Monthly Archives: Giugno 2015
Perché non andrò all’EXPO
Qualche giorno fa mentre salutavo alcuni amici sulla soglia di casa e si facevano gli ultimi discorsi parlando del più e del meno mi veniva da loro proposto di passare assieme una domenica all’EXPO. In fin dei conti la città di Milano non è poi così lontana da dove abito e il logo della manifestazione si trova un po’ ovunque, dalla bolletta della Telecom al biglietto del treno; dall’imballaggio degli alimenti alle pagine dei giornali che è difficile non esserne in qualche modo attratti.
Ho ripensato qualche giorno più tardi a quella proposta e mi sono chiesto se, al di là della mia refrattarietà alla manifestazione già ampiamente documentata su questo blog, esistano comunque dei validi motivi per andare a fare una capatina all’EXPO per curiosare tra i padiglioni e ammirare il cibo del mondo. In fin dei conti, dopo tante critiche, ora che la fiera è operativa e si può toccare con mano, non sarebbe male poterlo fare di persona. E, perché no, magari cambiare anche idea.
Alla luce dell’invito ho iniziato ad approfondire ulteriormente l’argomento e, da quello che ne è emerso, sono sempre più convinto che ad EXPO non ci voglio proprio andare e che questa mia convinzione non sia frutto di una presa di posizione aprioristica basata su dei preconcetti ma che si fondi su una mia profonda coerenza comportamentale e su delle motivazioni molto concrete che provo ad elencare e a motivare.
1) Secondo quanto afferma Vandana Shiva nel suo blog sull’Huffington Post, EXPO più che essere una manifestazione che cerca di approfondire sul cibo, sulla produzione dello stesso, sulla salute alimentare e sulla sostenibilità sociale ed ambientale che ad esso sono collegate (1), è piuttosto una manifestazione che funge da vetrina per le multinazionali dell’alimentazione e della chimica che, invece di “nutrire il pianeta”, pensano piuttosto a nutrire se stesse e i loro affari. Ne è una dimostrazione il fatto che tra i principali sponsor vi siano McDonald’s e Coca Cola (ma anche Monsanto, Syngenta, Nestlé, Eni, Dupont, Pioneer) e che ad EXPO – per esempio – non siano previste particolari iniziative sull’agricoltura familiare che coinvolge centinaia di milioni di persone nel mondo oppure sull’agricoltura alternativa e di nicchia, alternativa addirittura al biologico che anch’esso oramai è un affare.
Ovviamente il tutto, agli occhi dei cittadini, deve in qualche modo essere mascherato: ad esempio ci si concentra sul non spreco del cibo – cosa sacrosanta e giusta – senza pensare troppo a quale sia la qualità o la salubrità del cibo che si spreca. Ad esempio si parla di cibo regionale ma non ci si chiede troppo quanta chimica, quanta acqua, quante manipolazioni genetiche (OGM) o quanta energia sia necessaria per produrlo. Ad esempio si mette nel calderone tutto il cibo senza pensare troppo a quale possa essere il suo impatto sulla salute, sull’ambiente e sulla biodiversità.
Lo scopo è vendere. E la fiera EXPO deve far incrementare i fatturati delle industrie (2). Se poi ci sono degli effetti collaterali… si affronteranno in altre sedi.
2) EXPO è stata una enorme operazione di inutile cementificazione del territorio. Come affermano illustri esperti in materia sia di architettura che di cibo, si sarebbe potuto realizzare la manifestazione – in modo diverso rispetto alle precedenti, e qui stava la grande novità tecnologica e il grande progresso – senza utilizzare neanche un chilo di cemento. Inoltre si sarebbe potuto cercare di alimentare completamente la fiera con energia da fonti rinnovabili. E, invece, si sono riempiti milioni di metri quadrati di erba con milioni di metri cubi di edifici. Se poi ci sono le auto della polizia elettriche oppure quelle della manifestazione ecologiche alimentate a metano, oppure se c’è la raccolta differenziata dei rifiuti queste non sono atro che operazioni di greenwashing atte a creare confusione e a dare l’impressione di sostenibilità ambientale ad una cosa che con la vera sostenibilità ambientale, quella profonda, non quella di facciata, non ha nulla a che fare.
