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Prodotti biologici: garanzia di assenza di pesticidi o trovata commerciale?!

Prodotti bio

L’Azienda Sanitaria di Firenze ha pubblicato sul proprio sito internet un’interessante tesi di laurea del corso di “Tecniche della prevenzione nell’ambiente e nei luoghi di lavoro” di Arianna Ugolini dal titolo: “Prodotti biologici: garanzia di assenza di pesticidi o trovata commerciale?!

Il lavoro, dopo aver ampiamente e chiaramente spiegato le caratteristiche dei prodotti fitosanitari in agricoltura e la loro classificazione, ne ha esaminato – focalizzandosi particolarmente sui composti organofosfati (1) – i possibili effetti sulla salute e ha spiegato le regole per un corretto impiego degli stessi nella Regione Toscana, concentrandosi anche nel valutare quali siano i limiti massimi accettabili negli alimenti.

L’obiettivo, visto il corso di laurea, era principalmente quello di capire se sia possibile fare un’azione di prevenzione nei riguardi dei composti organofosfati da parte dei consumatori attraverso il consumo di prodotti biologici oppure se tale prevenzione, in relazione alle caratteristiche e alle contaminazioni degli alimenti, sia del tutto ininfluente nei confronti del loro stato di salute in generale.

L’idea di realizzare questo studio, come osserva l’autrice nella Premessa della sua tesi, nasce dalla lettura di due articoli, antitetici nel loro contenuto. Il primo, tratto dal sito internet Il fatto alimentare, datato 25 febbraio 2015 e intitolato “Consumare biologico fa bene alla salute. Meno pesticidi nell’organismo. Pubblicato il primo studio che evidenzia l’accumulo” afferma che chi consuma abitualmente frutta e verdura biologiche espone il suo organismo a minori quantità di pesticidi ed erbicidi rispetto a chi mangia vegetali coltivati con i metodi convenzionali. E questo risulta particolarmente importante per i composti organofosfati. L’altro testo, tratto dalla rivista Altroconsumo e intitolato “Biologico, c’è chi dice no. La nostra inchiesta” dell’11 settembre 2015, assieme alla risposta alle discussioni suscitate, “Inchiesta bio: alimenti biologici e convenzionali, il confronto”, pubblicata sempre da Altroconsumo il 4 ottobre 2015, in maniera molto dubbiosa vuole invece porre in discussione l’idea che il biologico sia migliore del convenzionale, elencando i punti a favore e quelli contrari, allo scopo di informare correttamente il consumatore e consentirgli di fare corrette scelte alimentari.

Per arrivare alle proprie conclusioni la ricercatrice ha effettuato dei campionamenti sugli alimenti e sull’acqua piovana mirati a verificare, in essi, i residui di fitofarmaci. I rilievi sono stati effettuati su 4 principali canali di produzione/distribuzione:

  • coltivatori non biologici
  • coltivatori biologici non certificati
  • negozi specializzati
  • negozi della grande distribuzione (GDO).

Per fare ciò la ricercatrice ha utilizzato il kit BioPARD, Pesticide Analytical Remote Detector, che si basa su un sistema di sensori associato ad un rivelatore elettrochimico per la determinazione rapida di pesticidi organofosforici e carbammici in campioni di cibo, acqua e suolo. Il kit permette solo una valutazione fondamentalmente qualitativa (presenza/assenza di pesticidi) e non quantitativa (se non per una discriminazione di massima tra valori quantitativi definiti “High” e valori più bassi definiti “Medium”, mentre con valori “Low” s’intende l’assenza o la presenza in minime tracce di residui) di pesticidi organofosforici e carbammati. Sulla base di questa discriminazione di massima (High; Medium; Low) Arianna Ugolini ha poi elaborato dei grafici riassuntivi che hanno fornito, in linea di massima, i seguenti risultati: i prodotti biologici sono risultati “High” per circa il 63%, “Medium” per circa il 13% e “Low” per circa il 23%. i prodotti convenzionali sono invece risultati “High” per circa il 90%, “Medium” per circa il 10%; i due campioni di acqua piovana provenienti da Scandicci centro e Ginestra Fiorentina sono risultati rispettivamente “Medium” e “Low”.

Le conclusioni di questo interessante lavoro (Tabella A) arrivano ad affermare che, dal lato della produzione, la certificazione biologica fornisce, in generale, migliori prodotti di quella convenzionale anche se non in assoluto. I prodotti migliori sono infatti quelli che provengono dalle coltivazioni biologiche non certificate. Dal lato della commercializzazione e distribuzione dei prodotti attraverso il canale della grande distribuzione non ci sono invece differenze sostanziali tra prodotti biologici e prodotti non biologici.

Quanto di inaspettato emerge dalla tesi di laurea è un fatto molto interessante, da non sottovalutare nelle scelte alimentari e negli studi della sostenibilità ambientale e alimentare del futuro. La certificazione biologica non è in assoluto uno strumento per misurare la qualità dei prodotti (dal punto di vista dei residui chimici) e la qualità dei prodotti consumati è tanto più elevata quanto più il produttore è consapevole dal punto di vista etico della propria scelta colturale “ecologica”. Questo indipendentemente dall’ottenimento o meno della certificazione biologica. In buona sostanza lo studio osserva che coltivare bene i prodotti agricoli è una scelta chiara e netta operata da parte del produttore e chi produce prodotti biologici solamente per fare più soldi o perché il mercato va in quella direzione, non necessariamente è in grado di immettere sul mercato prodotti di qualità. Come, per altro, chi certifica non è in grado di garantirlo sempre.

Estendendo queste conclusioni nel terreno della bioimitazione ne deduco anche che la sostenibilità ambientale non è – come ci vogliono far credere – solo un processo tecnico-economico che consente di far profitti in modo diverso. Così non funziona e non funzionerà mai! La sostenibilità ambientale è solamente un processo filosofico, del pensiero prima di tutto, che fa concepire la Natura come un tutt’uno, un insieme di processi complessi, nei confronti della quale non è sufficiente che mutiamo l’approccio tecnico-operativo, ma verso la quale dobbiamo mutare radicalmente il nostro modo di pensare consapevoli che nella partita della sostenibilità ambientale dobbiamo essere anche disposti a perdere molto. Altrimenti non funziona!!!

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La tesi di laurea di Arianna Ugolini è liberamente scaricabile qui.
(1) Ai composti organofosfati sono associati a diversi effetti negativi sulla salute umana, sia di tipo acuto (tremori, cefalea, difficoltà respiratorie) che cronico (disturbi neurologici, ansia), nonché, per quanto riguarda l’esposizione in gravidanza dei feti ritardo mentale, basso quoziente intellettivo e altro. Da uno studio condotto tra il 2010 e 2012 da parte dei ricercatori della School of Allied Health Sciences dell’università di Boise in Idaho, è risultato che esiste una relazione dose-dipendente tra consumo di alimenti non biologici e presenza di composti organofosfati nelle urine. (http://www.ilfattoalimentare.it/pesticidi-frutta-verdura-biologica.html).

