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Il consumo del territorio semplicemente mi sconvolge
Nell’opinione pubblica gli ambientalisti sono sempre quelli del “NO” e quelli contrari al “progresso” e alla “tecnologia”. Sono quelli conservatori che vorrebbero tornare a vivere come l’uomo di Neanderthal senza benessere e senza medicine. Sono anche quelli – per dirne alcune – che hanno liberato le nutrie nei fiumi, quelli che hanno portato in Europa la zanzara tigre o quelli che minacciano l’economia montana in quanto difensori di orsi e lupi.
Per confutare questa tesi io, che mi definisco orgogliosamente ambientalista (1), voglio esprimere il mio profondo dissenso e disgusto per il terribile fenomeno del consumo del territorio e della cementificazione selvaggia al quale si deve per forza porre un freno. Lo desidero fare esprimendo la mia profonda contrarietà nei confronti di due episodi particolari – uno vissuto direttamente da me l’altro letto su Il Fatto Quotidiano – verso i quali mi preoccupo di proporre delle valide e benefiche alternative.
Innanzitutto vorrei partire dal concetto secondo cui io non sono a priori contrario alla realizzazione di infrastrutture urbane che, se necessario, potrebbero anche utilizzare del territorio vergine, cioè prima adibito a verde o ad agricoltura. Le cose importanti e fondamentali, però, sono almeno due: che siano fatte nella logica del benessere per i potenziali utilizzatori e non invece per ingrassare l’economia clientelare degli appalti; che siano realizzate da persone molto competenti in materia e non dagli amici degli amici che hanno poche qualifiche e che mirano solamente ad ottenere il massimo profitto personale. Perché, se realizzate male, le opere infrastrutturali ed urbane consumano irrimediabilmente territorio (una risorsa non facilmente rinnovabile) e contemporaneamente non sono utili per i potenziali beneficiari, cioè i cittadini.
Ora, detto ciò, vengo a descrivere le due situazioni di cui sopra. Le possibili soluzioni non richiedono troppe spiegazioni ma verranno direttamente da sé.
Qualche tempo fa sono stato con mia figlia a vedere il Museo delle Scienze di Trento (MUSE). Al di là del fatto che il museo è molto interessante, moderno e frequentato da moltissime persone, esso è stato realizzato in un contesto urbano – le Albere – pensato e progettato da Renzo Piano per recuperare l’area di una vecchia fabbrica di pneumatici. Quello che mi ha colpito dell’insediamento è il fatto che esso sia diventato, con il suo enorme parco alberato, con il museo e con le attività commerciali insediate, un importante luogo di aggregazione dei cittadini. Mi ha dato l’idea che essi non solo vadano in quel luogo per svolgere le loro attività ma desiderino recarsi proprio lì per vivere serenamente qualche ora e godere di una parte della loro città. Passandoci un pomeriggio quel luogo mi ha anche dato l’idea che poteva essere progettato in mille modi ma farlo progettare da uno dei migliori ha fatto senza dubbio la differenza. Come affermò il progettista «Le Albere è un classico esempio di trasformazione dei brownfields, i terreni industriali dismessi, in greenfields, un terreno cementato che diventa in gran parte verde, l’opposto di quello che si è fatto per tanti anni nelle città» aggiungendo che «Usare il legno è già di per sé un’attività intelligente perché è un materiale che viene dalle foreste, e le foreste si rinnovano, per cui di fatto è energia rinnovabile oltre che perfettamente riciclabile».
Leggo qualche giorno fa su Il Fatto Quotidiano l’articolo di Alex Corlazzoli “Ho visitato una scuola svizzera. E sono rimasto sconvolto” nel quale racconta la sua personale esperienza in una scuola elvetica di secondo grado (la nostra scuola media). Al di là degli strumenti didattici e della possibile fruizione della scuola che ne possono fare i professori (che possono accedervi sempre, con chiavi personali, anche di domenica e di sera) e al di là del rispetto che gli alunni hanno per il bene pubblico, quello che mi ha colpito è il fatto che la scuola fosse dotata, oltre che di sala professori con ogni comfort, di mensa ben progettata, anche addirittura di un teatro, di un laboratorio d’arte, di un’emeroteca e di una ludoteca aperta ai ragazzi. La realizzazione di tale scuola non è stata data ad un progettista qualsiasi ma era stato affidato a Santiago Calatrava che non ha scopiazzato un progetto a caso di una scuola qualsiasi ma ha tentato di “pensare” questo spazio abitativo pubblico in funzione dei ragazzi e dei professori. Uno spazio pensato per assolvere in maniera chiara ad una funzione educativa. E non credo sia un caso che, se educati in tali ambiti, i cittadini svizzeri siano poi dei cittadini modello.
