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Monthly Archives: Marzo 2017

La zuppa di plastica. Una ricetta tutta mediterranea

Con questa ricetta purtroppo non stiamo parlando della famosa dieta mediterranea ricca di vegetali, olio d’oliva e varia conosciuta da tutti per garantire longevità ai suoi consumatori. No, questa volta parliamo di una ricetta ben diversa, la cosiddetta “zuppa di plastica del Mediterraneo”, un brodo più o meno denso di frammenti di plastica, piccoli e addirittura invisibili, che inquina tutti i mari del Pianeta e, senza eccezione alcuna ma anzi con peculiarità, anche il Mediterraneo.

Recentemente l’Istituto di Scienze Marine del Consiglio Nazionale delle Ricerche di Lerici (ISMAR-CNR), in collaborazione con le Università di Ancona, del Salento e Algalita Foundation (California) ha pubblicato su Nature/Scientific Reports una ricerca relativa alla stima della presenza, nel 2013, di microplastica (1) galleggiante nel Mediterraneo occidentale. Il ricercatore dell’ISMAR-CNR Stefano Aliani osserva che: “Per la prima volta sono stati individuati i polimeri che costituiscono la microplastica galleggiante in mare e la loro distribuzione. Si tratta principalmente di polietilene (2) e polipropilene (3), ma anche di frammenti più pesanti come poliammidi e vernici, oltre a policaprolactone, un polimero considerato (teoricamente, ndr) biodegradabile”. “Questo tipo di informazioni – osserva ancora Aliani – sono importanti per avere una stima precisa della dimensione del problema generato dai rifiuti di microplastica in mare e per attivare opportuni programmi di riduzione della presenza di questi inquinanti”. “I polimeri sono distribuiti in modo disomogeneo nel Mediterraneo e le ragioni dipendono dalle diversi sorgenti di rifiuti, che possono essere le aree densamente abitate lungo la costa, i fiumi e i processi di trasporto marino tipici di un bacino”. “Si pensi – prosegue il ricercatore – che nel mondo vengono prodotte circa 300 milioni di tonnellate di plastica e si stima che fino a 12 milioni di tonnellate (cioè il 4 % del totale) finiscano in mare”.

Mappa della concentrazione delle microplastiche del Mar Meditterraneo

La ricerca pubblicata e le parole terrificanti del ricercatore dimostrano con inequivocabile dubbio che il tempo per le plastiche e per i materiali non biodegradabili è giunto al termine. Non ci possiamo più permettere il lusso che materiali derivanti da fonti non rinnovabili (il petrolio) e persistenti in natura (ad esempio le plastiche) siano prodotti e vengano utilizzati per la produzione di beni su larga scala, soprattutto usa e getta.

Purtroppo si pensa ancora che la soluzione sia da ricercare nella corretta gestione dei rifiuti e nelle opere di bonifica e depurazione dell’ambiente. Sbagliato! La soluzione va invece ricercata nell’ambito della produzione imponendo soluzioni alternative e tassando quei materiali che non siano più sostenibili dal punto di vista ambientale. In buona sostanza si devono favorire le produzioni e i metodi cosiddetti ecologici e si devono prevedere delle elevate tassazioni per i prodotti e i materiali inquinanti e/o non rinnovabili, anche se molto economici, in modo da considerare i costi indiretti a carico dell’ecosistema che vadano a compensare il loro smaltimento, il loro degrado e i danni che essi producono.

Setaccio manuale microplastiche del Mar MediterraneoDal mio punto di vista credo che l’unica soluzione alla zuppa di plastica mediterranea sia solo una: la bioimitazione in quanto unica metodologia tecnico-produttiva compatibile con il Sistema in cui viviamo e operiamo e dal quale non possiamo (più) prescindere.

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(1) La microplastica è costituita da quei frammenti di plastica più piccoli di 2 millimetri che, per quanto non visibili o difficilmente visibili ad occhio nudo, sono stati trovati un po’ ovunque nei mari mondiali, anche se le concentrazioni maggiori sono proprio quelle del Mediterraneo. Si pensi che nel vortice subtropicale dell’Oceano Pacifico sono stati stimati 335.000 frammenti di plastica ogni km2, mentre nel Mar Mediterraneo si parla di una media di circa 1,25 milioni per km2.
(2) Il polietilene (sigla: PE) viene prevalentemente utilizzato per i flaconi, per tappi di plastica, per prodotti usati in edilizia e per gli imballaggi in generale.
(3) Il polipropilene (sigla: PP) viene utilizzato per numerosi prodotti in edilizia e per la produzione di mobili. Inoltre viene usato per numerosi imballaggi e per la produzione di numerosi parti delle auto.
Immagine: Mappa della concentrazione delle microplastiche nel Mar Mediterraneo occidentale.
Foto: Setaccio manuale delle microplastiche presenti nel campione d’acqua.

 

Il consumo del territorio semplicemente mi sconvolge

Il consumo del territorio. Uomo mangia alberi

Nell’opinione pubblica gli ambientalisti sono sempre quelli del “NO” e quelli contrari al “progresso” e alla “tecnologia”. Sono quelli conservatori che vorrebbero tornare a vivere come l’uomo di Neanderthal senza benessere e senza medicine. Sono anche quelli – per dirne alcune – che hanno liberato le nutrie nei fiumi, quelli che hanno portato in Europa la zanzara tigre o quelli che minacciano l’economia montana in quanto difensori di orsi e lupi.

