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Monthly Archives: Aprile 2013

Cucistorie | Prodotti per bambini

C’era una volta un trio di fanciulle impegnate a capire cosa fare della propria vita. Erano ben diverse l’una dalle altre. La più grande era rossa di capelli ed era animata da un innato senso materno e imprenditoriale. Quella di mezzo aveva capelli colorati e spirito organizzativo. La più piccola era castana, ricca di bontà e senso pratico. Erano diverse ma le univa la voglia di creare con le loro manine qualcosa che parlasse di loro e della loro storia. E fu così che la loro storia si intrecciò attraverso fili colorati con i racconti ascoltati da bambine, ricamò fiabe di regni lontani e incantesimi su fantasie di stoffa, cucì bottoni e applique per novelle di animali parlanti. Le tre fanciulle cominciarono a raccontare favole su T-shirt, softies, borse e tante altre creazioni. Formarono così insieme il Cucistorie e adesso che questa avventura è cominciata vogliono raccontarvela, nella speranza di rendervi… felici e contenti”.

Cucistorie_bavaglieCucistorie produce abbigliamento, coperte trapuntate, giochi, asciugamani, bavaglini, pupazzi, borse e zaini per bambini facendo riferimento ai racconti e alle storie della nostra infanzia.

Ogni articolo Cucistorie è un pezzo unico perché fatto a mano. Acquistarlo, magari ad un prezzo un po’ più elevato rispetto alla produzione di massa, significa possedere un prodotto unico nonché promuovere il lavoro e le abilità manuali piuttosto che il mero consumo di merci.

Cucistorie_pupazzo rana

Chi fa le leggi non ha mai visto un albero

«Ho voglia di morire, sono stufo di questi ipocriti» dice lo scrittore-alpinista Mauro Corona intervistato dal giornalista de La Stampa. «Sono stanco di lottare contro i nemici che ho nel mondo della letteratura, in quello dell’alpinismo, ovunque. Vado a vivere in una baita e me ne resti lì. Ma prima volevo fissare alcuni concetti: per questo ho scritto “Confessioni ultime“, il libro che sto per pubblicare».

Alla domanda del giornalista se nel libro ci sia un qualche pensiero a tutela della montagna Corona risponde: «La tutela della montagna è inversamente proporzionale al numero delle persone che se ne occupano. Servono la miseria e la fame: quando torneremo a farci dare il cibo dalla montagna, impareremo a rispettarla».

All’ulteriore osservazione del giornalista relativa all’inserimento delle Dolomiti nel patrimonio dell’UNESCO quale strumento di protezione delle montagne Corona replica: «Macchè riconoscimento, quello è solo marketing».

Quando poi il giornalista fa riferimento alla protesta degli ambientalisti contro il sindaco di Ortisei che vuole spostare i confini di uno dei siti UNESCO delle Dolomiti (1) per consentire il potenziamento di una cabinovia lo scrittore risponde: «Penso che viviamo in una “democratura”, un misto tra una democrazie e una dittatura. Penso che dovremo insegnare ai nostri bambini a sputare sui soldi. Chi porta avanti progetti come questi ha in testa l’ineccepibilità del disastro e pensano che ogni tanto sia necessario distruggere un po’ di bosco per sentirsi vivi. Andando avanti di questo passo la gente scenderà in piazza con le armi».

E quando il giornalista replica chiedendogli se la gente scenderà in piazza anche per questioni marginali come quelle della Val Gardena Corona conclude: «Per la Val Gardena e per la Val di Susa. Vorrei che le leggi le facessero i paesi, non quei signori di Roma che non sanno nemmeno come è fatto un albero!».

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(1) Il sindaco di Ortisei Ewald Moroder sottoporrà al Consiglio comunale una delibera che prevede lo spostamento dei confini del Parco Naturale Puez-Odle (che è uno dei siti UNESCO italiani e che è anche habitat Natura 2000) per consentire il potenziamento della cabinovia 3S del Seceda. Nè il regolamento del Parco nè il vincolo Natura 2000 ammettono nuove costruzioni e una tale decisione potrebbe comportare l’esclusione del Parco Puez-Odle dai siti UNESCO.

