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I limiti del compostaggio
Per lavoro frequento aziende che operano nell’ambito del compostaggio dei rifiuti e che, dalla raccolta differenziata del cosiddetto “umido” producono compost ed energia. Il compost è originato da un processo di degradazione aerobica (1) della frazione organica dei rifiuti mentre l’energia è prodotta attraverso la combustione del biogas – costituito da gas metano e altri gas – che viene creato volutamente mediante degradazione anaerobica (2) del materiale organico. In sostanza, all’interno degli impianti, tutto funziona in un flusso circolare dove lo scarto di una fase è la materia prima di un altra fase e ciò rappresenta la piena applicazione della bioimitazione.
In sé si tratta di un’attività estremamente utile a livello sociale perché consente una corretta gestione dei rifiuti prodotti dalle famiglie e dalle attività economiche nonché avanzata dal punto di vista tecnologico perché, almeno in teoria, è in grado di ottenere dagli stessi rifiuti ammendante da utilizzare in agricoltura ed energia da un gas che si produce inevitabilmente nel processo e che altrimenti andrebbe disperso in atmosfera con gravi conseguenze per il riscaldamento globale e i cambiamenti climatici (3).
La questione, purtroppo, è solo valida a livello teorico perché, prima di arrivare agli impianti di compostaggio e al loro funzionamento, si deve passare, a monte, dalla corretta gestione dei rifiuti da parte di cittadini e aziende fino alla raccolta e al trasporto degli stessi verso gli impianti di trattamento. In questa filiera se qualcosa non funziona correttamente – e spesso non funziona – ne va a discapito il buon funzionamento degli impianti e la validità del processo tecnologico. Per non parlare, poi, della qualità del prodotto finito, sia esso compost da utilizzare in agricoltura o negli orti e biogas da impiegare per la produzione di energia.
Sta di fatto che spesso, per scarsa informazione e formazione dei cittadini sulle corrette modalità di raccolta differenziata e sulle motivazioni per cui la stessa non deve essere fatta con superficialità, piuttosto che per l’incuria della classe dirigente, politica e imprenditoriale più interessate ai grossi affari che ruotano attorno alla gestione dei rifiuti piuttosto che alla qualità del servizio offerto alla società, le cose non vanno come dovrebbero andare e i risultati sono quelli inquietanti mostrati dalle foto scattate in un impianto…
Da notare come la plastica sia l’elemento principale (in peso addirittura quasi superiore a quello organico) nel materiale di compostaggio arrivato all’ultima fase di lavorazione. Per essere eliminata – solo la parte più grande della stessa perché quella più piccola rimane nell’ammendante e viene inevitabilmente sparsa nei terreni con effetti incerti sulla salute – il rifiuto deve essere sottoposto a numerosi cicli di vagliatura e di selezione manuale e meccanica con grande dispendio di energie e spreco di denaro.
L’effetto finale è, per fortuna, quello della foto…
… ma a quale prezzo?
Grandi e decisamente più salutari risultati si potrebbero ottenere con i seguenti minimi sforzi a monte:
- Educare maggiormente i cittadini a fare correttamente la raccolta differenziata a casa e a comprendere che piccoli gesti che comportano un minimo sforzo (come non raccogliere il materiale organico nei sacchetti di plastica, per fare un esempio tra i casi più frequenti) possono determinare enormi risultati a livello industriale nel processo di trattamento dei rifiuti;
- Obbligare le amministrazioni comunali a gestire correttamente la raccolta differenziata dei rifiuti, magari sanzionandole economicamente o bloccando il trasporto o lo smaltimento dei rifiuti stessi in caso di gravi inadempienze. Ora, invece, i rifiuti vengono sempre gestiti e trattati, indipendentemente dalla loro qualità. Quello che cambia è il prezzo di smaltimento, ma la scarsa qualità del rifiuto vuol dire anche scarsa qualità del prodotto finito.
- Togliere la politica – spesso non all’altezza o collusa con chi vuole che il sistema non funzioni – dalla gestione e dall’amministrazione delle municipalizzate o dei consorzi che si occupano di rifiuti e dare questi incarichi a professionisti del settore mediante concorsi.
Per rendere credibile il sistema della raccolta differenziata agli occhi dei cittadini che vedono non sempre ripagati i loro sforzi domestici bisogna far si che lo stesso sistema funzioni bene e che, nel tempo, funzioni sempre meglio.
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(1) Per digestione (o degradazione) aerobica si intende la degradazione in presenza di ossigeno delle sostanze organiche da parte di diversi microrganismi. Tale processo comporta la mineralizzazione del materiale organico, cioè la trasformazione del materiale organico in prodotti più semplici e stabili (non putrescibili).
(2) Per digestione (o degradazione) anaerobica si intende la degradazione in assenza di ossigeno delle sostanze organiche da parte di numerosi microrganismi. Tale processo produce biogas come gas di scarto.
