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Trivella SI, trivella NO, se famo du spaghi
“Trivella SI, trivella NO, se famo du spaghi!?”.
Parafrasando la bellissima canzone La Terra dei Cachi di Elio e le Storie Tese (1) vorrei esprimere anche la mia modesta opinione, nel mare magnum dell’informazione, sul referendum del prossimo 17 aprile – il primo chiesto dalle Regioni – relativo ad un aspetto piuttosto tecnico riguardante il fatto se i permessi per estrarre idrocarburi in mare, entro 12 miglia dalla costa, debbano durare fino all’esaurimento del giacimento (come avviene ora) oppure fino alla fine della concessione. In pratica se il referendum dovesse avere una prevalenza di si (oltre al superamento del quorum del 50% degli aventi diritto), le piattaforme presenti in mare a meno di 12 miglia dalla costa dovranno essere smantellate una volta scaduta la concessione o quest’ultima dovrà essere rinegoziata.
Lasciando perdere le tristi vicende giudiziarie di queste ultime settimane che hanno presumibilmente collegato ministri, fidanzati dei ministri, speculatori, compagnie petrolifere e investimenti pubblici a episodi di (solita) malapolitica e di (solito) malaffare, vorrei concentrarmi invece su alcuni aspetti tecnici che possano far ben comprendere come le situazioni che si verificherebbero con la vittoria dei no o dell’astensionismo (quelle a esaurimento del giacimento) non servano né all’Italia né agli italiani. Anzi.
Innanzitutto è da dire che inevitabilmente estrarre olio fossile o metano dal mare potenzialmente inquina, in vario modo, lo stesso, i suoi abitanti e coloro che lo frequentano saltuariamente per svago e per sport (cioè noi). Tale inquinamento è senza dubbio più elevato quando si estrae petrolio e nelle aree vicine alle piattaforme, ma si può anche diffondere fino a raggiungere le rive e i fondali. Inoltre vi possono anche essere gravi incidenti che possono compromettere con abbondanti fenomeni di inquinamento enormi aree di mare e di coste.
In secondo luogo è importante osservare che gran parte delle piattaforme entro le 12 miglia (92 in totale) estraggono soprattutto metano. Secondo i dati del Ministero dello Sviluppo Economico nel 2015 queste piattaforme hanno contribuito al 28,1% della produzione nazionale di gas e al 10% di quella petrolifera. In relazione all’entità dei consumi nazionali di tali idrocarburi e dal momento che una parte delle concessioni è attribuita ad aziende straniere, tali percentuali crollano fino ad arrivare a soddisfare fra il 3 e il 4 per cento dei consumi nazionali di gas e l’1 per cento di quelli di petrolio. Un’inezia! L’Italia quindi è fortemente dipendente dalle importazioni estere e le nostre piattaforme fanno ben poco per i nostri consumi. A mio avviso forse sarebbe meglio che le esigue disponibilità nazionali di idrocarburi [si veda il grafico n. 2] fossero tenute a riserva per fronteggiare eventuali crisi mondiali (energetiche e non) future, che potrebbero essere molto probabili.
Dal quadro di cui sopra si evince che l’unica vera strada da percorrere in ambito energetico – strada che hanno ad esempio percorso paesi come la Norvegia, molto più dotati di idrocarburi rispetto all’Italia – è solo quella di investire nelle energie rinnovabili. Purtroppo l’impulso positivo verso questo settore (che, in termini netti, necessita di più manodopera impiegata) iniziato negli anni passati con gli incentivi e che aveva visto l’Italia essere all’avanguardia a livello mondiale, per colpa di decisioni politiche sbagliate si sta esaurendo e i risultati sono, a partire dal 2014, quelli di una netta diminuzione della produzione [si veda il grafico n. 1]. Secondo quanto osserva il GSE (Gestore dei Servizi Energetici) nel 2015 le cosiddette fonti alternative hanno contribuito a soddisfare il 17,3% dei consumi nazionali di energia. E il dato è in costante aumento se si pensa che nel 2004 la quota rinnovabile di energia era solo del 6,3%.
Alla luce di tutto questo mi sembra che non ci siano dubbi: al referendum del prossimo 17 aprile l’unica soluzione praticabile è quella di VOTARE SI.