Foto: Scultura autoritratto di Mauro Corona

Fonte: La Stampa del 27.04.2012

Astorflex | Calzature

Il calzaturificio Astorflex appartiene da generazioni alla famiglia Travenzoli che, già alla fine dell’800, aveva iniziato a Casteldario in provincia di Mantova, a produrre zoccoli (dette “sgalmare” in espressione dialettale). Con l’industrializzazione del dopoguerra il piccolo laboratorio “Fratelli Travenzuoli” ha iniziato a produrre calzature di diverse tipologie. Tale produzione perdura sino ad ora e in questi ultimi anni si è fortemente orientata nell’ambito della sostenibilità ambientale, in un processo di ricerca continua.

scarpe

I pellami per la produzione delle calzature sono conciati con tannini vegetali che consentono di avere pelli più sane e traspiranti, che non creano allergie da contatto al cromo e hanno un limitato impatto ambientale, dato il limitato consumo di acqua e di energia elettrica. Buona parte delle suole utilizzate per le calzature Astorflex sono in gomma naturale, ottenuta dalla coagulazione e dal successivo essiccamento del lattice prodotto dagli alberi di Hevea brasiliensis, senza aggiunta di prodotti chimici o coloranti. Tale gomma è traspirante, biodegradabile al 100%, non prevede scarti di produzione, è molto elastica ma ha il difetto di sentire molto gli sbalzi termici (si irrigidisce al freddo e si ammorbidisce al caldo) e di resistere un po’ meno all’abrasione rispetto a quella sintetica.

armadillo-350x248Le calzature Astorflex sono realizzate totalmente in Italia mediante collanti ad acqua e mediante la scelta di utilizzare sub-fornitori vicini al luogo di produzione, che si sono resi disponibili a certificare, in piena trasparenza, la composizione dei loro prodotti.
Nel 2008 il calzaturificio Astorflex ha dato origine al progetto “Ragioniamo con i Piedi”, la cui filosofia è sintetizzabile in:

  • la calzatura non c’è marchio perché non c’è nulla da ostentare: è invece un oggetto che serve per camminare in modo confortevole
  • il prodotto deve essere comperato solo se serve veramente
  • il prodotto deve dimostrare che è possibile offrire un bene di valore in una filiera responsabile che gratifichi il produttore e soddisfi il consumatore
  • il prodotto deve sviluppare una filiera produttiva locale basata sul senso di responsabilità e fiducia reciproca.

Caos politico e caos climatico

Quando vedo la nostra vergognosa classe dirigente che si azzuffa in Parlamento o nelle sedi dei partiti e, abbandonando ignobili logiche di puro tornaconto elettorale, non è in grado di trovare con responsabilità un accordo sulla gestione di un paese oramai (quasi?) allo sbando… mi viene il voltastomaco! Quando questi “nostri” rappresentanti, per la loro incapacità politica e dialettica, tolgono a forza dal meritato riposo un signore di 87 anni per attribuirgli un ruolo istituzionale cosi importante e delicato come quello del Presidente della Repubblica… non so più cosa pensare!

Nel frattempo guardo con tristezza e impotenza mia figlia che ha poco più di 2 anni e penso al suo futuro e al fatto che le classi dirigenti non hanno capito quasi nulla. Si scervellano (senza crederci troppo nemmeno loro) su come abbassare l’IMU, su come imbrigliare la giustizia, su come aumentare le tasse senza che ce ne accorgiamo, su come far ripartire un’economia dalle fondamenta oramai decrepite e non capiscono che, a monte, i problemi più importanti da risolvere sono altri e, da essi, dipendono poi a cascata anche le tasse, la cultura, l’economia, la salute, il lavoro, la democrazia di un popolo.