I due esempi sono chiari riferimenti al fatto che dobbiamo iniziare a pretendere che il consumo del territorio sia una cosa seria che deve rientrare prioritariamente nell’agenda della politica che non deve solamente pensare di limitarne il consumo ma anche iniziare ad imporre regole che tolgano dal sistema della progettazione a personaggi incompetenti che lavorano in quanto amici degli amici o finanziatori e sostenitori degli amici. Sono certo che, in un tale contesto operativo, la limitazione del consumo del territorio verrebbe anche un po’ da sé…
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(1) La definizione di “ambientalista” non è chiara e ben definita ma si riferisce a colui che ha a cuore, attraverso la cultura e la conoscenza e spesso attraverso il buon senso, il futuro benessere dei propri figli. Essere ambientalista è essere semplicemente “padre” (o “madre”). E io mi sento pienamente di esserlo.
Foto 1: Quartiere Le Albere visto dall’alto
Foto 2: Scuola Media di Bellinzona, Svizzera
Bike the Nobel
L’idea di candidare la bicicletta al Nobel per la Pace (1) mi sembra un geniale progetto di comunicazione che poggia su una rilevante base scientifica. È venuta ai conduttori di Caterpillar, la storica trasmissione radiofonica di Radio2 (RAI) che va in onda il tardo pomeriggio e che ascolto con regolarità quando mi muovo in auto.
La motivazione di tale candidatura – chiamata “Bike the Nobel” – è dovuta ai seguenti aspetti, di base corretti e condivisibili:
- La bicicletta è il mezzo di spostamento più democratico a disposizione dell’umanità perché permette a tutti di muoversi, poveri e ricchi, più o meno alle stesse condizioni. Per questo riduce le differenze sociali.
- La bicicletta non causa guerre perché riduce il bisogno di petrolio ed i conflitti si fanno spesso per il petrolio.
- La bicicletta cambia il modello di sviluppo perché ogni chilometro pedalato genera un beneficio di 16 centesimi di euro per la società, mentre ogni chilometro percorso in auto provoca un danno di 10 centesimi. (Copenhagen Bicycle Account).
- La bicicletta causa ed è oggetto di meno incidenti stradali mortali rispetto a quelli che avvengono a causa del traffico motorizzato.
- La bicicletta non inquina perché è alimentata dalla forza muscolare umana e aiuta a rimanere in salute perché riduce per le persone il rischio di malattie e fa risparmiare ai sistemi sanitari i costi delle cure.
- La bicicletta è stata uno strumento dei movimenti di liberazione e resistenza di molti paesi.
- La bicicletta è un strumento di crescita per l’infanzia perché rende i bambini autonomi e indipendenti.
- La bicicletta elimina le distanze fra i popoli perché i cicloviaggiatori sono accolti ovunque con favore: la bici è un mezzo che comunica rispetto e avvicina le persone e le culture.
- La bicicletta “È la chiave di movimento e lettura delle grandi città. Un contributo sociale. E non ha controindicazioni. Fa bene al corpo e all’umore. Chi va in bici, fischietta, pensa, progetta, canta, sorride. Chi va in macchina, s’incattivisce o s’intristisce. La bicicletta non mi ha mai deluso. La bicicletta è sorriso, e merita il Nobel per la pace”. (Alfredo Martini, Marco Pastonesi, La vita è una ruota, Ediciclo, 2014).
Sulla base di queste premesse i conduttori di Caterpillar hanno fatto sul serio e si sono attivati concretamente affinché la causa fosse sostenuta con sondaggi, testimonianze e una raccolta firme ufficiale. Per suggellare poi tale richiesta hanno inviato la ciclista Paola Gianotti in bicicletta da Milano ad Oslo (circa 2000 km) per portare simbolicamente le firme raccolte alla Commissione di candidatura dei Nobel, che le ha accettate.
Ora mi auguro che tale iniziativa non rimanga un mero esercizio di comunicazione e che finalmente alla bicicletta venga riconosciuto l’importante ruolo sociale ed ambientale che effettivamente ha. Oltre alla mobilitazione dei singoli cittadini (vi invito a firmare la candidatura), perché l’obiettivo simbolico del Nobel per la Pace sia raggiunto, è necessario che aderiscano anche tutti gli altri attori della società, in primis la politica.
Il raggiungimento del Nobel per la Pace sarebbe uno strumento importante per dare visibilità a livello planetario alla bicicletta quale mezzo di trasporto, quale mezzo di liberazione dei popoli e dei generi nonché quale strumento fondamentale per la sostenibilità ambientale.
Non vedo l’ora che arrivi l’autunno e che i Nobel vengano assegnati per vedere come andrà a finire…
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(1) Bike the Nobel è un progetto che fa parte della campagna storica di Caterpillar “M’illumino di meno”, dedicata al risparmio energetico e alla produzione di energie rinnovabili. Giunta oramai alla 12esima edizione (si svolgerà oggi 19 febbraio 2016) e diventata molto famosa con l’adesione di numerosissimi enti, personaggi pubblici e cittadini comuni, nel 2016 la campagna M’illumino di meno è stata dedicata anche alla mobilità sostenibile.