Per confutare questa tesi io, che mi definisco orgogliosamente ambientalista (1), voglio esprimere il mio profondo dissenso e disgusto per il terribile fenomeno del consumo del territorio e della cementificazione selvaggia al quale si deve per forza porre un freno. Lo desidero fare esprimendo la mia profonda contrarietà nei confronti di due episodi particolari – uno vissuto direttamente da me l’altro letto su Il Fatto Quotidiano – verso i quali mi preoccupo di proporre delle valide e benefiche alternative.

Innanzitutto vorrei partire dal concetto secondo cui io non sono a priori contrario alla realizzazione di infrastrutture urbane che, se necessario, potrebbero anche utilizzare del territorio vergine, cioè prima adibito a verde o ad agricoltura. Le cose importanti e fondamentali, però, sono almeno due: che siano fatte nella logica del benessere per i potenziali utilizzatori e non invece per ingrassare l’economia clientelare degli appalti; che siano realizzate da persone molto competenti in materia e non dagli amici degli amici che hanno poche qualifiche e che mirano solamente ad ottenere il massimo profitto personale. Perché, se realizzate male, le opere infrastrutturali ed urbane consumano irrimediabilmente territorio (una risorsa non facilmente rinnovabile) e contemporaneamente non sono utili per i potenziali beneficiari, cioè i cittadini.

Ora, detto ciò, vengo a descrivere le due situazioni di cui sopra. Le possibili soluzioni non richiedono troppe spiegazioni ma verranno direttamente da sé.

Qualche tempo fa sono stato con mia figlia a vedere il Museo delle Scienze di Trento (MUSE). Al di là del fatto che il museo è molto interessante, moderno e frequentato da moltissime persone, esso è stato realizzato in un contesto urbano – le Albere – pensato e progettato da Renzo Piano per recuperare l’area di una vecchia fabbrica di pneumatici. Quello che mi ha colpito dell’insediamento è il fatto che esso sia diventato, con il suo enorme parco alberato, con il museo e con le attività commerciali insediate, un importante luogo di aggregazione dei cittadini. Mi ha dato l’idea che essi non solo vadano in quel luogo per svolgere le loro attività ma desiderino recarsi proprio lì per vivere serenamente qualche ora e godere di una parte della loro città. Passandoci un pomeriggio quel luogo mi ha anche dato l’idea che poteva essere progettato in mille modi ma farlo progettare da uno dei migliori ha fatto senza dubbio la differenza. Come affermò il progettista «Le Albere è un classico esempio di trasformazione dei brownfields, i terreni industriali dismessi, in greenfields, un terreno cementato che diventa in gran parte verde, l’opposto di quello che si è fatto per tanti anni nelle città» aggiungendo che «Usare il legno è già di per sé un’attività intelligente perché è un materiale che viene dalle foreste, e le foreste si rinnovano, per cui di fatto è energia rinnovabile oltre che perfettamente riciclabile».

Leggo qualche giorno fa su Il Fatto Quotidiano l’articolo di Alex Corlazzoli “Ho visitato una scuola svizzera. E sono rimasto sconvolto” nel quale racconta la sua personale esperienza in una scuola elvetica di secondo grado (la nostra scuola media). Al di là degli strumenti didattici e della possibile fruizione della scuola che ne possono fare i professori (che possono accedervi sempre, con chiavi personali, anche di domenica e di sera) e al di là del rispetto che gli alunni hanno per il bene pubblico, quello che mi ha colpito è il fatto che la scuola fosse dotata, oltre che di sala professori con ogni comfort, di mensa ben progettata, anche addirittura di un teatro, di un laboratorio d’arte, di un’emeroteca e di una ludoteca aperta ai ragazzi. La realizzazione di tale scuola non è stata data ad un progettista qualsiasi ma era stato affidato a Santiago Calatrava che non ha scopiazzato un progetto a caso di una scuola qualsiasi ma ha tentato di “pensare” questo spazio abitativo pubblico in funzione dei ragazzi e dei professori. Uno spazio pensato per assolvere in maniera chiara ad una funzione educativa. E non credo sia un caso che, se educati in tali ambiti, i cittadini svizzeri siano poi dei cittadini modello.

I due esempi sono chiari riferimenti al fatto che dobbiamo iniziare a pretendere che il consumo del territorio sia una cosa seria che deve rientrare prioritariamente nell’agenda della politica che non deve solamente pensare di limitarne il consumo ma anche iniziare ad imporre regole che tolgano dal sistema della progettazione a personaggi incompetenti che lavorano in quanto amici degli amici o finanziatori e sostenitori degli amici. Sono certo che, in un tale contesto operativo, la limitazione del consumo del territorio verrebbe anche un po’ da sé…

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(1) La definizione di “ambientalista” non è chiara e ben definita ma si riferisce a colui che ha a cuore, attraverso la cultura e la conoscenza e spesso attraverso il buon senso, il futuro benessere dei propri figli. Essere ambientalista è essere semplicemente “padre” (o “madre”). E io mi sento pienamente di esserlo.
Foto 1: Quartiere Le  Albere visto dall’alto
Foto 2: Scuola Media di Bellinzona, Svizzera