Dal momento che in natura tutto è strettamente interconnesso e il buon funzionamento della stessa dipende da numerosissimi fattori che interagiscono reciprocamente, anche nella gestione delle attività umane tutto è strettamente collegato! Se non cerchiamo il bandolo della matassa, se non capiamo l’origine vera dei problemi, andiamo a rischio di curare piccoli sintomi di una patologia ben più grave che, a causa del nostro ritardo, rischia di peggiorare e di non essere più risolvibile per il futuro.

Prendiamo il clima e i cambiamenti climatici (1) in corso, in gran parte dovuti ad errate attività antropiche che si basano sulla combustione del carbonio e sulla distruzione delle foreste. Da quando, intorno agli anni ’80 del secolo scorso, i satelliti hanno iniziato a monitorare l’atmosfera e i ghiacci polari nonché gli scienziati a studiare approfonditamente la climatologia, si è potuto registrare con precisione l’enorme aumento dell’anidride carbonica presente in atmosfera (siamo arrivati a circa 390 ppm mentre all’inizio dell’era industriale eravamo a circa 280 ppm) e si è potuta documentare una ritirata dei ghiacci polari pari al 12% a decennio, con una forte accelerazione in questi ultimi anni. L’effetto finale è che attualmente la superficie coperta da ghiacci spessi e consolidati è il 60% inferiore rispetto a quella del 1981 e il processo di scioglimento globale è ora molto più rapido.

Un cambio di rotta, che essenzialmente deve muoversi nell’ambito della drastica riduzione dei processi di combustione del carbonio fossile e del tasso di deforestazione, non solo è necessario ma per essere efficace deve essere attuato a partire da domani, non oltre.
Inoltre, secondo gli esperti che oramai non appartengono più solo al mondo dell’ambientalismo ma anche a quello delle istituzioni governative ed economico-finanziarie, un cambio radicale di prospettiva potrebbe alimentare un nuovo processo di rinascita dell’economia basata sull’efficienza, sulle fonti rinnovabili, sulla diminuzione delle materie, sulla riprogettazione della produzione e della società nonché sulla sostenibilità ambientale in generale.

Per ottenere tali risultati devono essere fatte delle scelte politiche forti e rivoluzionarie. Ma intanto, mentre la Terra brucia, la nostra classe dirigente cosa fa?

(1) L’allarme è stato lanciato anche dalla Banca Mondiale che ha parlato della possibilità di un aumento di temperatura globale di 4 gradi a fine secolo e del fatto che tale evento metterebbe sotto uno stress devastante buona parte degli ecosistemi che garantiscono la sopravvivenza di miliardi di persone. Di tale ente si vedano il World Developement Report del 2010 e il sito web Climate Change Knowledge Portal.

I petali dei fiori non inquinano

Finalmente, dopo un inverno grigio e piovoso, arriva la primavera! E anche se ci troviamo nella Pianura Padana dove la qualità dell’aria non è tra le migliori d’Europa (anzi, è una delle peggiori!), il cielo comincia ad essere azzurro ed il sole a scaldare le ossa umide e l’umore nero (tranne oggi che piove e tira vento).

Con la primavera cambia anche il colore del paesaggio, dove il verde assume tonalità più vivaci e dove comincia l’esplosione dei fiori: gialli, rosa, rossi, azzurri, viola, lilla e arancio e tutte le rispettive sfumature. Uno spettacolo!

fiore_02I fiori, si sa, durano sulla pianta qualche giorno, al massimo qualche settimana e poi lasciano spazio allo sviluppo dei frutti per la prosecuzione della vita… Il tutto in una sequenza infinita di successioni corrispondenti, spesso, al trascorrere degli anni.