3) Gli edifici e le strutture che ora ospitano EXPO e che sono state realizzate anche con i soldi delle mie tasse non hanno, ad ora, una collocazione futura. In buona sostanza non si sa che cosa sarà di esse dopo il 31 ottobre prossimo. Città delle musica e del cinema? Mah! Università? Mah! Area manifatturiera o espositiva? Mah! I presupposti sono per ora quelli che tutto andrà presumibilmente in malora come molte delle strutture costruite per altri EXPO in giro per il mondo oppure per le olimpiadi varie che ogni 4 anni fingono di promuovere lo sport.
Al di là del fatto che si sarebbe dovuto utilizzare solo materiali rinnovabili per la realizzazione delle varie strutture, è da dire che si sarebbe anche dovuto progettare il tutto già nell’ottica della dismissione o della destinazione urbanistica finale. Si sarebbe dovuto fare come Londra che, dopo l’ubriacatura economica delle olimpiadi di qualche anno fa, sta ricavando denaro e sta producendo posti di lavoro anche dalla dismissione e dalla collocazione alternativa delle strutture sportive.
In conclusione anche se so che le critiche le dovrei fare dopo aver visto di persona, ritengo che questi tre motivi siano già più che sufficienti per esprimere il mio dissenso verso EXPO, non tanto e non solo per manifestazione in sé, quanto, e soprattutto, per le importanti occasioni perse.
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(1) Carlo Petrini, fondatore di Slow Food, dopo una prima polemica con gli organizzatori di EXPO per non aver invitato i pescatori, gli allevatori e gli agricoltori, ora propone di invitare a Milano, dal 3 al 6 ottobre 2015, 5.000 giovani contadini, allevatori e artigiani da 170 paesi per parlare finalmente di cibo e di produzione dello stesso.
(2) Come scrive La Repubblica la Regione Lombardia, attraverso le parole dell’assessore regionale Valentina Aprea che scrive una letera ai dirigenti scolastici, invita gli alunni delle scuole ad andare all’EXPO e di godere degli eccezionali sconti di prezzo da McDonald’s.
Ad Oslo inaugurata un’autostrada per gli insetti
È da tempo che affronto il problema della perdita di biodiversità e che propongo soluzioni drastiche quale unica via d’uscita. In particolare ritengo sia necessaria la costruzione di una rete ecologica planetaria (che chiamo “cintura ecologica”) che sia in grado di far vivere e viaggiare animali e piante liberamente, senza ostacoli dovuti alla modificazione sempre più profonda della natura da parte dell’uomo.
Mentre in Italia si discute di realizzare grandi opere – le solite – con la scusa del progresso del Paese ma con il desiderio celato di far arricchire i soliti e dare potere ai soliti altri, nella civilissima Norvegia, ad Oslo, si realizza la prima autostrada urbana per insetti.
Si, non siete sordi e nemmeno un po’ matti. E non lo sono nemmeno io. Avete proprio capito bene. Su proposta della Società di Giardinaggio della capitale del Paese scandinavo e con il beneplacito della politica locale, è stato realizzato un lungo percorso cittadino fatto di fiori e piante che sia in grado di nutrire api, farfalle, calabroni e altri insetti in modo tale che non abbiano troppo stress nei loro spostamenti urbani.
Per realizzare questa bellissima autostrada non si sono dovuti fare cantieri, non si è dovuto produrre calcestruzzo e gettare cemento armato, non si è dovuta fare alcuna movimentazione di terra o deviazione di corsi d’acqua mediante l’ausilio di pale meccaniche. Non si è nemmeno dovuta fare alcuna gara d’appalto con conseguenti illeciti e infiltrazioni mafiose. Ci si è preoccupati semplicemente di organizzare, in maniera oculata e professionale, il posizionamento di vasi di fiori sui tetti o sui balconi e terrazzi delle case, lungo un percorso che va da est a ovest di Oslo. Così ogni 250 metri circa i nostri piccoli fratelli invertebrati trovano un “punto di ristoro”, un “fast food” che sia in grado di nutrirli e far loro superare lo stress prodotto dalle manipolazioni umane sull’ambiente e sulla natura.
L’obiettivo dei promotori di questa lungimirante iniziativa non è solamente quello di preservare la biodiversità, ma anche quello di cercare soluzioni per svilupparla tenendo conto che in Europa si sta verificando la progressiva estinzione di 6 specie di insetti su 35.
Quando vedo concretizzarsi iniziative così apparentemente insignificanti ma così profonde nell’analisi dei problemi e nella ricerca di possibili soluzioni mi viene in mente quella bellissima frase di Haruki Murakami che recita: “Il tempo può risolvere molti problemi. Ma quelli che il tempo non può risolvere, li dobbiamo risolvere da soli”.