 

Ecobnb | Turismo sostenibile

Ecobnb è un portale web dedicato al turismo sostenibile in Europa. Esso si propone di cambiare il modo di viaggiare delle persone e di mettere in rete le possibilità di turismo rispettoso dell’ambiente, dell’economa e delle comunità locali. In Ecobnb si possono trovare diverse sistemazioni ecofriendly, dalle case sugli alberi all’hotel tradizionale, dall’albergo diffuso nei vecchi borghi all’igloo in alta montagna, dall’agriturismo al rifugio.

Per poter aderire a Ecobnb è necessario possedere una struttura ricettiva e che quest’ultima possieda almeno 5 tra i seguenti 10 criteri ambientali riconosciuti a livello internazionale da numerosi marchi che si occupano di ecoturismo.

  1. Cibo biologico – La struttura ricettiva nella composizione dei menu deve utilizzare prevalentemente cibo proveniente da agricoltura biologica certificata. Non devono essere utilizzati prodotti OGM.
  2. Bioarchitettura – L’edificio della struttura ricettiva deve avere un elevato livello di efficienza energetica (il consumo annuo di energia è inferiore a 60 Kwh/mq) e deve inserirsi armonicamente nel paesaggio. Al fine di ridurre l’impatto ambientale della costruzione la struttura ricettiva deve utilizzare materiali provenienti da fonti locali. La prima regola è che l’edificio più verde è l’edificio che non viene costruito. Poiché costruzione degrada quasi sempre un cantiere, non costruire affatto è preferibile alla bioedilizia, in termini di riduzione dell’impatto ambientale. La seconda regola è che ogni edificio deve essere il più piccolo possibile, per ridurre il consumo di risorse naturali. La terza regola è di non contribuire al consumo di suolo e di utilizzare la maggior parte dei metodi per ridurre l’impatto ambientale e i consumi degli edifici turistici.
  3. Elettricità al 100% da fonti rinnovabili – L’elettricità utilizzata dalla struttura ricettiva deve deriva al 100% da fonti rinnovabili. La struttura ricettiva può produrre l’energia pulita in loco o acquistarla da fornitori di energia pulita (derivante al 100% da fonti rinnovabili).
  4. Pannelli solari per l’acqua calda – La struttura ricettiva deve produrre acqua calda utilizzando energia pulita tramite i pannelli solari. Tale acqua calda preferibilmente dovrebbe essere utilizzata anche per il riscaldamento domestico e della piscina.
  5. Prodotti per la pulizia ecologici – I detergenti utilizzati dalla struttura ricettiva per la pulizia degli ambienti, della biancheria e delle stoviglie devono essere a base di prodotti naturali. I detersivi devono essere altamente biodegradabili ed ecocompatibili. I saponi e i deodoranti a disposizione degli ospiti devono essere naturali e biologici. La struttura ricettiva non deve fare uso di prodotti chimici di sintesi per la pulizia.
  6. Raccolta differenziata oltre l’80% – I rifiuti devono essere separati, riciclati e smaltiti in modo adeguato superando l’80% di differenziazione. Devono essere messi a disposizione degli ospiti appositi contenitori per la raccolta differenziata di carta, vetro, plastica e lattine. Deve essere effettuato, dove possibile, il compostaggio dei rifiuti organici. Devono essere fornite informazioni agli ospiti sulla raccolta differenziata invitandoli a contribuire.
  7. Accessibile senz’auto – E’ possibile raggiungere la struttura ricettiva con i mezzi pubblici o grazie ad un servizio navetta per gli ospiti che arrivano nella località con i mezzi pubblici. La struttura ricettiva deve offrire informazioni sui servizi di trasporto pubblico disponibili sul territorio e deve incentivare di mezzi di trasporto ecologici (auto elettriche, biciclette, car pooling).
  8. Lampadine a basso consumo – La struttura ricettiva deve ridurre il consumo di energia elettrica utilizzando lampade a risparmio energetico. Almeno l’80% di tutte le lampadine installate nella struttura ricettiva deve avere un’efficienza energetica almeno di classe A. La struttura ricettiva deve anche promuovere un’azione di sensibilizzazione degli ospiti al risparmio energetico.
  9. Riduttori di flusso per l’acqua – La struttura ricettiva deve ridurre i consumi di acqua utilizzando appositi riduttori di flusso del getto d’acqua. La struttura ricettiva deve promuove inoltre un’azione di sensibilizzazione degli ospiti al risparmio idrico.
  10. Gestione sostenibie dell’acqua – La struttura ricettiva deve raccogliere e riutilizzare le acque piovane per usi secondari (sciacquoni dei bagni, irrigazione di orti o giardini, ecc).

Ecobnb mette anche in evidenza altri requisiti ambientali secondari come: servizio di noleggio biciclette, cibo a km 0, biodiversità delle aree verdi, eliminazione delle porzioni monodose e imballaggi usa e getta, prodotti del commercio equo e solidale, sostegno dell’economia locale, controllo automatico delle luci, utilizzo di carta riciclata, marchi ambientali e certificazioni energetiche, ecc.

Per ogni struttura ricettiva viene mostrato il grado di sostenibilità in relazione a quanti dei punti precedenti sono soddisfatti.

Anche la gestione di Ecobnb è sostenibile dal momento che i server che utilizza sono alimentati al 100% da fonti di energia rinnovabile.

 

Il più grande nemico del bio è il qualunquismo

Mentre ero in vacanza durante il periodo natalizio, spinto dalla curiosità di mia figlia ho avuto modo di visitare un frantoio di olive che si trova sulla riviera ligure. Bello e interessante il processo lavorativo che va dallo scarico dei frutti nel macchinario, al loro lavaggio, alle operazioni di spremitura “a freddo” con centrifugazione dei residui, fino alla spillatura del profumato liquido verde nei contenitori dei vari committenti.

La visione nel dettaglio di tutte le varie fasi della molitura delle olive è stata possibile per merito del proprietario del frantoio che ha dotato l’attrezzatura di numerosi vetri e di numerosi accessi sicuri per soddisfare la curiosità dei suoi clienti e dei suoi visitatori.

Non eravamo gli unici a compiere quella visita didattica e, per caso, mentre mi guardavo intorno, ho avuto modo di seguire un discorso tra il proprietario del frantoio – Giorgio – e un visitatore presente. Quello che mi ha colpito, nel dialogo, sono state le risposte di Giorgio alle seguenti domande: “Qual è la differenza tra la molitura a caldo e quella a freddo” e “Ci sono molte coltivazioni biologiche in zona e come riuscite a far sì che il marchio sia garantito voi che lavorate sia il bio che il tradizionale”?