Al di là della visione romantica o puramente utilitaristica del contadino che dai fiori e dai frutti ottiene la ricompensa del proprio lavoro, una cosa che in pochi osservano è il fatto che i petali (come, per altro, le foglie in autunno), quando cadono a terra perché hanno concluso la loro funzione, non determinano alcuna forma di inquinamento. Anzi, la loro materia si trasforma, arricchisce il suolo e favorisce il ripetersi del ciclo e di altra vita nel corso della stagione presente e di quella successiva.

fiore_03In natura non esiste il concetto di rifiuto: tutto si ripara, si riusa o si trasforma!

Nella progettazione e nella produzione industriale dei prodotti questo deve essere il solo e l’unico riferimento: materia compatibile con la natura che non abbia in sé incorporata l’idea del rifiuto.

Bicicletta pieghevole

Da qualche mese mi sono comperato una bicicletta pieghevole che tengo sempre nel bagagliaio dell’auto per gli spostamenti, soprattutto urbani.

Grande esempio di modernità o patetico ritorno al passato?

La bicicletta non inquina. La bicicletta occupa poco spazio. La bicicletta ci dà il dono della lentezza. La bicicletta ci fa ammirare i paesaggi. La bicicletta ci fa fare attività fisica. La bicicletta richiede meno manutenzioni e investimenti stradali. La bicicletta ci dà libertà di movimento.

L’auto, invece…

Bicicletta pieghevole_02

La biciclette viene chiusa (circa 20 sec)

Bicicletta pieghevole_03

La bicicletta chiusa ha le dimensioni di una piccola valigia (80 x 66 x 30 cm)

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La bicicletta sta comodamente nel baule di una Renault Twingo

Bicicletta: Dahon

Gildo Rachelli Bio | Gelati

Gildo Rachelli Bio nasce da un’esperienza di oltre 65 anni nel settore della gelateria artigianale, da una costante ricerca della qualità e da un progetto imprenditoriale e di vita orientato alla tutela della natura e dell’ambiente.

Nel 1997 l’azienda Rachelli investe sul biologico e inizia la produzione del primo gelato italiano certificato prodotto con soli ingredienti biodinamici e biologici. La nuova linea di gelati, che si fregia del marchio Demeter, viene premiata da istituzioni e riviste del settore. Nella primavera del 2009 Rachelli avvia la partnership con l’Associazione Fairtrade Italia e, nell’estate dello stesso anno, con la Fondazione Slow Food per la Biodiversità.

I prodotti offerti sono:

  • DEMETER: i gelati e i sorbetti Rachelli Demeter sono senza lattosio, completamente privi di glutine (certificati AIC) e preparati con ingredienti biologici e biodinamici.
  • BIO FAIRTRADE: i gelati Rachelli Bio Fairtrade nascono dalla collaborazione fra Rachelli e l’Associazione Fairtrade Italia. Tutte le materie sono provenienti dall’agricoltura biologica.
  • BIO FREE FROM: i gelati Rachelli Bio Free From hanno un basso contenuto di lattosio (< 0,1%) e tutte le materie sono provenienti dall’agricoltura biologica.
  • BIO: minigelati al gusto di lampone e cioccolato.
  • MAESTRO: i dessert Maestro sono preparati con ingredienti dei presidi Slow Food, associazione che difende, oltre alla qualità, anche la sostenibilità ambientale. I prodotti Maestro non hanno conservanti, aromi o coloranti e le materie prime non provengono dall’agricoltura biologica.

Sorbetto-mandarinoNon tutta la produzione dell’azienda Rachelli è biologica o biodinamica ed esistono anche linee di prodotti tradizionali.

 

BIQ House: la casa di alghe

Ad Amburgo, nell’ambito dell’International Building Exibition (IBA), Arup ha creato la “BIQ House”, il primo edificio al mondo alimentato totalmente dalla bioenergia prodotta dalle alghe.