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(1) La canzone, per chi la conosce, sintetizza bene quello che sta succedendo intorno al referendum del prossimo 17 aprile. Si tratta del solito mix a cui noi italiani siamo ben abituati – al di là del colore politico di chi governa – di ipocrisia, di qualunquismo, di ignoranza e di malaffare. La Terra dei Cachi, insomma, dove “Italia si’ Italia no Italia gnamme, se famo du spaghi. / Italia sob Italia prot, la terra dei cachi. / Una pizza in compagnia, una pizza da solo; / Un totale di due pizze e l’Italia e’ questa qua…”.
Fonte: L’Espresso; Legambiente; Marco Pagani (grafici)
2067. La fine del petrolio
La BP (British Petroleum) non è certo la più rivoluzionaria delle aziende e nemmeno la più ecologica presente sul mercato. Si tratta, piuttosto, di una delle più importanti aziende energetiche a livello mondiale, operante prevalentemente nel campo del petrolio e del gas naturale.
Eppure, nella 63^ edizione della Statistical Review of World Energy, proprio la BP ha recentemente affermato che, sulla base dell’attuale tasso di produzione, alla fine del 2013 erano disponibili riserve di petrolio equivalenti a 1.687,9 miliardi di barili. Il che equivale, in pratica – a meno che il tasso attuale di consumo non cali drasticamente – al fatto che l’umanità ha a disposizione petrolio per altri 53 anni (fino al 2067, mese più mese meno) (1) che saranno in grado di soddisfare, al massimo, un paio di generazioni di uomini capricciosi e sedentari.
È da osservare anche il fatto che, mentre nel 2013 i consumi mondiali sono cresciuti dell’1,4%, la produzione, invece, ha visto un incremento solo dello 0,6%, pari a poco meno della metà. La maggiore crescita nei consumi, poi, si è avuta negli USA con un incremento di 400 mila barili di petrolio al giorno superando, per la prima volta dal 1999, la Cina ferma a 390 mila barili. A livello di incremento delle riserve di petrolio i migliori risultati li ha raggiunti la Russia con 900 milioni di barili annui seguita dal Venezuela con 800 milioni. Un’ultima osservazione riguarda, poi, il prezzo del barile di petrolio (che poi influenza il prezzo di vendita dei carburanti per l’utente finale) che, negli ultimi 3 anni, è rimasto sempre al di sopra dei 100 dollari a barile, dato che è significativo per dimostrare che oramai il petrolio è un bene sempre più difficile da reperire e oggetto di speculazione finanziaria.
Che cosa significa tutto ciò? Significa che l’ubriacatura dell’energia “facile” (da produrre, da stoccare, da trasportare e relativamente poco pericolosa) sta finendo (cosa saranno mai un paio di generazioni?) e, alla fine, se non saremo in grado di anticipare seriamente già ora le soluzioni per il futuro, a terra potranno rimanere solo macerie.
Cosa potrebbe accadere se in pochi anni dovesse raddoppiare il prezzo del petrolio? Cosa potrebbe accadere a livello economico e sociale se in breve tempo dovessero fallire gran parte delle aziende produttrici di automobili, già ora in crisi? Cosa potrebbe accadere se, in questi 20/30 anni che ci separano dalla vera crisi petrolifera, la tecnologia non sarà stata in rado di dare delle risposte accettabili in termini di energia per il settore dei trasporti? Cosa potrebbe accadere a livello geopolitico se tra qualche decennio le riserve di petrolio saranno nelle mani di pochi paesi e di poche persone?
Forse sarebbe meglio cercare, già da ora, di mettere in atto azioni che ci portino “dolcemente” verso: l’abbandono del petrolio (possibilmente molto prima che si esaurisca); il tramonto del mercato automobilistico e del sistema di trasporti come lo abbiamo conosciuto sino ad ora. Ne beneficerebbe anche l’ambiente e il clima. Bisogna, ad esempio, iniziare ad educare alla sobrietà nei consumi e disincentivare fortemente, attraverso un’elevata tassazione, le auto inquinanti e l’uso di energie inquinanti. Bisogna spingere le persone ad usare più mezzi pubblici, evitando innanzitutto la frequentazione dei centri storici delle città da parte alle auto private. Bisogna far sì che le persone accettino nuove forme di condivisione dei trasporti, nuove forme di mobilità e nuove forme di approvvigionamento energetico per le auto.
In pratica il sistema dei trasporti deve essere riprogrammato sin da ora e ogni anno di ritardo che ci separa dal fatidico 2067 rappresenterà una maceria in più che troveremo sul terreno della nostra stupidità.
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(1) Nell’articolo “E se finisse il ferro” la USGS (United States Geological Survey) ipotizzava il 2050 come anno di esaurimento del petrolio
Sarà lui la soluzione o sarà lui il problema?