Le domande erano assolutamente legittime e dimostravano che l’interlocutore aveva la idee chiare in merito alla qualità del prodotto e che cercava di avere delle conferme tecniche e organizzative da parte di un operatore esperto per poter effettuare i propri acquisti.

Le risposte di Giorgio sono state, purtroppo, le solite – tristi – parole che senti spesso pronunciare in Italia da un sessantenne che dimostrano come il più grande nemico del progresso e della sostenibilità ambientale – in questo caso l’agricoltura biologica – sia quel qualunquismo disfattista del “tanto non cambia nulla”; del “tanto è tutto uguale”.

Alla domanda sulla spremitura “a freddo” Giorgio replica osservando che non è che cambi nulla con quella “a caldo”. Lo si fa solamente per soddisfare le richieste dei consumatori. Dal momento che tra le due c’è una differenza di costo ma anche di qualità perché la molitura “a freddo” altera molto poco le qualità organolettiche dell’olio, quello che leggo nelle parole di Giorgio è il fatto che l’importante non è pensare di far star bene le persone fornendo loro il meglio a prezzi ragionevoli ma è fare tanti soldi, nella filiera, magari anche a discapito della loro salute. Inoltre Giorgio, indirettamente, dichiara che subisce pochi controlli e che potrebbe anche vendere, lui o altri colleghi, un certo processo al posto dell’altro perché le autorità pubbliche difficilmente fanno prevenzione delle sofisticazioni attraverso controlli preventivi o imposizioni metodologiche.

Alla domanda poi sul biologico, con un sorriso misto tra l’ironico e il furbetto, Giorgio risponde che tanto non cambia nulla, che i controlli e relativa certificazione non servono a nulla e che ci sono molti che dicono di fare il biologico ma poi fanno un po’ quello che vogliono. Le sue osservazioni in effetti sono realistiche e possono rappresentare una triste realtà – che deve essere perseguita dalla giustizia – ma, anziché chiedersi cosa si posa fare per migliorare la situazione, per garantire che in futuro le certificazioni e i controlli siano più incisivi, preferisce buttarla “in vacca” e dire che tanto il bio non serve a nulla. Giorgio, invece di chiedersi come si possa operare per fare un ulteriore salto di qualità – anche per la sua attività imprenditoriale – che superi il metodo biologico per ricercare qualcosa di più, attraverso il suo qualunquismo pone le basi perché si torni indietro senza progresso e senza sufficienti garanzie di salubrità per i cittadini. In tal modo, indirettamente, fa anche il gioco dei grandi produttori e delle multinazionali che chiedono “progresso” (quello che interessa loro), pochi controlli e tanto profitto.

Finché in Italia non ci libereremo della malattia molto contagiosa del qualunquis-disfattismo e non cercheremo la cura nei controlli, nella buona tecnica e nella cultura individuale, come potremo sperare di operare quel passaggio ancora più difficile che porta dal sistema attuale a quello rivoluzionario della bioimitazione?

 

Food Inc.

Se desiderate vedere quali potranno essere, di fatto, le conseguenze dell’Accordo TTIP (Transatlantic Trade and Investment Partnership o Partenariato Transatlantico per il commercio e gli investimenti-trad.) mettetevi comodi sulla sedia o sul divano per circa 90 minuti e godetevi il documentario “Food Inc.” allegato.

Al di là dei fiumi di parole che si potranno spendere sull’argomento, sia pro che contro, non c’è alcun dubbio che l’accordo in oggetto è una manovra messa in campo da parte delle (poche e sempre meno numerose) multinazionali del cibo per conquistare nuovi mercati attraverso l’industrializzazione spinta dello stesso. Chi vi dirà che il TTIP favorirà le produzioni locali e biologiche si sta prendendo solo gioco di voi.
Buona visione…

Per info: Campagna Stop TTIP (it); STOP TTIP (en)

TTIP-no-fucking

TAFTA

TTIP_Podemos

 

“The Organic Effect”

La catena alimentare svedese Coop Sverige, in collaborazione con lo Swedish Environmental Research Institute (IVL), ha realizzato uno studio scientifico (“The Organic Effect“) per verificare quali sono gli effetti sulla salute delle persone quando decidono di passare, da un’alimentazione con cibi coltivati tradizionalmente, ad un’alimentazione con cibi coltivati con il metodo biologico.

Lo studio ha preso come campione la famiglia Palmberg composta da 5 persone (papà Mats, 40 anni; mamma Anette, 39 anni; figlie Vendela ed Evelina, figlio Charlie) i cui componenti non fanno uso frequente di cibo biologico anche se sarebbero interessati a farlo. Non se lo possono permettere perché costa un po’ di più di quello convenzionale e le loro finanze non sono sufficienti.

Nella ricerca, la cui durata complessiva è stata di 21 giorni, si è chiesto a tutti i componenti della famiglia di mangiare per la prima settimana cibi tradizionali e poi di modificare le proprie abitudini alimentari e di mangiare solo cibi biologici per due settimane, oltre ad usare anche saponi e prodotti per l’igiene personale organici. Si sono poi confrontate le analisi delle urine fatte, quotidianamente,  prima e dopo l’esperimento e si è cercato di capire se nutrirsi totalmente di cibi biologici, anche se per un breve periodo, potesse influire sulla presenza e sulle concentrazioni di sostanze chimiche inquinanti come insetticidi, fungicidi e sostanze utilizzate per regolare la crescita delle piante e dei loro frutti.

Quello che è emerso dalla ricerca è un risultato abbastanza sorprendente: già dopo due settimane, i livelli di tali sostanze nelle urine diminuiscono notevolmente, fino quasi a scomparire per talune. In più la riduzione è già evidente dopo il primo giorno.

Come osservano i responsabili della Coop svedese, i risultati dello studio hanno chiaramente e inequivocabilmente dimostrato che il cibo biologico fa bene alla salute perché riduce la concentrazione nel corpo di sostanze chimiche pericolose e fa bene all’ambiente perché tali sostanze non vengono distribuite in atmosfera, sul terreno e nelle acque superficiali. “Speriamo che i consumatori capiscano l’importanza del cibo biologico e che questo studio possa aprire un dibattito serio sui benefici dello stesso. Si sa molto poco sugli effetti a lungo termine dovuti al mangiare alimenti trattati con pesticidi, sprattutto se si considera che le sostanze chimiche possono essere molto più dannose quando combinate insieme rispetto a quanto lo sono se ingerite singolarmente“.

Dai risultati della ricerca emerge che dobbiamo rifinanziare e ristrutturare il nostro sistema alimentare. Invece di usare le tasse dei contribuenti per finanziare un sistema di produzione che si basa sull’ingegneria genetica per sopportare dosi massicce di erbicidi, insetticidi e pesticidi, è necessario invece che lo ridisegnamo in modo tale che il cibo biologico sia economicamente sostenibile per tutti coloro che lo desiderino consumare. E, magari, anche per tutti.

