EUCOOKIELAW_BANNER_TITLE

Category Archives: Società

Le luci e le ombre del 2016 per il WWF

WWF: luci e le ombre del 2016

Sull’onda del primo articolo del 2017: “Bioimita – Anno Quarto” riporto alcuni dati interessanti riguardanti l’ambiente e la sua tutela pubblicati alla fine dell’anno scorso da parte del WWF che ha fatto un bilancio delle cose fatte (e non fatte o fatte male) nel 2016. Come era intuibile cercando di ripercorrere mentalmente le notizie dei mesi passati, ne sono uscite più ombre che luci. Vediamo quali sono state…

Il 2016 ha segnato un traguardo importante per l’associazione ambientalista: l’anniversario dei 50 anni della fondazione di WWF Italia. Essa è stata celebrata sia da parte di papa Francesco che da parte delle massime cariche istituzionali del Paese che, per lo meno nel cerimoniale, hanno dimostrato interesse per i temi e i problemi che il WWF ha evidenziato in questi decenni di lotte e di azioni. In particolare si è discusso dell’Agenda 2030 dell’ONU per lo sviluppo sostenibile (1); della lotta ai cambiamenti climatici; della “Emergenza Mediterraneo” (antropizzazione della fascia costiera e sovrasfruttamento degli stock ittici); della necessità di dare il giusto valore al capitale naturale del Pianeta; della perdita di biodiversità (2).

Per quanto riguarda la politica italiana il WWF osserva, per il 2016, come le istituzioni del nostro Paese siano state capaci di contribuire agli impegni internazionali per la definizione di obiettivi globali ambiziosi sul cambiamento climatico e per la definizione di piani d’azione efficaci in attuazione delle Direttive europee sulla Natura. Purtroppo, dentro i confini nazionali, ci si attesta ancora su posizioni di retroguardia, come il referendum votato lo scorso 17 aprile sulla durata delle concessioni delle piattaforme offshore per estrarre combustibili fossili (petrolio e gas) e con riforme che, di fatto (nello smantellamento del Parco Naturale dello Stelvio) e delle norme vigenti (revisione della legge 394/1991, legge quadro sulle aree protette), depotenziano la tutela della natura indebolendo la governance delle aree protette e la loro vocazione alla tutela della biodiversità. Segnali poco incoraggianti giungono anche dal fronte della sostanziale cronicità dei crimini di natura, soprattutto il bracconaggio, che colpiscono in Italia ancora specie simbolo come lupi, orsi, uccelli rapaci e persino animali quasi scomparsi come gli ibis eremita. Sulla strategia nazionale di decarbonizzazione stiamo ancora muovendo i primi passi, mentre lo sviluppo delle energie rinnovabili o dei trasporti più sostenibili continuano ad essere una corsa ad ostacoli di scarsa cultura e burocrazia.

Il 2016 è stato un anno cruciale anche dal punto di vista della difesa della biodiversità del Pianeta. Sul fronte internazionale la notizia migliore è stata quella della istituzione, nell’oceano Meridionale che circonda l’Antartide, della più grande area protetta marina di sempre: 1,57 milioni di km quadrati (una superficie grande circa come 5 Italie) per proteggere mammiferi marini, pinguini, procellarie e gli ecosistemi più fragili e importanti del pianeta. Buone notizie anche per alcune specie minacciate: per la prima volta in 100 anni il numero delle tigri è in crescita (3.890 individui, erano 200 nel 2010), mentre un accordo internazionale ha costituito una importante vittoria per fermare il commercio illegale di pangolini, braccati per le loro squame, vendute a 600-1000 dollari al kg. Un nuovo regolamento fa poi segnare un passo in avanti per stroncare il commercio di avorio. Sono, infatti, centinaia di migliaia gli esemplari di elefante uccisi ogni anno, venduti come specialità gastronomiche o ridotti in preparati dalle indubbie qualità mediche. Anno positivo infine anche per il panda gigante – simbolo del WWF (e di tutte le specie minacciate) – declassato da una categoria di minaccia maggiore (endangered) ad una minore (vulnerabile). Le cattive notizie riguardanti la biodiversità però non mancano: quattro specie di grandi scimmie su sei sono ora in pericolo di estinzione e continuano le stragi di elefanti (ne abbiamo persi più di 100.000 in 10 anni).

Tornando all’Italia, in merito al consumo del suolo e alla manutenzione del territorio – tema caldo nella percezione dell’opinione pubblica italiana che vede continue colate di cemento e asfalto anche nei nostri paesaggi più belli – dopo 4 anni di continui tentennamenti da parte dei Governi che si sono succeduti, dalla fine del 2012 al 2016, il 12 maggio scorso è stato finalmente approvato in prima lettura alla Camera il disegno di legge sul consumo del suolo che, finalmente, tra gli aspetti positivi, stabilisce che il suolo è risorsa non rinnovabile e che debbano essere fissati obiettivi nazionali, regionali e locali per il contenimento del consumo del suolo e strumenti che favoriscano la rigenerazione urbana, cioè il riuso di aree già urbanizzate. Nel contempo, però, attraverso i soliti cavilli linguistici e normativi, le potenti lobby del cemento rischiano di ottenere l’obiettivo opposto: quello di fingere la difesa del suolo e invece favorire nuove edificazioni, sostanzialmente attraverso i cosiddetti compendi agricoli neorurali.

In buona sostanza la partita per garantire un prospero futuro ai nostri figli e alle nuove generazioni volge quasi alla fine e, purtroppo, la stiamo perdendo 2 a 0. La rimonta è possibile e deve essere sempre ricercata ma ci dobbiamo tutti rimboccare le maniche perché il gioco della squadra avversaria è spesso scorretto (le lobby) e gli arbitri (la politica) non sempre fischiano correttamente i falli.

_____

(1) Un nome a mio avviso orribile per parlare seriamente dei problemi ecologici – che per essere veramente efficaci devono rompere lo schema economico del consumismo legato in buona parte al concetto di “sviluppo” – ma comunque utile per iniziare a portare a galla la questione e farla conoscere un po’ a tutti.
(2) Il report del WWF “Living Planet Report 2016” riassume tutto il senso dell’urgenza che il WWF attribuisce alla difesa della biodiversità ricordando come, in meno di 5 anni (entro il 2020), il pianeta rischia di perdere il 67% della popolazione globale di specie vegetali e animali, mentre tra il 1970 e il 2012 le popolazioni globali di pesci, uccelli, mammiferi, anfibi e rettili si sono già ridotte del 58%, più della metà.

 

Perché rispettare l’ambiente non ci rende felici?

Il tema che desidero affrontare con questo articolo è molto complesso e spinoso perché, da qualunque parte lo si guardi, può presentare numerosi trabocchetti e può trascendere in considerazioni troppo personali, fortemente alterate dal proprio vissuto.