“È impossibile andare a parlare di energia e ambiente in Europa se nel frattempo non sfrutti l’energia e l’ambiente che hai in Sicilia e in Basilicata. Io mi vergogno di andare a parlare delle interconnessioni tra Francia e Spagna, dell’accordo Gazprom o di South Stream, quando potrei raddoppiare la percentuale del petrolio e del gas in Italia e dare lavoro a 40 mila persone e non lo si fa per paura delle reazioni di tre, quattro comitatini”. (1)
Diceva di voler cambiare il Paese ma, purtroppo, il suo pensiero sa ancora di vecchio, di stantio. Sa di muffa, quella patina che avvolge le cose, per un po’ le conserva e sembrano buone ma poi… puff… le fa avvizzire improvvisamente!
Sinceramente da un giovane politico, con così tanta fiducia tra la gente, mi aspettavo qual cosina in più in termini di energia e ambiente.
Anche se le premesse negative sull’argomento c’erano tutte [vedi il video], non mi sarei mai aspettato che volesse fondare lo sviluppo del futuro del Paese su qualche bucherello per estrarre miseri barili di petrolio di bassa qualità e gli stesse così poco a cuore l’ambiente da avere in testa solo l’idea di sfruttarlo, non di proteggerlo.
Caro Matteo Renzi, quello che serve veramente per il futuro del Paese non è il defunto petrolio, ma sono le energie rinnovabili che sono in forte crescita in tutto il mondo. Caro Matteo Renzi per far ripartire il paese e la fiducia delle persone non è sufficiente il regalo temporaneo di qualche decina di euro o la promessa di fantomatici posti di lavoro (2) nelle fonti fossili che, se ci saranno, avranno durata breve. Quello che veramente serve è il fatto di CREDERE e di sostenere chi ha nuove e buone idee, lasciando da parte le vecchie lobby di potere che incancreniscono il sistema e infestano la politica. Caro Matteo Renzi, se vuoi veramente essere un amministratore innovativo e intelligente, per cambiare il Paese e creare occupazione devi andare in Europa e dire che, a partire da ora, l’Italia investirà solo sulle energie rinnovabili e che la combustione per la produzione di energia sarà solo un metodo temporaneo che andrà pian piano ad esaurirsi.
In ballo, caro Matteo Renzi, c’è il futuro e la salute dei nostri figli. Anche dei tuoi.
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(1) Intervista di Matteo Renzi al “Corriere della Sera” del 13 luglio 2014
(2) il dato dei 40.000 posti di lavoro in Italia nell’estrazione del petrolio deriva dall’Assomineraria, che non si può dire sia del tutto indipendente e super partes sull’argomento.
Immagine: Pawel Kuczynski
Le rinnovabili abbassano i prezzi e fanno risparmiare energia
Ricordo quando, nei dibattiti di qualche tempo fa, si discuteva in merito agli incentivi per le rinnovabili e molti – soprattutto politici, opinionisti da quattro soldi, giornalisti, imprenditori e prestanome di speculatori – sostenevano che con gli incentivi statali i costi per l’energia sarebbero stati più elevati e che gli incentivi non erano altro che un buco nero che non avrebbe prodotto alcun beneficio né al sistema economico italiano né alla sostenibilità ambientale. Ricordo quando dicevano che il costo più elevato dell’energia rispetto agli altri paesi europei avrebbe paralizzato il sistema economico e avrebbe reso il nostro sistema produttivo non competitivo (1). In effetti il loro vero obiettivo era quello di venderci, con malizia e falsità, il nucleare, gli inceneritori, il CIP6, il carbone “pulito”, l’olio combustibile e il petrolio quali fonti energetiche “alternative” e “green”. Noi, che la materia un po’ la mastichiamo, lo sapevamo già ma sono stati in molti a mettersi i prosciutti negli occhi e credere a queste falsità.
Ora, però (e finalmente, dico io), sono usciti i dati che riportano un po’ di giustizia sulla materia e che certificano come stiano veramente le cose. Il Rapporto IREX 2014, elaborato dalla società Althesis con il patrocinio del GSE (Gestore Servizi Energetici) ha certificato che lo sviluppo capillare delle rinnovabili sta cambiando i modelli di produzione e di consumo. Da un lato si affacciano sul mercato i Sistemi Efficienti di Utenza (SEU) che abbattono le perdite di distribuzione, cresce l’autoconsumo e si iniziano a diffondere sistemi di accumulo i quali, assieme, rappresentano la manifestazione di una rete distribuita di produzione e di smart grid, cioè sistemi che consentono di essere contemporaneamente produttori e consumatori di energia e che riducono notevolmente gli sprechi creando efficienza. Dall’altro lato lo sviluppo delle rinnovabili ha consentito di ottenere un effetto benefico sul prezzo all’ingrosso dell’elettricità che è diminuito per effetto dell’abbassamento del costo nei momenti di picco. Tale fenomeno ha consentito un risparmio annuale quantificabile in circa un miliardo di euro.
