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Tag Archives: CO2

La CO2 non è l’unico problema

Qualche mese fa a Parigi, in occasione della COP21 sul clima (1), più che le sacrosante tematiche ambientali e la sacrosanta salvaguardia della nostra casa comune – la Terra – ha sfilato l’ipocrisia. Quella dei leader mondiali che si stringono le mani, che sorridono per le foto, si abbracciano, parlano di civiltà e benessere, citano nei loro discorsi Seneca (Matteo Renzi: “Tutta l’arte è imitazione della natura”) o fanno riferimento alla responsabilità per le generazioni future (Barack Obama) ma, poi, si “dimenticano” i principi generali della democrazia non consentendo ai cittadini di dire la loro manifestando pacificamente il loro dissenso. Dall’incontro di Parigi si sono fatti tanti bei discorsi e si sono espressi tanti bei propositi per il futuro ma, se saremo fortunati, le soluzioni concrete messe in campo – che misureremo da qui a qualche anno o a qualche decennio – saranno nettamente al ribasso rispetto a quello che si dovrebbe fare per contenere il riscaldamento del pianeta per cause antropiche almeno al di sotto dei 2° C. Quello che veramente è stato in discussione alla COP21 non è la salvaguardia del clima. Quello che è stato in discussione è il mantenimento dello status quo degli stili di vita e di consumo sperando, malignamente, che siano gli altri paesi a fare di più (2). A parole tutti avevano l’intenzione di essere virtuosi ma nessuno – tranne piccoli paesi che non incidono sul PIL mondiale – si è impegnato concretamente ad interrompere da subito l’estrazione del petrolio o l’utilizzo del carbone per la produzione di energia elettrica. Nessuno si è impegnato da subito a rivoluzionare i trasporti o i metodi di produzione e di consumo di cibo, sia per il grande uso di idrocarburi che ad esso è collegato sia per porre limiti al consumo di carne. Nessuno si è impegnato a cambiare il paradigma consumistico che vede protagonista le merci, i prodotti e la produzione dei rifiuti.

Tutti si sono impegnati nei fatti per il “F U T U R O”, tra 25-30 anni, sapendo che per quel tempo sarà compito di qualcun altro risolvere i problemi che, tra l’altro, saranno sempre più grandi.

A Parigi era in discussione il riscaldamento globale del pianeta dovuto al cambiamento climatico che vede la CO2 essere il principale imputato, anche se metano e altri gas non sono da meno (anzi, lo sono di più) per provocare il cosiddetto effetto serra. La CO2, però, non è l’unico problema ecologico che dobbiamo affrontare. Uno dei più evidenti, con effetti concreti, che causa morti e malati ora e che in qualche modo è collegato al riscaldamento globale, è quello dell’inquinamento dell’aria.

Non è affatto un caso che, proprio alla vigilia della COP21, l’Agenzia Europea dell’Ambiente (EEA – European Environmental Agency) abbia pubblicato un rapporto nel quale si descrivono i morti stimati nei 28 paesi dell’Unione europea a causa dell’inquinamento dell’aria. Tra gli inquinanti presi in considerazione ci sono tre agenti particolarmente dannosi: le micro polveri sottili (PM 2,5), il biossido di azoto (NO2) e l’ozono (O3).

A questi inquinanti lo studio – che si riferisce al 2012 – attribuisce circa 491.000 morti all’anno tra tutti i 28 paesi UE, di cui 403.000 alle polveri sottili, 72.000 al biossido di azoto e 16.000 all’ozono. Tra i paesi europei poi quello più colpito è l’Italia che conta un totale di 84.400 morti annui così suddivisi: 59.500 per le polveri sottili, 21.600 per il biossido di azoto e 3.300 per l’ozono.

