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La zuppa di plastica. Una ricetta tutta mediterranea
Con questa ricetta purtroppo non stiamo parlando della famosa dieta mediterranea ricca di vegetali, olio d’oliva e varia conosciuta da tutti per garantire longevità ai suoi consumatori. No, questa volta parliamo di una ricetta ben diversa, la cosiddetta “zuppa di plastica del Mediterraneo”, un brodo più o meno denso di frammenti di plastica, piccoli e addirittura invisibili, che inquina tutti i mari del Pianeta e, senza eccezione alcuna ma anzi con peculiarità, anche il Mediterraneo.
Recentemente l’Istituto di Scienze Marine del Consiglio Nazionale delle Ricerche di Lerici (ISMAR-CNR), in collaborazione con le Università di Ancona, del Salento e Algalita Foundation (California) ha pubblicato su Nature/Scientific Reports una ricerca relativa alla stima della presenza, nel 2013, di microplastica (1) galleggiante nel Mediterraneo occidentale. Il ricercatore dell’ISMAR-CNR Stefano Aliani osserva che: “Per la prima volta sono stati individuati i polimeri che costituiscono la microplastica galleggiante in mare e la loro distribuzione. Si tratta principalmente di polietilene (2) e polipropilene (3), ma anche di frammenti più pesanti come poliammidi e vernici, oltre a policaprolactone, un polimero considerato (teoricamente, ndr) biodegradabile”. “Questo tipo di informazioni – osserva ancora Aliani – sono importanti per avere una stima precisa della dimensione del problema generato dai rifiuti di microplastica in mare e per attivare opportuni programmi di riduzione della presenza di questi inquinanti”. “I polimeri sono distribuiti in modo disomogeneo nel Mediterraneo e le ragioni dipendono dalle diversi sorgenti di rifiuti, che possono essere le aree densamente abitate lungo la costa, i fiumi e i processi di trasporto marino tipici di un bacino”. “Si pensi – prosegue il ricercatore – che nel mondo vengono prodotte circa 300 milioni di tonnellate di plastica e si stima che fino a 12 milioni di tonnellate (cioè il 4 % del totale) finiscano in mare”.
La ricerca pubblicata e le parole terrificanti del ricercatore dimostrano con inequivocabile dubbio che il tempo per le plastiche e per i materiali non biodegradabili è giunto al termine. Non ci possiamo più permettere il lusso che materiali derivanti da fonti non rinnovabili (il petrolio) e persistenti in natura (ad esempio le plastiche) siano prodotti e vengano utilizzati per la produzione di beni su larga scala, soprattutto usa e getta.
Purtroppo si pensa ancora che la soluzione sia da ricercare nella corretta gestione dei rifiuti e nelle opere di bonifica e depurazione dell’ambiente. Sbagliato! La soluzione va invece ricercata nell’ambito della produzione imponendo soluzioni alternative e tassando quei materiali che non siano più sostenibili dal punto di vista ambientale. In buona sostanza si devono favorire le produzioni e i metodi cosiddetti ecologici e si devono prevedere delle elevate tassazioni per i prodotti e i materiali inquinanti e/o non rinnovabili, anche se molto economici, in modo da considerare i costi indiretti a carico dell’ecosistema che vadano a compensare il loro smaltimento, il loro degrado e i danni che essi producono.
Dal mio punto di vista credo che l’unica soluzione alla zuppa di plastica mediterranea sia solo una: la bioimitazione in quanto unica metodologia tecnico-produttiva compatibile con il Sistema in cui viviamo e operiamo e dal quale non possiamo (più) prescindere.
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(1) La microplastica è costituita da quei frammenti di plastica più piccoli di 2 millimetri che, per quanto non visibili o difficilmente visibili ad occhio nudo, sono stati trovati un po’ ovunque nei mari mondiali, anche se le concentrazioni maggiori sono proprio quelle del Mediterraneo. Si pensi che nel vortice subtropicale dell’Oceano Pacifico sono stati stimati 335.000 frammenti di plastica ogni km2, mentre nel Mar Mediterraneo si parla di una media di circa 1,25 milioni per km2.
(2) Il polietilene (sigla: PE) viene prevalentemente utilizzato per i flaconi, per tappi di plastica, per prodotti usati in edilizia e per gli imballaggi in generale.
(3) Il polipropilene (sigla: PP) viene utilizzato per numerosi prodotti in edilizia e per la produzione di mobili. Inoltre viene usato per numerosi imballaggi e per la produzione di numerosi parti delle auto.
Immagine: Mappa della concentrazione delle microplastiche nel Mar Mediterraneo occidentale.
Foto: Setaccio manuale delle microplastiche presenti nel campione d’acqua.
Dieselgate: la politica ne è complice?
Ce lo ricordiamo ancora lo scandalo “Dieselgate” che ha travolto Volkswagen nel settembre del 2015? O sono (quasi) riusciti a farcelo dimenticare? (1)
Tanto per ricapitolare, le autorità americane un po’ per caso e dopo un lungo iter di prove e controprove scoprono che la casa automobilistica tedesca ha utilizzato su un elevato numero di auto vendute un dispositivo che aggira i test sulle emissioni (defeat device, dispositivo di manipolazione) e che attiva i sistemi anti-inquinamento delle auto solo nel corso delle prove su rulli, in laboratorio o in officina. Su strada, invece, le auto inquinavano molto di più del dichiarato e, come ovvia conseguenza, potevano aumentare di molto la probabilità di provocare dei gravi rischi per la salute pubblica (2).
Se, da un lato, gli Stati Uniti stanno seguendo il loro percorso per accertare responsabilità e stabilire sanzioni, dall’altro lato il dieselgate ha lambito anche l’Unione europea e, di riflesso, tutti i suoi stati membri, compresa l’Italia. Come conseguenza dello scandalo in Europa è stata creata una specifica commissione di inchiesta, la Emission Measurements in the Automotive Sector (EMIS), che ha lo scopo di portare avanti indagini sulle autovetture, soprattutto diesel, circolanti nel nostro continente. Per farlo chiede ai ministeri competenti dei singoli stati di fare dei test di controllo sulle reali emissioni e di produrre delle relazioni ad hoc.
A tale riguardo, come scrive Il Fatto Quotidiano, il rapporto redatto da parte del Ministero dei Trasporti per analizzare le emissioni reali dei diesel venduti in Italia, datato 27 luglio 2016 e mai reso pubblico attraverso i canali ufficiali del Ministero, nelle sue 46 pagine contiene numerose lacune che fanno nascere un malizioso sospetto. Come osserva Anna Gerometta, presidente di “Ciattadini per l’aria”, un’associazione che fa parte della rete europea “Transport & Environment” per i trasporti sostenibili: “E’ chiaro che il governo ha voluto coprire le case automobilistiche, e in particolare Fiat-Chrysler”. Dello stesso avviso sono poi anche gli eurodeputati del M5S che pubblicano il rapporto sul loro sito e dichiarano: “Un rapporto scandaloso, che rasenta il ridicolo. Un occultamento scientifico dei dati più scomodi”.
Al di là delle tabelle, dei dati, del fatto che le auto testate siano nuove e non rappresentative del reale parco circolante. Al di là del fatto che il report sia stato pubblicato tardivamente, del fatto che siano stati testati solo i motori euro 5 e non gli euro 6, quello che emerge anche è il fatto che il Ministro dei Trasporti italiano coinvolto nella questione, Graziano Delrio, è un medico che, per deontologia professionale – anche se non lo esercita temporaneamente – e per il giuramento di Ippocrate dovrebbe sempre, dico sempre, preoccuparsi di difendere la vita, la salute e il benessere dei pazienti.