In merito alla valutazione della crescita delle rinnovabili il Rapporto IREX recita: “La valutazione degli effetti della crescita delle rinnovabili sull’intero sistema italiano rimane al centro del dibattito politico e industriale. L’analisi costi-benefici, che parte dal 2008 e che abbraccia uno scenario al 2030, mostra un saldo positivo compreso tra 18,7 e 49,2 miliardi di euro. Tale risultato, nel minimo in linea con quello dell’anno scorso, sconta il minor valore che il mercato attribuisce al fattore ambientale. Il prezzo degli EUA (Diritti di Emissione, ndr) ai quali è valorizzata la riduzione delle emissioni (fino a 83 milioni di ton di CO2 in meno al 2030), è infatti calato di oltre il 40% nel 2012. Sono però notevolmente cresciuti i benefici tangibili dovuti alla riduzione dei prezzi sui mercati elettrici (peak shaving) attribuibili al fotovoltaico, passati dai 400 milioni di euro del 2011 a oltre 1,4 miliardi di quest’anno. L’indotto e l’occupazione sono le altre principali voci positive del bilancio.”
Alla luce di questi dati c’è ancora qualcuno che pensa che investire nelle rinnovabili e nella sostenibilità ambientale rappresenti un freno per l’economia?
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(1) I sostenitori degli incentivi, invece, (tra cui, modestamente, c’ero anch’io) ritenevano che un tale progetto avrebbe contribuito a creare un sistema di produzione energetica più flessibile e più efficiente, più democratico perché distribuito tra un grande numero di produttori-cittadini, più moderno a sostegno dell’industria nazionale e dell’occupazione di qualità, più sostenibile e più competitivo dal punto di vista dei costi di produzione. E così, in effetti, è stato.
Verso l’eolico
“Verso l’eolico” è un breve video di animazione che tratta l’argomento dell’energia eolica in Sardegna.
L’autore Nicola Vargiu si chiede che cosa sia l’energia eolica, quanto inquini un parco eolico e se sia possibile produrre l’energia eolica senza deturpare il paesaggio. Le sue risposte sono assolutamente positive: poco rumore, basso inquinamento elettromagnetico e nessun campo elettrico. Inoltre l’autore esprime la propria convinzione relativamente alla sostenibilità di tale tipologia di energia facendo riferimento al “Protocollo per la realizzazione di un buon eolico” redatto nel 2002 da ANEV (Associazione Nazionale Energia del Vento), Legambiente, Greenpeace e WWF che prevede:
- un controllo totale su territorio, flora e fauna;
- una costante manutenzione della viabilità di accesso al parco eolico;
- la dismissione totale degli impianti a fine ciclo di vita;
- l’esclusione delle aree a particolare pregio e tutela.
Il video è è patrocinato dall’Università degli Studi di Sassari e pone l’accento sulle potenzialità per questo tipo di energia della Sardegna – la regione più ventosa d’Italia – nella quale, però, lo sviluppo di una politica energetica basata sull’eolico è stata frenata da burocrazia, dalle resistenze dei cittadini alle modifiche del paesaggio e da interessi illeciti verso questo business.
La natura funziona ad energia cinetica e pertanto Bioimita non può che essere favorevole alla realizzazione di un buon eolico.
Verso l’eolico from Nicola Vargiu on Vimeo.
Il GSE certifica l’aumento dell’energia da fonti rinnovabili
Il dato, limpido e trasparente, è certificato dal GSE (Gestore Servizi Energetici): in 5 anni (dal 2008 al 2012) il consumo interno lordo (1) di energia da fonti rinnovabili è passato dal 16,5% al 27,1%. Un incremento del 10,6% che dimostra – a dispetto dei “soliti” detrattori che in più occasioni hanno detto maliziosamente un mucchio di falsità e fornito dati sbagliati – come l’investimento da parte dello Stato nell’ambito dell’energia pulita, anche attraverso gli incentivi, sia stato estremamente positivo ed abbia dato buoni frutti.