Si tratta di un’ecatombe, che interessa prevalentemente la Pianura Padana e, in particolare, le città di Brescia, Monza, Milano e Torino che fanno registrare il numero più elevato di superamenti annui dei limiti degli inquinanti fissato a livello europeo (25 microgrammi per metro cubo d’aria per le polveri sottili). Se, invece, si considerassero i limiti più restrittivi (10 microgrammi per metro cubo d’aria) previsti dall’Organizzazione Mondiale della Sanità sarebbero interessate dal fenomeno anche città come Roma, Firenze, Napoli e Bologna.

I risultati della conferenza COP21 di Parigi sul clima e quelli dello studio dell’Agenzia Europea dell’Ambiente sull’inquinamento atmosferico che provoca morti premature, malattie cardiache, malattie respiratorie e cancro parlano chiaro: basta parole!

È giunta l’ora che la politica si prenda delle responsabilità per tutelare la nostra salute ora e il benessere delle generazioni per il futuro facendo delle scelte anche radicali. Noi, dal nostro punto di vista, abbiamo il dovere di informarci e di capire che la buona o cattiva salute non è un caso ma, in gran parte, dipende dai nostri comportamenti, dalle nostre scelte e abitudini sbagliate. Anche se molti vi diranno che non serve a nulla, cambiarle (e i dati parlano chiaro) ci può salvare la vita!

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(1) COP21 dell’UNFCCC è l’acronimo che identifica la ventunesima Conferenza delle parti della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici. Si tratta, in sostanza, di un incontro politico che, tra il 30 novembre e l’11 dicembre del 2015, si è tenuto a Parigi e nel quale si è cercato di mettere in campo strategie comuni – dal momento che il cambiamento climatico non è un fenomeno locale ma riguarda tutti – per ridurre l’emissione in atmosfera di gas derivanti dalle varie attività umane che possono determinare un aumento dell’effetto serra terrestre.
(2) I dati purtroppo parlano chiaro e, nonostante altre conferenze sul clima e altri accordi passati (es. quello di Kyoto del 1997) che hanno vincolato parte delle emissioni, soprattutto di CO2, queste ultime nel tempo sono inesorabilmente aumentate dirottando sulle generazioni future il possibile caos climatico. A tale proposito è significativo il fatto che gli scienziati non usino più solamente le parole “riscaldamento globale” e “cambiamento climatico”, ma inizino anche a parlare di “mitigazione degli effetti” e di “adattamento”, consapevoli che oramai il danno è fatto e che si può solo cercare di mettere delle pezze e adattarsi a possibili cambiamenti (di temperature ma anche di produttività delle piante che forniscono cibo e di innalzamento dei mari) oramai certi.

 

Maltempo killer

Dopo un lungo periodo di bel tempo tardo estivo ecco che arriva l’inevitabile (e normale) pioggia autunnale. Mettici, in più, i cambiamenti climatici in atto e la cementificazione selvaggia del territorio et voilà, ecco che la “frittata” è fatta. Smottamenti, allagamenti, frane, piene sono le conseguenze ovvie di una tale situazione che già da qualche decennio scienziati e meteorologi continuano a ricordarci facendo luce sul fatto che, prima o poi, le conseguenze dei cambiamenti climatici non provocheranno solo danni materiali, danni economici e perdite umane ma anche forti ondate migratorie di popolazioni che abitano territori divenuti sempre più inospitali.

In questo contesto – soprattutto dopo che i fenomeni naturali e le loro conseguenze sul territorio hanno determinato dei morti – le parole che più frequentemente ricorrono nei titoli dei giornali e nella dialettica dell’informazione televisiva e radiofonica sono: “Maltempo killer”, “natura matrigna”, “pioggia omicida”, “piena devastante” e chi più ne ha più ne metta. Quasi che la natura si diverta ad essere cattiva e malevola nei confronti degli esseri umani e degli altri esseri viventi del Pianeta.

Anche se nel profondo del mio animo penso che la Natura, dopo tutto quello che le abbiamo fatto e che le stiamo continuamente facendo, abbia pienamente ragione di essere dura nei nostri riguardi, è da osservare che, in realtà, non è essa ad essere negativa nei nostri confronti ma siamo piuttosto noi stessi che, con i nostri comportamenti, abbiamo fatto di tutto per fare la cosa ingiusta ed essere nel posto sbagliato.