10 passi verso una casa più verde
Molto probabilmente nel 2060 la popolazione mondiale sarà di circa 10 miliardi di individui e, inevitabilmente, associato ad essa ci sarà un forte aumento dei consumi di energia elettrica. In particolare, al tasso attuale di consumo, si presume che per quella data i consumi elettrici mondiali saranno di 57,3 trilioni di kWh, in netto incremento dai 16,4 del 2006 e dai 7,3 del 1980.
Dal momento che le conseguenze legate alla produzione di tutta quella energia possono essere molto gravi per il Pianeta, non potendo prevedere ora se e quando in futuro potremo disporre di una fonte di energia pulita e sicura, è necessario iniziare a pensarci fin da ora facendo l’unica cosa che abbiamo a disposizione: risparmiarla! Partendo dal presupposto che l’energia consumata a livello domestico rappresenta un’elevata percentuale del totale e considerando che è necessario che ognuno faccia, nel proprio piccolo, la propria parte, allo scopo di aiutare i cittadini ad agire l’Azienda inglese CES Group ha pubblicato una chiara ed esaustiva infografica sull’argomento.
Per facilità di lettura se ne riporta la versione tradotta in italiano.
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Nota: Traduzione non ufficiale ad opera di Bioimita.
Il paradosso di Jevons
Per spiegare il paradosso di Jevons desidererei fare un esempio concreto e vorrei considerare, banalmente, la strada che divide casa mia da quella dei miei genitori, nella campagna (esiste ancora la campagna, mah!) a sud di Verona. Questa strada che percorro abitualmente è caratterizzata dalla presenza di alcune aziende agricole le più grandi delle quali, in questi ultimi anni, hanno fatto investimenti per produrre biogas dalle deiezioni degli animali di allevamento, dal quale ottenere energia elettrica. Sia ben chiaro che l’operazione è assolutamente positiva nell’ambito degli allevamenti industrializzati che caratterizzano l’agricoltura moderna. La cosa che mi stupisce, però, è che da quando queste aziende hanno a disposizione più energia, praticamente gratis, dal miglioramento dell’efficienza del processo, hanno anche riempito l’azienda stessa di un tripudio di fari, accesi tutta la notte, che non fanno altro che aumentare il consumo di energia rispetto a prima. La stessa cosa interessa anche la famiglia dei miei genitori dove, con la “scusa” di pannelli fotovoltaici che hanno sul tetto e con l’idea di poter consumare l’energia prodotta gratuitamente durante le ore diurne, sono considerevolmente aumentati i consumi di energia elettrica rispetto a quando non avevano i pannelli fotovoltaici ed è anche aumentato il numero di elettrodomestici presenti in casa. Tra il dubbio di accendere una lavatrice mezza piena o dosare l’utilizzo del condizionatore in estate, dopo l’installazione dei pannelli fotovoltaici prevale sempre la scelta verso il consumo con la scusa che: “Tanto l’energia è gratis!”.
Ma chi era Jevons? William Stanley Jevons era un economista e logico britannico vissuto nell’800 il quale, osservando il consumo inglese del carbone del suo tempo, si rese conto che miglioramenti di efficienza tecnologica dovuti a sviluppi nei motori e nelle caldaie a vapore non contribuivano a diminuirne il consumo ma, anzi, paradossalmente, in termini generali contribuivano ad incrementarlo.
In sostanza, estendendo questa osservazione in qualsiasi altro campo dove vi è aumento di efficienza a causa di miglioramenti tecnologici, Jevons sviluppò una regola accettata dall’economia (il cosiddetto “paradosso di Jevons”) secondo cui i miglioramenti tecnologici che aumentano l’efficienza di una risorsa possono far aumentare, anziché diminuire, il consumo di quella risorsa. In sostanza le tecnologie efficaci migliorano l’efficienza da un punto di vista tecnologico ma sollecitano la crescita della domanda a livello globale.
L’osservazione che desidero fare parlando del paradosso di Jevons consiste nel fatto che l’efficienza è un concetto assolutamente positivo nell’ambito tecnologico e produttivo perché consente di risparmiare risorse, energia e rifiuti prodotti. Pertanto deve essere sempre perseguita, nell’ottica del miglioramento continuo. Quello che non è affatto positivo, invece, è il comportamento umano che non ne coglie veramente la portata e che, illuso dal fatto di avere a disposizione più risorse per effetto dei miglioramenti di cui è consapevole, aumenta i propri consumi e, assurdamente, vanifica i benefici prodotti dall’efficienza stessa. Ad esempio soddisfatti di avere ridotto il consumo di energia attraverso la coibentazione della casa ci offriamo un viaggio in più ai Caraibi; il treno ad alta velocità va più veloce, allora andiamo più lontano e viaggiamo più spesso; se abbiamo un pannello solare sul tetto per la produzione di acqua calda consumiamo più acqua perché, avendo a disposizione energia gratis, ci laviamo di più e più a lungo.
