei problemi ecologici – che per essere veramente efficaci devono rompere lo schema economico del consumismo legato in buona parte al concetto di “sviluppo” – ma comunque utile per iniziare a portare a galla la questione e farla conoscere un po’ a tutti.
(2) Il report del WWF “Living Planet Report 2016” riassume tutto il senso dell’urgenza che il WWF attribuisce alla difesa della biodiversità ricordando come, in meno di 5 anni (entro il 2020), il pianeta rischia di perdere il 67% della popolazione globale di specie vegetali e animali, mentre tra il 1970 e il 2012 le popolazioni globali di pesci, uccelli, mammiferi, anfibi e rettili si sono già ridotte del 58%, più della metà.

 

La CO2 non è l’unico problema

Qualche mese fa a Parigi, in occasione della COP21 sul clima (1), più che le sacrosante tematiche ambientali e la sacrosanta salvaguardia della nostra casa comune – la Terra – ha sfilato l’ipocrisia. Quella dei leader mondiali che si stringono le mani, che sorridono per le foto, si abbracciano, parlano di civiltà e benessere, citano nei loro discorsi Seneca (Matteo Renzi: “Tutta l’arte è imitazione della natura”) o fanno riferimento alla responsabilità per le generazioni future (Barack Obama) ma, poi, si “dimenticano” i principi generali della democrazia non consentendo ai cittadini di dire la loro manifestando pacificamente il loro dissenso. Dall’incontro di Parigi si sono fatti tanti bei discorsi e si sono espressi tanti bei propositi per il futuro ma, se saremo fortunati, le soluzioni concrete messe in campo – che misureremo da qui a qualche anno o a qualche decennio – saranno nettamente al ribasso rispetto a quello che si dovrebbe fare per contenere il riscaldamento del pianeta per cause antropiche almeno al di sotto dei 2° C. Quello che veramente è stato in discussione alla COP21 non è la salvaguardia del clima. Quello che è stato in discussione è il mantenimento dello status quo degli stili di vita e di consumo sperando, malignamente, che siano gli altri paesi a fare di più (2). A parole tutti avevano l’intenzione di essere virtuosi ma nessuno – tranne piccoli paesi che non incidono sul PIL mondiale – si è impegnato concretamente ad interrompere da subito l’estrazione del petrolio o l’utilizzo del carbone per la produzione di energia elettrica. Nessuno si è impegnato da subito a rivoluzionare i trasporti o i metodi di produzione e di consumo di cibo, sia per il grande uso di idrocarburi che ad esso è collegato sia per porre limiti al consumo di carne. Nessuno si è impegnato a cambiare il paradigma consumistico che vede protagonista le merci, i prodotti e la produzione dei rifiuti.

Tutti si sono impegnati nei fatti per il “F U T U R O”, tra 25-30 anni, sapendo che per quel tempo sarà compito di qualcun altro risolvere i problemi che, tra l’altro, saranno sempre più grandi.

A Parigi era in discussione il riscaldamento globale del pianeta dovuto al cambiamento climatico che vede la CO2 essere il principale imputato, anche se metano e altri gas non sono da meno (anzi, lo sono di più) per provocare il cosiddetto effetto serra. La CO2, però, non è l’unico problema ecologico che dobbiamo affrontare. Uno dei più evidenti, con effetti concreti, che causa morti e malati ora e che in qualche modo è collegato al riscaldamento globale, è quello dell’inquinamento dell’aria.

Non è affatto un caso che, proprio alla vigilia della COP21, l’Agenzia Europea dell’Ambiente (EEA – European Environmental Agency) abbia pubblicato un rapporto nel quale si descrivono i morti stimati nei 28 paesi dell’Unione europea a causa dell’inquinamento dell’aria. Tra gli inquinanti presi in considerazione ci sono tre agenti particolarmente dannosi: le micro polveri sottili (PM 2,5), il biossido di azoto (NO2) e l’ozono (O3).

A questi inquinanti lo studio – che si riferisce al 2012 – attribuisce circa 491.000 morti all’anno tra tutti i 28 paesi UE, di cui 403.000 alle polveri sottili, 72.000 al biossido di azoto e 16.000 all’ozono. Tra i paesi europei poi quello più colpito è l’Italia che conta un totale di 84.400 morti annui così suddivisi: 59.500 per le polveri sottili, 21.600 per il biossido di azoto e 3.300 per l’ozono.

Si tratta di un’ecatombe, che interessa prevalentemente la Pianura Padana e, in particolare, le città di Brescia, Monza, Milano e Torino che fanno registrare il numero più elevato di superamenti annui dei limiti degli inquinanti fissato a livello europeo (25 microgrammi per metro cubo d’aria per le polveri sottili). Se, invece, si considerassero i limiti più restrittivi (10 microgrammi per metro cubo d’aria) previsti dall’Organizzazione Mondiale della Sanità sarebbero interessate dal fenomeno anche città come Roma, Firenze, Napoli e Bologna.

I risultati della conferenza COP21 di Parigi sul clima e quelli dello studio dell’Agenzia Europea dell’Ambiente sull’inquinamento atmosferico che provoca morti premature, malattie cardiache, malattie respiratorie e cancro parlano chiaro: basta parole!

È giunta l’ora che la politica si prenda delle responsabilità per tutelare la nostra salute ora e il benessere delle generazioni per il futuro facendo delle scelte anche radicali. Noi, dal nostro punto di vista, abbiamo il dovere di informarci e di capire che la buona o cattiva salute non è un caso ma, in gran parte, dipende dai nostri comportamenti, dalle nostre scelte e abitudini sbagliate. Anche se molti vi diranno che non serve a nulla, cambiarle (e i dati parlano chiaro) ci può salvare la vita!