Tali positività sono rappresentate, in primis, dal minor impatto sull’ambiente (meno CO2, meno inquinamento da combustione). Inoltre sono anche da valorizzare:
- i minori sprechi (i piccoli impianti sono più efficienti e dissipano meno calore);
- la maggiore distribuzione della produzione con conseguenti benefici sulla manodopera e sul lavoro;
- la migliore gestione della rete di distribuzione.
Il totale di energia prodotta da fonti rinnovabili nel 2012 è stato di 92.222 GWh con una potenza installata di 47.345 MW. La prima fonte è l’idroelettrico; seguono solare, eolico, bioenergie e geotermico.
L’idroelettrico – si legge dai dati diffusi dal GSE – ha raggiunto nel 2012 una produzione di 41.875 GWh. Il solare è arrivato a sfiorare i 19.000 GWh, (18.862 GWh). L’energia eolica ha toccato i 13.407 GWh, quella delle bioenergie i 12.487 GWh e la geotermica a 5.592 GWh. Per quanto riguarda la potenza installata, l’idroeletrico nel 2012 è arrivato a 18.232 MW, il solare a 16.420 MW, l’eolico a 8.119 MW, le bioenergie a 3.802 MW, la geotermica a 772 MW.
In tutti questi numeri il dato più interessante è rappresentato dal solare che in 5 anni è passata da una produzione di 193 GWh a 18.862 GWh. Non male per una tecnologia nuova che, anche se fortemente e a volte male incentivata, sta dando filo da torcere a una produzione pluricollaudata come quella idroelettrica.
Mi sa proprio che Bioimita ha ragione quando afferma che il “Progresso è imitazione della natura”.
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(1) Produzione lorda di energia + Saldo estero – Produzione da pompaggi
Ecodriving
Il Ministero dello sviluppo economico, il Ministero dell’Ambiente e il Ministero dei Trasporti hanno da poco pubblicato la “Guida 2013 al risparmio di carburanti e alle emissioni di CO2 delle auto”.
Il documento è molto lungo e di difficile lettura per un non esperto perché elenca, auto per auto, modello per modello, in una infinita sequenza di pagine, i consumi dichiarati di CO2.
Interessante, però, è quella parte in cui vengono dati agli automobilisti, in pillole, i 10 consigli pratici per una guida ecocompatibile (ecodriving) da applicare giorno per giorno.
- Accelerare gradualmente
- Inserire al più presto la marcia superiore tenendo il motore a bassi giri
- Mantenere una velocità moderata e il più possibile uniforme
- Guidare in modo attento e morbido evitando brusche frenate e cambi di marcia inutili
- Decelerare gradualmente rilasciando il pedale dell’acceleratore con la marcia innestata
- Spegnere il motore quando è possibile, ma solo a veicolo fermo
- Mantenere sempre la pressione e il gonfiaggio degli pneumatici entro i valori raccomandati
- Rimuovere porta-sci e portapacchi quando non necessari e tenere nel baule solo gli oggetti necessari
- Utilizzare i dispositivi elettrici solo per il tempo necessario
- Limitare l’uso del climatizzatore.
Si stima che una guida intelligente ed una corretta gestione dell’autovettura possano consentire di ridurre i consumi e le emissioni di CO2 del 10-15%, migliorando anche la sicurezza sulla strada.
Efficienza è una parola chiave nell’ambito della bioimitazione e può essere perseguita, oltre che mediante soluzioni tecniche e progettuali, anche attraverso comportamenti individuali virtuosi.
Se vi interessa poco la CO2 e le alterazioni del clima, così difficili da percepire, almeno pensate al vostro portafoglio e risparmiate un po’ di denaro. Il che, in questi tempi di crisi, non è male!
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10 consigli di ecodriving – [Per approfondire scarica il pdf]
Le lampade a LED ci rubano il sonno
L’illuminazione artificiale – sia quella pubblica disseminata sul territorio sia quella privata presente nelle case – rappresenta un’importante causa di privazione del sonno che può avere conseguenze importanti sulla salute in generale. Si va dal maggior rischio di obesità e diabete a causa del fatto che la veglia prolungata induce a mangiare di più, ben oltre le necessità energetiche dell’organismo; si arriva al maggior rischio di avere problemi di natura neurologica e comportamentale, come la scarsa attenzione, concentrazione e apprendimento fino ad arrivare all’incremento dello stato di ansia e di depressione. Si giunge infine anche al rischio di avere malattie cardiocircolatorie come infarti e ictus. Insomma dormire è molto importante per una vita sana tanto che si possono avere effetti importanti anche sul sistema immunitario.