Se vogliamo veramente perseguire la sostenibilità ambientale dobbiamo, da un lato, come ci insegna il funzionamento della natura, operare per ottenere la massima efficienza. Contestualmente, però, dobbiamo anche fare uno sforzo culturale e renderci conto che il vero obiettivo non è quello di ottenere l’efficienza per aumentare i consumi, ma quello di perseguirla con lo scopo di operare contestualmente un percorso verso la sobrietà. Altrimenti è come un cane che rincorre la sua coda…
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Grafico: Il grafico indica che, secondo il paradosso di Jevons, la migliore efficienza dovuta al passaggio da un’auto a scoppio ad una ibrida (che costa la metà in termini di costo per 40 km percorsi) è vanificata dal fatto che si modificano le abitudini di guida ed aumenta il numero di km percorsi settimanalmente (circa 250 km in più).
Foto: William Stanley Jevons
Casa Batroun
Conosco personalmente Maya, la proprietaria di “Casa Batroun”. L’ho conosciuta nel 2009 a Beirut (1) durante uno dei miei soliti viaggi in giro per il mondo.
Maya si divide tra Londra – dove collabora con EcoConsulting, una società di consulenza nel campo ambientale – e Beirut (la sua città natale) dove cerca, con mille difficoltà ma anche con molta tenacia, di mettere in pratica quello che nell’Europa del nord è considerato essere cosa abbastanza normale.
Casa Batroun è una casa sostenibile e la sua particolarità non sta tanto nel fatto che si tratta di una casa ecologica per la quale sono state adottate certe soluzioni tecniche piuttosto che altre, quanto nel contesto in cui è stata realizzata. Il contesto è il Medio Oriente, una regione dove l’ecologia e la sostenibilità ambientale sono concetti praticamente agli albori (per non dire quasi inesistenti) e dove, per questa ragione, l’importanza del progetto e della realizzazione di Casa Batroun è ancora più importante. In parte perché può rappresentare un interessante esempio per le comunità locali di come si possa concretamente realizzare un edificio sostenibile; in parte perché può accrescere la cultura e la conoscenza degli artigiani locali verso tecniche nuove, meno impattanti su un ambiente, il loro, già abbastanza messo sotto pressione da abusivismo edilizio, pessima gestione dei rifiuti, trasporti e industrie inquinanti.
Da come ora in origine a come è stata recuperata, Casa Batroun è ora completamente trasformata. Per arrivare a questo importante traguardo le soluzioni adottate per il restauro sono state:
- riuso di vecchio legno sia per la parte strutturale che per alcuni pavimenti
- riuso di vecchie porte, finestre, scale, piastrelle e mobili
- utilizzo di legno proveniente da foreste sostenibili (FSC)
- utilizzo di collanti a bassa emissione di solventi e formaldeide
- utilizzo di isolamento a base di lana di pecora e pasta di legno
- utilizzo di calce naturale
- utilizzo di idropittura ecologica AURO
- utilizzo di linoleum prodotto da resina naturale: durevole, riciclabile e privo di solventi
- design bioclimatico: ventilazione, posizionamento delle finestre e ombreggiatura
- riscaldamento mediante stufa a pellet
- utilizzo di pannelli solari per la produzione di acqua calda
- utilizzo di lampade a led
- utilizzo di apparecchiature a basso consumo energetico
- utilizzo di vasche per la raccolta dell’acqua da usare per l’irrigazione e le toilette
- realizzazione di un tetto verde
- predisposizione di un sistema di raccolta differenziata e di compostaggio dei rifiuti organici.
[Vedi il progetto di Casa Batroun]
Casa Batroun è stata costruita secondo i criteri della certificazione BREEAM Excellent (non ancora certificata) e ha ricevuto il premio Green Apple per la costruzione ecologica e per il recupero architettonico.
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(1) Durante quel viaggio sono anche stato in Siria e mi piange il cuore pensare come la sta riducendo una stupida guerra civile.
Auto ibrida ad aria compressa
Vi ricordate della storia dell’auto ad aria compressa che qualche anno fa girava in rete? Che fine avrà mai fatto? Quale oscuro complotto internazionale ne ha determinato la sua scomparsa?
E vi ricordate, ancora, del brevetto dell’auto ad aria compressa acquistato qualche anno fa da un produttore indiano di auto? Che fine ha fatto e che fine ha fatto l’auto economica tanto decantata che avrebbe dovuto rivoluzionare il sistema di trasporto a bassissimo impatto ambientale e a bassissimi costi?