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(1) COP21 dell’UNFCCC è l’acronimo che identifica la ventunesima Conferenza delle parti della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici. Si tratta, in sostanza, di un incontro politico che, tra il 30 novembre e l’11 dicembre del 2015, si è tenuto a Parigi e nel quale si è cercato di mettere in campo strategie comuni – dal momento che il cambiamento climatico non è un fenomeno locale ma riguarda tutti – per ridurre l’emissione in atmosfera di gas derivanti dalle varie attività umane che possono determinare un aumento dell’effetto serra terrestre.
(2) I dati purtroppo parlano chiaro e, nonostante altre conferenze sul clima e altri accordi passati (es. quello di Kyoto del 1997) che hanno vincolato parte delle emissioni, soprattutto di CO2, queste ultime nel tempo sono inesorabilmente aumentate dirottando sulle generazioni future il possibile caos climatico. A tale proposito è significativo il fatto che gli scienziati non usino più solamente le parole “riscaldamento globale” e “cambiamento climatico”, ma inizino anche a parlare di “mitigazione degli effetti” e di “adattamento”, consapevoli che oramai il danno è fatto e che si può solo cercare di mettere delle pezze e adattarsi a possibili cambiamenti (di temperature ma anche di produttività delle piante che forniscono cibo e di innalzamento dei mari) oramai certi.

 

Quattro seri problemi per la Terra

I media sono tutti infarciti di piccole beghe e trabocchetti politici, di scontri religiosi, di cronaca nera, gossip, sport, tecnologia e auto. Qualche breve articolo ai margini o nelle pagine più lontane da quelle più lette ospita argomenti vagamente “ecologici” come la solita casa green, il solito animale in difficoltà, la solita energia rinnovabile, il solito orto o alveare sui tetti. Per carità tutte cose nobili che sono assolutamente da copiare e, anzi, da divulgare affinché anche altri le possano fare proprie.

Quello che però manca nel sistema di comunicazione di massa sono i grandi temi, quelli che riguardano la possibilità della sopravvivenza di un’umanità in crescita su un pianeta – la Terra – che è sempre più piccolo e fragile. Sembra quasi che non se ne parli per scaramanzia, per paura di affrontare un problema di cui noi uomini comuni identifichiamo solo piccoli frammenti che notiamo nella loro portata globalie solo negli anni. Oppure, per fare un po’ di dietrologia, sembra che non se ne parli per non “disturbare” chi – anche proprietario dei mezzi di comunicazione di massa – si sta enormemente arricchendo su pratiche insostenibili dal punto di vista ambientale (petrolio, carbone, miniere, cemento, carne e chi più ne ha più ne metta) ipotecando il nostro benessere e il nostro futuro sulla Terra a garanzia della loro ricchezza. Questi sono forse poi quelli che, pieni di soldi e perfettamente consapevoli della loro follia distruttiva, propongono e finanziano esplorazioni spaziali fino ad arrivare addirittura ad ipotizzare la colonizzazione di Marte…

Visto che il sistema di comunicazione di massa lo fa poco e male, cercherò di fare io la mia piccola parte evidenziando una notizia che dovrebbe riempire le prime pagine dei giornali e le copertine dei telegiornali. Qualche mese fa sulla rivista scientifica Science un gruppo di ricercatori (1) ha pubblicato uno studio nel quale, su nove temi, vengono identificati i quattro aspetti riguardanti l’equilibrio planetario che sono stati già irrimediabilmente alterati dall’uomo e dalle sue attività o sono in procinto di esserlo.

1. Cambiamenti climatici
Da questo punto di vista gli autori sostengono che per evitare una catastrofe la concentrazione di CO2 non debba superare i valori compresi tra 350 e 400 ppm (parti per milione). Gli ultimi dati disponibili hanno certificato che attualmente ci si trova ad una media di 400 ppm e, pertanto, su questo fronte, non si hanno troppi margini di manovra e non si deve perdere troppo tempo in inutili mediazioni politico-economiche.

2. Erosione della biodiversità
La perdita di biodiversità è un fenomeno naturale all’interno di sistemi (come quello della Terra) che si trovano in un continuo equilibrio dinamico tra le specie viventi e gli elementi chimico-fisici. Perché sia sostenibile si ritiene che il massimo tasso di perdita di specie sia di 10 su un milione l’anno. Gli ultimi dati disponibili certificano che tale tasso di erosione della biodiversità è superato fino a 100 volte con conseguenze a catena sugli equilibri più generali che sono estremamente difficili da prevedere. Anche qui c’è poco da mediare: bisogna agire.

3. Cambiamento d’uso dei suoli
Secondo gli esperti i suoli forestali dovrebbero essere difesi da speculazioni agricole e minerarie e si dovrebbe conservare almeno il 75% di quelli originari. Gli ultimi dati disponibili certificano che in alcune aree del Pianeta si è scesi anche al di sotto del 60%. Tra i paesi meno virtuosi vi è il Brasile mentre l’Africa equatoriale e l’Asia meridionale, nonostante i forti disboscamenti del recente passato e attuali, riescono ancora a mantenersi a livelli lievemente superiori a tale indice.

4. Flusso del fosforo e dell’azoto
L’agricoltura intensiva e industriale (che è anche una delle principali cause della deforestazione) provoca enormi disequilibri nel ciclo dell’azoto e del fosforo, necessari alla fertilità dei terreni e alla loro produttività. Gli ultimi dati disponibili attestano che l’uso eccessivo di fertilizzanti chimici e il pessimo trattamento delle deiezioni animali (appartenenti principalmente all’allevamento intensivo) stanno irrimediabilmente alterando terreni, i corsi d’acqua dolce e i mari.

Cari politici, cari leader religiosi, cari economisti, cari imprenditori e cari cittadini oramai i dati che attestano la presenza di problemi per il nostro futuro sereno su questo Pianeta sono sempre più numerosi e sempre più precisi. Non possiamo più fare finta di nulla pensando che i problemi si risolveranno da soli o che la tecnologia troverà sempre una soluzione. Purtroppo è triste dirlo ma, sostenendo il nostro attuale sistema, ci stiamo ammanettando tutti assieme, con le nostre mani, alla stessa… BOOOOOMBA! (cit.)

Le soluzioni da provare per tentare di cambiare le cose ci sono e forse è giunta l’ora che si cominci a cercare di praticarle.