In generale la scienza ha osservato che stare svegli più a lungo altera l’espressione di centinaia di geni che incidono fortemente sul benessere e sulla salute delle persone. E le lampade a LED, che vengono considerate un’importante soluzione in termini di efficienza energetica, potrebbero anche peggiorare la situazione.
La luce a LED bianca è, infatti, ricca delle componenti blu-verde dello spettro luminoso che sono proprio quelle a cui sono più sensibili le cellule gangliari della retina che trasmettono al cervello le informazioni relative al ritmo sonno-veglia (ritmo circadiano). Il risultato sarà allora il seguente: l’illuminazione artificiale (in particolare quella a LED, compresi i televisori e i computer che si basano sempre di più su questa tecnologia) segnalerà sempre di più al nostro cervello che non è ancora giunta l’ora di dormire con la conseguenza di farci perdere ogni giorno, mese dopo mese, anno dopo anno, preziose ore di sonno.
La soluzione, già all’attenzione dei progettisti e dei produttori, potrebbe essere quella di correggere la componente blu-verde delle luci a LED con un’emissione più orientata verso la tonalità giallo-arancio.
Si deve però osservare il fatto che un’importante contributo al mantenimento della salute non si può delegare solo alla tecnica ma deve far parte anche di un atteggiamento di maturità critica e culturale delle persone che, da un lato, le porta ad avere rispetto per il riposo anche attraverso l’elaborazione di un senso del limite per la veglia e per l’eccessiva illuminazione delle case e, dall’altro, le spinge a richiedere una minore quantità di illuminazione pubblica.
Le problematiche in discussione evidenziano il fatto che i fenomeni che riguardano gli equilibri ecologici e quelli del benessere psico-fisico delle persone sono estremamente complessi e che lavorare solo in un unico ambito (nel caso delle lampade a LED sul solo versante della mera efficienza energetica) può far perdere di vista l’obiettivo di ottenere miglioramenti che riguardino entrambi gli aspetti.
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Fonte: “Le Scienze”
Lampione. Ma quanto ci costi?
Quanto ci costa, in termini economici e in termini di inefficienza energetica, illuminare le nostre città di notte?
Per tenere accesi lampioni e semafori le amministrazioni italiane spendono oltre 1 miliardo di euro l’anno, pari a circa 20 euro per ogni abitante del Bel Paese. Secondo l’ENEA (Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile) le luci stradali notturne consumano circa il 12% di tutta l’energia impiegata per l’illuminazione in generale. Gran parte viene utilizzata per i lampioni (90%) mentre una minima parte va a finire nei semafori (10%).
Al di là dell’aspetto economico (ad es. un Comune di 10.000 abitanti spende indicativamente 200 mila euro l’anno), ciò che questi dati dimostrano è l’inefficienza energetica e gli sprechi che tale pratica incarna, spesso dovuta a vecchie tecnologie, a mancati investimenti, a incapacità della classe politica di fare delle scelte adeguate, all’idea della sicurezza cavalcata da alcuni movimenti ideologici, alla pratica elettorale di accontentare tutti i cittadini (anche quelli che vivono in luoghi isolati) per ottenere voti e consenso.
I risultati, dopo decenni di mediocrità generalizzata, sono i seguenti: in Italia vi è un consumo annuo di energia pro capite per illuminazione pubblica pari a 105 kWh, più del doppio rispetto a quello della Germania che si attesta intorno a 42 kWh. Punto!
Per invertire la rotta e consentire risparmi generalizzati, tanto salutari sia per i bilanci comunali (e indirettamente per diminuire la pressione fiscale) che per la sostenibilità ambientale ottenuta attraverso l’efficienza energetica, sarebbe necessario iniziare da subito ad applicare le seguenti iniziative:
- razionalizzare la quantità di lampioni a quelli strettamente necessari (*);
- migliorare i corpi illuminanti dei lampioni installando tecnologie meno energivore;
- applicare tecnologie di controllo dei lampioni che consentono di regolare l’intensità dell’illuminazione sia sulla base dell’ora della notte (in piena notte è meno necessario illuminare) che al traffico di auto e dei pedoni presenti;
- impiegare maggiormente tecnologie a pannelli fotovoltaici con sistemi di accumulo dell’energia per consentirne utilizzi notturni.
«Si stima che con l’attuazione di interventi idonei a rendere il sistema più efficiente – spiega Giovanni Lelli, commissario ENEA – si possano ridurre i consumi del 30%, con una diminuzione consistente del fabbisogno di energia che comporterebbe un risparmio economico di circa 400 milioni di euro ogni dodici mesi».