Se i dubbi riguardanti la veridicità del report del Ministero dei Trasporti sulle reali emissioni dei motori diesel dovessero in qualche modo far pensare seriamente o far emergere per certo che i dati sono stati un po’ “manipolati” per favorire una o l’altra azienda produttrice di auto, la cosa sarebbe già grave, ma molto più grave sarebbe il fatto che coinvolga un medico, ora prestato alla politica e ministro.
Un’altra cosa emerge poi dalla questione dei dubbi sul report, già chiara da tempo per molte altre funzioni e attività pubbliche: sono stati stravolti gli scopi dei diversi ruoli della società. Ora la politica, più che essere il garante di tutti è piuttosto una propaggine del potere, soprattutto di quello economico e finanziario. Essa, che dovrebbe tutelare i cittadini di fronte alla dinamicità dei tempi, tende, con la scusa della difesa del lavoro e degli investimenti, a favorire invece quasi esclusivamente il potere economico che la tiene in pugno con i finanziamenti ai partiti e con il possesso dei mezzi di informazione, necessari alla politica per avere visibilità e consenso.
Tutto qua. Se però non avremo il coraggio di ribellarci a questa evidente “anomalia” e riportare ogniuno nei propri ruoli, dovremo continuamente piangere i nostri ammalati o i morti pensando che piove e invece ci stanno solo pisciando addosso.
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(1) Il paradosso è che – notizia dell’ultima ora – Volkswagen ha spodestato Toyota dal trono di maggiore produttore di auto al mondo nel 2016. Questo nonstante tutto. E il fenomeno la dice lunga su quanto poco incida l’etica aziendale legata alla sostenibilità nelle decisioni dei consumatori.
(2) “Considerando solo l’Italia – sostiene Anna Gerometta di “Cittadini per l’aria” – ogni anno muoiono prematuramente 23mila persone a causa dell’esposizione al biossido di azoto (NO2), un gas fortemente nocivo per la salute umana e riconducibile prevalentemente alle emissioni dei veicoli diesel”. Da tempo le istituzioni internazionali sanno che in condizioni reali di guida le emissioni dei veicoli, comprese quelle degli ossidi di azoto (NOx), sono maggiori di quelle rilevate in fase di test. Un problema che in Europa dipende da un regolamento sulle omologazioni che non viene più aggiornato dal 2007. La novità che salta fuori con il dieselgate è il fatto che uno dei costruttori, Volkswagen appunto – ma sembra ce ne siano molti altri coinvolti tra cui FCA e Renault – ha addirittura truccato i test.
Giornate ecologiche. Ma per piacere!
Il fallimento delle giornate ecologiche che, soprattutto durante il periodo invernale, periodicamente vengono messe in campo un po’ a casaccio per contrastare il fenomeno tristemente reale dello smog nelle nostre città dimostra due importanti aspetti:
- il fenomeno dell’inquinamento non si può contrastare solamente attraverso comportamenti virtuosi collettivi messi in pratica dai cittadini;
- i principi della bioimitazione sono corretti e vanno assolutamente perseguiti per la ricerca delle soluzioni.
Ma andiamo con ordine e cerchiamo di approfondire i punti di cui sopra.
Contrastare l’inquinamento dell’aria, che interessa in particolare alcune aree geografiche (ad es. la Pianura Padana) e comunque, chi più chi meno, tutti i centri abitati, è un dovere assoluto perché – secondo studi recenti pubblicati da parte dell’Agenzia Europea dell’Ambiente – determina poco meno di 500 mila morti premature all’anno in Europa e circa 85 mila solo in Italia. A tale riguardo ciò che la politica sa mettere in campo per contrastare tale fenomeno è solo cercare di educare i cittadini ad avere singolarmente dei comportamenti virtuosi – cosa assolutamente inefficace di cui ho già parlato in un altro articolo – attraverso l’istituzione delle cosiddette giornate ecologiche, cioè giornate in cui i centri urbani sono interdetti alla circolazione delle auto, oppure di altre azioni palliative come la giornata delle biciclette o la circolazione a targhe alterne. Ma la politica non deve fare educazione, a questo ci pensa già la letteratura, l’arte, la radio, la televisione. La politica deve trovare soluzioni concrete e queste risiedono solamente nei finanziamenti a sistemi di produzione di utilizzo di energie più sostenibili (tutte le energie, non solo quelle dedicate al trasporto), al contrasto mediante le leggi a sistemi di trasporto inquinanti, al potenziamento dei servizi di trasporto pubblico e di mezzi alternativi di mobilità (es. biciclette).
Che non si voglia essere incisivi è talmente palese se si pensa al fatto che tali misure vengono messe in campo solo di domenica (per non “disturbare” il sistema economico, si intende) e a macchia di leopardo, senza una regia comune. Ecco che allora può capitare che una città abbia il blocco del traffico e quella a qualche chilometro di distanza abbia organizzato il mercatino dell’antiquariato o i carri allegorici del carnevale. Così i piccoli benefici della prima vengono vanificati dalle scelte di senso contrario della seconda.
E, in effetti, queste misure sono talmente inefficaci e disgustose per i cittadini che, durante la loro applicazione, si rilevano addirittura picchi di traffico veicolare con intasamento delle arterie cittadine periferiche e riempimento totale dei parcheggi a pagamento.
Per quanto riguarda le soluzioni a tale fenomeno dell’inquinamento dell’aria da smog, determinato per un terzo circa dai sistemi di trasporto, per un terzo circa dal sistema di produzione industriale e per un terzo circa dal sistema domestico, sono fermamente convinto – e i dati mi danno ampiamente ragione – che i principi della bioimitazione vengano in soccorso per adottare quelle misure necessarie sia nel breve periodo ma, soprattutto, nel lungo periodo, dove gli effetti dello smog sulla salute si fanno maggiormente sentire. Da un lato la bioimitazione osserva che in natura l’energia non viene prodotta attraverso la combustione ma è di derivazione solare e cinetica. Pertanto è necessario che si riproponga urgentemente tale pratica anche nei sistemi umani impedendo al più presto, per quanto già possibile, l’uso del carbone, del petrolio e di altri gas e favorendo metodi rinnovabili ed ecologici di produzione. Inoltre la bioimitazione, attraverso i suoi principi, ci dice che la natura usa solamente l’energia di cui ha bisogno. Pertanto sono troppi gli sprechi e le inefficienze sui quali si deve intervenire a livello tecnico per evitare che venga prodotta – male – l’energia che poi contribuisce all’inquinamento. Infine sempre la bioimitazione ci dice che la natura si fonda su una serie di reciproche collaborazioni.
In buona sostanza se vogliamo limitare l’inquinamento derivante dai trasporti è necessario che si inizi a pensare di dissuadere il trasporto privato (di solito rappresentato da una grande massa, quella del veicolo, che serve per muovere una sola persona) e di passare all’intermodalità, fatta di mezzi privati, di sistemi di trasporto pubblico, di veicoli a pedali e di pedoni. Per fare questo bisogna cominciare seriamente ad investire per (ri)orientare ed obbligare le scelte di trasporto verso queste direzioni.
Solo così si potrà contrastare seriamente il problema dell’inquinamento atmosferico ed evitare che la risposta alla giornata ecologica sia: “Ma per piacere!”.
Vietato fumare. Il fumo fa male
Un paio di anni fa è venuto a mancare mio padre per un carcinoma polmonare, un tumore molto aggressivo che ha resistito impavido e subdolo alle numerose cure a cui si è sottoposto. Carlo, che aveva 69 anni, aveva fumato 20 sigarette al giorno per più di 50 anni e, anche se vi possono essere state altre piccole concause e non sia scientificamente dimostrabile la sola relazione con il fumo per la sua malattia, quelle maledette 365.000 sigarette (1) – una più, una meno – che negli anni si è fumato hanno sicuramente e profondamente inciso sul suo stato generale di salute.