Se vuoi sapere cosa succede al tuo corpo quando cambi alimentazione e passi da quella convenzionale a quella biologica guarda anche questo breve video pubblicato dalla Coop Sverige.

 

Un bel paio di mutande ecologiche

Da anni dormo almeno un giorno la settimana fuori casa frequentando quasi sempre gli stessi alberghi che, nel tempo, mi trattano “quasi” come uno di casa e mi fanno sentire “quasi” come a casa. Per preparare le mie trasferte organizzo una valigia (Paola, mia moglie, la chiama “la valigina”) che, grammo dopo grammo, dettaglio dopo dettaglio, sono riuscito a ridurre all’osso per evitare inutili pesi da trasferire su treni, metropolitane, taxi, scale e marciapiedi.

Sarà stata la primavera, sarà stata la stanchezza o la distrazione ma, qualche giorno fa, mi accorgo di aver dimenticato il cambio delle mutande. Panico!!! Subito dopo però penso di trovarmi in centro a Milano e di non avere problemi a comprarne di nuove. Posso avere solo l’imbarazzo della scelta del modello, del colore, della marca e dello stilista preferito. Ma per me tutto questo non è sufficiente. Mi interessa poco il modello, quasi niente il colore e per nulla lo stilista di grido perché quello che più mi sta a cuore nella scelta di questo capo d’abbigliamento intimo è il fatto che le mutande siano “ecologiche”. Per ecologiche intendo che siano almeno prodotte con cotone biologico e sia certificata la non tossicità dei coloranti e degli additivi utilizzati nei tessuti. Per questi aspetti – piuttosto che per il nome dello stilista sull’elastico che devo lasciar venir fuori dai pantaloni, che devo comperare a vita bassa affinché sia visto – sono anche disposto a pagare qualche euro in più.

Esco allora un po’ prima dall’ufficio e mi fiondo un centro commerciale vicino al lavoro. Nulla. Allora mi sposto con i mezzi in una zona commerciale alla moda. Vado in vari negozi facendo le mie richieste ai commessi di turno che mi guardano sconsolati. Ancora nulla. Faccio un ultimo tardo tentativo in un negozio di alimenti biologici. Niente. Per evitare di rimanere a secco mi fiondo nel primo centro commerciale e prendo le prime mutande della mia taglia che capitano a tiro.

Attraverso questo mio simpatico fuoriprogramma lavorativo osservo il fatto che prodotti tessili (1) che abbiano certe caratteristiche di sostenibilità ambientale appartengono solamente ad un gruppo molto ristretto di aziende che li producono e che non hanno visibilità mediatica nonché a gruppi molto ristretti di persone che li cercano all’interno dei gruppi d’acquisto solidali (GAS), nei mercatini e nei pochi negozi specializzati. Se si tenta di cercare questi prodotti tessili ecologici nel sistema del commercio convenzionale ci si trova davanti ad un muro e si fa veramente fatica ad ottenere quanto desiderato. Tutto questo nonostante le campagne molto incisive di sensibilizzazione sul tema da parte di Greenpeace e di altre associazioni ambientaliste ed etiche.

Dato ciò mi chiedo – con molta tristezza e rammarico – che cosa si possa fare concretamente per ottenere quell’agognata sostenibilità ambientale che, a mio avviso, non è solo difesa del pianeta e bla bla bla. È anche – e soprattutto – vero progresso, vero benessere e vera civiltà. Dal momento che le campagne di comunicazione non sono riuscite completamente nel loro intento e non hanno inciso in modo forte nel sensibilizzare la massa dei cittadini-acquirenti, è necessario che, al più presto, noi consumatori più sensibili e informati sul tema iniziamo a far sentire la nostra voce ai produttori di massa “minacciandoli” di boicottare le loro merci se non ci forniranno al più presto almeno delle alternative ecologiche dei loro prodotti.

Purtroppo saranno sempre i soliti e ripetitivi argomenti un po’ banali e le solite e ripetitive ricette di lotta ma, sinceramente, non vedo altra strada per cercare di far cambiare velocemente un sistema – quello produttivo e di consumo – che deve necessariamente riformarsi per consentire il vero progresso dell’umanità.

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(1) I prodotti tessili hanno filiere molto lunghe che vanno dalla coltivazione del cotone al trattamento chimico del tessuto; dalla filatura al trasporto planetario normalmente via mare. Sceglierli ecologici significa incidere in maniera molto profonda sulla sostenibilità ambientale, soprattutto nei confronti di quei Paesi cosiddetti “in via di sviluppo” verso i quali di solito ricadono gli effetti più nefasti dell’inquinamento provocato dall’industria dell’abbigliamento.

 

Bionade | Bibita analcolica

Oltre agli ingredienti tutti biologici, alla scelta di gusti molto particolari ed al processo di produzione che deriva da una fermentazione naturale, il fascino della bibita analcolica Bionade è dovuto anche alla sua particolarissima storia. Essa è nata quasi per caso dall’invenzione del bavarese Dieter Leipold, maestro birraio di Ostheim in der Rhön che, a causa della crisi che aveva colpito il suo piccolo birrificio, ha sperimentato un nuovo processo di fermentazione dell’acqua e del malto per venire incontro ai nuovi gusti dei giovani tedeschi che da qualche tempo avevano iniziato ad abbandonare la birra.

Per entrare più nel dettaglio della produzione, la Bionade ha le sue basi nella classica fermentazione a base d’acqua e malto che non si finalizza però con la produzione di alcol, ma altresì di un enzima, l’acido gluconico (1), fisiologicamente importante nell’alimentazione umana e ricco di calcio e di magnesio. Dopo la fermentazione il liquido ottenuto viene filtrato, viene diluito con acqua, viene arricchito di anidride carbonica e di essenze naturali di frutti e/o di erbe che conferiscono alla bevanda, totalmente analcolica, dei gusti un po’ particolari ed originali.

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Bionade non contiene dolcificanti e coloranti, ha un basso tenore di zuccheri e quindi pochissime calorie. Inoltre, pur partendo dal malto d’orzo, attraverso il suo particolare processo produttivo Bionade è senza glutine.

Bionade attualmente è offerta sul mercato ai seguenti gusti: sambuco, litchi, erbe, zenzero e arancia, cola biologica.

Per il prossimo futuro l’azienda intende sviluppare maggiormente un rapporto di solidarietà con l’agricoltura locale utilizzando possibilmente materie prime prodotte nei campi vicino alla fabbrica.

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(1) L’acido gluconico è normalmente presente anche nella frutta, nel vino e nel miele prodotto dalle api.