Cercando di essere il più aderente possibile ad una visione “scientifica” dell’argomento lo desidero affrontare lo stesso – esponendomi magari a critiche – in quanto ritengo sia essenziale per capire il perché non si riesca a fare un ulteriore passo in avanti verso una maggiore consapevolezza e verso comportamenti individuali e collettivi più virtuosi in tema di sostenibilità ambientale.

Il nocciolo della questione di Bioimita e della bioimitazione è un po’ tutto qui e allora non si può più far finta di nulla. Si tratta di capire se rispettare l’ambiente ci renda o meno felici.

La felicità è una condizione percettiva che deve innanzitutto essere distinta in due grandi gruppi: quella momentanea, che consiste nell’essere felici per un attimo, per un istante; quella duratura, che consiste nell’essere felici nel lungo periodo o per sempre, indipendentemente da quante felicità o infelicità momentanee si hanno.

Secondo autorevoli studiosi (1) che si sono cimentati a lungo sulla materia la felicità momentanea può essere raggiunta anche da stimoli molto semplici che attivano il cosiddetto “piacere emotivo” (es. mangiare un buon cioccolatino, assaporare un buon cibo, vedere un bel concerto, godere di uno splendido panorama, acquistare un oggetto, ecc.), mentre quella duratura – forse la potremmo definire “felicità autentica” – è slegata dai piaceri immediati ma è essenzialmente collegata, semplificando al massimo, ai seguenti fattori: la ricchezza, la costruzione di relazioni familiari, la limitazione delle esperienze negative e gli aspetti sociali (istruzione, razza, religione, sesso).

Vedendo questi aspetti un po’ più in dettaglio si osserva che il denaro rende felici fino ad un determinato reddito, quello che consente di avere una certa libertà economica e sociale. Poi incrementi ulteriori di soldi possono sì soddisfare la felicità momentanea ma non incidono su quella autentica e duratura. La costruzione di relazioni familiari in generale è molto importante per la felicità duratura, anche se avere cattivi rapporti con il partner abbassa enormemente le percezione della felicità autentica. Aver sperimentato poi molte emozioni negative durante l’infanzia e nella vita può incidere negativamente sulla felicità duratura anche se è possibile, attraverso esperienze positive e impegno personale, cambiare questa condizione. Infine gli aspetti sociali quali istruzione, razza, religione, sesso non hanno tutti il medesimo peso nella determinazione della felicità duratura, ma sono legati a condizioni estremamente variabili e non facilmente catalogabili.

Detto questo, dove si colloca la sostenibilità ambientale nella determinazione della felicità? Di sicuro non nella dimensione momentanea perché sono molto poche (forse nessuna) le persone che provano un intenso piacere e si emozionano nel fare bene la raccolta differenziata dei rifiuti oppure nell’uso dei mezzi pubblici al posto dell’auto privata per gli spostamenti urbani. Allora, se la sostenibilità ambientale potrebbe risiedere nella dimensione duratura della felicità, in quale ambito la possiamo collocare, se non tra i fattori sociali?

Da questo punto di vista mi sento di osservare, sia empiricamente sia analizzando gli studi statistici dell’ISTAT (2), che l’uomo, nella sua globalità, in generale è poco interessato ai fattori ambientali. Non che non gli interessano a priori. Ci pensa. Ma forse non li percepisce (ancora) importanti perché troppo complessi dal punto di vista tecnico e troppo lontani nella manifestazione dei loro effetti (non inquinare ora potrebbe impedire l’alterazione del clima tra 50-100 anni!). Spesso la felicità legata alle questioni ambientali è solo quella momentanea che ci fa appassionare alle sorti di un cane che viene maltrattato o all’inquinamento che attanaglia le nostre città e che annusiamo quando passeggiamo per le strade. Questa, però, non alimenta la vera sostenibilità ambientale perché quella importante è quella duratura che consiste, prima, nel capire il problema e, poi, nel cambiare i propri comportamenti per evitare il problema stesso.

In buona sostanza sono convinto che le questioni ambientali non incidano, se non di poco, sulla nostra felicità duratura e autentica. Purtoppo!

Sinceramente non riesco ad esprimere nessuna ricetta per poter cambiare questa percezione – che io, dopo molti sforzi intellettuali, in parte ho elaborato – ma mi rendo conto che il parlarne, il cominciare a prenderne consapevolezza, già può fornire lo stimolo perché le cose possano cambiare.

Ad avvalorare ciò vi è il fatto che chi studia la materia sostiene che i concetti di felicità e di benessere saranno i motori che condurranno il progresso verso la sostenibilità ambientale ma anche il contrario, cioè che la sostenibilità ambientale condurrà tutti verso un maggior benessere e maggiore felicità. Pertanto ci sia augura che i decisori politici e gestori dell’informazione siano in grado di cogliere queste opportunità e di operare affinché la percezione dei cittadini nei confronti della felicità contempli, oltre al denaro, alla sicurezza e alla salute, anche le problematiche dell’ambiente.

_____

(1) Martin E.P. Seligman è autore di La costruzione della felicità (Sperling 2009) e Imparare l’ottimismo (Giunti edizioni 1996). Tra gli innumerevoli studi condotti da svariate università importante è anche il World Happiness Report, un interessante documento ricco di dati sulla felicità provenienti da tutto il mondo.
(2) ISTAT “Noi Italia”

 

Personaggi | Pepe Mujica è Bioimita

José Alberto Mujica Cordano (Pepe), l’ex Presidente dell’Uruguay, sintetizza con una saggezza e una preparazione incredibili quello che cerco di dire io attraverso Bioimita. Io ci provo e spero di non perdermi. Lui, invece, è semplicemente un grande: lucido, preciso, saggio!

Senza troppi commenti inutili riporto allora integralmente una parte dell’intervista che gli ha fatto qualche giorno fa il quotidiano la Repubblica.

D: Si oppone alla globalizzazione?

R: “No, non è possibile. Sarebbe come essere contrari al fatto che agli uomini cresce la barba. Ma quella che abbiamo conosciuto finora è soltanto la globalizzazione dei mercati. Che ha come conseguenza la concentrazione di ricchezze sempre maggiori in pochissime mani. E questo è molto pericoloso. Genera una crisi di rappresentatività nelle nostre democrazie perché aumenta il numero degli esclusi. Se vivessimo in maniera saggia, i sette miliardi di persone nel mondo potrebbero avere tutto ciò di cui hanno bisogno. Il problema è che continuiamo a pensare come individui, o al massimo come Stati, e non come specie umana“.

D: Lei è ateo ma condivide molte idee con Papa Francesco, soprattutto la critica della società consumistica e del capitalismo selvaggio.