Sette principi per un’agricoltura sostenibile
Lo scorso mese di maggio Greenpeace ha pubblicato il rapporto “Agricoltura sostenibile – Sette principi per un nuovo modello che metta al centro le persone”. Si tratta di una proposta politico-economica che, basata sulle più recenti innovazioni scientifiche, si propone di mettere al centro l’idea che è necessario produrre alimenti sani lavorando in sinergia con la natura e non contro di essa. Per ottenere ciò, in sintesi, è necessario rimettere al centro le persone e i loro bisogni, non il mero profitto.
L’introduzione al rapporto recita: “Basta guardare i numeri per capire che c’è qualcosa che non va: quasi un miliardo di persone ogni notte va a dormire affamato. Allo stesso tempo nel mondo viene prodotta una quantità di cibo più che sufficiente a sfamare i sette miliardi di persone che popolano la Terra. Circa un miliardo di persone sono sovrappeso od obesi. Una percentuale sconvolgente del cibo prodotto, che arriva al 30%, viene sprecata.
Il problema oggi non è quello di produrre più cibo, ma di produrlo dove ce n’è più bisogno e in un modo rispettoso della natura. L’attuale agricoltura industriale non è in grado di farlo.
Nel frattempo il Pianeta soffre. Stiamo sfruttando in maniera eccessiva le risorse, compromettendo la fertilità del suolo, la biodiversità e la qualità delle acque. Ci stiamo circondando di sostanze tossiche, che si accumulano intorno a noi. La quantità di rifiuti prodotti continua ad aumentare. E tutto questo accade in un contesto di cambiamenti climatici e di crescente pressione sulle risorse del nostro Pianeta, che si stanno riducendo.
L’attuale sistema agricolo è dipendente dall’uso massiccio di sostanze chimiche e di combustibili fossili. È sotto il controllo di un ristretto numero di multinazionali, concentrate in poche aree del mondo, prevalentemente nei Paesi più ricchi e industrializzati. Si basa in modo eccessivo su poche colture, minando alle basi di un sistema sostenibile di produzione del cibo da cui dipende la vita.
Questo modello agricolo inquina le acque, contamina il terreno e l’aria. Contribuisce in maniera significativa ai cambiamenti climatici, minaccia la biodiversità e il benessere di agricoltori e consumatori. Fa parte di un più ampio sistema fallimentare che sta determinando:
- un crescente controllo delle multinazionali in alcune regioni del mondo, che si traduce in una sempre minore indipendenza e autodeterminazione per agricoltori e consumatori, impossibilitati a operare scelte autonome su come e cosa viene coltivato;
- un’insostenibile spreco di cibo (tra il 20 e il 30 per cento), che avviene principalmente nella fase di post-raccolto nei Paesi in via di sviluppo e nella fase di distribuzione e consumo nei i Paesi ricchi;
- l’utilizzo di vaste aree e risorse per l’allevamento (circa il 30 per cento delle terre e il 75 per cento dei terreni agricoli) e per la produzione di biocarburanti;
- un sistema agroalimentare basato sulla coltivazione di poche monocolture, da cui si origina un’alimentazione insostenibile e poco salutare, spesso povera di nutrienti, alla base sia di problemi di malnutrizione sia di obesità;
- gravi impatti sugli ecosistemi, inclusi:cambiamenti climatici (il 25 per cento delle emissioni di gas serra, comprese quelle derivanti dalla conversione dei terreni, deriva dal settore agricolo e inquinamento dell’aria;
- problemi di scarsità e contaminazione delle acque in diverse aree del Pianeta: l’agricoltura utilizza il 70 per cento delle risorse d’acqua dolce; degrado del suolo, compresi fenomeni diffusi di acidificazione dovuti all’uso eccessivo di fertilizzanti chimici o di perdita di materia organica nel suolo; perdita di biodiversità e agrobiodiversità a tutti i livelli, dalla varietà genetica delle colture alla perdita di specie a livello naturale.
Oltre ad affrontare questioni di equità sociale – come la mancanza di un accesso paritario alle risorse per gli agricoltori (in particolare per le donne), la riduzione dei sistemici sprechi di cibo e il diritto a un’alimentazione sana – dobbiamo anche abbandonare l’attuale sistema fallimentare di produzione e dirigerci verso un sistema compatibile con l’agricoltura sostenibile.