È vero che dobbiamo riformare i costi della politica e della “casta”, ma i veri danni che i cattivi amministratori fanno sono più quelli che paralizzano l’innovazione e l’efficienza attraverso scelte senza senso o, peggio, fatte solo nell’ottica di aiutare gli amici degli amici degli amici.
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(*) l’illuminazione notturna necessaria è quella urbana e quella agli incroci che consente sicurezza a pedoni biciclette, mentre è del tutto superflua quella sulle strade secondarie.
Global Wind Day (Giornata Mondiale del Vento)
Siamo oramai giunti alla settima edizione del “Global Wind Day”, la Giornata Mondiale del Vento, che si terrà oggi, 15 giugno.
Per fornire qualche dato interessante, nel 2012, a livello mondiale, la produzione di energia dal vento ha raggiunto i 520 TWh (di cui 200 TWh di produzione europea) e sta crescendo con andamento esponenziale tanto che, alle cifre attuali, raddoppierà in 3 anni.
L’energia prodotta dal vento è un’energia pulita che, nel rispetto del 1° principio della bioimitazione, direttamente non produce alcun gas climalterante (CO2 o metano) e alcun inquinamento. Inoltre essa è generatrice di lavoro distribuito sul territorio, sia in fase di installazione delle pale che in fase di manutenzione periodica delle stesse.
Eppure, nonostante ciò, secondo il Global Wind Energy Council (GWEC), per ogni euro di finanziamento governativo alle energie rinnovabili, le energie fossili ricevono ben 6 euro.
Per far sentire la propria voce e le proprie sacrosante ragioni basate sulla sostenibilità ambientale e sul benessere sociale, il GWEC ha lanciato un appello al G8 che si terrà la prossima settimana a Belfast, chiedendo ai Capi di Stato che venga ridotto progressivamente il sostegno pubblico alle fonti fossili (petrolio, gas e carbone) ed venga aumentato contestualmente quello nei confronti delle fonti rinnovabili. Quelle vere, che non includono l’incenerimento dei rifiuti.
Per dare peso alle proprie richieste il GWEC ha creato una campagna di sensibilizzazione dei cittadini e della politica.
Non perdere l’occasione di essere parte del cambiamento. Aderisci anche tu!
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Fonte: EcoAlfabeta
ll parco eolico autostradale
Qualche anno fa, percorrendo frequentemente l’autostrada A4 per motivi di lavoro, ne vedevo un prototipo installato non lontano da un cavalcavia. Dopo una prima fase di dubbio nella quale mi chiedevo cosa fosse, ho capito che la strana turbina verticale che ruotava al passaggio del traffico non poteva essere che un’originale strumento per la produzione di energia elettrica.
In effetti, come riporta “la Repubblica”, l’idea è venuta nel 2010 a tre amici durante una cena a Verona (la mia città) dove hanno immaginato di produrre energia in un modo particolare, cioè sfruttando quel fastidioso (e pericoloso) spostamento d’aria prodotto dal traffico autostradale, in particolare quello dei camion.
Dopo 3 anni di sperimentazioni i risultati sono stati abbastanza incoraggianti ed ENEL ha deciso di investire 250 mila euro nella ATEA, la start-up di Giovanni Favalli, Stefano Sciurpa e Gianluca Gennai, con l’impegno di investirne altri 400 mila qualora i risultati si rivelino positivi. In particolare il prototipo iniziale, costituito da una turbina dalla potenza nominale di 2,2 kW e un diametro di vela di 1,2 m, ha prodotto giornalmente 9 kWh di energia che, dopo alcune modifiche intervenute, è arrivata a 12 kWh. Il che equivale a dire che, in circa 250 giorni utili di produzione, sia stato soddisfatto il fabbisogno annuale di una famiglia media.
Il passo successivo sarà quello di sperimentare una turbina più potente da 9,2 kW e, se i risultati saranno buoni, quello di installare un piccolo parco eolico autostradale costituito da 10 pale eoliche a 50 m l’una dalle altre.