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(1) Gli studiosi sono gli stessi che nel 2009 pubblicarono su Nature una ricerca simile nella quale si interrogarono sui limiti del Pianeta per comprendere quale potesse essere il contributo dell’uomo all’alterazione irreversibile dei suoi equilibri.
Grafico: Il grafico riporta l’analisi dei nove principali problemi che riguardano la Terra e dei loro livelli di alterazione.

Grafico

 

Marzo 3039

Marzo 3039 come sempre a Londra piove / ma con calma e precisione / ho lasciato il sottosuolo per riflettere da solo / sull’attuale situazione
Dalla guerra del ’21 non ho visto più nessuno / della mia generazione / siamo tutti chiusi / in casa spaventati da ogni cosa, / da un’idea, da un’emozione
Chissà com’era quando il sole si poteva guardare / e sentirlo sulla pelle fino a farsi bruciare

Però oggi partono i missili, / li guarderò e saranno bellissimi.
Marzo 3000 e qualche cosa, è una notte luminosa / c’è la luna artificiale / sugli schermi informativi, su quei pochi ancora attivi / sembra sia tutto normale
Chissà com’era quando l’aria si poteva respirare / e sentirla nei polmoni fino a farli scoppiare / ogni notte sogno sempre di nuotare / e sento il fuoco sulle labbra che ti lascia il sale
E poi / Correre nel traffico, mettersi il soprabito / respirare microbi, perdersi nei vicoli

inciampare negli ostacoli, affidarsi a degli oroscopi / arrabbiarsi con le nuvole, evitare le pozzanghere
Sì ma… / Però… (correre nel traffico…) / oggi partono i missili (mettersi il soprabito) / li guarderò e saranno bellissimi (respirare microbi, perdersi nei vicoli)
Così… (inciampare negli ostacoli) / oggi partono i missili (affidarsi a degli oroscopi) / li aspetterò e saranno tantissimi (arrabbiarsi con le nuvole, evitare le pozzanghere)
Perché… oggi partono i missili

Nei testi delle sue canzoni Daniele Silvestri è sempre molto evocativo e, con sublime maestria, quando affronta temi sociali riesce a descrivere storie che fanno molto pensare.

Questo è capitato a me quando ho sentito per la prima volta, molti anni fa, “Marzo 3039(1). Anche se immagino che le ambientazioni della canzone si possano riferire ad un mondo post-atomico successivo ad una terribile guerra di un lontano futuro, io subito ho pensato anche a quello che potrebbe capitare alla Terra e alle attività umane a seguito di un enorme sconvolgimento climatico o ecologico.

Nell’apparente normalità di una notte con la luna artificiale (quella che un po’ viviamo anche noi ora in cui ci ripetono di continuare a consumare, di bruciare petrolio e di non pensare al futuro per godere solo il presente) il protagonista della canzone si chiede, con rammarico, quali potevano essere le sensazioni di respirare l’aria e di nuotare nel mare fino a sentire il bruciore del sale sulle labbra.

Marzo 3039 mi offre lo spunto per parlare di ecologia e di sostenibilità ambientale nell’ottica della prevenzione. Capire cioè che dobbiamo agire concretamente ADESSO per non dover rammaricarci in futuro di non aver fatto nulla, o quasi, per evitare la catastrofe. Anche perché credo che quello che eventualmente ci mancherà saranno proprio le piccole cose del “perdersi nel traffico”, “mettersi il soprabito”, “respirare microbi”, “perdersi nei vicoli”, “inciampare negli ostacoli”…

_____Prima di essere un uomo

(1) Il brano “Marzo 3039” è contenuto nell’album “Prima di essere un uomo” di Daniele Silvestri (sito ufficiale).

 

Sette principi per un’agricoltura sostenibile

Lo scorso mese di maggio Greenpeace ha pubblicato il rapporto “Agricoltura sostenibile – Sette principi per un nuovo modello che metta al centro le persone”. Si tratta di una proposta politico-economica che, basata sulle più recenti innovazioni scientifiche, si propone di mettere al centro l’idea che è necessario produrre alimenti sani lavorando in sinergia con la natura e non contro di essa. Per ottenere ciò, in sintesi, è necessario rimettere al centro le persone e i loro bisogni, non il mero profitto.

L’introduzione al rapporto recita: “Basta guardare i numeri per capire che c’è qualcosa che non va: quasi un miliardo di persone ogni notte va a dormire affamato. Allo stesso tempo nel mondo viene prodotta una quantità di cibo più che sufficiente a sfamare i sette miliardi di persone che popolano la Terra. Circa un miliardo di persone sono sovrappeso od obesi. Una percentuale sconvolgente del cibo prodotto, che arriva al 30%, viene sprecata.

Il problema oggi non è quello di produrre più cibo, ma di produrlo dove ce n’è più bisogno e in un modo rispettoso della natura. L’attuale agricoltura industriale non è in grado di farlo.

Nel frattempo il Pianeta soffre. Stiamo sfruttando in maniera eccessiva le risorse, compromettendo la fertilità del suolo, la biodiversità e la qualità delle acque. Ci stiamo circondando di sostanze tossiche, che si accumulano intorno a noi. La quantità di rifiuti prodotti continua ad aumentare. E tutto questo accade in un contesto di cambiamenti climatici e di crescente pressione sulle risorse del nostro Pianeta, che si stanno riducendo.

L’attuale sistema agricolo è dipendente dall’uso massiccio di sostanze chimiche e di combustibili fossili. È sotto il controllo di un ristretto numero di multinazionali, concentrate in poche aree del mondo, prevalentemente nei Paesi più ricchi e industrializzati. Si basa in modo eccessivo su poche colture, minando alle basi di un sistema sostenibile di produzione del cibo da cui dipende la vita.
Questo modello agricolo inquina le acque, contamina il terreno e l’aria. Contribuisce in maniera significativa ai cambiamenti climatici, minaccia la biodiversità e il benessere di agricoltori e consumatori. Fa parte di un più ampio sistema fallimentare che sta determinando:

  • un crescente controllo delle multinazionali in alcune regioni del mondo, che si traduce in una sempre minore indipendenza e autodeterminazione per agricoltori e consumatori, impossibilitati a operare scelte autonome su come e cosa viene coltivato;
  • un’insostenibile spreco di cibo (tra il 20 e il 30 per cento), che avviene principalmente nella fase di post-raccolto nei Paesi in via di sviluppo e nella fase di distribuzione e consumo nei i Paesi ricchi;
  • l’utilizzo di vaste aree e risorse per l’allevamento (circa il 30 per cento delle terre e il 75 per cento dei terreni agricoli) e per la produzione di biocarburanti;
  • un sistema agroalimentare basato sulla coltivazione di poche monocolture, da cui si origina un’alimentazione insostenibile e poco salutare, spesso povera di nutrienti, alla base sia di problemi di malnutrizione sia di obesità;
  • gravi impatti sugli ecosistemi, inclusi:cambiamenti climatici (il 25 per cento delle emissioni di gas serra, comprese quelle derivanti dalla conversione dei terreni, deriva dal settore agricolo e inquinamento dell’aria;
  • problemi di scarsità e contaminazione delle acque in diverse aree del Pianeta: l’agricoltura utilizza il 70 per cento delle risorse d’acqua dolce; degrado del suolo, compresi fenomeni diffusi di acidificazione dovuti all’uso eccessivo di fertilizzanti chimici o di perdita di materia organica nel suolo; perdita di biodiversità e agrobiodiversità a tutti i livelli, dalla varietà genetica delle colture alla perdita di specie a livello naturale.

Oltre ad affrontare questioni di equità sociale – come la mancanza di un accesso paritario alle risorse per gli agricoltori (in particolare per le donne), la riduzione dei sistemici sprechi di cibo e il diritto a un’alimentazione sana – dobbiamo anche abbandonare l’attuale sistema fallimentare di produzione e dirigerci verso un sistema compatibile con l’agricoltura sostenibile.

L’agricoltura sostenibile è la soluzione per il futuro. È necessario agire adesso per avviare un cambiamento di cui abbiamo estremo bisogno“.

In questo contesto i sette principi per un’agricoltura sostenibile proposti dal rapporto di Greenpeace sono:

1. Sovranità alimentare – Restituire il controllo sulla filiera alimentare a chi produce e chi consuma, strappandolo alle multinazionali dell’agrochimica;

2. Sostegno agli agricoltori e alle comuntà rurali – L’agricoltura sostenibile contribuisce allo sviluppo rurale e alla lotta contro la fame e la povertà, garantendo alle comunità rurali la disponibilità di alimenti sani, sicuri ed economicamente sostenibili;

3. Produrre e consumare meglio – E’ possibile già oggi, senza impattare sull’ambiente e la salute, garantire sicurezza alimentare e, contemporaneamente, lottare contro gli sprechi alimentari. Occorre diminuire il nostro consumo di carne e minimizzare il consumo di suolo per la produzione di agro-energia. Dobbiamo anche riuscire ad aumentare le rese dove è necessario, ma con pratiche sostenibili;

4. Biodiversità – E’ necessario incoraggiare la (bio)diversità lungo tutta la filiera, dal seme al piatto con interventi a tutto campo, dalla produzione sementiera all’educazione al consumo. Ciò vuol dire esaltare i sapori, puntare sul significato di nutrizione e cultura del cibo, migliorando allo stesso tempo l’alimentazione e la salute;

5. Suolo sano e acqua pulita – Significa proteggere e aumentare la fertilità del suolo, promuovendo le pratiche colturali idonee ed eliminando quelle che invece consumano o avvelenano il suolo stesso o l’acqua;

6. Un sistema sostenibile di controllo dei parassiti – Significa consentire agli agricoltori di tenere sotto controllo parassiti e piante infestanti, affermando e promuovendo quelle pratiche (già esistenti) che garantiscono protezione e rese senza l’impiego di costosi pesticidi chimici che possono danneggiare il suolo, l’acqua, gli ecosistemi e la salute di agricoltori e consumatori;

7. Sistemi alimentari resistenti – Un’agricoltura sostenibile crea una maggiore resistenza (resilienza). Significa rafforzare la nostra agricoltura perché il sistema di produzione del cibo si adatti ad un contesto di cambiamenti climatici e di instabilità economica.

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Scarica il rapporto completo in italiano [qui]

 

Il giro del mondo in barca a vela con orto e galline

Lo scorso 19 ottobre Matteo Miceli è salpato con la sua Eco 40 da Riva di Traiano per effettuare , in solitaria, il giro del mondo in barca a vela. Fino a qua nulla di strano. Nonostante non sia una passeggiata, l’hanno oramai fatto in tanti e tanti, con l’aiuto della tecnologia – anche alimentare fatta di barrette liofilizzate e cibi preparati – sono riusciti nell’impresa.

Ciò che contraddistingue, però, lo skipper Matteo Miceli dagli altri, non è solo nel fatto di utilizzare una barca ecologica, la “Eco 40” ma, soprattutto, nel fatto che egli ha portato con sé alcune galline (la Bionda e la Mora) e cerca di coltivare, sulla barca, addirittura un orto. L’obiettivo primario di questo viaggio è infatti quello di tentare di ripercorrere i viaggi degli antichi navigatori che erano interamente basati sull’autosufficienza. Innanzitutto quella alimentare perché non disponevano di prodotti sofisticati, di conservanti e nemmeno di tecnologia del raffreddamento e, per questo, dovevano portare con sé animali vivi a bordo e dovevano coltivare un orto (che veniva chiamato “giardinetto”), di solito nella parte di poppa della nave.

Eco 40_rottaOltre all’autosufficienza alimentare Matteo Miceli è stato il primo skipper ad intraprendere un viaggio intorno al mondo anche in totale autosufficienza energetica. “In barca – ha dichiarato Miceli – non ci sarà una goccia di combustibile, neanche per cucinare. Tutto sarà elettrico e rigenerato, perché starò in mare per cinque mesi”. Per questo la barca è dotata di 12 m2 di pannelli solari, due impianti eolici e due turbine ad idrogeno che alimentano tutti i dispositivi elettrici della nave, soprattutto il dissalatore, i sistemi di comunicazione e il pilota automatico. (1)

Purtroppo l’orto si è rovesciato durante la prima burrasca e lo skipper non ha deciso di ricostruirlo perché le lampade artificiali che consentivano la crescita degli ortaggi consumavano troppa energia. Anche le galline hanno sofferto un po: la Bionda è morta quasi subito e la Mora, pur non manifestando particolari problemi di adattamento al viaggio, ha smesso ben presto di fare le uova.