Si pensi, ad esempio, ai numerosi condoni edilizi dei decenni passati che hanno fatto diventare pollai e ricoveri per attrezzi delle splendide ville pluripiano poste sulle pendici più impervie delle colline. Si pensi ancora alle lottizzazioni ed alle espansioni urbanistiche autorizzate nelle aree di prossimità dei grandi fiumi o, peggio, negli alvei dei fiumi stessi. Si pensi ai porti costruiti presso le foci dei fiumi, ai parcheggi o ad interi quartieri costruiti addirittura sopra i fiumi, al disboscamento delle pendici per far posto a vigneti o ad altre coltivazioni, alla cementificazione dei torrenti, alla mancata manutenzione delle rive. Date queste condizioni come si può ancora pensare che il killer sia ancora il maltempo?

nubifragio a Roma

Cari commentatori Il vero killer dei fenomeni meteorologici è la stupidità, l’ignoranza e l’avidità dell’uomo che, offuscato dal miraggio della propria superiorità rispetto alla natura, pensa di poterla dominare attraverso la forza piuttosto che attraverso la conoscenza del suo funzionamento.

Fintantoché continueremo a pensare in questo modo avremo ancora temporali killer e frane omicide. E un’inutile montagna di bla bla bla…

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Foto: gli effetti del recente nubifragio a Roma (foto Corriere della Sera)

 

Auto ibrida ad aria compressa

Vi ricordate della storia dell’auto ad aria compressa che qualche anno fa girava in rete? Che fine avrà mai fatto? Quale oscuro complotto internazionale ne ha determinato la sua scomparsa?

E vi ricordate, ancora, del brevetto dell’auto ad aria compressa acquistato qualche anno fa da un produttore indiano di auto? Che fine ha fatto e che fine ha fatto l’auto economica tanto decantata che avrebbe dovuto rivoluzionare il sistema di trasporto a bassissimo impatto ambientale e a bassissimi costi?

Sembra che adesso un tale progetto, sulla base di un modello di auto prodotta dall’ing. francese Guy Negre, sia stato ripreso da alcuni produttori sardi, ma è ancora tutto molto aleatorio e di nicchia (basta vedere il design delle auto per comprenderlo) tanto che e non mi pare ci siano intenzioni troppo serie nemmeno questa volta di rivoluzionare il mercato del trasporto attraverso innovazioni rivoluzionarie nel sistema di propulsione.

Al di là delle legittime supposizioni legate anche allo spionaggio internazionale e ai complotti industriali che vorrebbero ancora per molto tempo il petrolio quale unica fonte combustibile per i trasporti, rimane comunque ancora una chimera quella dell’auto ad aria compressa che percorre, praticamente gratis, centinaia e centinaia di chilometri mossa solo dall’energia cinetica dell’aria ingabbiata ad elevata pressione in una bombola.

Personalmente piuttosto che scervellarmi sullo spionaggio ritengo che tali auto ad aria compressa abbiano ancora dei problemi tecnici da risolvere (come ad esempio la produzione di ghiaccio) che le rendono buone per le prove, per le fiere o per i lanci pubblicitari ma che poi, alla resa dei conti con i problemi quotidiani della mobilità urbana ed extraurbana, le relegano ancora al ruolo di prototipi.

Dal momento che l’energia cinetica è uno dei pilastri su cui si fonda il sistema naturale, Bioimita ritiene che tale tecnologia, più di quella elettrica, debba essere perseguita e sviluppata per migliorare l’efficienza energetica dei trasporti e per limitare (o, magari, eliminare) l’uso di combustibili petroliferi che, oltre ad inquinare e ad emettere numerosi residui (tra cui la CO2), via via andranno ad esaurimento.