L’obiettivo è naturalmente quello di sfruttare l’energia cinetica prodotta dallo spostamento d’aria degli automezzi che sfrecciano in autostrada (1) (un’energia che altrimenti andrebbe sprecata) per azionare il moto rotatorio di una turbina ad asse verticale e, in tal modo, produrre energia elettrica “eolica”. L’idea, anche se non risolverà la fame di energia del mondo moderno, è molto buona per le seguenti ragioni:
- sfrutta un’energia, quella cinetica, che in sé può essere definita “pulita”
- sfrutta un’energia che altrimenti andrebbe perduta
- alimenta la rete con un’energia prodotta da una fonte alternativa rispetto a quelle già impiegate (maggiori sono le fonti maggiore sarà la sicurezza di approvvigionamento)
- sviluppa un sistema tecnico-economico locale, fatto soprattutto di conoscenza.
Anche se l’idea non è del tutto nuova speriamo che il progetto possa proseguire nel suo cammino evolutivo e non trovi troppe resistenze (soprattutto da parte di qualche lobby) perché, anche se limitato, rappresenta pur sempre una goccia che, assieme a molte altre, contribuisce a costruire l’oceano (della sostenibilità).
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(1) Dati statistici del 2010 ponevano l’Italia al secondo posto in Europa per volume di traffico circolante sulla rete stradale e autostradale.
La TV a luci… rosse
Nessun riferimento, nel titolo, va alla pornografia o alla miriade di programmi volgari che affollano i palinsesti televisivi delle reti locali durante le ore notturne nei quali si pubblicizzano cosmetici o altri ritrovati miracolosi dalle dubbie proprietà sessuali oppure nei quali si sperimentano le più svariate forme di intrattenimento erotico.
Il riferimento è, invece, più semplicemente rivolto al funzionamento di base dell’elettrodomestico televisione (ma anche di molti altri) e alla sua voracità energetica anche da spento (ops, in modalità stand-by), ossia con la lucina (normalmente rossa) accesa.
A tale riguardo una prima considerazione deve andare all’energia (in particolare a quella elettrica), alle diverse fonti per produrla e alle problematiche ambientali ad esse legate nonché, infine, ai concetti di efficienza e di risparmio.
L’energia è da sempre un bene indispensabile per la nostra vita quotidiana. Con l’energia scaldiamo e rinfreschiamo le nostre case, facciamo funzionare i mezzi di trasporto e una moltitudine di altri impianti e attrezzature che risultano utili per realizzare numerosissime attività. Non avendo più alcun rapporto diretto con le fonti di energia (nessuno va più a raccogliere la legna nel bosco o compie lunghi spostamenti a piedi o in bicicletta e “assapora” la vera fatica) la maggior parte di noi considera l’energia come qualcosa di infinito e di indefinitamente replicabile il cui uso (o abuso) è pressoché ininfluente rispetto all’ambiente in cui viviamo.
Nella realtà dei fatti, però, le cose non stanno così!
A fronte di un costante aumento della domanda di energia a livello mondiale, le fonti fossili non rinnovabili – principale combustibile impiegato per la produzione di energia – vanno via via esaurendosi ed il loro utilizzo influisce pesantemente sul bilancio chimico-fisico della Terra. Infatti la produzione ed il consumo di energia sono le cause di una profonda alterazione dell’ambiente che porta con sé anche conseguenze molto gravi. La prima è l’inquinamento locale di aree geografiche ben precise dove sono presenti le centrali; la seconda sono i cambiamenti climatici globali oramai sempre più studiati e sempre più provati scientificamente.
Non sono esclusi da tali problematiche ecologiche né gli inceneritori che bruciano rifiuti, né le centrali nucleari con il loro pericolo attuale e con il loro debito verso le generazioni future rappresentato dalle scorie. Ma, in più, da possibili alterazioni più o meno gravi non sono escluse nemmeno forme più sostenibili di produzione energetica quali il fotovoltaico, l’eolico e l’idroelettrico.
In merito all’energia e alle problematiche ad essa connesse la natura ci insegna una cosa molto semplice: l’energia è difficile da reperire e, pertanto, se ne deve fare un buon impiego attraverso il risparmio (non uso) e l’efficienza. Punto!
Ritornando alle luci… rosse ecco che quindi è necessario privilegiare, in fase di acquisto, elettrodomestici che prevedano la possibilità di essere spenti mediante il tasto “OFF” oppure, qualora ciò non sia possibile, che almeno gli elettrodomestici vengano installati con un interruttore che ne escluda il funzionamento quando non utilizzati.
Questa azione, apparentemente ininfluente rispetto ad altri consumi ben più evidenti, farebbe comunque risparmiare all’Italia, considerata tutta la sua popolazione, qualche piccola centrale elettrica e contribuirebbe ad educare i cittadini nuovamente verso un senso del limite, vero motore nel percorso della sostenibilità ambientale.
Foto: Granada, Spagna – gennaio 2010