 

Cooperativa Osiris | Prodotti agricoli

La cooperativa Osiris – che prende il proprio nome dalla dea della fertilità – è una tra le più significative realtà europee che operano nell’ambito dell’agricoltura biodinamica. Essa è stata fondata nel 1988 da un gruppo di agricoltori che, avendo iniziato ad interrogarsi sull’efficacia e sulla pericolosità dell’agricoltura “moderna” fatta di forza e di chimica, avevano prima fondato un gruppo di studio e, da pionieri, avevano iniziato, già dall’inizio degli anni ’80, a praticare l’agricoltura biodinamica. Siamo in Alto Adige, in provincia di Bolzano, nella vallata compresa tra Termeno, Egna e Ora il cui paesaggio è costellato da una distesa quasi infinita di frutteti, soprattutto mele, ma anche vigneti. Lo scopo della cooperativa era chiaro già dall’inizio: la creazione di una struttura di produzione e di marketing completamente indipendente dal sistema industriale della produzione e della distribuzione agricola, allo scopo di garantire ai consumatori sia l’origine che la qualità dei prodotti offerti.

Cooperativa Osiris_01

Nella campagna dei soci della cooperativa Osiris la natura, guidata e non limitata dalla mano dell’uomo, trova lo spazio di potersi esprimere e tutto dà l’impressione di essere una specie di “disordine ordinato”. Nelle campagne si sente un forte profumo, dato dalle mille erbe spontanee che circondano le piante e che vengono lasciate crescere nelle bordure e nei cespugli e si sentono cinguettare numerosi uccelli di specie diverse che trovano un ambiente ospitale e nutrimento dato dagli insetti che, senza tregua, si posano sui fiori o volano nell’aria.

Il gruppo di studio sulla biodinamica è ancora il motore e il centro di ricerca della cooperativa Osiris che oramai ha acquisito esperienza e ha sviluppato importanti tecniche produttive nell’ambito dell’agricoltura biodinamica e che oggi esporta i suoi prodotti in tutta Europa. Tra questi prodotti, a fianco delle originarie mele e pere, sono stati introdotti anche piccoli frutti di bosco (mirtilli, lamponi, ribes, ecc.), il succo di mela e detersivi per la casa e per la persona, a base di aceto di mele. Il prodotti della cooperativa Osiris sono certificato Demeter, Codex e GlobalG.A.P.

Attualmente la cooperativa Osiris ha la propria sede a Postal (BZ).

 

L’assurdo spreco di cibo negli USA

Negli Stati Uniti si spreca circa il 40% del cibo prodotto, pari ad un valore di circa 165 miliardi di dollari. Si tratta di cibo buono, non avariato, spesso non cucinato, che viene gettato nella spazzatura ancora confezionato direttamente da parte degli acquirenti. La causa più frequente è legata al raggiungimento e al superamento della data di scadenza (anche se non è detto che il cibo sia immangiabile!) dovuti alla sovrabbondanza di cibo presente nelle dispense di una famiglia media che, semplicemente, ne acquista troppo e si dimentica di averlo.

E pensare che questo cibo potrebbe anche aiutare quei 50 milioni di americani (circa il 16% della popolazione totale degli USA) che sono poveri e fanno fatica a procurarsi da mangiare.

Per spiegare questo fenomeno è interessante osservare l’esperienza di Nick Papadopulos, un agricoltore biologico californiano. Stanco di buttare intere cassette di frutta o verdura rimaste invendute, Papadopulos ha iniziato a confrontarsi con altri produttori locali interessati dallo stesso fenomeno. La sua soluzione è stata quella di creare CropMobster, un servizio per trovare persone interessate a comperare, a prezzi più vantaggiosi, prodotti invenduti.

food is a weaponL’ampliamento del mercato, però, non è l’unica strada da percorrere per risolvere il problema. Servirebbe anche più informazione dei cittadini sia sull’alimentazione che sulle questioni tecniche legate alla coltivazione, alla trasformazione e alla conservazione del cibo. Innanzitutto bisognerebbe insegnare loro a non acquistare il cibo solo per il suo bell’aspetto estetico ma, soprattutto, a tener conto della sua qualità. Inoltre bisognerebbe spiegare loro che le date di scadenza riportate sulle confezioni non sono valide in senso assoluto ma forniscono solamente un’indicazione di massima. Prima di consumarlo, il cibo, deve essere sempre assaggiato. Anche se ciò avviene entro la data di scadenza!

Lo spreco di cibo è una follia. Lo è sia dal punto di vista umano ed etico che dal punto di vista di sostenibilità ambientale. Produrre cibo “consuma” lavoro, energia, materie e produce inquinamento, diretto o indiretto. Purtroppo l’agricoltura è stata interessata da un progressivo fenomeno di industrializzazione che l’ha spinta, come per le produzioni meccaniche, chimiche o altro, verso l’obiettivo della massimizzazione della produttività e l’abbassamento dei prezzi, preoccupandosi relativamente della qualità. Ma il cibo, si sa, è molto diverso da un manufatto. Lo ingeriamo e, attraverso il metabolismo, diventa noi e noi diventiamo un po’ lui.

Paradossalmente, per risolvere il problema dello spreco di cibo ancora buono, si dovrebbe fare una cosa semplice e apparentemente assurda. Si dovrebbe puntare all’aumento dei prezzi di vendita. In un sistema industriale che tende a massimizzare la produzione e a fornire cibo a prezzi bassi ma a discapito della qualità, si dovrebbe aumentarne il valore per far comprendere ai cittadini la sua vera importanza.

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Fonte: Internazionale

 

Salute e sostenibilità ambientale sono concetti strettamente interconnessi

La sostenibilità ambientale passa inevitabilmente attraverso la salute e la salute passa attraverso la sostenibilità ambientale, in un pieno rapporto biunivoco. Senza la sostenibilità ambientale non ci può essere salute (soprattutto prevenzione, che è la componente più importante della salute) e senza salute (cioè senza una chiara idea di che cosa sia la salute e la prevenzione) non ci può essere sostenibilità ambientale.

Provo a fare degli esempi. Chi abusa dei farmaci (necessari, ma pur sempre tossici) per togliere qualsiasi sintomo senza preoccuparsi delle cause che lo determinano come può avere una chiara idea di che cosa sia la sostenibilità ambientale? Chi mangia male (cibo spazzatura) e specula sul prezzo del cibo (consumando cibo di bassa qualità) per avere più beni effimeri e non necessari come può agire per perseguire la sostenibilità ambientale? Chi butta la spazzatura a terra anziché adoperarsi per smaltirla correttamente come può capire a fondo cosa sia la salute e la prevenzione? Chi abusa di pesticidi e diserbanti (in agricoltura, negli spazi pubblici, negli spazi verdi privati) come può adoperarsi correttamente per garantire salute a se stesso e ai propri cari nel lungo periodo? E gli esempi potrebbero essere innumerevoli…

A tale proposito qualche giorno fa sono rimasto colpito da un bell’articolo del dott. Roberto Gava pubblicato su Il Fatto Quotidiano nel quale afferma un concetto fondamentale per ragionare in termini di salute e di sostenibilità ambientale: noi stessi siamo la causa delle nostre patologie (e del nostro benessere, aggiungo io).