Poiché ritengo che sia altamente improbabile – se mai tecnicamente fattibile – il passaggio immediato alla tecnologia ad aria compressa ma sarà necessario attraversare alcune fasi intermedie, sono rimasto positivamente colpito dall’iniziativa del Gruppo PSA Peugeot Citroën che si è posto come obiettivo, da qui al 2020, che il consumo medio dei suoi veicoli non superi i 2 litri di carburante per 100 km. Per realizzare tale obiettivo la casa costruttrice sembra aver abbandonato la ricerca sull’elettrico e l’ha sostituita con quella sull’aria compressa, chiamandola “Hybrid Air”. In sostanza il gruppo automobilistico francese – che ha depositato ben 80 brevetti internazionali per proteggere il proprio progetto – si propone di mettere in commercio al più presto (entro l’anno 2016) dei veicoli “ibridi” dotati sia di propulsione a scoppio sia di propulsione cinetica ad aria compressa.

Anche se molto simile all’auto ibrida-elettrica nei principi di funzionamento (ricarica della bombola durante la marcia e le frenate, uso dell’aria prevalentemente in partenza e a basse velocità, gestione e distribuzione dei sistemi mediante sistema elettronico), dal punto di vista tecnico la parte “ibrida” non sarà più costituita da motore elettrico + batterie di accumulo ma da un motore idraulico (pompa) + un serbatoio di aria compressa + trasmissione epicicloidale.

Stando a quanto dichiarato dal costruttore con l’Hybrid Air i veicoli potranno circolare in città senza generare emissioni per il 60-80% del tempo, abbattendo i consumi di circa il 45%. Inoltre l’autonomia senza l’uso del motore a scoppio potrebbe aumentare del 90% rispetto ai tradizionali sistemi ibridi-elettrici.

hybrid airIn relazione, poi, ai vantaggi rispetto ai sistemi ibridi-elettrici l’Hybrid Air elimina tutti gli inconvenienti legati alle batterie (costi elevati, durata limitata, peso consistente, oneri di smaltimento, limitatezza delle materie prime) e fornisce, invece, numerosi vantaggi di un sistema prevalentemente meccanico.

La strada verso la piena sostenibilità dei trasporti è e sarà ancora lunga e, magari, non si concluderà proprio e solo con la propulsione ad aria compressa. L’importante è che il settore inizi seriamente a rinnovare una tecnologia obsoleta basata solo sui combustibili petroliferi e metta in campo risorse verso una migliore efficienza energetica e verso sistemi di propulsione che siano il meno impattanti possibile sull’ambiente.

 

Ecodriving

Il Ministero dello sviluppo economico, il Ministero dell’Ambiente e il Ministero dei Trasporti hanno da poco pubblicato la “Guida 2013 al risparmio di carburanti e alle emissioni di CO2 delle auto”.

Il documento è molto lungo e di difficile lettura per un non esperto perché elenca, auto per auto, modello per modello, in una infinita sequenza di pagine, i consumi dichiarati di CO2.

Interessante, però, è quella parte in cui vengono dati agli automobilisti, in pillole, i 10 consigli pratici per una guida ecocompatibile (ecodriving) da applicare giorno per giorno.

  1. Accelerare gradualmente
  2. Inserire al più presto la marcia superiore tenendo il motore a bassi giri
  3. Mantenere una velocità moderata e il più possibile uniforme
  4. Guidare in modo attento e morbido evitando brusche frenate e cambi di marcia inutili
  5. Decelerare gradualmente rilasciando il pedale dell’acceleratore con la marcia innestata
  6. Spegnere il motore quando è possibile, ma solo a veicolo fermo
  7. Mantenere sempre la pressione e il gonfiaggio degli pneumatici entro i valori raccomandati
  8. Rimuovere porta-sci e portapacchi quando non necessari e tenere nel baule solo gli oggetti necessari
  9. Utilizzare i dispositivi elettrici solo per il tempo necessario
  10. Limitare l’uso del climatizzatore.