Il 13 marzo 2015, allo ore 15.40 ci sono però delle cattive cattive notizie. Nel bel mezzo dell’Oceano Atlantico, circa sulla linea dell’Equatore, in condizioni di tempo e di mare favorevoli, Eco 40 ha perso la chiglia (probabilmente andando a sbattere contro un cetaceo) e Matteo Miceli è stato costretto ad abbandonare la barca e l’impresa del giro del mondo in solitaria (Progetto “Roma Ocean World”) (2). Nel naufragio, oltre alla perdita di tutto il materiale (che si cercherà di recuperare) è purtroppo morta anche la gallina superstite.

A circa due settimane dall’arrivo previsto a Roma e dal completamento dell’impresa qualche cosa è andato storto (sig) e l’interessante progetto, come osserva il testardo e coraggioso Miceli, dovrà essere riprogrammato. Buon vento, allora!

Eco 40_1

Eco 40_2

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(1) Oltre alla sfida sportiva il Progetto “Roma Ocean World” si proponeva anche di effettuare una ricerca sui cambiamenti climatici. Attraverso strumenti sofisticati durante il viaggio sono stati registrati anche alcuni parametri quali temperatura, pressione dell’acqua e dell’aria, movimento delle onde che verranno resi disponibili della comunità scientifica.
(2) Il Progetto “Roma Ocean World” si propone:

  • di mostrare direttamente i cambiamenti climatici in atto
  • di contribuire direttamente all’indagine scientifica oceanografica e biologica attraverso campionamenti e misurazioni
  • dimostrare che l’attuale tecnologia e un atteggiamento responsabile consentono di poter vivere e navigare bene, in modo ecologicamente sostenibile e utilizzando solo fonti energetiche rinnovabili

 

Maltempo killer

Dopo un lungo periodo di bel tempo tardo estivo ecco che arriva l’inevitabile (e normale) pioggia autunnale. Mettici, in più, i cambiamenti climatici in atto e la cementificazione selvaggia del territorio et voilà, ecco che la “frittata” è fatta. Smottamenti, allagamenti, frane, piene sono le conseguenze ovvie di una tale situazione che già da qualche decennio scienziati e meteorologi continuano a ricordarci facendo luce sul fatto che, prima o poi, le conseguenze dei cambiamenti climatici non provocheranno solo danni materiali, danni economici e perdite umane ma anche forti ondate migratorie di popolazioni che abitano territori divenuti sempre più inospitali.

In questo contesto – soprattutto dopo che i fenomeni naturali e le loro conseguenze sul territorio hanno determinato dei morti – le parole che più frequentemente ricorrono nei titoli dei giornali e nella dialettica dell’informazione televisiva e radiofonica sono: “Maltempo killer”, “natura matrigna”, “pioggia omicida”, “piena devastante” e chi più ne ha più ne metta. Quasi che la natura si diverta ad essere cattiva e malevola nei confronti degli esseri umani e degli altri esseri viventi del Pianeta.

Anche se nel profondo del mio animo penso che la Natura, dopo tutto quello che le abbiamo fatto e che le stiamo continuamente facendo, abbia pienamente ragione di essere dura nei nostri riguardi, è da osservare che, in realtà, non è essa ad essere negativa nei nostri confronti ma siamo piuttosto noi stessi che, con i nostri comportamenti, abbiamo fatto di tutto per fare la cosa ingiusta ed essere nel posto sbagliato.

Si pensi, ad esempio, ai numerosi condoni edilizi dei decenni passati che hanno fatto diventare pollai e ricoveri per attrezzi delle splendide ville pluripiano poste sulle pendici più impervie delle colline. Si pensi ancora alle lottizzazioni ed alle espansioni urbanistiche autorizzate nelle aree di prossimità dei grandi fiumi o, peggio, negli alvei dei fiumi stessi. Si pensi ai porti costruiti presso le foci dei fiumi, ai parcheggi o ad interi quartieri costruiti addirittura sopra i fiumi, al disboscamento delle pendici per far posto a vigneti o ad altre coltivazioni, alla cementificazione dei torrenti, alla mancata manutenzione delle rive. Date queste condizioni come si può ancora pensare che il killer sia ancora il maltempo?

nubifragio a Roma

Cari commentatori Il vero killer dei fenomeni meteorologici è la stupidità, l’ignoranza e l’avidità dell’uomo che, offuscato dal miraggio della propria superiorità rispetto alla natura, pensa di poterla dominare attraverso la forza piuttosto che attraverso la conoscenza del suo funzionamento.

Fintantoché continueremo a pensare in questo modo avremo ancora temporali killer e frane omicide. E un’inutile montagna di bla bla bla…

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Foto: gli effetti del recente nubifragio a Roma (foto Corriere della Sera)

 

Una gita in barca al Polo Nord

Le immagini girate dalla webcam del North Pole Environmental Observatory di Washington mostrano in timelapse quello che è successo al ghiaccio del Polo Nord dal 16 aprile 2013 al 24 luglio 2013.

La sequenza è impressionante e certifica con assoluta certezza come, a causa delle straordinariamente alte temperature raggiunte quest’anno, oramai il Polo Nord sia perfettamente navigabile.

Ne sa qualcosa anche un equipaggio inglese che qualche anno fa lo ha raggiunto in barca a remi.

Da quando sono iniziate le le rilevazioni (anni ’70), nel 2013 il ghiaccio ha raggiunto il livello minimo mai registrato. Quanto dovremo ancora aspettare per fare qualcosa per il clima? Che l’aria diventi rovente e non sia più respirabile?

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Foto: foto del Polo Nord del 25 luglio 2013, ore 13.23

 

Il carbone è un killer dei polmoni

Lo studio “Silent Killer” commissionato da Greenpeace all’università di Stoccarda ha dimostrato che il carbone è il killer dei polmoni (cioè della salute in generale) e del clima. I Paesi dove questo fenomeno è più intenso sono la Polonia, la Germania, la Romania e la Bulgaria.