È infatti risaputo che nel tabacco di sigaretta e nella carta che lo contiene, a seguito della combustione si producono circa 4 mila sostanze chimiche, tra cui alcune di esse risultano essere cancerogene e/o estremamente pericolose per la salute come la nicotina, il benzene, l’ammoniaca, il polonio 210, i metalli pesanti e gli idrocarburi policiclici aromatici. Tutto questo è abbastanza conosciuto ed è da anni che tali informazioni ci vengono continuamente portate a conoscenza. Non solo si cerca di dissuadere i singoli individui dal fumare ma da una decina di anni a questa parte si è anche iniziato a pensare di tutelare i non fumatori – in primis bambini e donne in stato di gravidanza – stabilendo per legge il divieto di fumo nel locali pubblici chiusi, in particolare bar, ristoranti, uffici pubblici e luoghi di lavoro (2).
Quello che però poco si dice è il fatto che gli agenti chimici che si producono dalla combustione della sigaretta non fanno male solamente alla salute ma altresì all’ambiente e, indirettamente, sempre al nostro benessere fisico.
Finalmente qualche tempo fa l’ENEA (Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile) e la SITAB (Società Italiana di Tabaccologia) hanno cercato di evidenziare il problema dell’inquinamento ambientale proveniente dai rifiuti prodotti dai fumatori ed abbandonati un po’ ovunque facendo riferimento alle varie pubblicazioni scientifiche sull’argomento. Lo scopo è quello di promuovere una certa consapevolezza sul tema e porre l’attenzione sulla corretta raccolta di rifiuti molto pericolosi – le “cicche” – che singolarmente non vengono percepiti come tali ma che, se si considerano i 72 miliardi di sigarette consumate ogni anno in Italia, rappresentano di certo un enorme problema.
Dal punto di vista tecnico il filtro di sigaretta è composto di un materiale, l’acetato di cellulosa, che è dotato di un elevato potere filtrante ma che, come è abbastanza intuibile, si impregna facilmente di tutti i veleni prodotti dalla combustione del tabacco e della carta. Si pensi che nel mondo, si stima, vengono annualmente gettati più di 5 trilioni (5 mila miliardi) di mozziconi. In Italia, invece, si stima che dei 72 miliardi di sigarette consumate all’anno vengano gettati a terra circa 50 miliardi di mozziconi. Con le sole cicche gettate a Roma (circa 1,7 miliardi), mettendole in fila una dietro all’altra, si coprirebbe una distanza di circa 51 mila km (3), molto di più della circonferenza dell’equatore (40.075 km). Questi mozziconi poi, impregnati di agenti chimici pericolosi, in circa 5 anni si disgregano ma continuano a persistere nell’ambiente inquinando senza sosta acque superficiali, mari e terreni.
È seriamente giunta l’ora – dice l’ENEA e la SITAB – che si inizi a considerare tali cicche come dei rifiuti speciali da non abbandonare nell’ambiente. È giunta anche l’ora che si inizi ad obbligare i fumatori a buttare i mozziconi in contenitori specifici disseminati nelle città e, in loro assenza, in contenitori tascabili che ognuno di loro deve avere in dotazione con sé. È giunta l’ora che si inizi a sanzionare seriamente chi abbandona le cicche nell’ambiente (4).
È giunta l’ora – direi io con uno sguardo più ampio e nell’ottica della bioimitazione (5) – che, se si vuole consentire la liberta di scelta agli individui di fumare o meno, si inizi allora a considerare tutta la produzione di sigarette, dalla coltivazione del tabacco alla produzione delle stesse fino allo smaltimento dei rifiuti, anche dal punto di vista della sostenibilità ambientale di tale pratica.
In quest’ottica nulla depone a favore del fumo, tranne le schifose accise sulla vendita delle sigarette e gli enormi immorali profitti per i pochi produttori mondiali. Bisognerebbe avere magari anche il coraggio di dire una volta per tutte che il fumo fa male ed è vietato fumare!
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(1) 20 x 365 x 50 = 365.000. Pensando che una sigaretta sia lunga in media circa 8 cm, se si mettessero una vicino all’altra tutte quelle sigarette coprirebbero una distanza di 29.200 metri, equivalenti a circa 29/30 km. Caspita!
(2) L’art. 51 della legge 16 gennaio 2003, n. 3 “Disposizioni ordinamentali in materia di pubblica amministrazione” s’intitola: “Tutela della salute dei non fumatori” e definisce le misure che servono ad eliminare l’esposizione al fumo passivo in tutti i luoghi chiusi, pubblici e privati.
(3) 1.700.000.000 x 3 cm (misura indicativa del mozzicone) = 51.000 km
(4) Nella nuova legge sul fumo pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 18 gennaio 2016 (D.Lgs. 6/2016 di recepimento della Direttiva comunitaria 2014/40/UE) dal prossimo 2 febbraio 2016, oltre a varie regole di prevenzione sul fumo, è stata stabilita anche una norma punitiva su chi butta i mozziconi per strada e che può essere multato fino a 300 euro in base al collegato “Green economy“ della nuova legge di Stabilità (art. 40 della legge 28 dicembre 2015 n. 221). In particolare tale articolo “Rifiuti di prodotti da fumo e rifiuti di piccolissime dimensioni“ afferma che “E’ vietato l’abbandono di mozziconi dei prodotti da fumo sul suolo, nelle acque e negli scarichi”.
(5) Nella logica della bioimitazione tutto ciò che non è in linea con il funzionamento della natura non andrebbe fatto, senza compromessi, perché prima o poi si trasferirà alla collettività come costo indiretto (economico e sociale).
N.B. Dedico questo articolo a mio padre Carlo e al suo inutile “sacrificio”. Ciao papà.
Il più grande esperto di inquinamento? Il Papa
Ma i morti per smog saranno 25 mila, 650 mila o 68 mila? Ma saranno più dannose le polveri sottili PM 10 o PM 2,5? Ma questo smog sarà causato dal trasporto veicolare privato, dall’industria, dai riscaldamenti domestici o dall’incenerimento dei rifiuti?
Queste domande non potranno avere risposte univoche e, in parte, sono anche un po’ retoriche o buttate là nel calderone dell’opinione pubblica (come il numero dei morti, stimabile a grandi linee ma in sé difficilmente quantificabile). Quello che è abbastanza certo in questi ultimi giorni pre e post natalizi è che gli strumenti di rilevazione dell’inquinamento dell’aria stanno impazzendo, causa un anomalo inverno tiepido e una lunghissima siccità che non ha fatto piovere in Italia da più di due mesi.
Qualsiasi commentatore o politico a caccia di consenso ora si improvvisa “esperto” e si sente legittimato a dire qualsiasi cosa sul tema anche se fino a ieri si è occupato di economia, di politica interna o, più banalmente, di gossip. E magari criticava anche gli ambientalisti o gli scienziati di essere contro il progresso. A tale riguardo vorrei ricordare a tutti noi una cosa molto semplice: il problema dell’inquinamento atmosferico e urbano non è un fenomeno recente ma sono almeno 40 anni che gli scienziati (sia coloro che si occupano di materie tecniche, sia coloro che si occupano di curare i malati) ci dicono che c’è un problema e che questo problema deve essere assolutamente affrontato e risolto.
Mettere – come hanno fatto alla spicciolata qualche sindaco, qualche prefetto o qualche governatore di regione – gli autobus gratis la domenica, le targhe alterne il giorno di Natale o il blocco totale del traffico per 2/3 giorni durante le vacanze invernali (per non disturbare il “lavoro”) è semplicemente una cosa ridicola che non risolve il problema dello smog e prende in giro i cittadini, soprattutto quelli malati o quelli che si ammaleranno negli anni futuri.