Quello che afferma il dott. Gava – basandolo sulla propria esperienza clinica – è il fatto che la quasi totalità delle nostre patologie attuali – spesso croniche e invalidanti – sia il frutto di errori pubblici e sociali (ad esempio tollerare ancora elevati tassi di inquinamento per alimentare un sistema economico senza fine basato sulla continua produzione e consumo) e sulla scarsa cultura della prevenzione da parte delle persone. In tutto questo, io mi chiedo dove erano e dove sono i medici e i farmacisti? Qual è il loro ruolo nel rapporto con i pazienti all’interno del processo di mantenimento della salute e di cura? Cosa sanno e cosa percepiscono veramente della salute attraverso la prevenzione e del ruolo che ha la sostenibilità ambientale nel garantirla?

Per promuovere la salute il dott. Gava parla, nel dettaglio, di prevenzione alimentare e dei principali errori che si commettono nel campo della nutrizione:

  • Troppi zuccheri semplici, comprendendo quelli che aggiungiamo noi e quelli che aggiunge l’industria alimentare.
  • Troppi cereali, rispetto a verdure, legumi, frutta e proteine vegetali.
  • Troppi carboidrati raffinati rispetto a quelli complessi.
  • Troppi grassi saturi (grassi animali) e pochi grassi buoni (polinsaturi omega-3 di origine vegetale o ittica e monoinsaturi dell’olio di oliva).
  • Carenza di micronutrienti essenziali: la produzione industriale del cibo li ha gravemente ridotti, insieme allo sfruttamento del terreno e all’inquinamento (viviamo in una situazione di carenza cronica che, di solito, non induce avitaminosi, ma altera il metabolismo dell’organismo e induce una instabilità genomica con maggior suscettibilità al danno del DNA con scarsa capacità di ripararlo).
  • Carenza di fibra alimentare (assente in cibi raffinati) con conseguenti: stipsi, accumulo di sostanze tossiche, mancato legame di zuccheri e grassi (che verrebbero escreti più facilmente riducendo anche il colesterolo-LDL e aumentando il colesterolo-HDL) e aumento di diabete e vasculopatie aterosclerotiche.
  • Alterazione dell’equilibrio acido-base con spostamento verso l’acidosi metabolica a causa di eccessivo consumo di cibi acidificanti (cibi confezionati, carne, uova, latte, formaggi, sale, additivi chimici, ecc.) a cui conseguono: perdita del tono muscolare, osteoporosi, calcoli renali, ipertensione arteriosa, infiammazione tessutale, ecc.
  • Alterato equilibrio sodio/potassio con aumento del sodio (contenuto in abbondanza nei cibi industriali) e calo del potassio (che è scarso in carboidrati raffinati, latte e formaggi), con conseguente aumentato rischio di ipertensione arteriosa, ictus cerebrale, calcoli renali, osteoporosi, asma, insonnia, ecc.

Oltre a tener conto dei punti precedenti tra le possibili soluzioni elenca:

  • La riduzione dell’introito calorico quale miglior modo per rallentare l’invecchiamento e per prevenire le patologie croniche;
  • La restrizione calorica quale modo per facilitare l’eliminazione di cellule danneggiate e la loro sostituzione con cellule nuove derivate dalle riserve staminali.

A ciò io aggiungerei anche:

  • La scelta di prodotti alimentari coltivati e prodotti con il minor impatto ambientale possibile che, per semplificazione, potrebbero essere quelli certificati biologici o biodinamici, sono fondamentali per limitare l’inquinamento e garantire più alti livelli di salute sociale nonché per fornire cibi più sani alle persone;
  • La scelta di prodotti alimentari locali che vengono coltivati o prodotti vicino al luogo di consumo viaggiano di meno: in tale modo possono essere raccolti al raggiungimento della maturazione e, per questo, possono garantire maggiore e migliore apporto di vitamine e nutrienti;
  • La scelta di prodotti alimentari semplici e non troppo industrializzati. In tal modo si limitano inutili additivi (conservanti e insaporenti) e si garantisce più genuinità dei cibi;
  • La scelta di prodotti alimentari che abbiano pochi imballaggi per limitare la produzione dei rifiuti che indirettamente, attraverso l’inquinamento che producono, possono contribuire a diminuire la qualità della salute pubblica.

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Foto: La nuova piramide alimentare

 

Caseificio Tommasoni

Il Caseificio Tommasoni di Gottolengo (BS) è un’azienda a conduzione familiare che continua una lunga tradizione, iniziata nel lontano 1815, nella produzione di grana padano, ricotta e robiole.

Il Caseificio Tommasoni è certificato biologico da novembre del 2000 e, la scelta che sembrava una scommessa azzardata per i tempi, si è rivelata invece estremamente positiva perché ha portato l’azienda a fare un interessante percorso culturale e a promuovere i principi che abbracciano tutto il benessere dell’uomo e dell’ambiente che lo circonda. Nell’ambito di questo percorso l’obiettivo non rimane solo quello commerciale ma anche quello etico (e strategico) perché si vuole dimostrare concretamente la possibilità di uno sviluppo eco-sostenibile, attento al rispetto e alla conservazione delle risorse nel tempo.

Il Caseificio Tommasoni trasforma solo latte da agricoltura biologica proveniente da stalle della pianura lombarda. Le vacche, che da marzo a novembre sono lasciate al pascolo, sono alimentate senza l’aggiunta di insilato di mais che, specie nei mesi molto caldi, determina anomale fermentazioni del latte che potrebbero ripercuotersi anche sul sapore dei formaggi e provocare rigonfiamenti alle forme.

Sia il latte che i prodotti caseari ottenuti sono certificati ICEA (Istituto per la Certificazione Etica ed Ambientale).

Il Caseificio Tommasoni, oltre allo spaccio aziendale di Gottolengo, distribuisce i propri prodotti o mediante consegne dirette o tramite corriere ed è molto attivo nella fornitura ai Gruppi di Acquisto Solidali (GAS).

 

el Restel | Azienda agricola

Immaginiamo quello che desideriamo mangiare e cominciamo a produrlo”.

L’azienda agricola el Restel, che si trova nella Pianura Padana in provincia di Verona, si estende su una superficie di 30 ettari dove si coltivano, nel rispetto della metodologia dell’agricoltura biologica, cereali e alberi da frutta, soprattutto actinidia (kiwi).

Anticamente l’azienda era concentrata prevalentemente sulla produzione del riso e da qualche anno si è deciso di riprendere tale coltivazione che sta incontrando sempre più interesse tra i clienti dell’azienda.

L’azienda agricola el Restel segue completamente la metodologia biologica certificata da ente terzo e tutte le colture annuali vengono avvicendate per consentire il mantenimento della caratteristiche chico-fisiche del terreno. Inoltre le coltivazioni sono intervallate da siepi e boschi che consentono di interrompere le folate di vento e rappresentano un ottimo habitat per la flora e la fauna, soprattutto volatile.