In sostanza si tratta di un moderno edificio dotato, sulle facciate poste a sud-ovest e a sud-est, di bio-reattori costituiti da 129 pannelli in vetro riempiti di microalghe. Esse, esposte alla luce, innescano il processo di fotosintesi clorofilliana che permette sia di produrre l’energia termica che alimenta le necessità dell’edificio sia di produrre biomassa che consente di produrre biogas ed energia elettrica nonché di isolare lo stesso edificio dal sole. A seconda delle condizioni climatiche e della stagione cambiano le esigenze dell’edificio che, attraverso gli organismi che lo compongono, si comporta anch’esso come una sorta di organismo vivente. Quando c’è molta luce le alghe cresceranno molto e molto in fretta e produrranno una grande massa ombreggiante isolante dal calore, mentre quando la luce sarà poca le alghe cresceranno limitatamente e consentiranno ai raggi solari di riscaldare l’edificio.

BIQ House_Pannelli algheA seguito del prototipo BIQ House Arup prevede che gli edifici di un futuro non troppo lontano assomiglieranno a dei veri e propri organismi viventi dotati di sistemi biologici in grado di autoregolarsi in base al clima e realizzati per consentire un importante risparmio delle risorse naturali del pianeta. Avremo probabilmente edifici in grado di assorbire la luce solare sia per produrre calore che energia.

Forse la BIQ House non sarà proprio ancora del tutto autonoma in termini energetici e forse risulta un po’ troppo macchinosa la produzione del metano dalla biomassa di alghe. Essa però rappresenta comunque un interessante esercizio nell’ottica della bioimitazione e dello sfruttamento di tecnologie pulite che deve essere ulteriormente testato, sviluppato e migliorato affinché, in un prossimo futuro, la tecnologia della biochimica possa essere utilizzata nella produzione e nelle applicazioni di massa.

Per la costruzione della BIQ House Arup ha collaborato con la tedesca Colt International che ha prodotto i bio-reattori, con la tedesca SSC Strategic Science Consult e con lo studio di architettura Splitterwerk di Graz, in Austria.

ROB del Bosco Scuro | Azienda agricola

L’Azienda agricola ROB del Bosco Scuro di Rasi Andrea ha iniziato a coltivare con il metodo biologico dal 1995 su una superficie di 8 ettari nella cornice geografica delle colline moreniche a sud del Lago di Garda. I prodotti sono: frutta (mele ed albicocche) e verdura (meloni, cipolle, pomodori).

La verdura viene venduta fresca mentre la frutta, in parte viene destinata alla vendita diretta a negozi e privati e, in parte, viene trasformata in marmellate, mostarde, puree e succhi di frutta. La maggior parte dei processi produttivi sono interni all’azienda e l’obiettivo prossimo futuro è quello di portarli tutti presso il laboratorio interno, dove possono essere meglio gestiti e controllati.

Interessanti sono le scelte economiche che l’azienda esprime:

  • la massimizzazione della produzione non è una priorità;
  • il mercato alimentare biologico non è (e non deve essere) un mercato di nicchia;
  • la differenziazione produttiva – al contrario della monocoltura – quale garanzia di sopravvivenza.

L’Azienda agricola ROB del Bosco Scuro osserva che il lavoro dei contadini deve essere la continuazione di un rapporto profondo tra l’uomo e la natura e non il cieco sfruttamento di risorse naturali a scapito delle future generazioni. Per secoli l’ambiente naturale è stato curato, difeso e rispettato dagli agricoltori che ci hanno lasciato in dote il rispetto e la conoscenza della natura. Il suo compito primario è quello di continuare nel solco tracciato dagli antenati, per far sì che le generazioni future non perdano la conoscenza e la saggezza contadina, frutto di secoli di esperimenti.

Il noleggio di auto private

Che l’auto inquini, che intasi di traffico le città e che richieda cementificazione e consumo di territorio per le infrastrutture non è una novità. Anzi.

Che l’auto si “divori” una parte importante del reddito a causa del suo costo iniziale e per il pagamento di tasse, assicurazione e manutenzione è altrettanto chiaro.