È giunta finalmente l’ora di essere onesti e di dire che lo smog siamo noi! Si, certo, avete capito bene. Lo smog è Alessandro (io), Paola, Marco, Laura, Giovanna, Luca, Patrizia, Franco, Marta… Lo smog non è una cosa che nasce dal nulla e che improvvisamente, come è arrivato, svanirà! Lo smog è il frutto del nostro agire quotidiano, del nostro stare comodi in casa in maniche corte quando fuori è sotto zero. Del nostro andare a prendere il pane e il giornale con il culo ben piantato sul sedile della nostra auto diesel con filtro antiparticolato quando abitiamo a soli 200 metri dai negozi. Del nostro comprare e buttare imballaggi. Del nostro spreco alimentare. Della nostra bulimia di oggetti e di elettronica usa e getta. Della nostra arroganza verso la natura. Della nostra…
Tutto questo produce smog! E quest’ultimo sparirà solo dopo che avremo radicalmente cambiato i nostri comportamenti. Tutto il resto, invece, è solo fuffa che svanirà agli occhi dell’opinione pubblica non appena le concentrazioni rilevate si saranno un po’ abbassate e i media smetteranno di parlarne.
A parte i “soliti” che è da anni che studiano l’argomento e che si esprimono con precisione e grande conoscenza della materia, in questi giorni di trambusto emotivo sull’inquinamento mi ha molto colpito il Papa che, nella notte di Natale, si è espresso da grande esperto della materia. Sotto la forma dell’ammonimento morale si è spinto a dire: “In una società spesso ebbra di consumo e di piacere, di abbondanza e lusso, Lui ci chiama ad un comportamento sobrio, cioè semplice, equilibrato, lineare capace di cogliere e vivere l’essenziale”.
Un duro e per nulla velato attacco (finalmente da parte di una grande autorità) al modello di sviluppo industriale e consumistico. Quale migliore ricetta contro lo smog!?
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Per approfondire
Video: con questa classe politica, con quello che pensa e con l’arroganza che dimostra verso la scienza sarà molto difficile (sig.) ottenere dei validi risultati nell’ambito della lotta all’inquinamento.
Personaggi | Patrick Moore
Se si scorre la pagina Wikipedia di Patrick Moore e si legge sia il titolo (dove viene definito “ambientalista”) sia la prima parte della sua carriera si penserà di essere di fronte ad un personaggio importante nell’ambito della lotta ecologista e della salvaguardia del pianeta e degli animali che lo abitano. Fondatore di Greenpeace nel 1971, membro dell’equipaggio della nave Phyllis Cormack che fece le prime azioni dirette e non violente per la difesa del clima, dell’ambiente in generale, delle balene e dell’interruzione dei test nucleari, fu per 9 anni presidente di Greenpeace Canada e per 7 anni direttore di Greenpeace International nel periodo in cui Greenpeace divenne la maggior associazione ambientalista a livello mondiale. Negli anni ’70 aprì un ufficio a San Francisco ma ben presto iniziò a litigare con i suoi colleghi di Vancouver tanto da creare una frattura così profonda con l’Associazione che abbandonò nel 1986 per fondarne una propria, la Greenspirit.
Fin qui nulla di strano. La sua biografia ripercorre quella di molte altre persone che militano per lungo tempo in un movimento, in un’associazione o in un partito politico e poi, per le ragioni più varie, decidono di abbandonarlo. A partire dagli anni ’90 Patrick Moore iniziò ad assumere – spesso come lobbysta – incarichi politici nella Columbia Britannica (Canada) interessandosi e partecipando a gruppi di lavoro sui cambiamenti climatici, sullo sfruttamento dell’energia geotermica e diventando direttore del Sustainable Forestry Committee of the Forrest Alliance of BC, gruppo creato dall’industria del legno per garantire ai consumatori la gestione sostenibile delle foreste e del legname prodotto.
È però a partire dal 2006 che la parabola ideologica e professionale di Patrick Moore inizia a prendere una nuova traiettoria quando diviene co-direttore di una iniziativa industriale, la Clean and Safe Energy Coalition, che si propone di promuovere l’energia nucleare quale fonte energetica pulita (ecologica) e sicura. Si tratta di un cambiamento forte e molto radicale rispetto alle lotte che hanno contrassegnato la sua iniziale carriera fortemente incentrate sul combattere l’uso dell’energia nucleare. E, forse, questa parabola ha iniziato a cambiare già a partire dagli anni ’90, quando Patrick Moore è entrato nel mondo opaco della politica e del lobbysmo.
Quello che lo stesso Patrick Moore afferma è di essere uscito dal mondo ambientalista perché diventato troppo politicizzato e sensazionalista. Il salto, però, come dimostra il suo percorso professionale, è stato quello di passare esattamente dalla parte opposta. Sostenitore dell’energia nucleare e dell’industria che ne fa uso, è stato anche aspramente criticato per il ruolo di consulente-controllore che ha svolto per conto dell’Asia Pulp and Paper (APP), azienda che ha fortemente contribuito al disboscamento indiscriminato dell’Indonesia. Inoltre, in questi ultimi anni, si è spinto addirittura oltre e ha anche manifestato posizioni critiche nei confronti del riscaldamento globale e si è espresso favorevolmente nei confronti degli organismi geneticamente modificati (OGM) e degli additivi chimici (es. diserbanti) che sono ad essi collegati.
Sono proprio questi ultimi che, a mio avviso, ne hanno mostrato la malafede ideologica di questi ultimi anni. Invitato qualche tempo fa ad una trasmissione televisiva di Canal + in Francia Patrick Moore, dopo aver sostenuto la non pericolosità del glifosate (diserbante) – recentemente dichiarato “probabile cancerogeno per l’uomo” da parte della IARC – e la possibilità di berne anche un litro senza accusare alcun sintomo, all’invito del giornalista di berne un bicchiere, che gli vuole porgere, egli risponde: “No, io non sono un idiota”.
Qui casca il palco. Qui, secondo me, Patrick Moore dimostra di non essere in buona fede e di farsi paladino e difensore di idee e di tecnologie non del tutto sicure per l’uomo e per l’ambiente. Qui, secondo me, Patrick Moore dimostra che è in atto una sorta di manipolazione della verità da parte di multinazionali – e di loro portavoce – che cercano di spingere il mondo verso direzioni che, già ora, sanno essere inutili per il progresso e per il benessere dell’umanità, se non pericolose per la salute pubblica.
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Nota: Con questo articolo desidero iniziare a parlare di persone “comuni” (o quasi), [tag “personaggi”] normalmente poco conosciute nel circuito della comunicazione di massa, che – a mio personalissimo avviso, tenendo conto del loro curriculum e del loro percorso professionale reperibile in rete – stanno fornendo il loro enorme e silenzioso contributo alla distruzione e al degrado del Pianeta nonché alla speculazione industriale e finanziaria a discapito delle risorse naturali e della sicurezza collettiva oppure stanno facendo azioni importanti di salvaguardia dello stesso sia dal punto di vista culturale che di azioni concrete messe in campo. Si tratta di persone che, nel bene o nel male, con il loro pensiero e con il loro comportamento possono contribuire ad innescare un dibattito sulle tematiche della sostenibilità ambientale.
Tossico come un pesticida
È stato da poco pubblicato il rapporto “Tossico come un pesticida” di Greenpeace, uno studio molto approfondito (1) che analizza gli effetti sulla salute umana delle sostanze chimiche utilizzate in agricoltura.
Riporto integralmente la prefazione allo studio che, da sola, è in grado di spiegare bene il fenomeno e di far capire quali siano i numerosi e gravi rischi di salute pubblica che stiamo correndo. Si tratta solo di esserne consapevoli per accettarli nella logica del sistema economico-finanziario che ce li impone (anche se ci dovessero colpire direttamente o dovessero colpire un componente della nostra famiglia) oppure per contrastarli adoperandosi perché ciò che mangiamo non sia solo poco costoso ma anche – e soprattutto – il meno nocivo possibile per gli addetti del settore, per i consumatori e per i cittadini in generale attraverso le varie contaminazioni ambientali.