Le oltre 300 centrali elettriche a carbone in funzione nell’Unione europea e le 52 in costruzione o in progettazione uccidono (e uccideranno) prematuramente circa 22.300 persone l’anno, circa 60 al giorno che corrispondono a 5 persone ogni 2 ore. I gas e le micro polveri emesse determinano, inoltre, la perdita di 5 milioni di giornate lavorative l’anno per malattie.

In più il carbone avvelena pesantemente anche il clima visto che, a parità di energia prodotta, le sue emissioni di CO2 sono più che doppie rispetto a quelle del metano.

Come afferma Andrea Boraschi, responsabile della campagna Energia e Clima di Greenpeace Italia, « Lo studio è l’ennesima prova che il carbone pulito sbandierato dalle compagnie energetiche non esiste. Il carbone è una delle principali cause di avvelenamento dell’aria e per salvare i nostri polmoni dobbiamo mettere fine all’era del carbone e avviare una radicale rivoluzione energetica».

Le centrali a carbone producono un quarto dell’energia elettrica consumata nell’Ue, ma emettono il 70% degli ossidi di zolfo e più del 40% degli ossidi di azoto provenienti dal settore elettrico. Inoltre le circa 300 centrali europee sono la fonte di quasi la metà di tutte le emissioni industriali di mercurio, di un terzo di quelle di arsenico e producono quasi un quarto del totale delle emissioni europee di CO2. L’Agenzia Internazionale dell’Energia (IEA) il 10 giugno scorso ha reso noto che nel 2012 le emissioni di CO2 provenienti dalle centrali elettriche sono aumentate, nel mondo, dell’1,2%.

Lo studio “Silent Killer” è la prova lampante che non esistono centrali a carbone né di terza né di quarta e né di quinta generazione che si possano definire innocue per la salute della popolazione. Se è vero che quelle più evolute dal punto di vista tecnologico sono un po’ migliori rispetto a quelle degli anni precedenti, è anche vero che, di fondo, si poggiano su un fondamento sbagliato: quello della combustione, sulla quale NON si fonda il corretto funzionamento della natura. Di cui i morti, i malati e le alterazioni del clima ne sono una prova evidente!

In questa triste notizia si può però intravvedere una luce di speranza che ben presto il carbone verrà eliminato dalla scena europea. Basandosi sugli andamenti storici della produzione di energia elettrica in Europa è possibile definire uno scenario per l’anno 2030 che si fonda sui seguenti pilastri (si veda il grafico):

Produzione-EE-al-2030

  • aumento delle rinnovabili, secondo il trend esponenziale degli ultimi 20 anni
  • calo del nucleare, secondo il trend decrescente degli ultimi 7 anni
  • aumento del gas, secondo il trend attuale
  • diminuzione del carbone, con una riduzione annua del 10%
  • diminuzione dell’olio combustibile (petrolio), fino ad azzerarsi nel 2025
  • i consumi totali rimarranno più o meno stabili grazie all’aumento dell’efficienza energetica e alla moderazione dei consumi individuali.

L’uso del carbone per produrre energia è, in proiezione, già consegnato alla storia. Spetta a noi chiedere ai decisori politici che il processo sia il più veloce possibile per evitare inutili sofferenze umane e danni all’equilibrio del clima.

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Grafico: EcoAlfabeta

Foto: www.ecologiae.com

Fonte: Greenpeace, EcoAlfabeta

 

Global Wind Day (Giornata Mondiale del Vento)

Siamo oramai giunti alla settima edizione del “Global Wind Day”, la Giornata Mondiale del Vento, che si terrà oggi, 15 giugno.

Per fornire qualche dato interessante, nel 2012, a livello mondiale, la produzione di energia dal vento ha raggiunto i 520 TWh (di cui 200 TWh di produzione europea) e sta crescendo con andamento esponenziale tanto che, alle cifre attuali, raddoppierà in 3 anni.

L’energia prodotta dal vento è un’energia pulita che, nel rispetto del 1° principio della bioimitazione, direttamente non produce alcun gas climalterante (CO2 o metano) e alcun inquinamento. Inoltre essa è generatrice di lavoro distribuito sul territorio, sia in fase di installazione delle pale che in fase di manutenzione periodica delle stesse.

Eppure, nonostante ciò, secondo il Global Wind Energy Council (GWEC), per ogni euro di finanziamento governativo alle energie rinnovabili, le energie fossili ricevono ben 6 euro.

Per far sentire la propria voce e le proprie sacrosante ragioni basate sulla sostenibilità ambientale e sul benessere sociale, il GWEC ha lanciato un appello al G8 che si terrà la prossima settimana a Belfast, chiedendo ai Capi di Stato che venga ridotto progressivamente il sostegno pubblico alle fonti fossili (petrolio, gas e carbone) ed venga aumentato contestualmente quello nei confronti delle fonti rinnovabili. Quelle vere, che non includono l’incenerimento dei rifiuti.

Per dare peso alle proprie richieste il GWEC ha creato una campagna di sensibilizzazione dei cittadini e della politica.
Non perdere l’occasione di essere parte del cambiamento. Aderisci anche tu!

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Foto

Fonte: EcoAlfabeta

 

Compensare i costi ambientali delle vacanze

Fare il turista e viaggiare per piacere (e non per le più disparate e tristi necessità migratorie) è una delle più importanti conquiste raggiunte attraverso il benessere economico.

Viaggiare per il piacere di conoscere altri luoghi, altri popoli, altri cibi, altre lingue, altre abitudini dalle proprie è un’importante scuola di vita. Senza la quale, personalmente, non potrei vivere.

Quando poi si inizia ad assaporare il piacere del viaggio e della scoperta si è portati, nel tempo, a cercare sempre nuove mete che, inevitabilmente, possono portare anche molto lontano.