Si stima che una guida intelligente ed una corretta gestione dell’autovettura possano consentire di ridurre i consumi e le emissioni di CO2 del 10-15%, migliorando anche la sicurezza sulla strada.

Efficienza è una parola chiave nell’ambito della bioimitazione e può essere perseguita, oltre che mediante soluzioni tecniche e progettuali, anche attraverso comportamenti individuali virtuosi.

Se vi interessa poco la CO2 e le alterazioni del clima, così difficili da percepire, almeno pensate al vostro portafoglio e risparmiate un po’ di denaro. Il che, in questi tempi di crisi, non è male!

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10 consigli di ecodriving – [Per approfondire scarica il pdf]

Fermiamo l’uso della torba

La torba si forma dalla parziale decomposizione del materiale organico in zone ricche d’acqua e in assenza di ossigeno. Questo processo fisico-chimico trattiene il carbonio, che, assieme al metano, si libera sotto forma di anidride carbonica (CO2) non appena la torbiera viene essiccata per le operazioni di estrazione. Il carbonio continua poi ad essere rilasciato, sempre sotto forma di anidride carbonica, anche quando la torba viene utilizzata in giardino, spesso quale ingrediente principale dei sacchi di terriccio in vendita nei negozi di giardinaggio e nei supermercati.

L’estrazione della torba, inoltre, distrugge habitat unici popolati da uccelli, farfalle, libellule, piante e altri esseri viventi che, esclusivamente, in essi vivono.

Per tutte queste ragioni, da più parti, si è cercato da tempo di scoraggiarne l’uso coinvolgendo sia le aziende produttrici sia i consumatori. Malgrado tutti gli sforzi, però, l’uso della torba da parte degli amanti del giardinaggio è molto difficile da eradicare.

Dal lato dei consumatori perché spesso non conoscono la composizione dei sacchi di terra che acquistano ed ignorano le implicazioni che la torba in essi contenuta può avere sugli ecosistemi e sul clima.

Dal lato dei produttori perché, soprattutto in alcuni Paesi del nord Europa, la torba è molto economica e con pochi investimenti è possibile trasformare terreni agricoli in facili profitti. Basta solo asciugare il terreno, estrarre la torba, metterla nei sacchetti (magari miscelata ad altri elementi) e venderla nel sistema della grande distribuzione. Naturalmente prima servono le autorizzazioni, ma esse non sono difficili da ottenere.

Se, però, nel prezzo della torba si considerassero anche i costi ambientali invisibili che essa incorpora (stimati in decine di milioni di euro l’anno) dovuti alle alterazioni climatiche, alla perdita di habitat, alla funzione di filtrazione, alla funzione di accumulo di carbonio e metano che le torbiere hanno, il suo prezzo raddoppierebbe e nessuno la utilizzerebbe più.

I materiali alternativi alle torbiere esistono e fanno parte del sistema di trattamento della frazione organica dei rifiuti o della gestione delle deiezioni animali. Tali materiali, che risponderebbero più ai principi della bioimitazione, garantirebbero una maggiore circolarità delle risorse e una maggiore consapevolezza tra i consumatori sull’importanza della raccolta differenziata dei rifiuti organici.

Fate in modo che un hobby salutare quale il giardinaggio sia volano della sostenibilità ambientale e fermate l’uso della torba!!!

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Foto

 

Una gita in barca al Polo Nord

Le immagini girate dalla webcam del North Pole Environmental Observatory di Washington mostrano in timelapse quello che è successo al ghiaccio del Polo Nord dal 16 aprile 2013 al 24 luglio 2013.

La sequenza è impressionante e certifica con assoluta certezza come, a causa delle straordinariamente alte temperature raggiunte quest’anno, oramai il Polo Nord sia perfettamente navigabile.

Ne sa qualcosa anche un equipaggio inglese che qualche anno fa lo ha raggiunto in barca a remi.