(3) Il metano è un gas che è circa 30 volte più climalterante (ad effetto serra) dell’anidride carbonica (CO2).
Fonte: Wikipedia
La merda nel sacchetto
Per chi sia possessore di un cane ed abbia un minimo di senso civico, afferrare quel suo caldo “prodotto” quotidiano con il sacchetto di plastica, avvolgerlo abilmente senza lasciare traccia alcuna su dita e mani e metterlo in un cestino dell’immondizia non è poi una cosa così strana. Lo è di più per chi non abbia amici a quattro zampe, ma sarà capitato un po’ a tutti di vedere qualcuno che, in un parco pubblico o sul marciapiede, abbia sfoderato abilmente il suo bel sacchetto di plastica dal guinzaglio… et voila, in pochi secondi abbia fatto sparire il fetido “prodotto”.
Sia ben chiaro che raccogliere in tal modo la cacca del cane è un segno di grande, enorme civiltà che non si deve assolutamente perdere ma, nello stesso tempo, è anche la dimostrazione che c’è qualcosa che non va nel nostro sistema di considerare il nostro posto sulla Terra, di pensare il ruolo della natura e le nostre relazioni con essa.
Mettere la cacca del cane dentro un sacchetto di plastica significa fare esattamente il contrario di quello che richiederebbe il corretto funzionamento della natura dove le deiezioni devono essere sparse (gli erbivori dove capita, i carnivori ben nascoste) per degradarsi e per fornire cibo ad insetti e batteri e, per quel che resta, i nutrimenti chimici necessari al benessere e alla crescita rigogliosa dei vegetali. Invece noi, uomini moderni ed evoluti, le inseriamo in un involucro di petrolio che verrà bruciato in un inceneritore o seppellito in una discarica, mescolato a miliardi di altri assurdi – spesso inutili – materiali.
In questo caso il problema non è dei cani: i poveri già si sono adattati a vivere in una città, non si può anche chiedere loro di fare la cacca nel water. Il problema non è neanche dei padroni dei cani: per evitare problematiche di igiene pubblica e di decoro devono per forza sporcarsi le mani (per fortuna no, i sacchetti lo impediscono) con le deiezioni dei loro amati. La questione è più profonda e risiede, invece, nel fatto – di cui poco, troppo poco si discute – che gli esseri umani e il loro amici animali sono troppi su questa terra per vivere in maniera sostenibile. Tra l’altro si stanno concentrando sempre di più (siamo arrivati a circa la metà della popolazione mondiale) a vivere in spazi – le città e le metropoli – che, almeno attualmente, nulla hanno a che fare con ecosistemi dove possano essere facilmente applicati i principi dell’ecologia.
Bisogna seriamente iniziare ad interrogarsi su come fare per diminuire, senza troppi traumi sociali, la popolazione umana presente sulla Terra perché il pianeta che abitiamo non è in grado di sopportare il nostro carico. Bisogna iniziare anche a cercare di capire come sia possibile cambiare le città nelle loro infrastrutture di base per renderle più ecologiche e per far sì che in esse possano essere applicati i principi della bioimitazione e, in particolare, quello relativo al flusso circolare delle materie; alla produzione e alla gestione dell’energia; all’aumento della biodiversità.
Chi è la bestia?
Indovinello di fine estate: tra l’uomo e il bufalo chi è la bestia? [vedi il video]
Dopo la pubblicazione del video e l’eco che ha avuto sui media e sul web, le scuse da parte del Consorzio Mozzarella di Bufala Campana DOP risultano un po’ ipocrite e, soprattutto, tardive. Tutti sanno che negli allevamenti e nei mattatoi industriali – almeno prima delle denunce e delle campagne di sensibilizzazione – l’etica viene lasciata un po’ in disparte per far posto al reddito. Pertanto piangere, dispiacersi e tentare di proporre soluzioni solo dopo che qualcuno, a fatica e spesso dopo aver subito violenze ed attacchi, riesce a filmare e a far venire a galla le bestialità che in vari modi vengono fatti agli animali nel “sistema” industriale, non rappresenta assolutamente la cura al problema.
Le bestialità esercitate nei confronti degli animali spariranno solo dopo che sarà cambiato modello culturale, di produzione e di consumo.
Il modello culturale deve cambiare e dobbiamo semplicemente iniziare a pensare di non essere più né gli esseri predominanti né quelli più intelligenti.
Il modello di produzione deve cambiare e dobbiamo iniziare a pensare che non sia più tollerabile sacrificare la vita e il benessere di un essere vivente per soddisfare meri interessi economici: la vita è sacra e deve essere in qualche modo slegata dal profitto.
Il modello di consumo deve cambiare e dobbiamo iniziare a consumare meno carne per orientare la nostra alimentazione prevalentemente verso i vegetali. Oltre all’ambiente ne ricava grandi benefici anche la salute!
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ATTENZIONE: alcune immagini contengono scene di violenza esplicita e potrebbero urtare la vostra sensibilità.