R: “La mia idea di felicità è soprattutto anticonsumistica. Hanno voluto convincerci che le cose non durano e ci spingono a cambiare ogni cosa il prima possibile. Sembra che siamo nati solo per consumare e, se non possiamo più farlo, soffriamo la povertà. Ma nella vita è più importante il tempo che possiamo dedicare a ciò che ci piace, ai nostri affetti e alla nostra libertà. E non quello in cui siamo costretti a guadagnare sempre di più per consumare sempre di più. Non faccio nessuna apologia della povertà, ma soltanto della sobrietà“.

_____

Video: Discorso del Presidente dell’Uruguay José Alberto Mujica Cordano, alla conferenza delle Nazioni Unite sullo sviluppo sostenibile, tenutasi a Rio il 20 Giugno 2012.

 

Basta solo cambiare prospettiva e…

L’uomo si è arrogato unilateralmente il ruolo di essere dominante del Pianeta, sia su tutti gli altri animali che sulle piante. Questo atteggiamento non si basa su una reale e oggettiva nostra supremazia perché, rispetto a loro, non siamo ne migliori ne più intelligenti (l’intelligenza è un concetto relativo che commisuriamo solo alla nostra capacità logica e analitica). Siamo solo più aggressivi, spregiudicati e opportunisti!

Per comprendere gran parte degli errori che commettiamo nei nostri rapporti con gli animali e per capire l’inutile cattiveria che spesso abbiamo nei loro confronti e che produce un mare di sofferenza, è sufficiente tentare di cambiare solo la prospettiva.

Per farlo riporto una serie di illustrazioni di differenti autori che, con durezza e senza filtri, ci costringono a guardare in faccia la cruda realtà senza alibi. Ecco allora il rinoceronte che, da vivo, taglia il naso ad un uomo. Oppure l’aragosta che mette un neonato vivo in acqua bollente e si lamenta delle urla. Oppure ancora l’uccello che tiene un uomo in gabbia per il canto.

Da vedere. E meditare…

ATTENZIONE: Alcune immagini sono molto forti e potrebbero urtare la vostra sensibilità

animali_uomo

animali_uomo1

animali_uomo3

animali_uomo4

animali_uomo5

animali_uomo6

animali_uomo7

animali_uomo8

animali_uomo9

animali_uomo10

animali_uomo11

animali_uomo12

animali_uomo14

animali_uomo15

animali_uomo17

animali_uomo18

animali_uomo19

animali_uomo20

animali_uomo21

animali_uomo13

animali_uomo16

animali_uomo22

_____

Fonte: greenme.it

 

Siamo sicuri che ci proteggano del tutto?

Con questa affermazione mi riferisco ai numerosi carabinieri, poliziotti, vigili e soldati che quotidianamente effettuano servizio di protezione dei cittadini, soprattutto nel centro storico e nei principali luoghi di aggregazione delle nostre città. L’obiettivo è quello di tutelare la nostra sicurezza contro la malavita in generale e, dopo i terribili eventi di Parigi dello scorso mese di novembre e di Bruxelles dello scorso mese di marzo, contro eventuali atti terroristici

Ma siamo sicuri che ci proteggano del tutto?

Sinceramente non ho conoscenze approfondite in materia per capire se effettuino correttamente i loro interventi di dissuasione delle azioni malavitose e terroristiche. La mia percezione però non è troppo rassicurante. In effetti nulla o poco succede in una città di provincia come la mia, e ciò potrebbe essere dovuto anche al caso.

Quello che però posso osservare da utente pedone e ciclista del centro storico della mia città, Verona, è il fatto che tutte queste forze dell’ordine presenti lo appestano con i gas di scarico delle loro auto, normalmente SUV, dei loro mezzi anfibi e dei loro camion militari che tengono costantemente accesi anche se sono parcheggiati e non effettuano alcuna attività di pattugliamento. In più con i loro mezzi frequentano – a volte solo per andare a bere un caffè – anche le aree pedonali, unici piccoli spazi dove i motori a scoppio sono banditi e dove da essi i cittadini trovano un po’ di pace (1).

Visto e considerato che oramai da tutte le parti ci dicono che lo smog fa male alla salute e che è necessario operare, nell’agire umano, verso una maggiore sostenibilità ambientale, mi chiedo se non sia anche il caso di intervenire anche in questo ambito, chiedendosi cosa si può migliorare pur garantendo il medesimo servizio e la stessa efficacia di intervento.

Ragionando nell’ottica della bioimitazione, ribadendo la mia estraneità a tattiche militari o a servizi di polizia, provo ad elencare alcuni semplici interventi che potrebbero rendere più sostenibile il servizio di ordine pubblico e di pattugliamento del territorio.

Innanzitutto è necessario che vengano eliminate tutte quelle auto SUV impiegate. Esse potrebbero essere utili se gli interventi fossero effettuati in alta montagna o dove la strada è sterrata ma nei centri storici, anzi, possono essere più ingombranti o meno efficienti. Meglio sarebbe utilizzare auto ibride od elettriche (2) che oramai forniscono una buona autonomia di esercizio e si potrebbero muovere più agevolmente dove le strade sono strette e affollate di gente. In più sarebbero silenziose e, se devi pedinare qualcuno, forse è meglio non farsi sentire e vedere. Per alcuni servizi di pattugliamento poi sarebbe più agevole utilizzare agenti in bicicletta che possono più facilmente effettuare inseguimenti e vigilare più a fondo il territorio.

Polizia biciIn secondo luogo, nell’ottica dell’efficienza energetica e dei sistemi di abbattimento dei gas di scarico dei mezzi, mi chiedo se sia proprio necessario tenerli sempre accesi anche quando sono fermi. Se, come è giusto che sia, gli operatori devono avere un minimo di comfort termico (caldo in inferno e fresco in estate), è anche vero che tali obiettivi possono essere realizzati in modo diverso sui mezzi, magari con piccole modifiche tecniche senza per forza far funzionare a vuoto il motore a combustione interna che produce calore solo come effetto collaterale, non voluto.

Infine, a conclusione, mi chiedo se non sia meglio realizzare delle stazioni mobili motorizzate nei luoghi strategici e sensibili da cui gli operatori dell’ordine pubblico si possano spostare a piedi, in bicicletta o con mezzi (auto o moto) elettriche per effettuare i pattugliamenti sul territorio.

Polizia auto elettricaMi sembra che l’attuale attività – anche se le finalità sono positive – sia gestita invece con un atteggiamento di misto pressapochismo ambientale e di piccola arroganza nei confronti dei diritti dei cittadini e credo proprio che si possa e si debba fare qualcosa in più per cambiare.

_____

(1) Naturalmente l’inquinamento urbano non è dovuto solamente ai gas di scarico degli automezzi che circolano in strada ma rilevante è anche quello che rimane sospeso in aria e che deriva da più fonti. Ciò che però fanno i mezzi inquinanti è riversare i fumi di combustione prima in aree – le strade, le piazze – dove i pedoni li possono facilmente respirare e poi contribuire ad incrementare quello di fondo che rimane sospeso in atmosfera.
(2) Qualche giorno fa ho visto finalmente fare pattugliamenti nel centro storico di Verona ad un’auto totalmente elettrica. Forse era solo un miraggio ma dopo anni, era ora. Bene!