L’agricoltura sostenibile è la soluzione per il futuro. È necessario agire adesso per avviare un cambiamento di cui abbiamo estremo bisogno“.
In questo contesto i sette principi per un’agricoltura sostenibile proposti dal rapporto di Greenpeace sono:
1. Sovranità alimentare – Restituire il controllo sulla filiera alimentare a chi produce e chi consuma, strappandolo alle multinazionali dell’agrochimica;
2. Sostegno agli agricoltori e alle comuntà rurali – L’agricoltura sostenibile contribuisce allo sviluppo rurale e alla lotta contro la fame e la povertà, garantendo alle comunità rurali la disponibilità di alimenti sani, sicuri ed economicamente sostenibili;
3. Produrre e consumare meglio – E’ possibile già oggi, senza impattare sull’ambiente e la salute, garantire sicurezza alimentare e, contemporaneamente, lottare contro gli sprechi alimentari. Occorre diminuire il nostro consumo di carne e minimizzare il consumo di suolo per la produzione di agro-energia. Dobbiamo anche riuscire ad aumentare le rese dove è necessario, ma con pratiche sostenibili;
4. Biodiversità – E’ necessario incoraggiare la (bio)diversità lungo tutta la filiera, dal seme al piatto con interventi a tutto campo, dalla produzione sementiera all’educazione al consumo. Ciò vuol dire esaltare i sapori, puntare sul significato di nutrizione e cultura del cibo, migliorando allo stesso tempo l’alimentazione e la salute;
5. Suolo sano e acqua pulita – Significa proteggere e aumentare la fertilità del suolo, promuovendo le pratiche colturali idonee ed eliminando quelle che invece consumano o avvelenano il suolo stesso o l’acqua;
6. Un sistema sostenibile di controllo dei parassiti – Significa consentire agli agricoltori di tenere sotto controllo parassiti e piante infestanti, affermando e promuovendo quelle pratiche (già esistenti) che garantiscono protezione e rese senza l’impiego di costosi pesticidi chimici che possono danneggiare il suolo, l’acqua, gli ecosistemi e la salute di agricoltori e consumatori;
7. Sistemi alimentari resistenti – Un’agricoltura sostenibile crea una maggiore resistenza (resilienza). Significa rafforzare la nostra agricoltura perché il sistema di produzione del cibo si adatti ad un contesto di cambiamenti climatici e di instabilità economica.
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Scarica il rapporto completo in italiano [qui]
L’asteroide della sesta estinzione
E se l’uomo fosse l’asteroide della sesta estinzione di massa? L’interessante quesito se lo pone il teologo anglicano Richard Bauckham, recentemente ospite al Festival Biblico di Vicenza.
La quinta estinzione di massa si è verificata circa 65 milioni di anni fa, probabilmente a causa della caduta di un asteroide sulla Terra. Fu sconvolgente. Scomparvero i dinosauri e la vita sul nostro pianeta cambiò radicalmente. I rettili, prima enormi ed egemoni, lasciarono il posto ai mammiferi che iniziarono ad occupare tutte le nicchie ecologiche. I rettili, che non scomparirono del tutto, diminuirono notevolmente la loro taglia e ridimensionarono drasticamente la loro posizione sul Pianeta rispetto agli altri esseri viventi. Questa estinzione di massa fu la lontana premessa per la nascita dell’uomo.
Richard Bauckham è un religioso che concepisce il mondo come “Creato”, cioè opera di Dio. Per questo motivo i problemi che riguardano il clima, la natura e l’ambiente diventano una questione teologica. «È importante per i cristiani avere una prospettiva di questo tipo perché in passato la visione dell’ambiente è stata profondamente influenzata dalla teologia. Tuttavia questa visione ha incoraggiato un approccio antropocentrico che pone il creato in una posizione subalterna all’uomo. Ecco: questa è una concezione che va corretta. Perché nelle Sacre Scritture sono presenti tutti gli elementi per sostenere che l’uomo debba assumersi la responsabilità del creato stesso».
«L’estinzione delle specie che si sta consumando così rapidamente – aggiunge Bauckham – naturalmente non è un tema sollevato dalla Bibbia. Tuttavia, quando si pone un tema nuovo per l’uomo occorre tornare alle fonti e osservarle in modo nuovo, interrogandole. Il Nuovo Testamento tratta della salvezza e la redenzione di Cristo non riguarda solo l’uomo, ma anche il mondo nella sua interezza. L’uomo è parte del mondo e Cristo redime uomo e mondo insieme».