L’azienda agricola el Restel desidera organizzare sempre di più una filiera di commercio diretto per portare a un numero sempre maggiore di consumatori un prodotto di gran qualità che arriverebbe sulle tavole a un prezzo troppo elevato se passasse attraverso i canali della grande distribuzione.

I principali prodotti aziendali sono:

  • riso
  • altri cereali (grano, mais, soia)
  • succhi di frutta.

el Restel

 

Terre e Tradizioni | Prodotti alimentari

Non applichiamo ciecamente la Tecnologia moderna a discapito della Tecnica, non ci evolviamo senza tener conto del nostro passato, non forziamo la natura delle cose danneggiando l’armonia donataci. Proveniamo dalla Terra e osserviamo il Cielo per capire se possiamo depositare il Seme. Ci soffermiamo sui significati profondi dell’Opera accordandoci con essa evitando il rischio di essere Note Stonate”.

Terre e Tradizioni nasce dall’unione di più operatori del settore agroalimentare e ha come obiettivo la creazione di una filiera virtuosa che controlli la qualità di ogni prodotto dal luogo di produzione sino al piatto del consumatore, valorizzando i produttori di eccellenza e la Civiltà Rurale, diffondendo la cultura della buona alimentazione e difendendo la salute di chi acquista i suoi prodotti.
I prodotti proposti sono:

  • Paste pronte
  • Pasta fresca e ripiena
  • Pasta fresca senza uova
  • Pasta secca
  • Prodotti da forno
  • Cous Cous e Semi
  • Farine

Cuore_Terre e Tradizioni

 

Antico Molino Rosso | Farine

Antico Molino Rosso è un’azienda che opera nell’ambito della macinazione delle farine che si trova a Buttapietra, in provincia di Verona. La struttura originaria del molino risale al XVI secolo e, attualmente, è ancora presente e funzionante una ruota a pale del 1858. L’impianto dedicato alla molatura dei cereali e alla produzione della farina rigorosamente di origine biologica si compone di numerose macine a pietra ristrutturate, risalenti alla prima metà del ‘900.

La passione di Gaetano Mirandola – il proprietario – verso un’alimentazione sana ed equilibrata, unita alla consapevolezza dell’importanza della coltivazione biologica e della riscoperta di vecchi cereali (quasi) dimenticati, ha fatto sì che attualmente Antico Molino Rosso rappresenti un’importante realtà nella produzione di farine biologiche.

farina per paneL’azienda, oltre alla produzione di farina, si propone anche:

  • di sensibilizzare ed incoraggiare le aziende agricole a coltivare con il metodo biologico e di trasmettere loro i valori della sostenibilità ambientale;
  • di recuperare e valorizzare le vecchie varietà di cereali (grano, farro, khorasan KAMUT®, riso, avena, orzo, grano saragolla, grano duro, grano Senatore Cappelli, Akrux®, segale, piccolo farro);
  • di realizzare corsi di formazione formazione sull’importanza dell’agricoltura biologica, sia nei confronti dei professionisti del settore che dei consumatori.

Antico Molino Rosso si occupa anche di ricerca sui cereali e sulle farine mettendo a punto particolari ricette per panificatori e pizzaioli.

 

Hirsch Natur | Calze

L’azienda Hirsch Natur è stata fondata nel 1928 a Laer (vicino a Münster) in Westphalia da Franz Kloppenborg, un ristoratore e agente di commercio. La prima macchina per la tessitura fu posizionata nella sala da ballo del ristorante di famiglia e ,originariamente, fu dedicata alla produzione di calze da lavoro. Fu solo a partire dagli anni ’80 che l’azienda decise di produrre una collezione di calze con tessuti naturali e tale attività, negli anni, è cresciuta sempre di più sino a diventare l’attività principale dell’azienda.

hirsch90124lLe calze attualmente in produzione prevedono diversi modelli per svariati usi (sport, tempo libero, comfort, eleganti) e sono prodotte nei seguenti materiali:

  • lana biologica
  • cotone biologico
  • bamboo (1)
  • lino

Dal momento che le moderne macchine per la tessitura consumano molta energia elettrica, nel 2009  Hirsch Natur ha installato un impianto fotovoltaico che produce metà dell’energia necessaria per il funzionamento delle stesse. L’azienda ha già pianificato di estendere tale produzione di energia da fonti rinnovabili fino al 100% delle necessità.

hirsch0336lInoltre Hirsch Natur non usa prodotti chimici e minimizza il più possibile il consumo di acqua.

Attualmente Hirsch Natur produce seguendo i protocolli del GOTS (Global Organic Textile Standard) e tale produzione è certificata annualmente da un organismo indipendente (IMO).

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(1) Hirsch Natur dichiara di non utilizzare viscosa ma di utilizzare le vere fibre di bamboo.

Gildo Rachelli Bio | Gelati

Gildo Rachelli Bio nasce da un’esperienza di oltre 65 anni nel settore della gelateria artigianale, da una costante ricerca della qualità e da un progetto imprenditoriale e di vita orientato alla tutela della natura e dell’ambiente.

Nel 1997 l’azienda Rachelli investe sul biologico e inizia la produzione del primo gelato italiano certificato prodotto con soli ingredienti biodinamici e biologici. La nuova linea di gelati, che si fregia del marchio Demeter, viene premiata da istituzioni e riviste del settore. Nella primavera del 2009 Rachelli avvia la partnership con l’Associazione Fairtrade Italia e, nell’estate dello stesso anno, con la Fondazione Slow Food per la Biodiversità.

I prodotti offerti sono:

  • DEMETER: i gelati e i sorbetti Rachelli Demeter sono senza lattosio, completamente privi di glutine (certificati AIC) e preparati con ingredienti biologici e biodinamici.
  • BIO FAIRTRADE: i gelati Rachelli Bio Fairtrade nascono dalla collaborazione fra Rachelli e l’Associazione Fairtrade Italia. Tutte le materie sono provenienti dall’agricoltura biologica.
  • BIO FREE FROM: i gelati Rachelli Bio Free From hanno un basso contenuto di lattosio (< 0,1%) e tutte le materie sono provenienti dall’agricoltura biologica.
  • BIO: minigelati al gusto di lampone e cioccolato.
  • MAESTRO: i dessert Maestro sono preparati con ingredienti dei presidi Slow Food, associazione che difende, oltre alla qualità, anche la sostenibilità ambientale. I prodotti Maestro non hanno conservanti, aromi o coloranti e le materie prime non provengono dall’agricoltura biologica.

Sorbetto-mandarinoNon tutta la produzione dell’azienda Rachelli è biologica o biodinamica ed esistono anche linee di prodotti tradizionali.

 

ROB del Bosco Scuro | Azienda agricola

L’Azienda agricola ROB del Bosco Scuro di Rasi Andrea ha iniziato a coltivare con il metodo biologico dal 1995 su una superficie di 8 ettari nella cornice geografica delle colline moreniche a sud del Lago di Garda. I prodotti sono: frutta (mele ed albicocche) e verdura (meloni, cipolle, pomodori).