Sembra che adesso un tale progetto, sulla base di un modello di auto prodotta dall’ing. francese Guy Negre, sia stato ripreso da alcuni produttori sardi, ma è ancora tutto molto aleatorio e di nicchia (basta vedere il design delle auto per comprenderlo) tanto che e non mi pare ci siano intenzioni troppo serie nemmeno questa volta di rivoluzionare il mercato del trasporto attraverso innovazioni rivoluzionarie nel sistema di propulsione.
Al di là delle legittime supposizioni legate anche allo spionaggio internazionale e ai complotti industriali che vorrebbero ancora per molto tempo il petrolio quale unica fonte combustibile per i trasporti, rimane comunque ancora una chimera quella dell’auto ad aria compressa che percorre, praticamente gratis, centinaia e centinaia di chilometri mossa solo dall’energia cinetica dell’aria ingabbiata ad elevata pressione in una bombola.
Personalmente piuttosto che scervellarmi sullo spionaggio ritengo che tali auto ad aria compressa abbiano ancora dei problemi tecnici da risolvere (come ad esempio la produzione di ghiaccio) che le rendono buone per le prove, per le fiere o per i lanci pubblicitari ma che poi, alla resa dei conti con i problemi quotidiani della mobilità urbana ed extraurbana, le relegano ancora al ruolo di prototipi.
Dal momento che l’energia cinetica è uno dei pilastri su cui si fonda il sistema naturale, Bioimita ritiene che tale tecnologia, più di quella elettrica, debba essere perseguita e sviluppata per migliorare l’efficienza energetica dei trasporti e per limitare (o, magari, eliminare) l’uso di combustibili petroliferi che, oltre ad inquinare e ad emettere numerosi residui (tra cui la CO2), via via andranno ad esaurimento.
Poiché ritengo che sia altamente improbabile – se mai tecnicamente fattibile – il passaggio immediato alla tecnologia ad aria compressa ma sarà necessario attraversare alcune fasi intermedie, sono rimasto positivamente colpito dall’iniziativa del Gruppo PSA Peugeot Citroën che si è posto come obiettivo, da qui al 2020, che il consumo medio dei suoi veicoli non superi i 2 litri di carburante per 100 km. Per realizzare tale obiettivo la casa costruttrice sembra aver abbandonato la ricerca sull’elettrico e l’ha sostituita con quella sull’aria compressa, chiamandola “Hybrid Air”. In sostanza il gruppo automobilistico francese – che ha depositato ben 80 brevetti internazionali per proteggere il proprio progetto – si propone di mettere in commercio al più presto (entro l’anno 2016) dei veicoli “ibridi” dotati sia di propulsione a scoppio sia di propulsione cinetica ad aria compressa.
Anche se molto simile all’auto ibrida-elettrica nei principi di funzionamento (ricarica della bombola durante la marcia e le frenate, uso dell’aria prevalentemente in partenza e a basse velocità, gestione e distribuzione dei sistemi mediante sistema elettronico), dal punto di vista tecnico la parte “ibrida” non sarà più costituita da motore elettrico + batterie di accumulo ma da un motore idraulico (pompa) + un serbatoio di aria compressa + trasmissione epicicloidale.
Stando a quanto dichiarato dal costruttore con l’Hybrid Air i veicoli potranno circolare in città senza generare emissioni per il 60-80% del tempo, abbattendo i consumi di circa il 45%. Inoltre l’autonomia senza l’uso del motore a scoppio potrebbe aumentare del 90% rispetto ai tradizionali sistemi ibridi-elettrici.
In relazione, poi, ai vantaggi rispetto ai sistemi ibridi-elettrici l’Hybrid Air elimina tutti gli inconvenienti legati alle batterie (costi elevati, durata limitata, peso consistente, oneri di smaltimento, limitatezza delle materie prime) e fornisce, invece, numerosi vantaggi di un sistema prevalentemente meccanico.
La strada verso la piena sostenibilità dei trasporti è e sarà ancora lunga e, magari, non si concluderà proprio e solo con la propulsione ad aria compressa. L’importante è che il settore inizi seriamente a rinnovare una tecnologia obsoleta basata solo sui combustibili petroliferi e metta in campo risorse verso una migliore efficienza energetica e verso sistemi di propulsione che siano il meno impattanti possibile sull’ambiente.
Ecodriving
Il Ministero dello sviluppo economico, il Ministero dell’Ambiente e il Ministero dei Trasporti hanno da poco pubblicato la “Guida 2013 al risparmio di carburanti e alle emissioni di CO2 delle auto”.
Il documento è molto lungo e di difficile lettura per un non esperto perché elenca, auto per auto, modello per modello, in una infinita sequenza di pagine, i consumi dichiarati di CO2.
Interessante, però, è quella parte in cui vengono dati agli automobilisti, in pillole, i 10 consigli pratici per una guida ecocompatibile (ecodriving) da applicare giorno per giorno.