Da quando sono iniziate le le rilevazioni (anni ’70), nel 2013 il ghiaccio ha raggiunto il livello minimo mai registrato. Quanto dovremo ancora aspettare per fare qualcosa per il clima? Che l’aria diventi rovente e non sia più respirabile?

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Foto: foto del Polo Nord del 25 luglio 2013, ore 13.23

 

Il carbone è un killer dei polmoni

Lo studio “Silent Killer” commissionato da Greenpeace all’università di Stoccarda ha dimostrato che il carbone è il killer dei polmoni (cioè della salute in generale) e del clima. I Paesi dove questo fenomeno è più intenso sono la Polonia, la Germania, la Romania e la Bulgaria.

Le oltre 300 centrali elettriche a carbone in funzione nell’Unione europea e le 52 in costruzione o in progettazione uccidono (e uccideranno) prematuramente circa 22.300 persone l’anno, circa 60 al giorno che corrispondono a 5 persone ogni 2 ore. I gas e le micro polveri emesse determinano, inoltre, la perdita di 5 milioni di giornate lavorative l’anno per malattie.

In più il carbone avvelena pesantemente anche il clima visto che, a parità di energia prodotta, le sue emissioni di CO2 sono più che doppie rispetto a quelle del metano.

Come afferma Andrea Boraschi, responsabile della campagna Energia e Clima di Greenpeace Italia, « Lo studio è l’ennesima prova che il carbone pulito sbandierato dalle compagnie energetiche non esiste. Il carbone è una delle principali cause di avvelenamento dell’aria e per salvare i nostri polmoni dobbiamo mettere fine all’era del carbone e avviare una radicale rivoluzione energetica».

Le centrali a carbone producono un quarto dell’energia elettrica consumata nell’Ue, ma emettono il 70% degli ossidi di zolfo e più del 40% degli ossidi di azoto provenienti dal settore elettrico. Inoltre le circa 300 centrali europee sono la fonte di quasi la metà di tutte le emissioni industriali di mercurio, di un terzo di quelle di arsenico e producono quasi un quarto del totale delle emissioni europee di CO2. L’Agenzia Internazionale dell’Energia (IEA) il 10 giugno scorso ha reso noto che nel 2012 le emissioni di CO2 provenienti dalle centrali elettriche sono aumentate, nel mondo, dell’1,2%.

Lo studio “Silent Killer” è la prova lampante che non esistono centrali a carbone né di terza né di quarta e né di quinta generazione che si possano definire innocue per la salute della popolazione. Se è vero che quelle più evolute dal punto di vista tecnologico sono un po’ migliori rispetto a quelle degli anni precedenti, è anche vero che, di fondo, si poggiano su un fondamento sbagliato: quello della combustione, sulla quale NON si fonda il corretto funzionamento della natura. Di cui i morti, i malati e le alterazioni del clima ne sono una prova evidente!

In questa triste notizia si può però intravvedere una luce di speranza che ben presto il carbone verrà eliminato dalla scena europea. Basandosi sugli andamenti storici della produzione di energia elettrica in Europa è possibile definire uno scenario per l’anno 2030 che si fonda sui seguenti pilastri (si veda il grafico):

Produzione-EE-al-2030

  • aumento delle rinnovabili, secondo il trend esponenziale degli ultimi 20 anni
  • calo del nucleare, secondo il trend decrescente degli ultimi 7 anni
  • aumento del gas, secondo il trend attuale
  • diminuzione del carbone, con una riduzione annua del 10%
  • diminuzione dell’olio combustibile (petrolio), fino ad azzerarsi nel 2025
  • i consumi totali rimarranno più o meno stabili grazie all’aumento dell’efficienza energetica e alla moderazione dei consumi individuali.

L’uso del carbone per produrre energia è, in proiezione, già consegnato alla storia. Spetta a noi chiedere ai decisori politici che il processo sia il più veloce possibile per evitare inutili sofferenze umane e danni all’equilibrio del clima.