 

Il padrone della festa

Voglio che le cariche importanti / dove si decide per il mondo / vengano assegnate solo a donne madri di figli.
Sarei così curioso di vedere / se all’interno delle loro decisioni / riuscirebbero a scordarsi il loro futuro.
Il tetto delle nostre aspettative / è così basso che si potrebbe anche toccare, / la vita media di una prospettiva / è una campagna elettorale.
”Ambiente” non è solo un’atmosfera, / una rogna nelle mani di chi resta / e il sasso su cui poggia il nostro culo / è il padrone della festa.
Dicono che fossero giganti, / i primi uomini che camminavano sul mondo / per questo forse allora di errori così grandi non c’era bisogno, / no non c’era bisogno di sacrificarci a un dio di poche lire / pagarlo col silenzio perché / si deve progredire ma / è come un albero che cresce nella direzione opposta: / le radici perse in aria e la testa nascosta.
Invece ciò che ti riguarda mi riguarda, / come ciò che lo riguarda, / ti riguarda.
Se siamo ammanettati tutti insieme alla stessa bomba.
Ora per ora per ora, un passo alla volta / uno per uno per uno fino alla svolta / ora per ora per ora, un passo alla volta / uno per uno per uno fino alla svolta / perché il sasso su cui poggia il nostro culo / è il padrone della festa.

Nell’album “Il padrone della festa” di Fabi-Silvestri-Gazzè, la bellissima canzone omonima racconta di quanto la politica e il profitto, in un abbraccio mortale, siano responsabili della grave crisi ambientale che l’uomo sta attualmente vivendo. Ignari – per ignoranza, ma più spesso per cinismo – che, nonostante tutto il loro potere o tutta la loro ricchezza, siamo comunque tutti ammanettati alla stessa bomba e che l’unico vero padrone della festa è quel sasso su cui poggia il nostro culo!

Immagini sublimi che esprimono con lucido dolore quanto stupidi siamo. Ma anche sane illusioni che, passo dopo passo, uno dietro l’altro, con consapevolezza potremmo anche giungere ad una svolta.

FABI_SILVESTRI_GAZZE

 

Più guardo l’uomo e più penso che siamo ridicoli

Che cosa voglio dire dichiarando che l’uomo è ridicolo? (1) L’affermazione può sembrare un’ipocrisia assoluta e un enorme insulto se pensiamo alla (apparente) supremazia che abbiamo raggiunto rispetto agli altri esseri viventi che popolano la Terra. Se pensiamo alla tecnologia che abbiamo raggiunto, alla manipolazione della chimica, alla genetica, alla grande disponibilità di energia e di cibo. Se pensiamo alla longevità della nostra vita rispetto a quella dei nostri antenati, alle possibilità di cura in caso di malattia e alle regole sociali che siamo riusciti ad elaborare. Se pensiamo all’economia, al linguaggio, all’arte, alla musica, alla religione e, in generale, alla profondità del pensiero simbolico che abbiamo sviluppato in poche generazioni evolutive, durate solo qualche decina di migliaia di anni.

Quello che voglio osservare con questa affermazione è il fatto, da me percepito, che l’illusione di essere superiori alla natura e artefici attivi, non più passivi, delle sue dinamiche ci ha fatto perdere di vista l’obiettivo primario della vita, quello di vivere, di procreare e di garantire un futuro per i nostri discendenti. Il che, tradotto per i tempi moderni e per l’umanità attuale è: vivere sereni e felici, cioè avere benessere (ben-essere, che non è solo quello economico); godere delle relazioni familiari e amicali, magari accudendo anche la prole (non necessariamente quella biologica); garantire a se stessi, ma soprattutto alle generazioni future, le stesse opportunità di benessere su questo insostituibile pianeta.

Quando si osservano, invece, le dinamiche umane tutte collegate in una rete infinita di relazioni fatte di soprusi, di guerre, di disuguaglianze, di religioni, di manipolazioni del pensiero, di distruzione delle risorse ambientali, di alterazione profonda degli equilibri planetari non si può non pensare che siamo semplicemente ridicoli. Se non peggio!

Quando si pensa alla scienza in balia del narcisismo e del vantaggio economico, alla salute svenduta al profitto, alla finanza fine a se stessa che gioca alla roulette russa con i bisogni dei cittadini, alle aziende che anziché essere al servizio del progresso e dei bisogni dei cittadini sono finalizzate solo al becero profitto, come non pensare che l’uomo sia ridicolo.

Quando si pensa alla funzione delle nostre guide (politici, capi religiosi, intellettuali) e si vedono i loro comportamenti ipocriti fatti di gestione del mero potere, di arricchimento economico personale e di manipolazione delle libertà individuali per biechi fini propagandistici come non pensare che l’uomo sia ridicolo.

Quando ci si guarda indietro nella storia delle nostre “civiltà” e si vede distruzione, guerre, ipocrisia, cattiveria, opportunismo, follia collettiva ma, soprattutto, continuità senza fine dell’azione umana senza concrete svolte radicali come non pensare che l’uomo sia ridicolo.

Quando si pensa agli altri esseri viventi che con noi condividono ora il pianeta Terra ma che lo hanno abitato da più tempo di noi, anche quando non c’eravamo o eravamo solo un abbozzo evolutivo, come non pensare che siamo ridicoli. Come non pensare che siamo ridicoli noi che abbiamo bisogno di un telefono cellulare per comunicare, di un gps per orientarci, di vestiti per coprirci, di supermercati per mangiare, di ospedali per curare problemi che in gran parte noi stessi abbiamo generato. Come non pensare che siamo ridicoli noi che diciamo che una lumaca “fa schifo”, che un lupo “è cattivo”,che un topo “è sporco”, che una mucca è un “bene di consumo”, che un pipistrello “non è intelligente”.

Ebbene sì, quando si pensa a tutto questo – e a molto altro – come non pensare che siamo ridicoli. E forse anche stupidi!

_____

(1) Anch’io appartengo alla specie Homo sapiens e, per questo, non mi posso considerare estraneo al problema.

 

In coda al semaforo

Qualche mattina fa ero in coda al semaforo e, nella corsia a fianco della mia, su una bella vettura costosa la mia attenzione è stata catturata da una interessante scena familiare fatta di discorsi animati e di sorrisi tra una madre e un figlio dall’età apparente di circa 10/12 anni. Nonostante si stessero presumibilmente recando a scuola l’atmosfera era comunque spensierata e gioiosa.