«La Creazione avanza per “ambienti”: la luce, cielo e mare, la terra, i corpi celesti, pesci e uccelli, infine gli animali terrestri con l’uomo. Una celebrazione della biodiversità – sostiene Bauckham – e l’uomo, creato alla fine della sesta giornata, non è il culmine e l’obiettivo della narrazione, che infatti continua fino al settimo giorno, lo Shabbat, il riposo di Dio. Dunque l’obiettivo della creazione è la gloria di Dio». Non l’uomo.
La sesta estinzione di cui siamo testimoni e che è bene rappresentata dalla perdita di biodiversità animale e vegetale (escluso l’uomo) della Terra, potrebbe però non essere il culmine della distruzione. Nulla impedisce che l’uomo estingua anche se stesso. «Il riscaldamento globale – osserva ancora Bauckham – ha posto questa questione ricordandoci che siamo così legati alla creazione che se qualcosa va male intorno a noi, va male anche per noi. Tra i cristiani, peraltro, è diffusa la convinzione che Dio non permetterà che si arrivi a tanto. Siamo portati a pensare che ponendoci al fianco del Signore scamperemo all’autodistruzione. Io penso che abbiamo ragione di sperare che sia così, ma non possiamo darlo per garantito».
Per quanto Bauckham avverta che: «Non siamo esseri indipendenti che possano ergersi sopra la distruzione del resto della natura ma che restiamo parte integrante della comunità interdipendente del creato», non si può nascondere il fatto che la questione è resa più complessa dal ruolo della scienza che oramai gode quasi di vita propria ed è diventata molto più della mera estensione dell’intelligenza dell’uomo. «Nel suo approccio alla natura — commenta il teologo — l’uomo ha un’indiscutibile abbondanza di talenti. Ma per quanto certi ritrovati, ad esempio nella medicina, siano benvenuti, l’insieme traccia scenari pericolosi. La tecnologia dev’essere impiegata con rispetto: la sua storia moderna prova che, accanto agli esiti anche negativi previsti e calcolati, moltissimi danni sono stati provocati contro le nostre intenzioni. Occorre riscoprire il valore della modestia, il senso dell’umiltà quando si maneggia la scienza. Io invoco una tecnologia soft».
E io, personalmente, in merito alla scienza e alla tecnologia, ne invocherei una che sia imitativa del funzionamento della natura. Solo così si potranno fare pochi errori; questi ultimi saranno di entità più lieve e si potrà sperare di garantire un adeguato futuro all’umanità senza la spada di Damocle – intuita anche da una parte delle religioni – della distruzione autoindotta.
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Fonte: Corriere della Sera
Bio Soil Expert
Bio Soil Expert è un’azienda che ha sede a Rovereto (TN) e che opera nel campo delle biotecnologie ambientali e per il territorio. La sua forza sta nella capacità di aver sostituito le metodologie tradizionali – il cemento, le reti metalliche, la chimica o le materie plastiche – con sistemi biologici viventi costituiti da piante e microrganismi per risolvere problematiche legate al territorio e all’ambiente mantenendo i medesimi standard qualitativi.
I sistemi proposti hanno un elevato grado di sostenibilità ambientale in quanto sono costituiti da essenze vegetali erbacee abbinate a specifici consorzi microbici. La sinergia di questi esseri viventi consente a tali essenze di avere un elevato sviluppo degli apparati radicali, sia in termini di profondità che di quantità. Non a caso il motto dell’azienda è “Soluzioni “radicali” per l’ambiente”.
Bio Soil Expert fornisce sia una consulenza progettuale per comprendere quale sia la problematica da risolvere e quale sia la soluzione migliore che tenga anche conto degli aspetti paesaggistici e naturalistici. Bio Soil Expert poi realizza gli interventi ed effettua attività di ricerca e sviluppo per capire nuove e migliori soluzioni tecniche.
Gli ambiti dove l’Azienda principalmente opera attraverso soluzioni “verdi” sono:
- dissesto idrogeologico per consolidamenti del suolo
- bonifica biologica di aree inquinate e contaminate
- fasce tampone di filtraggio delle acque superficiali e dei fiumi
- restauri ecologici che ripristino la naturalità del territorio
- fitodepurazione mediante specie vegetali.
Tossico come un pesticida
È stato da poco pubblicato il rapporto “Tossico come un pesticida” di Greenpeace, uno studio molto approfondito (1) che analizza gli effetti sulla salute umana delle sostanze chimiche utilizzate in agricoltura.