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Grafico: EcoAlfabeta

Foto: www.ecologiae.com

Fonte: Greenpeace, EcoAlfabeta

 

Compensare i costi ambientali delle vacanze

Fare il turista e viaggiare per piacere (e non per le più disparate e tristi necessità migratorie) è una delle più importanti conquiste raggiunte attraverso il benessere economico.

Viaggiare per il piacere di conoscere altri luoghi, altri popoli, altri cibi, altre lingue, altre abitudini dalle proprie è un’importante scuola di vita. Senza la quale, personalmente, non potrei vivere.

Quando poi si inizia ad assaporare il piacere del viaggio e della scoperta si è portati, nel tempo, a cercare sempre nuove mete che, inevitabilmente, possono portare anche molto lontano.

Ovviamente il viaggio che ho in mente è il più possibile sostenibile dal punto di vista ambientale e sociale, senza inutili pretese, lussi ed eccessi. Viaggiare però, soprattutto con gli aerei e con i mezzi a motore, comporta inevitabilmente la combustione di grandi quantità di carburante e l’immissione in atmosfera di CO2 nonché un minimo impatto ambientale che il vero viaggiatore – colui che dal viaggio desidera trarre un insegnamento di vita – deve in qualche modo cercare di evitare.

Nella mia esperienza, che vorrei condividere, ho deciso che ogni viaggio di piacere incorpora un costo occulto di poche decine di euro (l’entità dipende dal tipo di viaggio) che verso ad una associazione ambientalista o ad un ente serio che si occupa di compensare la CO2 attraverso la creazione di parchi e foreste in giro per il mondo (1).

Non si tratta di lavarmi semplicemente la coscienza ma di valutare con razionalità che il soddisfacimento di un mio piacere non può compromettere la qualità della vita di altre persone che, come me, vivono su questa grande palla verde-blu.

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(1) I miei versamenti li ho fatti (e li farò) a: Greenpeace; WWF; Survival

 

400 ppm

In fin dei conti erano solo 3 milioni di anni che non avevamo una tale concentrazione di CO2 in atmosfera. Cosa volete mai che sia!

A parte l’ironia si deve osservare che nel 2012 le emissioni globali di CO2 hanno raggiunto il livello di 35,6 miliardi di tonnellate (in crescita del 2,6% rispetto al 2011). Inoltre è di questi giorni la notizia che la concentrazione di CO2 in atmosfera ha raggiunto le 400 ppm (parti per milione) (1). Secondo gli studiosi tale livello fu raggiunto solamente tra i 3,2 e i 5 milioni di anni fa (quando non c’era alcuna traccia dell’Homo sapiens), caratterizzati da temperature medie della Terra più elevate di 3° C e 4° C rispetto ad ora (ai poli erano più alte di 10° C) e da un livello dei mari più elevato tra i 5 e i 40 metri.

Ovviamente il Pianeta era in perfetto equilibrio, ma la vita che lo caratterizzava era molto diversa da quella attuale! Ed è questa è la domanda che ci dovremmo porre perché il nuovo equilibrio che la Terra sicuramente raggiungerà lo otterrà a quale prezzo?

CO2-ultimi-mille-anni-586x497

Visto che la concentrazione di CO2 nell’atmosfera nell’era preindustriale (1) è rimasta per migliaia di anni intorno ai 280 ppm, si può osservare come in poco meno di due secoli la dipendenza della “civiltà” dalle fonti fossili per la produzione di energia mediante combustione abbia e stia profondamente alterando le condizioni climatiche del pianeta e la possibilità che lo stesso possa ospitare la vita (anche la nostra) così come la conosciamo ora. L’elemento più preoccupante è che i cambiamenti si stanno realizzando ad una velocità tale da impedire agevolmente qualsiasi forma di adattamento.