Il mio interesse (1) è stato però anche calamitato da un particolare della scena: sia la madre che il figlio NON indossavano le rispettive cinture di sicurezza, obbligatorie per il Codice della Strada a partire dalla fine degli anni ’80 del secolo scorso. La signora aveva la cintura attaccata al gancio (altrimenti suona, e se suona!!!) ma la teneva sotto il corpo mentre il ragazzino non ce l’aveva nemmeno attaccata.

Subito ho pensato che quelle persone, nell’ambito della circolazione stradale fatta di traffico, di alta velocità, talvolta di mancato rispetto delle distanze di sicurezza e, spesso, di disattenzioni varie, stavano mettendo a serio rischio la loro incolumità, senza arrivare per forza alla perdita della loro vita. Un incidente, anche banale, poteva far diventare quei corpi dei proiettili in balìa degli eventi – air-bag compresi – che avrebbero potuto determinare infortuni e lasciare sul loro corpo invalidità anche permanenti. Poi, però, ad evento accaduto si piange, si recrimina e, magari, si cita in giudizio la casa costruttrice per difetti progettuali o costruttivi oppure si chiedono anche grossi risarcimenti alle assicurazioni e ai fondi per le vittime della strada!

Subito ho fatto un parallelismo con le tematiche della sostenibilità ambientale e della bioimitazione che tratto in questo blog e mi sono chiesto come, al di là di tutte le ricerche autorevoli, di tutta la comunicazione in materia, al di là di tutta l’energia che si spende per “convincere” le persone sulla bontà delle soluzioni proposte – spesso malviste e considerate o disfattiste o “sempre contro” – sia possibile fare breccia e raggiungere l’obiettivo educativo su soggetti così apparentemente “normali” che, però, violano in maniera evidente e disinteressata regole che sono state stabilite solo a loro favore e per tutelare la loro sicurezza. Dietro non c’è nessuna lobby della cintura o nessuna organizzazione degli arrotolatori che ottengano vantaggi personali, eppure le regole vengono violate…

L’unica soluzione che mi viene in mente per ottenere il risultato del rispetto delle regole è quella – dopo aver ovviamente operato nell’ambito educazione e di aver lasciato il tempo che le regole siano assimiliate – di lasciare liberi i comportamenti ma di non fornire più gratuitamente i diversi servizi che in caso di incidente si dovessero rendere necessari. Ecco allora che, se accertata la palese violazione della regola di indossare la cintura di sicurezza, deve essere pagata l’ambulanza che esce a soccorrere gli incidentati; deve essere pagata la pattuglia delle forze dell’ordine che effettuano i rilievi; deve essere pagato il servizio di pronto soccorso ospedaliero. Magari non tutta la spesa ma una quota simbolica che faccia capire che il mancato rispetto delle regole – a seguito di un evento – incide economicamente sulle tasse pagate da chi le regole le rispetta e, pertanto, deve continuare ad avere servizi gratuiti.

Credo che potrebbero diminuire subito di molto i “furbetti” e credo che una tale pratica del chi sceglie di sbagliare paga applicata anche in alcuni ambiti ambientali dove sono interessati direttamente i comportamenti dei cittadini e le loro scelte possa portare a migliorare notevolmente i risultati desiderati.

_____

(1) Per lavoro mi occupo di prevenzione e di analisi dei rischi in ambito di salute e sicurezza e sul tema ho una discreta sensibilità.

 

Viva la burocrazia

La retorica comune, dall’amministratore delegato alla casalinga, dal parlamentare al giornalista, dal politico locale all’imprenditore, è fermamente convinta che la burocrazia sia il vero male della nostra società e il vero nemico del benessere economico perché rallenta il progresso ed è contraria al “fare”. In parte non possiamo negare che tale considerazione sia vera – ovviamente – soprattutto quando essa ostacola di proposito il corretto svolgimento della vita e delle attività delle persone per un qualche tornaconto personale o per scarso impegno lavorativo da parte dei funzionari pubblici che ne sono il motore, ma alla burocrazia dobbiamo anche riconoscere dei meriti e delle virtù perché, se non esistesse, sono convinto ci sarebbe meno giustizia sociale, meno giustizia economica e meno democrazia (1).

La burocrazia, che nella sua definizione è quella sorta di organizzazione di persone e risorse destinate alla realizzazione di un fine collettivo secondo criteri di razionalità, imparzialità e impersonalità, rappresenta quel collante sociale, quel sistema di controllo e di garanzia di rispetto delle regole che, mancando, farebbe venir meno quel patto sociale simbolico che esiste tra persone che, nonostante le loro numerose differenze, costituiscono e rappresentano la società nel suo insieme in quanto ne condividono diritti e doveri.

Per comprendere appieno questa mia considerazione qualche tempo fa mi ha colpito una lettera aperta a vari sindaci scritta da parte del WWF veronese che lamentava la richiesta da parte di un privato – il proprietario – di trasformare 4 ettari di terreno, facenti parte di un Sito di Importanza Comunitaria (SIC) per la salvaguardia della natura, in un “vigneto di tipo moderno e intensivo”. E molto remunerativo, direi io. Dalla lettura approfondita della lettera – tra l’altro contestata da parte di altre associazioni ambientaliste locali in quanto troppo morbida e troppo accondiscendente – si comprende che i terreni oggetto di tale progetto agro-industriale sono stati prima sottoposti allo screening X per poi avere la relazione Y, contestata dalla valutazione Z. Insomma su quei miseri 4 ettari di terreno, che non sono nulla dal punto di vista economico ma che rappresentano una boccata di ossigeno per la natura in un territorio fortemente antropizzato quale è l’hinterland veronese, si sono espressi un po’ tutti – la burocrazia – e, per fortuna, ancora nulla è successo in termini di trasformazione agricola. Almeno spero, visto che nonho più seguito la vicenda.

Proviamo ora ad immaginare se non fosse esistita la burocrazia cosa ne sarebbe di quei 4 ettari di terreno. Giusto! Proviamo ora a pensare cosa ne sarebbe di una splendida isola, di una splendida scogliera, di una magnifica montagna o di una magnifica collina. Esatto! Proviamo solo ad immaginare che fine avrebbe fatto il paesaggio o la tutela del patrimonio artistico, quelli considerati dall’art. 9 della Costituzione (2). Risposta corretta! Proviamo solamente ad immaginare  – nel Paese degli abusi edilizi e dei numerosi condoni – quali scempi urbanistici, più di quelli attuali, ci sarebbero stati senza burocrazia. Giusto!

E allora, cosa ci lamentiamo a fare. Dobbiamo solo dire: “Viva la burocrazia”! (3)

_____

(1) I paesi civili del nord Europa e del nord America funzionano meglio del nostro non perché non esiste la burocrazia – anzi ce n’è molta – ma perché esiste la giustizia sociale. Quella della troppo burocrazia è solo una scusa.
(2) L’art. 9 della Costituzione recita: “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e della ricerca scientifica e tecnica. / Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”.
(3) La burocrazia siamo noi. Solo la cultura, il senso etico e il senso civico sono i motori della giustizia sociale e dell’economia.