Riporto integralmente la prefazione allo studio che, da sola, è in grado di spiegare bene il fenomeno e di far capire quali siano i numerosi e gravi rischi di salute pubblica che stiamo correndo. Si tratta solo di esserne consapevoli per accettarli nella logica del sistema economico-finanziario che ce li impone (anche se ci dovessero colpire direttamente o dovessero colpire un componente della nostra famiglia) oppure per contrastarli adoperandosi perché ciò che mangiamo non sia solo poco costoso ma anche – e soprattutto – il meno nocivo possibile per gli addetti del settore, per i consumatori e per i cittadini in generale attraverso le varie contaminazioni ambientali.
“Dal 1950 la popolazione mondiale è più che raddoppiata, mentre l’area destinata alle coltivazioni è cresciuta solo del 10 per cento. C’è un’enorme pressione a produrre sempre più cibo, a basso costo, su terreni che diventano inesorabilmente più poveri, sempre più privati delle sostanze nutritive. L’attuale sistema agricolo – intensivo e su scala industriale – si regge sull’impiego abbondante di input esterni come fertilizzanti e pesticidi, sostanze conosciute anche come fitofarmaci, agrofarmaci, antiparassitari.
I pesticidi sintetici sono stati usati in maniera massiccia in agricoltura industriale a partire dagli anni Cinquanta. Col passare del tempo, a causa del loro uso diffuso e, in alcuni casi, della loro persistenza, molti pesticidi hanno finito per accumularsi nell’ambiente. Alcuni, come il DDT e i suoi derivati, si degradano in tempi molto lunghi e pur essendo vietati da decenni continuano a circolare e a essere rilevati nell’ambiente.
La persistenza di queste sostanze e i potenziali rischi ambientali hanno favorito una crescita esponenziale delle ricerche sui loro effetti (Köhler e Triebskorn, 2013) che, come è ormai chiaro, sono vari e diffusi. Nello stesso periodo è aumentata anche la conoscenza scientifica sugli effetti dei pesticidi per la salute umana. Gli studi rivelano associazioni statistiche tra esposizione e aumento del rischio di sviluppare disabilità, disturbi neurologici e al sistema immunitario, alcuni tipi di cancro.
Dimostrare che l’esposizione a un determinato pesticida è la causa di una malattia presenta varie difficoltà. Anzitutto perché non esistono fasce di popolazione totalmente non esposte ai pesticidi, e in secondo luogo perché la maggior parte delle malattie non è causata da un singolo fattore, ma da una molteplicità di fattori che rendono molto complessa l’analisi (Meyer-Baron et al. 2015). Inoltre, la maggioranza delle persone è esposta quotidianamente a veri e propri mix di composti chimici (non solo pesticidi) tramite diverse vie di esposizione. E i pesticidi contribuiscono ad aumentare questo carico di tossicità (2).
In generale siamo tutti esposti a un cocktail di pesticidi attraverso il cibo che consumiamo ogni giorno. Nelle aree agricole, dove queste sostanze chimiche circolano nell’aria quando sono irrorate sui coltivi (il cosiddetto “effetto deriva”), i pesticidi inquinano il terreno e le acque, e in alcuni casi vengono assorbiti anche dalle piante a cui non sono destinate (organismi non-target). In città le persone più esposte sono quelle che vivono nei dintorni delle aree verdi, ma l’uso domestico dei pesticidi può contaminare anche abitazioni e giardini.
Le fasce di popolazione maggiormente esposte e più vulnerabili includono:
- agricoltori e operatori addetti ai trattamenti con i pesticidi, compresi quelli che lavorano nelle serre, esposti ad alti livelli di sostanze chimiche durante lo svolgimento delle loro mansioni. Questa vulnerabilità è stata ampiamente dimostrata dai livelli trovati nel sangue e nei capelli di queste persone;
- bambini e feti in fase di sviluppo: le donne in gravidanza esposte ai pesticidi possono trasmettere alcune di queste sostanze direttamente al feto, particolarmente vulnerabile alla tossicità delle sostanze chimiche.