“Dal 1950 la popolazione mondiale è più che raddoppiata, mentre l’area destinata alle coltivazioni è cresciuta solo del 10 per cento. C’è un’enorme pressione a produrre sempre più cibo, a basso costo, su terreni che diventano inesorabilmente più poveri, sempre più privati delle sostanze nutritive. L’attuale sistema agricolo – intensivo e su scala industriale – si regge sull’impiego abbondante di input esterni come fertilizzanti e pesticidi, sostanze conosciute anche come fitofarmaci, agrofarmaci, antiparassitari.
I pesticidi sintetici sono stati usati in maniera massiccia in agricoltura industriale a partire dagli anni Cinquanta. Col passare del tempo, a causa del loro uso diffuso e, in alcuni casi, della loro persistenza, molti pesticidi hanno finito per accumularsi nell’ambiente. Alcuni, come il DDT e i suoi derivati, si degradano in tempi molto lunghi e pur essendo vietati da decenni continuano a circolare e a essere rilevati nell’ambiente.
La persistenza di queste sostanze e i potenziali rischi ambientali hanno favorito una crescita esponenziale delle ricerche sui loro effetti (Köhler e Triebskorn, 2013) che, come è ormai chiaro, sono vari e diffusi. Nello stesso periodo è aumentata anche la conoscenza scientifica sugli effetti dei pesticidi per la salute umana. Gli studi rivelano associazioni statistiche tra esposizione e aumento del rischio di sviluppare disabilità, disturbi neurologici e al sistema immunitario, alcuni tipi di cancro.
Dimostrare che l’esposizione a un determinato pesticida è la causa di una malattia presenta varie difficoltà. Anzitutto perché non esistono fasce di popolazione totalmente non esposte ai pesticidi, e in secondo luogo perché la maggior parte delle malattie non è causata da un singolo fattore, ma da una molteplicità di fattori che rendono molto complessa l’analisi (Meyer-Baron et al. 2015). Inoltre, la maggioranza delle persone è esposta quotidianamente a veri e propri mix di composti chimici (non solo pesticidi) tramite diverse vie di esposizione. E i pesticidi contribuiscono ad aumentare questo carico di tossicità (2).
In generale siamo tutti esposti a un cocktail di pesticidi attraverso il cibo che consumiamo ogni giorno. Nelle aree agricole, dove queste sostanze chimiche circolano nell’aria quando sono irrorate sui coltivi (il cosiddetto “effetto deriva”), i pesticidi inquinano il terreno e le acque, e in alcuni casi vengono assorbiti anche dalle piante a cui non sono destinate (organismi non-target). In città le persone più esposte sono quelle che vivono nei dintorni delle aree verdi, ma l’uso domestico dei pesticidi può contaminare anche abitazioni e giardini.
Le fasce di popolazione maggiormente esposte e più vulnerabili includono:
- agricoltori e operatori addetti ai trattamenti con i pesticidi, compresi quelli che lavorano nelle serre, esposti ad alti livelli di sostanze chimiche durante lo svolgimento delle loro mansioni. Questa vulnerabilità è stata ampiamente dimostrata dai livelli trovati nel sangue e nei capelli di queste persone;
- bambini e feti in fase di sviluppo: le donne in gravidanza esposte ai pesticidi possono trasmettere alcune di queste sostanze direttamente al feto, particolarmente vulnerabile alla tossicità delle sostanze chimiche.
In generale i bambini sono più a rischio degli adulti poiché il loro tasso di esposizione è maggiore, per esempio a causa dell’abitudine di toccare le superfici e di portarsi le mani alla bocca. Anche dimensioni e peso corporeo ridotti contano, senza considerare che l’organismo dei bambini ha una capacità inferiore di metabolizzare le sostanze tossiche. Gli effetti sulla salute registrati nei bambini esposti ad alti livelli di pesticidi durante la gestazione includono ritardi dello sviluppo cognitivo, problemi comportamentali e difetti alla nascita. Esiste inoltre una forte correlazione tra l’esposizione ai pesticidi e l’incidenza dei casi di leucemia infantile.
Alcuni studi mettono anche in relazione una forte esposizione ai pesticidi con un aumento dell’incidenza di vari tipi di tumori (prostata, polmoni e altri) e di malattie neurodegenerative come il Parkinson e l’Alzheimer. Altre evidenze suggeriscono inoltre che alcuni pesticidi interferiscono con le normali funzioni del sistema endocrino e del sistema immunitario.
Mentre i processi che portano a queste disfunzioni rimangono in parte oscuri, è invece chiaro che in alcuni casi vengono compromesse le funzioni enzimatiche e altri importanti meccanismi di comunicazione cellulare. Le ricerche indicano inoltre che alcune di queste sostanze chimiche interferiscono con l’espressione genica, e che queste interferenze possono trasmettersi anche alle generazioni che non sono state direttamente esposte ai pesticidi (la cosiddetta “eredità epigenetica”). Ciò significa che gli effetti dannosi derivanti dall’uso dei pesticidi possono perdurare per moltissimo tempo anche dopo che queste sostanze sono state messe fuori legge.
Questo rapporto prende in esame una serie di studi e ricerche – in continuo aumento – che mettono in luce gli effetti conosciuti o sospetti dei pesticidi sulla salute umana. Pur non negando l’esistenza di incertezze e punti oscuri, né la presenza di ricerche contrastanti, le prove scientifiche raccolte nel rapporto “Pesticides and our health – a growing concern” mostrano che l’attuale modello di agricoltura industriale basato sull’uso massiccio di pesticidi sintetici minaccia la salute degli agricoltori, delle loro famiglie e di una più vasta fascia di popolazione.
Tra i principi attivi potenzialmente dannosi in circolazione troviamo per esempio il clorpirifos, un organofosfato spesso rilevato negli alimenti e nel latte materno che diversi studi mettono in relazione con tumori, disfunzioni nello sviluppo dei bambini, disfunzioni neurologiche, Parkinson e fenomeni di ipersensibilità.
L’unico modo sicuro per ridurre la nostra esposizione ai pesticidi tossici è abbandonare l’attuale modello di produzione industriale del cibo, fortemente dipendente dalla chimica, e investire in un’agricoltura sostenibile. Serve un approccio moderno e basato sull’efficienza in grado di produrre cibo sano e sicuro per tutti che non dipenda da prodotti chimici tossici. È questo l’unico modo per nutrire una popolazione mondiale in crescita e allo stesso tempo tutelare la salute umana e gli ecosistemi che ci sostengono. Sono quindi necessari accordi giuridicamente vincolanti a livello nazionale e internazionale per iniziare immediatamente a eliminare tutti i pesticidi dannosi per gli organismi non target“.
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(1) Rapporto integrale in inglese e bibliografia completa qui
(2) La IARC (International Agency for Research on Cancer) lo scorso 20 marzo ha pubblicato un aggiornamento relativo alla classificazione di 5 pesticidi. Si tratta di un erbicida (glifosate) e di due insetticidi (malathion e diazinon) che sono stati dichiarati probabili cancerogeni per l’uomo (Gruppo 2A). Altri due insetticidi (parathion e tetrachlorvinphos) sono stati invece riconosciuti come possibili cancerogeni umani (Gruppo 2B).
Nel blu dipinto di blu
Nel blu dipinto di blu / Felice di stare lassù / E volavo volavo / Felice più in alto del sole / Ed ancora più su… cantava un insuperabile Domenico Modugno.
Ma non c’è nulla da essere felici nella Pianura Padana per un cielo blu dipinto di blu. Almeno dopo aver visto le foto della Val Padana che Alexander Gerst, astronauta dell’ESA (European Space Agency) in missione sulla Stazione Spaziale Internazionale, ha scattato e divulgato il 30 ottobre scorso.