Il dramma in tutto ciò è che non si vede una via di fuga dal problema: le emissioni globali annualmente aumentano (anziché diminuire) perché l’industria e la politica, colpevolmente ciechi e sordi di fronte ai gravi rischi, anziché puntare su sistemi alternativi di produzione energetica ed ostacolare quelli climalteranti, puntano ancora tutto sul carbone, sul petrolio e sul gas (2). È come vedere un fumatore al quale hanno diagnosticato un grave tumore al polmone che rimane attaccato al vizio delle sue sigarette aspettando, senza alcuna cura, una morte che inevitabilmente e dolorosamente arriverà!

L’unico modo per poter sperare di congelare il processo di cambiamento del clima è quello di puntare tutto, da subito, sulla rivoluzione energetica che consiste in tre ingredienti fondamentali: utilizzo di fonti rinnovabili; efficienza energetica; produzione di energia distribuita e locale. Il tutto condito almeno dalla salvaguardia (e, se possibile, dall’incremento) delle immense foreste della Terra.

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(1) La concentrazione della CO2 atmosferica è stata misurata a partire dal 1959. Le misurazioni storiche della CO2 (che risalgono fino a 800.000 anni fa) sono state effettuate sulle bollicine d’aria intrappolate a profondità crescenti nel ghiaccio antartico. Fonti: Friedli, Etheridge, Monnin e NOAA (National Oceanic and Atmospheric Administration).

(2) Dalla Cina al Canada, dall’Australia all’Artico, dall’Europa all’Africa sono numerosissimi i progetti per aumentare i livelli di sfruttamento dei giacimenti di carbone, petrolio, sabbie bituminose e gas. Si tratta di progetti anche molto impattanti a livello ambientale e sociale come, ad esempio, il fracking.

Fonte: Greenpeace

Grafico: EcoAlfabeta

 

Non chiamiamola auto ecologica, please!

La parola d’ordine per chi vuole vendere un’automobile in questi anni di grande crisi economica è: «ecologica». Seguita, in ordine di importanza, da «CO2», «basse emissioni» «basso consumo» e «ambiente».

Nessun venditore o direttore marketing può prescindere da tale concetto. E, difatti, una statistica molto empirica che prenda come riferimento la televisione, la carta stampata, la radio nonché la frequentazione degli autosaloni d’Europa non può far altro che confermare questa affermazione. Ovunque si vede e si sente parlare di ciò!

Ciò che desidererei osservare su tale fenomeno è il fatto che le informazioni fornite sono, nella realtà dei fatti, in massima parte fuorvianti per l’acquirente e che, in effetti, nessuna automobile attualmente in commercio può definirsi veramente ecologica. Questo anche se i produttori hanno sviluppato, nei tempi, tecnologie che consentono effettivamente minori emissioni di gas di scarico e maggiore efficienza nella gestione dell’energia. Si tratta comunque di minimi risultati rispetto al vero obiettivo incarnato dal concetto di “ecologia”, cioè lo scarso o nullo impatto sull’ambiente dell’uomo e delle sue attività per salvaguardare le risorse a favore anche delle generazioni future.

Sulla base di tali osservazioni ecologica sarebbe, allora, quell’auto che non usa la combustione, diretta del motore a scoppio o indiretta per la produzione elettrica, quale energia di propulsione.

Ecologica sarebbe quell’auto che prevede parti o materiali provenienti da fonti rinnovabili ma, soprattutto, facilmente riparabili, riutilizzabili e, solo in casi limite, riciclabili.

Ecologica, infine, sarebbe quell’auto che non richiedesse la proprietà (e l’uso) individuale ma che basasse la propria funzione sul servizio di trasporto, magari collettivo.

La strada per ottenere automobili ecologiche è, quindi, molto più tortuosa e in salita rispetto a quella che ci è proposta dal marketing. Si tratta, in sostanza, di ripensare il settore nella sua totalità lavorando, in più, anche sulle abitudini di fondo dei cittadini e utilizzatori del trasporto.

Il risultato, però, potrebbe essere veramente nuovo e gli obiettivi della sostenibilità ambientale, nonché del trasporto per tutti (anche per i paesi poveri), potrebbero essere realmente raggiunti.

Foto: Hajo de Reue