Per far fronte alle sempre minori risorse economiche familiari dovute alle conseguenze della crisi economica perdurante si è iniziato, prima in Gran Bretagna e, da poco, anche in Spagna, a noleggiare auto tra privati. Si tratta di un’iniziativa che consente un evidente piccolo guadagno a chi affitta e qualche risparmio a chi prende in affitto, che migliora la sostenibilità ambientale dei trasporti e che consolida le relazioni umane, soprattutto comunitarie.

Il tutto nasce da una semplice constatazione: un’auto – soprattutto quelle appartenenti agli abitanti delle città – circola in media 4,6 ore alla settimana e rimane parcheggiata per il 96% del tempo. Una tale inefficienza, a cui può essere facilmente attribuito un valore monetario, se la può permettere solamente chi ha un reddito elevato e costante. Se quest’ultimo declina o diventa incostante ecco che determina inevitabili tagli ai costi che si riflettono anche sul possesso dell’auto privata o sulla modifica delle caratteristiche dello stesso.

Per venire incontro a tali esigenze nel Regno Unito è nata la Whipcar, una società che attraverso il web e dietro il pagamento di una commissione del 15%, collega la domanda (di noleggio di auto) all’offerta (di chi ne ha bisogno). Sulla scia di Whipcar è nata la spagnola Social Car che conta su un nutrito parco auto e di utenti. L’affitto costa circa 35 € al giorno e può rendere al proprietario fino a 350 € al mese.

La crisi economica viene sempre demonizzata per le sue conseguenze negative ma, al di là degli evidenti impatti sociali per i quali vi devono essere degli ammortizzatori, la crisi porta con sé anche delle interessanti idee.

Questa dell’auto privata in affitto è sicuramente una di queste perché ci libera della sua funzione di status symbol, ci concentra più sulla robustezza e sulla riparabilità che sul design e sui gadget tecnologici, ci fa capire che le auto private possono costituire anche una rete di trasporti collettivi.

La strada verso un nuovo sistema di trasporto privato si sta delineando. Le case automobilistiche che saranno in grado di coglierla, magari gestendo in proprio tutta la rete del noleggio, della manutenzione e dei servizi di condivisione, saranno in grado di sopravvivere alla crisi che nel loro settore, in Europa, le ha più duramente colpite rispetto ad altri settori. Saranno in grado inoltre di essere artefici di un cambiamento epocale che potrà dare un importante contributo alla sostenibilità ambientale di un settore che, sino ad ora, aveva inciso in questa direzione solo limitatamente investendo più sul green marketing che sullo studio di reali soluzioni alternative.

La mia auto è pronta in strada per la conidvisione. E la vostra?

Fonte: Internazionale” del 05.10.2012

Foto: Eco in città

H&M Conscious | Abbigliamento

Anche le grandi aziende multinazionali possono contribuire con i loro prodotti e con le loro scelte commerciali a garantire la sostenibilità ambientale ma, soprattutto per l’impatto che hanno su un gran numero di consumatori, a sviluppare una diffusa coscienza ecologica.

H&M – la famosa multinazionale svedese dell’abbigliamento – per la primavera-estate 2013 ha messo in commercio la Conscious Collection e la Conscious Exclusive, collezioni di vestiti e accessori non solo prodotti con tessuti biologici, ma anche caratterizzata dalla ricerca di una filiera produttiva sostenibile.

HM Conscious ExclusiveInoltre H&M, in questo contesto della Conscious Collection e della Conscious Exclusive, ha messo in campo anche un’iniziativa interessante di raccolta dei vestiti usati, indipendentemente dalla marca. La motivazione consiste nel fatto che, anziché far finire del materiale in gran parte ancora utilizzabile nelle discariche o negli inceneritori, H&M, in cambio di un buono sconto, si impegna a consegnare gli abiti raccolti al più vicino impianto di trasformazione. Gli abiti ancora buoni verranno riusati oppure verranno riciclati i tessuti.