- Accelerare gradualmente
- Inserire al più presto la marcia superiore tenendo il motore a bassi giri
- Mantenere una velocità moderata e il più possibile uniforme
- Guidare in modo attento e morbido evitando brusche frenate e cambi di marcia inutili
- Decelerare gradualmente rilasciando il pedale dell’acceleratore con la marcia innestata
- Spegnere il motore quando è possibile, ma solo a veicolo fermo
- Mantenere sempre la pressione e il gonfiaggio degli pneumatici entro i valori raccomandati
- Rimuovere porta-sci e portapacchi quando non necessari e tenere nel baule solo gli oggetti necessari
- Utilizzare i dispositivi elettrici solo per il tempo necessario
- Limitare l’uso del climatizzatore.
Si stima che una guida intelligente ed una corretta gestione dell’autovettura possano consentire di ridurre i consumi e le emissioni di CO2 del 10-15%, migliorando anche la sicurezza sulla strada.
Efficienza è una parola chiave nell’ambito della bioimitazione e può essere perseguita, oltre che mediante soluzioni tecniche e progettuali, anche attraverso comportamenti individuali virtuosi.
Se vi interessa poco la CO2 e le alterazioni del clima, così difficili da percepire, almeno pensate al vostro portafoglio e risparmiate un po’ di denaro. Il che, in questi tempi di crisi, non è male!
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10 consigli di ecodriving – [Per approfondire scarica il pdf]
Topten | Prodotti efficienti
Topten è una guida on-line gratuita nata con lo scopo di fornire ai consumatori strumenti pratici per risparmiare energia e combattere i cambiamenti climatici scegliendo, in fase di acquisto, prodotti efficienti.
L’obiettivo è quello di permettere ai consumatori di trovare, velocemente, i migliori prodotti in vendita che soddisfino i seguenti requisiti:
- consumino poca energia
- siano rispettosi dell’ambiente
- abbiano una buona funzionalità
- non siano nocivi per la salute
- siano di qualità elevata.
Per valutare tali caratteristiche Topten, che desidera rimanere competente, trasparente e neutrale rispetto ai produttori, analizza e valuta i test effettuati da istituti riconosciuti, le etichette e le indicazioni del produttore.
Il sito Topten è nato nel 2000 in Svizzera e rapidamente si è diffuso in tutta Europa. Oggi ne fanno parte 20 Paesi, tra cui gran parte di quelli europei, gli USA, la Cina e, a breve, l’India. L’obiettivo di Topten è quello, primario, di far maturare delle scelte di acquisto consapevoli verso l’efficienza energetica e, secondariamente, di ingaggiare una sfida tra i produttori alla messa in commercio di beni sempre più performanti, indipendentemente dalle normative esistenti nei vari Paesi.
Si pensi che il settore elettrico – che contribuisce per il 37% delle emissioni di CO2 in atmosfera – all’interno dei propri prodotti ha un’energia “nascosta” rappresentata dall’inefficienza, che esiste perché la tecnologia con cui sono stati costruiti non consente di ridurre l’assorbimento inutile (o spreco) di elettricità. Si pensi anche che Europa, USA e Cina contribuiscono per il 55% delle emissioni mondiali di CO2 e il raggiungimento di traguardi di efficienza consentirebbe di risparmiare milioni di tonnellate di CO2 emesse in atmosfera.
Per questo non è cosa banale attaccare la spina di un congelatore qualsiasi, premere il pulsante di una lavatrice qualsiasi, girare la chiave di un’auto qualsiasi.
400 ppm
In fin dei conti erano solo 3 milioni di anni che non avevamo una tale concentrazione di CO2 in atmosfera. Cosa volete mai che sia!
A parte l’ironia si deve osservare che nel 2012 le emissioni globali di CO2 hanno raggiunto il livello di 35,6 miliardi di tonnellate (in crescita del 2,6% rispetto al 2011). Inoltre è di questi giorni la notizia che la concentrazione di CO2 in atmosfera ha raggiunto le 400 ppm (parti per milione) (1). Secondo gli studiosi tale livello fu raggiunto solamente tra i 3,2 e i 5 milioni di anni fa (quando non c’era alcuna traccia dell’Homo sapiens), caratterizzati da temperature medie della Terra più elevate di 3° C e 4° C rispetto ad ora (ai poli erano più alte di 10° C) e da un livello dei mari più elevato tra i 5 e i 40 metri.
Ovviamente il Pianeta era in perfetto equilibrio, ma la vita che lo caratterizzava era molto diversa da quella attuale! Ed è questa è la domanda che ci dovremmo porre perché il nuovo equilibrio che la Terra sicuramente raggiungerà lo otterrà a quale prezzo?