Ovviamente il viaggio che ho in mente è il più possibile sostenibile dal punto di vista ambientale e sociale, senza inutili pretese, lussi ed eccessi. Viaggiare però, soprattutto con gli aerei e con i mezzi a motore, comporta inevitabilmente la combustione di grandi quantità di carburante e l’immissione in atmosfera di CO2 nonché un minimo impatto ambientale che il vero viaggiatore – colui che dal viaggio desidera trarre un insegnamento di vita – deve in qualche modo cercare di evitare.

Nella mia esperienza, che vorrei condividere, ho deciso che ogni viaggio di piacere incorpora un costo occulto di poche decine di euro (l’entità dipende dal tipo di viaggio) che verso ad una associazione ambientalista o ad un ente serio che si occupa di compensare la CO2 attraverso la creazione di parchi e foreste in giro per il mondo (1).

Non si tratta di lavarmi semplicemente la coscienza ma di valutare con razionalità che il soddisfacimento di un mio piacere non può compromettere la qualità della vita di altre persone che, come me, vivono su questa grande palla verde-blu.

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(1) I miei versamenti li ho fatti (e li farò) a: Greenpeace; WWF; Survival

 

400 ppm

In fin dei conti erano solo 3 milioni di anni che non avevamo una tale concentrazione di CO2 in atmosfera. Cosa volete mai che sia!

A parte l’ironia si deve osservare che nel 2012 le emissioni globali di CO2 hanno raggiunto il livello di 35,6 miliardi di tonnellate (in crescita del 2,6% rispetto al 2011). Inoltre è di questi giorni la notizia che la concentrazione di CO2 in atmosfera ha raggiunto le 400 ppm (parti per milione) (1). Secondo gli studiosi tale livello fu raggiunto solamente tra i 3,2 e i 5 milioni di anni fa (quando non c’era alcuna traccia dell’Homo sapiens), caratterizzati da temperature medie della Terra più elevate di 3° C e 4° C rispetto ad ora (ai poli erano più alte di 10° C) e da un livello dei mari più elevato tra i 5 e i 40 metri.

Ovviamente il Pianeta era in perfetto equilibrio, ma la vita che lo caratterizzava era molto diversa da quella attuale! Ed è questa è la domanda che ci dovremmo porre perché il nuovo equilibrio che la Terra sicuramente raggiungerà lo otterrà a quale prezzo?

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Visto che la concentrazione di CO2 nell’atmosfera nell’era preindustriale (1) è rimasta per migliaia di anni intorno ai 280 ppm, si può osservare come in poco meno di due secoli la dipendenza della “civiltà” dalle fonti fossili per la produzione di energia mediante combustione abbia e stia profondamente alterando le condizioni climatiche del pianeta e la possibilità che lo stesso possa ospitare la vita (anche la nostra) così come la conosciamo ora. L’elemento più preoccupante è che i cambiamenti si stanno realizzando ad una velocità tale da impedire agevolmente qualsiasi forma di adattamento.

Il dramma in tutto ciò è che non si vede una via di fuga dal problema: le emissioni globali annualmente aumentano (anziché diminuire) perché l’industria e la politica, colpevolmente ciechi e sordi di fronte ai gravi rischi, anziché puntare su sistemi alternativi di produzione energetica ed ostacolare quelli climalteranti, puntano ancora tutto sul carbone, sul petrolio e sul gas (2). È come vedere un fumatore al quale hanno diagnosticato un grave tumore al polmone che rimane attaccato al vizio delle sue sigarette aspettando, senza alcuna cura, una morte che inevitabilmente e dolorosamente arriverà!

L’unico modo per poter sperare di congelare il processo di cambiamento del clima è quello di puntare tutto, da subito, sulla rivoluzione energetica che consiste in tre ingredienti fondamentali: utilizzo di fonti rinnovabili; efficienza energetica; produzione di energia distribuita e locale. Il tutto condito almeno dalla salvaguardia (e, se possibile, dall’incremento) delle immense foreste della Terra.

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(1) La concentrazione della CO2 atmosferica è stata misurata a partire dal 1959. Le misurazioni storiche della CO2 (che risalgono fino a 800.000 anni fa) sono state effettuate sulle bollicine d’aria intrappolate a profondità crescenti nel ghiaccio antartico. Fonti: Friedli, Etheridge, Monnin e NOAA (National Oceanic and Atmospheric Administration).

(2) Dalla Cina al Canada, dall’Australia all’Artico, dall’Europa all’Africa sono numerosissimi i progetti per aumentare i livelli di sfruttamento dei giacimenti di carbone, petrolio, sabbie bituminose e gas. Si tratta di progetti anche molto impattanti a livello ambientale e sociale come, ad esempio, il fracking.

Fonte: Greenpeace

Grafico: EcoAlfabeta

 

Caos politico e caos climatico

Quando vedo la nostra vergognosa classe dirigente che si azzuffa in Parlamento o nelle sedi dei partiti e, abbandonando ignobili logiche di puro tornaconto elettorale, non è in grado di trovare con responsabilità un accordo sulla gestione di un paese oramai (quasi?) allo sbando… mi viene il voltastomaco! Quando questi “nostri” rappresentanti, per la loro incapacità politica e dialettica, tolgono a forza dal meritato riposo un signore di 87 anni per attribuirgli un ruolo istituzionale cosi importante e delicato come quello del Presidente della Repubblica… non so più cosa pensare!

Nel frattempo guardo con tristezza e impotenza mia figlia che ha poco più di 2 anni e penso al suo futuro e al fatto che le classi dirigenti non hanno capito quasi nulla. Si scervellano (senza crederci troppo nemmeno loro) su come abbassare l’IMU, su come imbrigliare la giustizia, su come aumentare le tasse senza che ce ne accorgiamo, su come far ripartire un’economia dalle fondamenta oramai decrepite e non capiscono che, a monte, i problemi più importanti da risolvere sono altri e, da essi, dipendono poi a cascata anche le tasse, la cultura, l’economia, la salute, il lavoro, la democrazia di un popolo.

Dal momento che in natura tutto è strettamente interconnesso e il buon funzionamento della stessa dipende da numerosissimi fattori che interagiscono reciprocamente, anche nella gestione delle attività umane tutto è strettamente collegato! Se non cerchiamo il bandolo della matassa, se non capiamo l’origine vera dei problemi, andiamo a rischio di curare piccoli sintomi di una patologia ben più grave che, a causa del nostro ritardo, rischia di peggiorare e di non essere più risolvibile per il futuro.