Rotatorie

Rotatoria

Da qualche anno spuntano come funghi nei punti di contatto delle vie di comunicazione. Sempre più numerose e sempre più brutte e improbabili dal punto di vista estetico. È sufficiente percorrere una qualche strada secondaria per vedere – negli spazi interni alle rotatorie – vigneti, leoni di bronzo, giardini (pseudo) zen, sculture moderne, selciati nei materiali più disparati, cartelloni pubblicitari e luci… luci… luci…

Si tratta delle rotatorie, viste da amministratori pubblici, da progettisti e dagli utenti della strada come una manna per rendere più fluido e meno pericoloso il traffico.

A guardarle bene, però, le rotatorie non rappresentano affatto un elemento positivo perché dove sorgono indicano un nodo nel flusso, un elemento negativo del sistema di trasporto delle persone e delle merci che una buona amministrazione del territorio non avrebbe dovuto far nascere. Le rotatorie sono solo la medicina ad un sintomo che non cura la malattia, cioè un sistema di trasporto sostanzialmente individualista basato su una grande disponibilità di energia a basso costo, poco efficiente ed estremamente dispendioso.

Tutto ciò non ha nulla a che fare con la bioimitazione che, invece, imporrebbe di ragionare a monte della rotatoria, in termini di flussi, di mezzi e di efficienza energetica. Le soluzioni alla rotatoria, pertanto, sono numerose e possono essere apprese sia dalle civiltà del passato che avevano minore disponibilità di energia sia da alcuni animali di comunità, come le api o le formiche. Esse vanno dall’incremento del trasporto collettivo con mezzi più sostenibili dal punto di vista energetico fino ad arrivare ad una nuova pianificazione urbanistica più compatta oppure ad una accettazione del telelavoro che limiti i movimenti inutili e non necessari delle persone.

Ne gioverebbe di più l’ambiente ma, sono convinto, anche il benessere delle persone.

Foto: Wikipedia

Lombricoltura Bella Farnia

«Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma» (A.L. de Lavoisier).

La Lombricoltura Bella Farnia ha preso alla lettera il motto dell’intellettuale francese e ha deciso di intraprendere un’attività economica che si basa sulla trasformazione dei rifiuti organici in humus, in grado di nutrire il terreno migliorandone la fertilità. Il mezzo per ottenere ciò sono i lombrichi (1) che Charles Darwin addirittura definì «I più importanti animali della Terra».

La Lombricoltura Bella Farnia, oltre a ad allevare lombrichi sia per scopi hobbistici (compostaggi domestici o condominiali) che professionali (aziende agricole, allevamenti avicoli o di tartarughe), produce anche vermicompost (humus) con il marchio “Humus Bio”, organizza percorsi formativi per coloro che desiderino approfondire questo particolare allevamento e svolge attività di consulenza per chi desideri impiantare allevamenti professionali o desideri realizzare isole ecologiche per il riciclaggio dei rifiuti organici.

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(1) Di lombrichi ne esistono oltre 8.300 specie di cui la metà terrestri: di queste solo sei sono quelle adatte alla trasformazione degli scarti organici. Quattro di loro vivono nelle zone temperate ma solo due specie si sono rilevate particolarmente adatte all’allevamento per la loro resistenza e prolificità: l’Eisenia andrei, comunemente chiamato lombrico rosso di California, e l’Eisenia fetida, denominato “tiger worm”, per il colore giallo pallido della sua pelle.
I lombrichi sono animali ermafroditi imperfetti perché hanno entrambi gli organi riproduttivi ma non possono autofecondarsi. Essi trascorrono gran parte della loro vita sottoterra dove, con i loro 5 cuori, con i loro 6 reni e con il loro intestino filtrano instancabilmente il terreno depurandolo anche dai metalli pesanti arricchendolo di sostanze nutritive.