Visto che la concentrazione di CO2 nell’atmosfera nell’era preindustriale (1) è rimasta per migliaia di anni intorno ai 280 ppm, si può osservare come in poco meno di due secoli la dipendenza della “civiltà” dalle fonti fossili per la produzione di energia mediante combustione abbia e stia profondamente alterando le condizioni climatiche del pianeta e la possibilità che lo stesso possa ospitare la vita (anche la nostra) così come la conosciamo ora. L’elemento più preoccupante è che i cambiamenti si stanno realizzando ad una velocità tale da impedire agevolmente qualsiasi forma di adattamento.
Il dramma in tutto ciò è che non si vede una via di fuga dal problema: le emissioni globali annualmente aumentano (anziché diminuire) perché l’industria e la politica, colpevolmente ciechi e sordi di fronte ai gravi rischi, anziché puntare su sistemi alternativi di produzione energetica ed ostacolare quelli climalteranti, puntano ancora tutto sul carbone, sul petrolio e sul gas (2). È come vedere un fumatore al quale hanno diagnosticato un grave tumore al polmone che rimane attaccato al vizio delle sue sigarette aspettando, senza alcuna cura, una morte che inevitabilmente e dolorosamente arriverà!
L’unico modo per poter sperare di congelare il processo di cambiamento del clima è quello di puntare tutto, da subito, sulla rivoluzione energetica che consiste in tre ingredienti fondamentali: utilizzo di fonti rinnovabili; efficienza energetica; produzione di energia distribuita e locale. Il tutto condito almeno dalla salvaguardia (e, se possibile, dall’incremento) delle immense foreste della Terra.
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(1) La concentrazione della CO2 atmosferica è stata misurata a partire dal 1959. Le misurazioni storiche della CO2 (che risalgono fino a 800.000 anni fa) sono state effettuate sulle bollicine d’aria intrappolate a profondità crescenti nel ghiaccio antartico. Fonti: Friedli, Etheridge, Monnin e NOAA (National Oceanic and Atmospheric Administration).
(2) Dalla Cina al Canada, dall’Australia all’Artico, dall’Europa all’Africa sono numerosissimi i progetti per aumentare i livelli di sfruttamento dei giacimenti di carbone, petrolio, sabbie bituminose e gas. Si tratta di progetti anche molto impattanti a livello ambientale e sociale come, ad esempio, il fracking.
Fonte: Greenpeace
Grafico: EcoAlfabeta
“Grazie a Lei la Terra vivrà più a lungo”
“Grazie a Lei la Terra vivrà più a lungo.
Insieme possiamo contribuire a preservare la salute dell’ambiente, anche con un piccolo gesto come quello di rinunciare al cambio degli asciugamani. Meno cloro e detergenti nei fiumi e nei mari, più acqua per la terra.
A dimostrazione dell’impegno di XXX, questo messaggio e tutti gli altri che troverà nella stanza, sono realizzati utilizzando solo carta riciclata.
PER RICHIEDERE IL CAMBIO DEGLI ASCIUGAMANI LI LASCI ALL’INTERNO DELLA VASCA O DELLA DOCCIA.”
Come non essere d’accordo con questo messaggio riportato nella stanza di una importante catena alberghiera che frequento da tempo per soggiorni lavorativi?
Il problema è che gran parte delle cose scritte a mio avviso non rappresentano, per l’organizzazione in oggetto, un percorso convinto verso la sostenibilità ambientale ma, piuttosto, un’asettica comunicazione commerciale volta ad enfatizzare le virtù aziendali su un argomento “di moda”, senza troppa convinzione pratica.
Con molta umiltà e senza riferimenti specifici perché non è mia intenzione agire direttamente verso tale azienda, proverei ad utilizzare questa interessante comunicazione per analizzare le motivazioni di tale mia considerazione e per proporre vere soluzioni per raggiungere, a piccoli passi, con piccoli miglioramenti continui – sia culturali che tecnici – l’obiettivo della concreta sostenibilità ambientale.
- Innanzitutto, nel titolo della comunicazione, è totalmente sbagliata la considerazione che, attraverso comportamenti virtuosi da parte del cliente, la Terra vivrà più a lungo. La Terra, almeno per qualche miliardo di anni – salvo collisioni con asteroidi di grandi dimensioni che si trovassero a transitare sulla sua traiettoria – non avrà alcun problema di sopravvivenza. Quello che, invece, è messo in discussione è la sopravvivenza sul pianeta Terra della razza umana o, tuttalpiù, la sopravvivenza della civiltà e del benessere raggiunto.
- Nel messaggio è enfatizzato il fatto che tutte le comunicazioni informative che si trovano nella stanza sono realizzate su carta riciclata. Obiettivamente mi sembra un po’ pochino che solo le comunicazioni ambientali siano effettuate in carta riciclata. E la carta igienica? I tovaglioli, i fogli per appunti? E cosa dire dei saponi, della pulizia della stanza o quella delle lenzuola? E il cibo offerto? Oppure la gestione delle aree verdi e dei trasporti?