In generale i bambini sono più a rischio degli adulti poiché il loro tasso di esposizione è maggiore, per esempio a causa dell’abitudine di toccare le superfici e di portarsi le mani alla bocca. Anche dimensioni e peso corporeo ridotti contano, senza considerare che l’organismo dei bambini ha una capacità inferiore di metabolizzare le sostanze tossiche. Gli effetti sulla salute registrati nei bambini esposti ad alti livelli di pesticidi durante la gestazione includono ritardi dello sviluppo cognitivo, problemi comportamentali e difetti alla nascita. Esiste inoltre una forte correlazione tra l’esposizione ai pesticidi e l’incidenza dei casi di leucemia infantile.
Alcuni studi mettono anche in relazione una forte esposizione ai pesticidi con un aumento dell’incidenza di vari tipi di tumori (prostata, polmoni e altri) e di malattie neurodegenerative come il Parkinson e l’Alzheimer. Altre evidenze suggeriscono inoltre che alcuni pesticidi interferiscono con le normali funzioni del sistema endocrino e del sistema immunitario.
Mentre i processi che portano a queste disfunzioni rimangono in parte oscuri, è invece chiaro che in alcuni casi vengono compromesse le funzioni enzimatiche e altri importanti meccanismi di comunicazione cellulare. Le ricerche indicano inoltre che alcune di queste sostanze chimiche interferiscono con l’espressione genica, e che queste interferenze possono trasmettersi anche alle generazioni che non sono state direttamente esposte ai pesticidi (la cosiddetta “eredità epigenetica”). Ciò significa che gli effetti dannosi derivanti dall’uso dei pesticidi possono perdurare per moltissimo tempo anche dopo che queste sostanze sono state messe fuori legge.
Questo rapporto prende in esame una serie di studi e ricerche – in continuo aumento – che mettono in luce gli effetti conosciuti o sospetti dei pesticidi sulla salute umana. Pur non negando l’esistenza di incertezze e punti oscuri, né la presenza di ricerche contrastanti, le prove scientifiche raccolte nel rapporto “Pesticides and our health – a growing concern” mostrano che l’attuale modello di agricoltura industriale basato sull’uso massiccio di pesticidi sintetici minaccia la salute degli agricoltori, delle loro famiglie e di una più vasta fascia di popolazione.
Tra i principi attivi potenzialmente dannosi in circolazione troviamo per esempio il clorpirifos, un organofosfato spesso rilevato negli alimenti e nel latte materno che diversi studi mettono in relazione con tumori, disfunzioni nello sviluppo dei bambini, disfunzioni neurologiche, Parkinson e fenomeni di ipersensibilità.
L’unico modo sicuro per ridurre la nostra esposizione ai pesticidi tossici è abbandonare l’attuale modello di produzione industriale del cibo, fortemente dipendente dalla chimica, e investire in un’agricoltura sostenibile. Serve un approccio moderno e basato sull’efficienza in grado di produrre cibo sano e sicuro per tutti che non dipenda da prodotti chimici tossici. È questo l’unico modo per nutrire una popolazione mondiale in crescita e allo stesso tempo tutelare la salute umana e gli ecosistemi che ci sostengono. Sono quindi necessari accordi giuridicamente vincolanti a livello nazionale e internazionale per iniziare immediatamente a eliminare tutti i pesticidi dannosi per gli organismi non target“.
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(1) Rapporto integrale in inglese e bibliografia completa qui
(2) La IARC (International Agency for Research on Cancer) lo scorso 20 marzo ha pubblicato un aggiornamento relativo alla classificazione di 5 pesticidi. Si tratta di un erbicida (glifosate) e di due insetticidi (malathion e diazinon) che sono stati dichiarati probabili cancerogeni per l’uomo (Gruppo 2A). Altri due insetticidi (parathion e tetrachlorvinphos) sono stati invece riconosciuti come possibili cancerogeni umani (Gruppo 2B).
“The Organic Effect”
La catena alimentare svedese Coop Sverige, in collaborazione con lo Swedish Environmental Research Institute (IVL), ha realizzato uno studio scientifico (“The Organic Effect“) per verificare quali sono gli effetti sulla salute delle persone quando decidono di passare, da un’alimentazione con cibi coltivati tradizionalmente, ad un’alimentazione con cibi coltivati con il metodo biologico.
Lo studio ha preso come campione la famiglia Palmberg composta da 5 persone (papà Mats, 40 anni; mamma Anette, 39 anni; figlie Vendela ed Evelina, figlio Charlie) i cui componenti non fanno uso frequente di cibo biologico anche se sarebbero interessati a farlo. Non se lo possono permettere perché costa un po’ di più di quello convenzionale e le loro finanze non sono sufficienti.