Prendiamo il clima e i cambiamenti climatici (1) in corso, in gran parte dovuti ad errate attività antropiche che si basano sulla combustione del carbonio e sulla distruzione delle foreste. Da quando, intorno agli anni ’80 del secolo scorso, i satelliti hanno iniziato a monitorare l’atmosfera e i ghiacci polari nonché gli scienziati a studiare approfonditamente la climatologia, si è potuto registrare con precisione l’enorme aumento dell’anidride carbonica presente in atmosfera (siamo arrivati a circa 390 ppm mentre all’inizio dell’era industriale eravamo a circa 280 ppm) e si è potuta documentare una ritirata dei ghiacci polari pari al 12% a decennio, con una forte accelerazione in questi ultimi anni. L’effetto finale è che attualmente la superficie coperta da ghiacci spessi e consolidati è il 60% inferiore rispetto a quella del 1981 e il processo di scioglimento globale è ora molto più rapido.

Un cambio di rotta, che essenzialmente deve muoversi nell’ambito della drastica riduzione dei processi di combustione del carbonio fossile e del tasso di deforestazione, non solo è necessario ma per essere efficace deve essere attuato a partire da domani, non oltre.
Inoltre, secondo gli esperti che oramai non appartengono più solo al mondo dell’ambientalismo ma anche a quello delle istituzioni governative ed economico-finanziarie, un cambio radicale di prospettiva potrebbe alimentare un nuovo processo di rinascita dell’economia basata sull’efficienza, sulle fonti rinnovabili, sulla diminuzione delle materie, sulla riprogettazione della produzione e della società nonché sulla sostenibilità ambientale in generale.

Per ottenere tali risultati devono essere fatte delle scelte politiche forti e rivoluzionarie. Ma intanto, mentre la Terra brucia, la nostra classe dirigente cosa fa?

(1) L’allarme è stato lanciato anche dalla Banca Mondiale che ha parlato della possibilità di un aumento di temperatura globale di 4 gradi a fine secolo e del fatto che tale evento metterebbe sotto uno stress devastante buona parte degli ecosistemi che garantiscono la sopravvivenza di miliardi di persone. Di tale ente si vedano il World Developement Report del 2010 e il sito web Climate Change Knowledge Portal.

La mazza da hockey e il cambiamento climatico

Nel 1998 Micheal E. Mann (1) era uno scienziato di 33 anni che desiderava studiare e capire le variazioni climatiche. Con alcuni colleghi raccolse i dati sulle temperature di migliaia di anni, studiò i coralli, gli anelli degli alberi e i ghiacci polari. Alla fine della ricerca i dati furono raccolti in un grafico, poi pubblicato su Nature, che lasciò sbigottiti gli stessi scienziati: fino al 1850 la curva relativa alle variazioni della temperatura terrestre era praticamente piatta ma poi si impennava rapidamente, proprio in corrispondenza dell’idustrializzazione della società, quando l’uomo ha iniziato a bruciare carbone, gas e petrolio in sempre più grandi quantità.

A Mann e ai suoi colleghi la curva del grafico dava l’idea di una mazza da hockey. E, per loro, la “mazza da hockey” (hockey stick) è la dimostrazione scientifica della responsabilità umana nella determinazione del cambiamento climatico.

Mazza da hockeyMichael Mann è attualmente ancora impegnato nella collaborazione con l’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change), un gruppo di ricerca fondato nel 1988 da numerosi capi di stato e di governo che ha lo scopo di capire il complesso sistema dell’atmosfera terrestre e di comprendere in quale direzione si sta evolvendo il cambiamento del clima, se mai si stia evolvendo.

I dati sono però oramai molto chiari e preoccupanti. L’innalzamento delle temperature che interesserà la Terra nei prossimi decenni aumenterà il rischio e la frequenza di tempeste violente, di inondazioni e di ondate di siccità. Inoltre le calotte polari e i ghiacciai si stanno sciogliendo con buone probabilità di innalzare pericolosamente, soprattutto per le città costiere e i popoli che vivono sulle coste, il livello dei mari.

Le risposte agli evidenti problemi del clima ora devono essere date dalla politica (mondiale) e dal sistema produttivo di energia, di beni e di servizi.

La prima, tranne qualche figura illuminata, sembra ancora insensibile al grave problema e, anzi, confusa da un sistema di lobby economiche e ideologico-religiose che gettano fumo negli occhi sulla veridicità dei dati scientifici del cambiamento climatico, fa addirittura qualche passo indietro rispetto ad alcuni obiettivi raggiunti negli anni passati.

Il sistema produttivo (ma anche i consumatori) non è ancora del tutto convinto che le sue scelte progettuali o di processo possano influire concretamente sulla riduzione del cambiamento climatico. I produttori, invischiati nella melassa della competitività delle merci a livello globale, continuano a produrre come prima e perdono tempo prezioso per attuare un cambiamento di rotta. I consumatori, attratti solo dal basso prezzo, non capiscono che devono poi ripagare i danni del cambiamento climatico attraverso maggiori tasse  e attraverso sofferenze individuali o familiari.

Al di là di tutto mi sembra che la “mazza da hockey” sia ben chiara e che non possiamo concederci più altro tempo pensando che ad iniziare il processo di cambiamento ci debbano pensare sempre gli altri.

(1) Le teorie scientifiche e le pubblicazioni di Michael Mann sono state oggetto di attacchi di ogni sorta, nel campo scientifico e al di fuori di esso: minacciato di morte, messo in lista come “ebreo” da alcuni siti neo-nazisti, oggetto di odio, offese, vignette e film satirici propagandistici, la sua posta elettronica privata è stata rubata e resa pubblica e lui trattato come un criminale. Nonostante tutto ciò la sua teoria della “mazza da hockey” resiste e lui continua a lavorare senza arrendersi e senza scendere a compromessi.

(a) Grafico originale “MBH hockey stick” di Michael E. Mann e Raymond S. Bradley

Video: Full Interview Michael E. Mann