 

Rapporto sul Benessere Equo e Sostenibile in Italia

L’Istituto Nazionale di Statistica (ISTAT) ha da poco presentato la terza edizione del “Rapporto sul Benessere Equo e Sostenibile in Italia (BES |2015)(1), un quadro integrato dei principali fenomeni sociali, economici e ambientali che stanno caratterizzando l’evoluzione del nostro Paese in questi anni recenti. Anche quest’anno il Rapporto BES analizza i fattori che hanno un impatto diretto sul benessere umano e sull’ambiente attraverso l’analisi dei seguenti 12 argomenti (commentati).

  1. Salute – Vita media in aumento, ma stabile quella in buona salute. Disuguaglianze territoriali in crescita, disuguaglianze di genere in diminuzione.
  2. Istruzione e Formazione – Migliorano i livelli di formazione e si riduce il divario con l’Europa, in crescita la partecipazione culturale.
  3. Lavoro e conciliazione dei tempi di vita – Primi segnali di ripresa ma ancora forti divari e lontani dall’Europa.
  4. Benessere economico – Dal 2014 segnali di miglioramento della condizione economica delle famiglie. Non si attenuano le disuguaglianze.
  5. Relazioni sociali – Aumenta la fiducia negli altri, cresce la rete potenziale di aiuto e cala la partecipazione politica.
  6. Politica e istituzioni – Cresce la presenza delle donne nei luoghi decisionali economici e politici, ma resta elevata la sfiducia nelle istituzioni.
  7. Sicurezza – Dopo anni di sostenuto aumento della criminalità predatoria, rallenta la crescita dei reati. Diminuisce la violenza contro le donne ma aumenta la sua gravità.
  8. Benessere soggettivo – Cresce l’ottimismo verso il futuro, soddisfazione per la vita ancora stabile.
  9. Paesaggio e patrimonio culturale – Progressi insufficienti nella tutela dei beni comuni.
  10. Ambiente – Passi in avanti ma ancora criticità per la gestione delle risorse naturali e della qualità dell’ambiente.
  11. Ricerca e innovazione – Poche sorprese sul fronte della ricerca e innovazione. La situazione resta in gran parte stabile.
  12. Qualità dei servizi – Graduale miglioramento dell’erogazione di acqua, energia elettrica, gas e rifiuti. Ancora criticità per servizi sociali, mobilità e carceri.

Mentre dal Rapporto BES 2015 emerge che la situazione è abbastanza positiva sul lato dei temi socio-economici con buoni livelli di salute, di formazione e di lavoro nonché una buona percezione da parte dei cittadini sia per le relazioni sociali che – stranamente – per la loro condizione economica, dal Rapporto stesso emerge, invece, che la situazione è alquanto negativa relativamente ai temi socio-ambientali, in particolare il paesaggio, il patrimonio culturale e l’ambiente in generale.

Emissioni gas serra_BES 2015Se si considerano in maniera più approfondita i temi che manifestano aspetti di più spiccata negatività, ci si rende conto che la tutela del paesaggio e dell’ambiente non è sufficiente a garantire quei livelli necessari perché si configuri benessere per i cittadini.

Abusivismo edilizio_BES 2015Dal lato della tutela del paesaggio e del patrimonio culturale, anche se alcuni obiettivi si possono dire quasi raggiunti (es. piccolo rallentamento nel consumo di territorio agricolo a causa della crisi del settore edile), altrettanto non si può dire dal lato della dismissione di aree agricole interne che non vengono più coltivate e da quello dell’espansione delle monocolture industriali. Purtroppo sul piano del paesaggio vi è una forte disparità regionale e territoriale (tra Nord e Sud) sulla capacità delle istituzioni di tutelare i beni pubblici e vi è un elevato abusivismo edilizio, non riscontrabile in altre economie avanzate. In Italia, poi, nonostante la grande vocazione turistica per i paesaggi e per i beni culturali, vi è un’inadeguata spesa pubblica dedicata a tali scopi. Elementi fortemente negativi sono presenti anche riguardo la percezione da parte dei cittadini per il paesaggio, che li rende fortemente insoddisfatti, soprattutto al Nord.

Paesaggio degradato_BES 2015Dal lato poi dell’Ambiente in generale, pur avendo il patrimonio naturalistico in Italia anche una importante funzione economica (per l’agricoltura e per il turismo), vi è comunque una scarsa tutela degli ecosistemi che richiederebbe, invece, maggiori sforzi anche in considerazione dei cambiamenti climatici in atto. La protezione dell’ambiente rappresenta una chiave determinante e lungimirante per le scelte del sistema Paese ed anche dei singoli cittadini. Le azioni volte oggi ad uno sviluppo ecosostenibile possono condurre, domani, al miglioramento del benessere delle persone. Le azioni di tutela dell’ambiente, di gestione sostenibile delle risorse naturali e di lotta ai cambiamenti climatici, con un piano di sviluppo legato alle energie rinnovabili e all’efficienza energetica, possono aggiungere valore e proteggere i nostri territori, sostenere la società e l’economia. Luci e ombre sono ancora presenti fra le varie aree del Paese e fra i diversi aspetti che costituiscono la tematica ambientale, anche se nel corso degli ultimi anni, con l’impulso delle normative e dei vincoli europei, sono stati compiuti passi in avanti in quest’ambito. Aumenta la disponibilità di aree verdi urbane a disposizione dei cittadini, si riduce l’inquinamento dell’aria in diverse città, cresce l’energia prodotta da fonti rinnovabili, si contraggono le emissioni di gas serra e il consumo di materiale interno, questi ultimi anche come conseguenza della crisi economica. A questi progressi non resta insensibile neanche la popolazione italiana che esprime più consapevolezza sulle problematiche ambientali, maggiore partecipazione attiva e migliori scelte di spesa. È ancora evidente però, la necessità di interventi sostanziali sul territorio in termini di tutela e gestione dell’ambiente. Nel settore dei rifiuti urbani si riduce la quota dello smaltimento in discarica, anche se l’Italia rimane in netto ritardo rispetto agli altri paesi europei. Resta anche grave, soprattutto in alcune regioni del Mezzogiorno e dell’Italia centrale, la dispersione di acqua potabile dalle reti di distribuzione comunale, così come la depurazione delle acque reflue urbane. Ugualmente grave la presenza di diversi siti inquinanti da bonificare diffusi sul territorio nazionale. Permane infine la presenza di diverse aree del territorio con problemi di dissesto idrogeologico e alluvioni accentuati dall’incremento di eventi climatici estremi.