Come si può notare dalle foto i cieli di Svizzera, Francia, Austria, Slovenia e Croazia sono limpidi, la corona alla Pianura Padana delle Alpi è limpida, le regioni a sud della catena degli Appennini sono limpide mentre le valli Prealpine, le valli degli Appennini a ridosso della grande pianura, la Liguria centrale, la pianura a nord di Venezia e il lago di Garda meridionale sono un po’velati. Nelle foto quello che fa veramente impressione è vedere che la zona di tutta la Pianura Padana centrale – soprattutto le aree del Piemonte, della Lombardia fino a lambire il Veneto occidentale – è interamente ricoperta da un mortifero velo grigio-blu di smog. Quello che nelle giornate serene non ci fa vedere le montagne in lontananza, ci fa apparire il sole un po’ pallido e il cielo non proprio blu conferendogli quel colore indistinto tra il biancastro e l’azzurro che noi che ci abitiamo conosciamo bene.
Si dirà che tutto questo è colpa dell’alta pressione che ci ha regalato tempo stabile per settimane, assenza di ventilazione e scarsa inversione termica, tutti ingredienti fondamentali che favoriscono il ristagno degli inquinanti in quel catino che è la Pianura Padana. Tutto vero. E tutto vero è il fatto che la prima pioggia spazzerà via quasi tutto (buttandolo a terra ovviamente e creando altri problemi!) e ci ridarà migliori condizioni atmosferiche.
Dopo aver visto in maniera così chiara ed evidente grazie alla benedetta tecnologia quale sia lo stato dell’aria del mio territorio, quello che mi chiedo io – che in Pianura Padana ci vivo con la mia famiglia – è quale effetto potrà avere tutto questo sulla nostra salute. Perché nessuno ha ascoltato gli scienziati, gli enti di controllo, i medici e gli ambientalisti che da decenni stanno monitorando gli indicatori ambientali ed epidemiologici della popolazione dell’Italia del nord urlando al mondo che la Pianura Padana è una delle aree più inquinate del Pianeta? Dov’erano quei soggetti che, pur sapendo le criticità ambientali del nostro territorio principalmente dovute alla scarsissima ventilazione (1), hanno continuato ad autorizzare inceneritori, aziende, strade, traffico, abitazioni, cave, rotonde in una spirale infinita senza tenere conto delle conseguenze? E noi cittadini vittime dello smog dove eravamo? Noi che avevamo il miraggio del “benessere” ci siamo fatti convincere che tutto questo fosse progresso e lo abbiamo avvallato consumando senza fine prodotti senza senso che hanno intasato le nostre case nonché continuando a votare e sostenere gli stessi soggetti che ci hanno portato in questo folle baratro. Però poi contiamo anche i malati.
Quello che mi sento rispondere più spesso quando cerco di descrivere la situazione a chi mi sta intorno è che tanto il sistema funziona così e non si può cambiare. Balle! Davanti a noi esistono milioni di alternative più sostenibili che possono essere praticate. Basta la buona volontà, la disponibilità alla rinuncia e il desiderio di sognare un mondo migliore con la capacità di rimanere impermeabili a chi da questo schifo si arricchisce facendo di tutto per farcelo sembrare immodificabile.
Bioimita rappresenta un fondamento teorico al cambiamento. Noi dobbiamo fare il resto modificando i nostri comportamenti!!!
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(1) Come non ricordare quella puntata di Portobello – la trasmissione televisiva degli anni ’70-’80 condotta dallo sfortunato Enzo Tortora – dove un concorrente voleva bucare le alpi liguri per favorire l’aerazione della Val Padana e far sparire la nebbia?
Foto: Alexander Gerst
Plastic bags kill
“I sacchetti di plastica uccidono” (Plastic bags kill, ndt).
Uccidono in particolare se finiscono in mare e vengono scambiati dagli animali acquatici per cibo, soprattutto per delle meduse.
Al netto di qualsiasi parola e descrizione le immagini che seguono, da sole, spiegano ampiamente il triste e assurdo fenomeno.
Non vi chiedo di rinunciare ai sacchetti di plastica quando andate ad acquistare in negozio. Lo do già per scontato. Vi chiedo qualcosa di più: chiedete ai vostri rappresentanti politici di operare per mettere al bando definitivamente la plastica per gli imballaggi (1), attualmente ancora largamente presente in Italia e nell’Unione europea. Solo così potremo incidere, di riflesso, nei confronti dei Paesi in via di sviluppo che sono anche quelli che contribuiscono maggiormente all’inquinamento dei mari!
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(1) Bandire la plastica dagli imballaggi non significa accontentare la lobby del settore e consentire quel “pasticcio” della plastica con additivi che, al contatto con i raggi ultravioletti del sole, permettono alla stessa di rompersi in miroframmenti. Questi ultimi, non essendo biodegradabili, si mescolano all’acqua ed entrano facilmente nella catena alimentare. Bandire la plastica dalla produzione degli imballaggi significa solamente vietarne la produzione e consentire, in alternativa, solo quella con materiali biodegradabili di origine vegetale.
Il giro del mondo in 180 giorni
L’8 marzo è stata la festa della donna e, negli stessi giorni, in Parlamento, si è consumata una votazione complessa e sofferta per le cosiddette “quote rosa” che ha visto la bocciatura degli emendamenti proposti a favore della parità di trattamento di genere. Il tutto, come al solito, infarcito da ipocrisia e opportunismo che hanno fatto passare in secondo piano il vero obiettivo della proposta. Significativa, a tale riguardo, è stata l’intervista del Presidente della Camera Laura Boldrini che chiede addirittura che si ponga un qualche freno alla libertà di espressione e si limiti la satira politica quando interessa le donne oppure l’atteggiamento trasversale di alcune deputate che, a mio avviso, più che difendere la dignità e la considerazione delle donne pensavano a difendere la loro ben pagata “poltrona”.
Io, personalmente, non credo alle mimose per l’8 marzo quale strumento di rispetto per le donne e penso, anzi, che il vero atto discriminatorio sia proprio quello stabilire la parità di genere per legge e quello di forzare artificiosamente il numero delle donne in Parlamento o nelle cariche istituzionali. La parità di genere, se si vuole veramente realizzare, si ottiene con asili nidi a basso costo e disponibili senza interminabili liste d’attesa, con servizi alle famiglie per la gestione dei figli e di genitori anziani, con l’educazione alla cultura della parità e con tutti quegli interventi sociali che siano in grado di non obbligare le donne a trascurare le loro aspirazioni e i loro desideri per spirito di sacrificio verso la famiglia. Con tutto ciò la donna sarà in grado di dimostrare da sola il proprio valore ed esprimere le proprie potenzialità.
Per dimostrare, al di là dei simboli, il mio rispetto e la mia idea di parità sociale tra uomo e donna dedico questo articolo a Paola Gianotti che, partita l’8 marzo, tenterà di fare il giro del mondo in bicicletta. Un viaggio di circa 30.000 km, che toccherà ben 22 paesi e che verrà percorso in poco meno di 6 mesi con l’obiettivo non solo di battere un record del Guiness dei primati ma anche di lanciare un messaggio di speranza per il futuro del nostro Pianeta (1).
Chi meglio di una donna (che è madre) può preoccuparsi per i propri figli e per il loro futuro?