Nella ricerca, la cui durata complessiva è stata di 21 giorni, si è chiesto a tutti i componenti della famiglia di mangiare per la prima settimana cibi tradizionali e poi di modificare le proprie abitudini alimentari e di mangiare solo cibi biologici per due settimane, oltre ad usare anche saponi e prodotti per l’igiene personale organici. Si sono poi confrontate le analisi delle urine fatte, quotidianamente, prima e dopo l’esperimento e si è cercato di capire se nutrirsi totalmente di cibi biologici, anche se per un breve periodo, potesse influire sulla presenza e sulle concentrazioni di sostanze chimiche inquinanti come insetticidi, fungicidi e sostanze utilizzate per regolare la crescita delle piante e dei loro frutti.
Quello che è emerso dalla ricerca è un risultato abbastanza sorprendente: già dopo due settimane, i livelli di tali sostanze nelle urine diminuiscono notevolmente, fino quasi a scomparire per talune. In più la riduzione è già evidente dopo il primo giorno.
Come osservano i responsabili della Coop svedese, i risultati dello studio hanno chiaramente e inequivocabilmente dimostrato che il cibo biologico fa bene alla salute perché riduce la concentrazione nel corpo di sostanze chimiche pericolose e fa bene all’ambiente perché tali sostanze non vengono distribuite in atmosfera, sul terreno e nelle acque superficiali. “Speriamo che i consumatori capiscano l’importanza del cibo biologico e che questo studio possa aprire un dibattito serio sui benefici dello stesso. Si sa molto poco sugli effetti a lungo termine dovuti al mangiare alimenti trattati con pesticidi, sprattutto se si considera che le sostanze chimiche possono essere molto più dannose quando combinate insieme rispetto a quanto lo sono se ingerite singolarmente“.
Dai risultati della ricerca emerge che dobbiamo rifinanziare e ristrutturare il nostro sistema alimentare. Invece di usare le tasse dei contribuenti per finanziare un sistema di produzione che si basa sull’ingegneria genetica per sopportare dosi massicce di erbicidi, insetticidi e pesticidi, è necessario invece che lo ridisegnamo in modo tale che il cibo biologico sia economicamente sostenibile per tutti coloro che lo desiderino consumare. E, magari, anche per tutti.
Se vuoi sapere cosa succede al tuo corpo quando cambi alimentazione e passi da quella convenzionale a quella biologica guarda anche questo breve video pubblicato dalla Coop Sverige.
MiDEA | Giochi per bambini
L’intuizione per MiDEA è venuta ad Emilio Milani quando i grandi bidoni per la raccolta dei rifiuti che si trovavano per strada sono stati dismessi per essere sostituiti da una nuova tipologia di raccolta differenziata “porta a porta”. Subito Emilio Milani ha pensato che le loro dimensioni e il loro materiale resistente alle intemperie potessero prestarsi molto bene alla realizzazione, attraverso il recupero e il riuso, di giochi da giardino per i bambini, in particolare casette.
Dopo aver provveduto al loro acquisto, a Emilio Milani ci sono voluti due anni di ricerche e di tentativi per capire come eseguire al meglio la trasformazione dal punto di vista tecnico, per ottenere le certificazioni, per effettuare i primi test con i bambini allo scopo di capire le loro reazioni e per comprendere come implementare la parte pedagogica ottenuta con le decalcomanie e con gli arredi interni.
Quali sono le fasi che il nostro artigiano segue per ridare vita a degli oggetti (i vecchi cassonetti) che, altrimenti, con la progressiva dismissione degli stessi a favore di sistemi diversi di raccolta dei rifiuti, andrebbero irrimediabilmente persi? Innanzitutto li smonta rimuovendo soprattutto il coperchio ed il telaio in acciaio. Poi li lava a caldo e li sanifica con un’idropulitrice per rimuovere tutta la sporcizia e per verificare la presenza di eventuali crepe o rotture. Effettuate le riparazioni e ultimata la realizzazione della struttura finale del gioco anche con l’inserimento di elementi di rinforzo, provvede alla loro colorazione. Infine taglia le porte e le finestre e vi appone le finiture consistenti nella realizzazione delle decalcomanie e nell’inserimento degli arredi a seconda della destinazione d’uso: negozietto di frutta e verdura, autorimessa, officina, caserma dei pompieri, ospedale.
Le casette per bambini MiDEA si prestano ad essere posizionate in tutti gli spazi aperti: spiagge, giardini, scuole, parchi, ecc.