_____

(1) Nato nel 2010, il BES si è ispirato ad iniziative internazionali simili anche se il quadro di riferimento adottato in Italia risulta tra i più ambiziosi proponendosi di misurare non solo il livello di benessere attraverso l’analisi degli aspetti rilevanti della qualità della vita dei cittadini, ma anche la sua l’equità in termini di distribuzione delle determinanti del benessere tra soggetti sociali e la sua sostenibilità, a garanzia che lo stesso livello di benessere possa essere fornito anche alle generazioni future.

 

L’EXPO è già un lontano ricordo

Prendo la metropolitana che dal centro di Milano porta alla Fiera di Rho almeno un paio di volte la settimana da quasi 15 anni. Si tratta di una linea, quella “rossa” M1 che, passando dal centro della città, scarica un fiume di persone alle fermate “Duomo” e “S. Babila”, un po’ meno alla fermata “Cadorna FN”, qualcuna in meno a “Lotto” e, più si va verso la periferia, più i passeggeri si diradano fino quasi a scomparire. Questa è la norma tranne alcune anomalie che si verificano nei giorni dell’anno in cui si svolgono le principali iniziative fieristiche. Durante i mesi dell’EXPO, soprattutto nella fase finale dei mesi di settembre e ottobre scorsi, le normali proporzioni quotidiane dei passeggeri si sono completamente ribaltate, per poi tornare agli equilibri di affluenza normale non appena sono stati chiusi i cancelli della manifestazione.

Quello che colpisce ora, a pochi mesi dalla fine dell’EXPO, è il fatto che da nessuna parte si rileva traccia dell’enorme movimento dei mesi passati. Tranne qualche vecchio residuo di cartellone pubblicitario degli sponsor principali non ancora coperto da quelli nuovi, della kermesse fieristica internazionale a Milano non è rimasto praticamente nulla.

Al di là dei dati economici e degli equilibri finanziari (1) che, si spera, saranno analizzati con dovizia di particolari da esperti contabili e revisori dei conti, quello che mi colpisce e mi rattrista è il fatto che di tutti i messaggi di sostenibilità (“EXPO: nutrire il Pianeta, energia per la vita”) e di tutte le “Carte di Milano” non sia rimasto praticamente più niente. Nessuno ne parla e nessuno ne scrive più. Svaniti!

Senza andare troppo a scavare nei dati e nelle statistiche e senza cercare motivazioni troppo complicate, a mio modesto parere questa è la vera e semplice dimostrazione dell’inutilità e dell’inefficacia educativa di EXPO. Bisognava solo attendere qualche mese dalla chiusura dei cancelli per potersene rendere conto. Et voilà.

Proprio da questo generale disinteresse per la manifestazione che si nota già solo pochi mesi dopo la fine (non ne parla più la politica, non ne parla più la stampa e non ne parlano più gli amici o i conoscenti entusiasti che ci sono andati più volte ma che ora sui social network enfatizzano altro) si deduce quanto siano stati ipocriti i vari messaggi che hanno prima giustificato all’opinione pubblica e poi sostenuto la manifestazione durante il suo svolgersi. Era tutto un fiorire di messaggi “green” – dal tema principale, il nutrimento per il Pianeta al risparmio energetico; dall’uso di auto ecologiche alla “Carta di Milano” – che  il disinteresse di questi giorni ha dimostrato essere solo marketing. Questo generalizzato distacco per EXPO dimostra quanto il vero scopo della manifestazione, che noi (giustamente) sospettavamo fin dall’inizio, fosse altro rispetto ai temi sacrosanti che avrebbe dovuto trattare. Lo scopo era, in primis, costruire i padiglioni e le infrastrutture (e indirettamente consumare territorio) e, in secondo luogo, accontentare le multinazionali a creare, con soldi pubblici, un evento da consumare in breve termine nel quale commercializzare e promuovere beni alimentari o attività legate al cibo che poco o nulla hanno a che fare con la salvaguardia dell’ambiente e il (giusto) nutrimento del Pianeta.

È vero, in generale chi ci è andato si è divertito. Ma nulla di più che trascorrere una giornata al parco divertimenti o allo zoo. Viste queste considerazioni mi permetto di fare un appello alla politica: giustificare una manifestazione molto costosa pagata dai soldi dei cittadini attraverso falsi scopi ambientali è una cosa immorale che dovreste evitare, per il futuro, di fare. La sostenibilità ambientale è una cosa troppo seria da poter essere manipolata ad libitum per obiettivi che nulla hanno a che fare con essa. Please!

_____

(1) Il Fatto Quotidiano osserva che, in sei mesi, all’EXPO ci sono stati 20 milioni di ingressi, di cui quelli effettivi, tolti i vari movimenti del 14mila addetti, sono stati circa 18 milioni. Per ottenere il pareggio finanziario ci sarebbero voluti 20 milioni di biglietti venduti in media ad almeno 19 euro ciascuno. Secondo fonti interne, invece, il prezzo medio è stato di 10 euro ciascuno, poco più della metà di quello ottimale.

 

La teoria delle finestre rotte

Siamo nel 1969, negli USA, e il prof. Philip Zimbardo dell’Università di Stanford ha un’intuizione per cercare di spiegare alcune dinamiche di comportamento sociale. Per avvalorare le sue tesi lasciò abbandonate in strada due automobili uguali: stesa marca, stesso modello, stesso colore. Una nel Bronx, un’area al tempo molto degradata della città di New York e l’altra in un quartiere borghese di Palo Alto, in California. Ciò che accadde fu che l’auto del Bronx cominciò subito ad essere smantellata: i materiali che potevano essere utilizzati vennero rubati mentre la carcassa rimasta venne distrutta e data alle fiamme. Al contrario l’auto di Palo Alto rimase perfettamente intatta.

L’esperimento non termino così perché i ricercatori decisero in seguito di rompere un vetro dell’auto di Palo Alto per vedere quale ne fosse l’effetto. In poche ore si assistette anche in California alle stesse dinamiche di furto e di vandalismo che avevano caratterizzato il Bronx, a dimostrazione che le cause dei crimini non devono per forza essere attribuite alla povertà – come era ed è spesso opinione comune – ma anche ad altri fattori, molto più profondi e complessi.

Da qui, dopo ulteriori esperimenti di approfondimento e di conferma (1), nacque la cosiddetta “Teoria delle finestre rotte”. In sostanza, se viene rotta la finestra (di un’auto o di un edificio) è probabile che ne verrà rotta un’altra. Se le finestre rotte sono due o più, la probabilità che ne vengano rotte altre aumenta in  maniera esponenziale. Se la finestra rotta viene invece riparata, il processo normalmente si interrompe. E ciò è indipendente dal luogo dove avviene, sia esso povero ed emarginato o ricco e borghese. Al limite è solo una questione di tempo.