- Nonostante i miei numerosi tentativi provati e riprovati durante tutti i soggiorni che ho fatto, gli asciugamani mi sono sempre stati cambiati quotidianamente, in aperto disaccordo con la politica ambientale proposta che prevede il cambio solo se lasciati all’interno della vasca o della doccia.
In effetti io sarò particolarmente esigente e, magari, un po’ più preparato della media per valutare l’effettiva sostenibilità ambientale di un’attività produttiva ma, quasi certamente, non premierei un’attività imprenditoriale che professa un percorso di responsabilità ambientale che poi non rispetta e non migliora nel tempo. Ovviamente darei più credito a quelle aziende che si dimostrino concretamente virtuose sull’argomento ma, onestamente, premierei più volentieri anche quelle piccole e a conduzione familiare che non fanno ancora nulla ma che si dimostrino sensibili al tema.
Sono fermamente convinto che la sostenibilità ambientale non sia un bollino da apporre sul sito internet o sulla carta intestata e nemmeno sia un elemento del marketing, come può essere il bel sorriso di una modella o la notorietà di una persona dello spettacolo.
Essa è un percorso concreto, anche silenzioso e invisibile, che ci deve porre seriamente in una nuova dimensione rispetto al mondo che ci circonda.
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La TV a luci… rosse
Nessun riferimento, nel titolo, va alla pornografia o alla miriade di programmi volgari che affollano i palinsesti televisivi delle reti locali durante le ore notturne nei quali si pubblicizzano cosmetici o altri ritrovati miracolosi dalle dubbie proprietà sessuali oppure nei quali si sperimentano le più svariate forme di intrattenimento erotico.
Il riferimento è, invece, più semplicemente rivolto al funzionamento di base dell’elettrodomestico televisione (ma anche di molti altri) e alla sua voracità energetica anche da spento (ops, in modalità stand-by), ossia con la lucina (normalmente rossa) accesa.
A tale riguardo una prima considerazione deve andare all’energia (in particolare a quella elettrica), alle diverse fonti per produrla e alle problematiche ambientali ad esse legate nonché, infine, ai concetti di efficienza e di risparmio.
L’energia è da sempre un bene indispensabile per la nostra vita quotidiana. Con l’energia scaldiamo e rinfreschiamo le nostre case, facciamo funzionare i mezzi di trasporto e una moltitudine di altri impianti e attrezzature che risultano utili per realizzare numerosissime attività. Non avendo più alcun rapporto diretto con le fonti di energia (nessuno va più a raccogliere la legna nel bosco o compie lunghi spostamenti a piedi o in bicicletta e “assapora” la vera fatica) la maggior parte di noi considera l’energia come qualcosa di infinito e di indefinitamente replicabile il cui uso (o abuso) è pressoché ininfluente rispetto all’ambiente in cui viviamo.
Nella realtà dei fatti, però, le cose non stanno così!
A fronte di un costante aumento della domanda di energia a livello mondiale, le fonti fossili non rinnovabili – principale combustibile impiegato per la produzione di energia – vanno via via esaurendosi ed il loro utilizzo influisce pesantemente sul bilancio chimico-fisico della Terra. Infatti la produzione ed il consumo di energia sono le cause di una profonda alterazione dell’ambiente che porta con sé anche conseguenze molto gravi. La prima è l’inquinamento locale di aree geografiche ben precise dove sono presenti le centrali; la seconda sono i cambiamenti climatici globali oramai sempre più studiati e sempre più provati scientificamente.
Non sono esclusi da tali problematiche ecologiche né gli inceneritori che bruciano rifiuti, né le centrali nucleari con il loro pericolo attuale e con il loro debito verso le generazioni future rappresentato dalle scorie. Ma, in più, da possibili alterazioni più o meno gravi non sono escluse nemmeno forme più sostenibili di produzione energetica quali il fotovoltaico, l’eolico e l’idroelettrico.
In merito all’energia e alle problematiche ad essa connesse la natura ci insegna una cosa molto semplice: l’energia è difficile da reperire e, pertanto, se ne deve fare un buon impiego attraverso il risparmio (non uso) e l’efficienza. Punto!
Ritornando alle luci… rosse ecco che quindi è necessario privilegiare, in fase di acquisto, elettrodomestici che prevedano la possibilità di essere spenti mediante il tasto “OFF” oppure, qualora ciò non sia possibile, che almeno gli elettrodomestici vengano installati con un interruttore che ne escluda il funzionamento quando non utilizzati.
Questa azione, apparentemente ininfluente rispetto ad altri consumi ben più evidenti, farebbe comunque risparmiare all’Italia, considerata tutta la sua popolazione, qualche piccola centrale elettrica e contribuirebbe ad educare i cittadini nuovamente verso un senso del limite, vero motore nel percorso della sostenibilità ambientale.
Foto: Granada, Spagna – gennaio 2010