Seguite in diretta il viaggio di Paola… www.keepbrave.com
[Nel video Fabrizio Zanotti canta “Dieci Dita” e presenta l’impresa di Paola Gianotti]
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(1) Sul sito internet keepbrave.com Paola Gianotti dichiara che “Vivere ogni giorno in un ambiente con aria inquinata si riversa inesorabilmente sulla nostra salute e su quella dei nostri figli. Voglio che gli esseri umani siano più consapevoli riguardo questo tema, direttamente collegato alla qualità delle nostre vite in questo mondo, per questo motivo, lungo il mio viaggio in bicicletta, valuterò la qualità dell’aria attraverso la frequenza dei licheni (bioindicazione lichenica) utilizzando il metodo e gli strumenti sviluppati dall’equipe diretta dal Prof. Ammann dell’Università di Berna (Svizzera) per il WWF Elvetico. Tale metodologia permette di predire i tassi di inquinamento da dette sostanze con una certezza pari al 98 %”. Leggi l’intera dichiarazione di Ecosostenibilità & Mail cycling.
Sacchi a mare !!!
Come poter risolvere l’enorme problema dei rifiuti e dell’inquinamento del mare se fosse vero quanto riportato dal video mandato in onda lo scorso 20 dicembre della televisione brasiliana Sbt, terza emittente televisiva del Paese per numero di telespettatori?
In pratica, secondo quanto affermato e documentato con video da parte di Sergio da Silva Oliveira, sembra che dalla nave da crociera MSC “Magnifica” siano stati gettati in mare alcuni sacchi neri in prossimità della costa brasiliana, addirittura nei pressi di un santuario naturalistico. “Non si trattava di rifiuti organici – racconta Sergio da Silva Oliveira parlando ai microfoni di Sbt – si sentiva il rumore delle bottiglie e delle lattine: una delle buste si è strappata e ne sono uscite scatole di tetrapack che sono rimaste a galleggiare in mare”.
Il presunto smaltimento irregolare dei rifiuti da parte della compagnia italo-svizzera MSC Crociere dimostra che la filiera dei rifiuti – dalla produzione dei prodotti e degli imballaggi, alla gestione del loro smaltimento una volta esaurita la loro utilità – è troppo, troppo fragile. Basta poco (e in questo caso potrebbe essere anche stato un dipendente dell’azienda poco istruito sulla gestione dei rifiuti o poco controllato dai superiori) per creare un problema ben più grave, sia per l’ambiente che per l’immagine di MSC Crociere.
Nonostante MSC Crociere affermi di essere a posto con la legislazione relativa al trattamento dei rifiuti del settore della navigazione, di essere impegnata in ambito ambientale e di aver ottenuto certificazioni riguardo a tale impegno, in ogni caso il problema dell’inquinamento, anche involontario del mare, permane.
L’unica via per combatterlo passa inevitabilmente attraverso i seguenti punti:
- una politica di “rifiuti zero”, espressa sia in termini legislativi che culturali;
- una legislazione orientata a favorire chi produce e chi consuma prodotti biodegradabili e a penalizzare chi non lo fa;
- una legislazione che spinga i produttori a realizzare beni tenendo conto del ciclo di vita dei materiali, del riuso e della riparabilità degli stessi;
- un sistema chiaro di sanzioni che penalizzi chi venga trovato ad inquinare o a smaltire illegalmente i rifiuti nell’ambiente;
- un atteggiamento critico da parte dei consumatori che pongano, tra gli elementi di scelta di un fornitore o di un bene, non solo il prezzo o i servizi offerti ma anche le performance ambientali e di responsabilità sociale.
Solo così si verrà veramente fuori dal problema dei rifiuti e si provvederà a salvaguardare quell’enorme “pattumiera blu” che è il mare.
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Fonte: Il Fatto Quotidiano
“Pollution” by Bryan Clark
Siamo abituati a pensare all’inquinamento come ad un fenomeno – certamente negativo – che interessa solo l’ambiente che ci circonda, pensando invece poco alle conseguenze che esso può avere sulla nostra salute e sul nostro benessere.
Inquinata è l’aria; inquinata è l’acqua; inquinato è il terreno; inquinate sono le città ma poco si pensa a quali siano le conseguenze su coloro che abitano tali ambienti.
Quello che invece cerca di farci comprendere Bryan Clark nel suo breve video d’animazione “Pollution” [guarda il video] è il fatto che inquinato può essere anche il nostro organismo e, in particolare, il cuore. Nel video Bryan Clark ci fa vedere quali siano le conseguenze del nostro sistema economico-produttivo su ciò che ci circonda: dapprima l’ambiente appare incontaminato, le acque sono pulite e boschi rigogliosi ricoprono le colline. Lentamente, però, l’inquinamento delle industrie che si sviluppano e crescono sempre più numerose tanto da sostituirsi ai boschi, inizia a contaminare l’erba e i corsi d’acqua fino a penetrare inesorabilmente nel corpo umano… e raggiungere il cuore.
“above all else, guard your heart, for everything you do flows from it ” (con ogni cura vigila sul cuore, perché da esso sgorga la vita) – Bibbia, Proverbi 4:23
Confermata la relazione tra smog e cancro ai polmoni
Se qualcuno avesse ancora qualche dubbio si dovrà ricredere dopo la lettura della ricerca recentemente pubblicata su Lancet Oncology dalla quale emerge, con rigore scientifico, che la combustione produce particolato e il particolato fa morire prematuramente chi lo respira!
Punto.
Se si entra nel dettaglio dello studio si può osservare che esso – prima ricerca che ha interessato un grande numero di persone alla quale hanno collaborato 36 centri e oltre 50 ricercatori – è stato condotto sulla popolazione residente in 9 Paesi europei, tra i quali l’Italia. Per trarre le loro conclusioni gli studiosi hanno analizzato per 13 anni circa 313 mila persone sparse nel continente, individuando un chiaro nesso di causalità tra l’esposizione a polveri fini (particolato) e tumore al polmone. Dallo studio si è potuto appurare che ad ogni incremento di 5 μg/m3 di PM2,5 il rischio di tumore al polmone aumenta del 18% e del 22% a ogni aumento di 10 μg/m3 di PM10. Il che significa, tradotto nel linguaggio comune, che più alta è la concentrazione di smog maggiore è il rischio di sviluppare un tumore polmonare. Inoltre sembra non esserci una soglia al di sotto della quale l’effetto cancerogeno viene meno dal momento che i tumori (anche se in minori quantità) si registrano anche tra coloro che vivono in aree dove le polveri sottili sono al di sotto dei limiti di legge previsti in Ue.
Tra i Paesi europei analizzati l’Italia, relativamente alle polveri sottili, è risultata essere tra quelli più inquinati. In città come Torino e Roma sono state registrate rispettivamente concentrazioni medie di 46 e 36 mg/m3 di PM10, in confronto ad una media europea decisamente più bassa: ad esempio ad Oxford tale valore è 16 e a Copenhagen è 17.
Per completare i dati solo in Italia, nel 2010, si sono registrati 31.051 nuovi casi di tumore al polmone (1) che, da solo, rappresenta circa il 20% di tutte le morti premature per tumore nel Bel Paese.
Lo studio conferma un elemento ben chiaro a livello di buon senso per chi si è sempre battuto per l’eliminazione (o almeno la riduzione) dell’inquinamento da smog: che fa male alla salute e che fa morire prematuramente.
Ora non ci sono più scuse per amministratori pubblici, scienziati negazionisti, imprenditori, sindacalisti e giornalisti: dobbiamo far transitare al più presta la nostra economia basata sulla combustione verso forme che siano più bioimitative e che fondino la produzione di energia sul sole e sulla forza cinetica.
L’alternativa è quella di continuare a piangere morti premature e di sprecare enormi quantità di denaro per curare (o tentare di curare) malattie che, in mancanza di inquinamento, avrebbero un’incidenza molto minore.
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(1) www.tumori.net
Quattrocentoventimila
Il pedigree dell’INAIL è chiaro a tutti: non si tratta né di una delle più dure associazioni ambientaliste né di una delle organizzazioni più anarchiche e rivoluzionarie operanti in Italia.