La verdura viene venduta fresca mentre la frutta, in parte viene destinata alla vendita diretta a negozi e privati e, in parte, viene trasformata in marmellate, mostarde, puree e succhi di frutta. La maggior parte dei processi produttivi sono interni all’azienda e l’obiettivo prossimo futuro è quello di portarli tutti presso il laboratorio interno, dove possono essere meglio gestiti e controllati.

Interessanti sono le scelte economiche che l’azienda esprime:

  • la massimizzazione della produzione non è una priorità;
  • il mercato alimentare biologico non è (e non deve essere) un mercato di nicchia;
  • la differenziazione produttiva – al contrario della monocoltura – quale garanzia di sopravvivenza.

L’Azienda agricola ROB del Bosco Scuro osserva che il lavoro dei contadini deve essere la continuazione di un rapporto profondo tra l’uomo e la natura e non il cieco sfruttamento di risorse naturali a scapito delle future generazioni. Per secoli l’ambiente naturale è stato curato, difeso e rispettato dagli agricoltori che ci hanno lasciato in dote il rispetto e la conoscenza della natura. Il suo compito primario è quello di continuare nel solco tracciato dagli antenati, per far sì che le generazioni future non perdano la conoscenza e la saggezza contadina, frutto di secoli di esperimenti.

H&M Conscious | Abbigliamento

Anche le grandi aziende multinazionali possono contribuire con i loro prodotti e con le loro scelte commerciali a garantire la sostenibilità ambientale ma, soprattutto per l’impatto che hanno su un gran numero di consumatori, a sviluppare una diffusa coscienza ecologica.

H&M – la famosa multinazionale svedese dell’abbigliamento – per la primavera-estate 2013 ha messo in commercio la Conscious Collection e la Conscious Exclusive, collezioni di vestiti e accessori non solo prodotti con tessuti biologici, ma anche caratterizzata dalla ricerca di una filiera produttiva sostenibile.

HM Conscious ExclusiveInoltre H&M, in questo contesto della Conscious Collection e della Conscious Exclusive, ha messo in campo anche un’iniziativa interessante di raccolta dei vestiti usati, indipendentemente dalla marca. La motivazione consiste nel fatto che, anziché far finire del materiale in gran parte ancora utilizzabile nelle discariche o negli inceneritori, H&M, in cambio di un buono sconto, si impegna a consegnare gli abiti raccolti al più vicino impianto di trasformazione. Gli abiti ancora buoni verranno riusati oppure verranno riciclati i tessuti.

Aniwell | Alimenti per animali

Gli animali da compagnia rappresentano un’importantissima fonte di benessere per le persone ma la loro gestione, soprattutto negli appartamenti e nelle città, può contribuire anche in maniera elevata a non garantire adeguata sostenibilità ambientale. Si pensi all’agricoltura, all’allevamento e alla pesca da cui si ottengono le materie prime; si pensi alla produzione, al trasporto e agli imballaggi dei prodotti; si pensi ai prodotti cosmetici, per la pulizia e l’igiene.

Il progetto Aniwell – Benessere bestiale nasce per offrire ai nostri amici a quattro zampe – cani e gatti – un’alimentazione sana, biologica, gustosa e poco impattante sull’ambiente.

Nelle ricette Aniwell ha privilegiato la carne e il pesce freschi, i prodotti da agricoltura biologica, il giusto dosaggio degli ingredienti senza usare conservanti artificiali, coloranti o additivi. In più Aniwell non usa nessun riempitivo: i prodotti hanno un’alta percentuale di carne senza la presenza di sottoprodotti. Inoltre non scatenano reazioni allergiche dovute alla presenza di residui chimici e di glutine di frumento e vengono conservati in modo naturale attraverso estratti di erbe aromatiche oppure attraverso la vitamina E (alpha-tocoferolo).

Aniwell dichiara che per questioni di corretta conservazione di prodotti le confezioni di prodotti secchi (crocchette) sono al massimo di 5 Kg per i cani e di 2 Kg per i gatti. Sacchi più grandi potrebbero comprometterne la giusta conservazione che può influire sull’igiene e la salubrità dei prodotti.

È possibile acquistare i prodotti Aniwell solo on-line perché la sua politica commerciale non prevede la distribuzione nei negozi.

cruelty freeAniwell aderisce al progetto PETA (People for the Ethical Treatement of Animals) e si dichiara 100% Cruelty Free perché non effettua e non commissiona test sugli animali per i propri prodotti e per le materie prime che li compongono.

Perlage | Vini biologici

Perlage, un’azienda vitivinicola che opera nella zona del Prosecco Superiore di Conegliano DOCG, nasce nel 1985 quando i fratelli Nardi, precursori in quest’ambito, hanno deciso di iniziare l’avventura dell’agricoltura e della viticoltura biologica e biodinamica.

Perlage ha operato una scelta molto importante nell’ambito della naturalità e della sostenibilità ambientale che coinvolge l’intero processo produttivo. Essa inizia con la coltivazione del terreno più adatto per ogni singolo vitigno, si protrae nella cura in ogni pratica agronomica sui vigneti, si conclude nella vinificazione, nella conservazione e nella distribuzione del vino.
Come dichiara Perlage sul proprio sito internet, la produzione del vino avviene nel rispetto del seguente decalogo ecologico:

  • Rispetto della vita: i vigneti di collina sono disetanei, ovvero le piante vivono la loro vita fisiologica non industriale, nel rispetto del ciclo della natura.
  • Compost: la concimazione del vigneto è realizzata col solo impiego di compost vegetale ed animale.
  • Poco rame: la difesa dei vigneti è effettuata impiegando basse quantità di rame e nessun pesticida.
  • Pannelli solari: l’acqua calda utilizzata in cantina è ottenuta da una batteria di  pannelli solari.
  • Energia verde: l’energia elettrica di tutta la cantina proviene esclusivamente da fonti rinnovabili.
  • Risparmio energetico: nella linea di imbottigliamento è in corso la sostituzione i vecchi motori elettrici con motori più moderni a minor consumo.
  • Risparmio dell’acqua: la sciacquatrice della linea di imbottigliamento permette di riutilizzare l’acqua attraverso un innovativo sistema di filtraggio.
  • Packaging più riciclabili: per alcuni vini è stato introdotto il tappo a vite: la bottiglia è più facile da aprire, è eco – friendly, e riciclabile!
  • Posate in materiale ecologico: nelle nostre feste vengono impiegate posate e piatti di Mater B (un polimero vegetale che si smaltisce nel compost organico).
  • Carta riciclata e poco inchiostro: Il nostro catalogo viene prodotto con carta riciclata ed è stampata con il font Spranq Eco per il minor utilizzo di inchiostro!

Vino Perlage