Eppure, con il suo progetto Expah, co-finanziato dall’Unione europea, desidera studiare approfonditamente gli effetti sulla salute umana degli idrocarburi policiclici aromatici (IPA) (1) contenuti nel particolato presente soprattutto nelle aree fortemente urbanizzate. Le polveri sottili, infatti, possono avere effetti nocivi sulla salute colpendo soprattutto l’apparato respiratorio e quello cardiovascolare delle persone esposte.
Dal momento che le principali cause di inquinamento atmosferico sono legate al traffico veicolare, ai sistemi di riscaldamento domestico, alle emissioni industriali e di produzione energetica, l’idea dell’INAIL – che opera in collaborazione con l’Azienda sanitaria locale Roma E, il CNR, la società Arianet e il National Institute for Health and Welfare finlandese (THL) – è quella di ridurre l’inquinamento non mediante progetti ipertecnologici ma “banalmente” attraverso l’applicazione delle tecnologie già esistenti, supportando politiche ambientali e una legislazione in questo specifico ambito.
Sulla base delle misurazioni delle IPA e di altri inquinanti ambientali effettuate ed elaborando dei modelli matematici di esposizione della popolazione, si è potuto stimare che in Europa, ogni anno, muoiono presumibilmente almeno 420.000 persone a causa dell’inquinamento. “Una cifra assolutamente inaccettabile” secondo il commissario UE all’Ambiente Janez Potočnik (e non solo per lui!).
Finalmente si sta sgretolando il muro di scetticismo che nel tempo è stato eretto a difesa del sistema tecnologico e produttivo basato sulla combustione di materiali organici e, oltre alle associazioni indipendenti, anche Enti ed istituzioni governative cominciano a pensare che sia anche più vantaggioso economicamente nel medio-lungo periodo investire ora, per migliorare sia la produzione di energia e di beni che l’efficienza energetica dei prodotti, delle abitazioni e dei trasporti.
Una ulteriore conferma che per ottenere il massimo vantaggio per la salute e per le attività umane sia necessario imitare la natura che basa il proprio funzionamento “sull’energia solare e sull’energia cinetica, senza combustione”.
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(1) Gli idrocarburi policiclici aromatici (IPA) – il più famoso dei quali è il benzo(a)pirene, ritenuto cancerogeno – sono sostanze chimiche presenti nelle polveri fini atmosferiche prodotte dalla combustione incompleta di materiale organico. Le principali fonti di emissione sono il traffico stradale, le caldaie del riscaldamento domestico e le emissioni industriali. Le IPA hanno una elevata capacità di penetrare negli ambienti chiusi.
Foto: Struttura tridimensionale (modello space-filling) del corannulene, IPA strutturalmente formato dalla condensazione di 5 anelli benzenici e un anello centrale di ciclopentano. (Fonte Wikipedia)
Foto ricordo da Fukushima
Se qualcuno avesse ancora dubbi sulla potenziale pericolosità dell’energia nucleare…
… ecco qualche foto ricordo di fiori, frutti, piante o animali nati nella regione dell’incidente nucleare di Fukushima dell’11 marzo 2011.
Esse sono la dimostrazione lampante del motivo per cui la natura non fonda la produzione di energia sulle fonti radioattive. Troppo pericolose!!!
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Foto: Corriere.it
The Fashion Duel – Greenpeace
Anche se la campagna “The Fashion Duel” di Greenpeace potrebbe sembrare troppo di nicchia in quanto si occupa delle case produttrici dell’alta moda che interessano solamente un’esigua parte della popolazione, la ritengo comunque interessante da analizzare in quanto, a mio avviso, più che condizionare le scelte dei loro clienti, si propone piuttosto di far sì che il loro eventuale percorso virtuoso di miglioramento possa essere poi emulato anche dalle altre aziende produttrici di abbigliamento e di moda in generale.
Greenpeace si è chiesta se i prodotti che le case dell’alta moda producono contribuiscano o meno alla deforestazione e all’inquinamento. Per accertarlo ha inviato loro un questionario con 25 domande. Sulla base delle loro risposte (o mancate risposte) ecco la classifica della loro sostenibilità ambientale.
[Scarica la Classifica in pdf]
Sulla base dei risultati della classifica si può facilmente capire come le scelte operate in fase di consumo di beni e servizi (preferendo le aziende più virtuose) possano realmente contribuire alla sostenibilità ambientale sia attraverso il miglioramento del processo produttivo di tutte le aziende in generale, sia attraverso lo sviluppo di una maggiore cultura e consapevolezza da parte dei cittadini.
L’unico inconveniente a tale scelta può essere rappresentato, in alcune circostanze, dal prezzo di vendita che è ovviamente minore per le produzioni meno virtuose. Per effetto degli aspetti indiretti (maggiore inquinamento, maggiore perdita di salute, maggiore delocalizzazione), è facilmente intuibile come tale minor prezzo risulti alla lunga effimero perché si ribalta lentamente sulla società che deve bonificare, curare i malati o affrontare problemi di scarsità di lavoro.
Prima di risparmiare una manciata di euro per prodotti simili che abbiano caratteristiche ambientali molto diverse tra loro chiediamoci se ne valga veramente la pena!
Linfen
Le miniere di carbone cinesi entrano nelle cronache mondiali solamente in occasione di tragici incidenti sul lavoro che provocano la morte di lavoratori nelle viscere della terra a causa di scoppi, crolli o altre tragedie disumane. Le notizie, dal comfort dei nostri uffici o delle nostre case, spesso ci scivolano addosso e la loro forza si diluisce nelle innumerevoli tragedie di umana natura. Pochi considerano, invece, il fatto che il carbone uccida anche al di fuori del sottosuolo, attraverso l’inquinamento.
Tra le venti città più inquinate al mondo sedici sono cinesi e l’altra faccia dell’enorme crescita economica della Cina non sono solo gli incidenti o la mancanza di diritti dei lavoratori ma il dramma dell’avvelenamento lento, inesorabile e spesso invisibile di una grande percentuale di popolazione che respira, si nutre e beve quanto viene riversato senza regole nell’ambiente.
A detta dei più autorevoli istituti di ricerca mondiali è Linfen, nella provincia dello Shanxi, la città più inquinata al mondo. Quella che fino agli anni Settanta dello scorso secolo veniva definita la “città della frutta e dei fiori” ora – a causa del carbone che è impregnato nel suo sottosuolo e che ha determinato in breve tempo l’apertura di migliaia di miniere – è la capitale del carbone cinese e per questo è un concentrato di veleni distribuiti tra aria (polveri di combustione, monossido di carbonio e azoto), acqua e suolo (arsenico, piombo, ceneri varie), portatori di gravi patologie per i cittadini.
Per quella parte di inquinamento che è visibile ad occhio nudo la città è costantemente ricoperta da una densa nebbia grigia e, anche nelle giornate “teoricamente” serene, la spessa coltre di smog conferisce al “paesaggio” un’atmosfera autunnale o temporalesca. La parte, invece, invisibile (quella più subdola che colpisce alle spalle senza essere percepita) si trova nella verdura, nella carne, nell’acqua, nella polvere di casa, sulla pelle e nel sangue dei cittadini. Inquinamento che in Cina, anche con la complicità del mondo occidentale che produce merci (spesso semilavorati) a bassissimo costo, fa milioni di morti ogni anno per patologie collegate direttamente o indirettamente all’inquinamento.
Dal punto di vista ambientale e igienico-sanitario la Cina sta vivendo quanto si è verificato in Europa e negli Stati Uniti durante la prima fase industriale e quello che presumibilmente vivrà l’Africa nella fase successiva del processo economico-industriale globale.
Gli ingredienti della pozione venefica sono oramai ben chiari e definiti e, per tali ragioni, il processo industriale deve radicalmente cambiare per approdare verso processi puliti che abbiano come punto di riferimento materie e sistemi produttivi che siano sostenibili perché derivanti da un’imitazione del funzionamento della natura piuttosto che da una sua continua forzatura.