Questa teoria si associa normalmente ai concetti della “esemplarità” e della “emulazione“, secondo cui le persone tendono ad osservare i comportamenti degli altri e a copiarli. Se sono positivi non ci saranno problemi particolari ma, se sono negativi, vi è la possibilità che si verifichino situazioni anche più gravi.

Se, traendo spunto da questa teoria, negli anni ’90 del secolo scorso il sindaco di New York Rudolph Giuliani è stato in grado di sconfiggere la criminalità, anche quella grave, che attanagliava la sua metropoli attraverso interventi volti a reprimere situazioni di microcriminalità e di degrado, è facile intuire che ciò possa funzionare anche per altri temi, come quelli ambientali.

Se, ad esempio, è difficile sconfiggere la mafia che inquina alcune regioni d’Italia attraverso la gestione illegale dei rifiuti, si può tentare di ripristinare, in quelle stesse regioni, la legalità spiccia che si manifesta regolarmente nei comportamenti quotidiani di tutti. Bisogna liberare le strade dai piccoli rifiuti urbani abbandonati a terra e bisogna far rispettare, banalmente, anche le regole del Codice della Strada.

Se è difficile sconfiggere l’abusivismo edilizio che ruba ogni anno migliaia di ettari di territorio agricolo e impedisce la corretta riscossione delle tasse, si può tentare di recuperare la legalità e il piacere della bellezza urbana eliminando i graffiti sui muri, regolamentando il traffico e i piccoli comportamenti quotidiani, spesso esercitati anche da parte dei giovani, che portano ad avere incuria e mancato rispetto per i beni pubblici.

Se è difficile impedire che le persone si riversino e avvelenino i centri urbani con le loro vetture private, si può tentare di far pagare a tutti i servizi di trasporto dei mezzi pubblici, sanzionando pesantemente e inflessibilmente soprattutto le piccole infrazioni della circolazione stradale urbana. Ciò farebbe orientare una buona parte degli spostamenti urbani verso la bicicletta (ritenuta sicura) e verso i trasporti pubblici (percepiti sicuri ed efficienti).

Ci vorrebbe veramente poco. A volerlo…

_____

(1) Nel 2007 e nel 2008 Kees Keizer e colleghi, dell’Università di Groningen, approfondendo gli esperimenti del prof. Philip Zimbardo hanno condotto una serie di studi sociali controllati per determinare se l’effetto del disordine esistente (come la presenza di rifiuti o l’imbrattamento da graffiti) avesse aumentato l’incidenza di criminalità aggiuntive come il furto, il degrado o altri comportamenti antisociali. Hanno scelto diversi luoghi urbani successivamente trasformati in due modi diversi ed in tempi diversi. Nella prima fase il luogo è stato mantenuto ordinato, libero da graffiti, finestre rotte, ecc. Nella seconda fase esattamente lo stesso ambiente è stato trasformato in modo da farlo sembrare di proposito in preda all’incuria e carente relativamente al controllo: sono state rotte le finestre degli edifici, le pareti sono state imbrattate con graffiti ed è stata accumulata sporcizia. I ricercatori hanno poi segretamente controllato i vari luoghi urbani osservando se le persone si comportavano in modo diverso quando l’ambiente era stato appositamente reso disordinato. I risultati dello studio hanno corroborato la teoria secondo cui un disordine lieve, come l’accumulo di rifiuti per strada o la presenza di graffiti sui muri, può facilmente incoraggiare altri comportamenti ben più gravi, come ad esempio il furto.

 

Il cambiamento degli “stili di vita” funziona?

Prendo spunto dall’interessante articolo “Stili di vita. La ricetta neo-liberista” pubblicato qualche tempo fa dal sito saluteinternazionale.info per avventurarmi in un’analisi sociologica di quali siano i possibili limiti per far sì che una maggiore consapevolezza ecologica si traduca poi in azioni concrete da parte dei singoli individui verso una sempre più profonda sostenibilità ambientale. Peraltro necessaria.

È vero, l’articolo in questione parla di salute pubblica e non di ecologia ma gli argomenti in discussione – salute e sostenibilità ambientale – sono così strettamente interconnessi nei loro obiettivi, nelle loro dinamiche sociali e nei loro risultati che si possono perfettamente sovrapporre.

In particolare nell’articolo si osserva quanto siano inefficaci le campagne di educazione di massa sulla salute (quelle che si propongono di modificare gli “stili di vita”) basate sul presupposto che la causa ultima delle malattie – e l’obiettivo su cui agire – risieda quasi esclusivamente nei singoli individui e nelle libere scelte che essi compiono. Focalizzare l’attenzione sulla responsabilità individuale fornisce un alibi ai decisori di aver fatto tutto il possibile per risolvere i problemi, anche se poi i risultati o sono scarsi o, se positivi, risultano troppo lenti nel realizzarsi. Inoltre la scelta di agire sul cambiamento dei nostri comportamenti – sapendo che sono lunghi nel concretizzarsi – può destare anche il sospetto che le loro decisioni siano fortemente influenzate dalle lobby che vogliono guadagnare soldi sulle nostre disgrazie.

Attualmente la visione dominante relativa alla promozione della salute tra gli operatori del settore igienico-sanitario e tra i decisori politici è solo quella che coinvolge il cambiamento dello “stile di vita” che ogni singolo individuo è sollecitato a compiere. La letteratura scientifica sull’argomento, però, dimostra la scarsa efficacia di tale approccio educativo-individualistico ponendo l’attenzione, invece, su un approccio strutturale e globale esercitato da parte della politica – cioè da parte dello Stato – che si pone un obiettivo a lungo termine ed agisce da più fronti per perseguirlo. Anche, se necessario, imponendolo.

Lavorare sugli individui e sui loro comportamenti essenzialmente vuol dire non voler risolvere i problemi ma mantenerli sempre vivi – pur facendo finta di risolverli – per assecondare il desiderio di medicalizzazione spinta della società che viene sostenuta da chi ne trae vantaggi. Solo lo Stato, invece, è in grado di incidere su cambiamenti rapidi e duraturi, attraverso scelte fiscali, scelte tecniche e scelte organizzative anche forti ed estreme.

Spostando ora l’attenzione sulle questioni ambientali si può osservare esattamente la stessa dinamica. I decisori politici fanno (apparentemente?) di tutto per “educarci” ad essere più ecologici e più sensibili alle tematiche ambientali anche se poi continuano ad accettare incenerimento dei rifiuti, traffico veicolare urbano, ampio uso di chimica in agricoltura e chi più ne ha più ne metta. Questo atteggiamento però – maliziosamente o inconsapevolmente – tende a rallentare molto un processo che, invece, dovrebbe concretizzarsi in breve tempo perché la situazione è grave e dovrebbe essere risolta presto. Meglio sarebbe, invece, l’individuazione delle priorità d’azione inderogabili e la messa in campo di interventi forti da parte dello Stato nel perseguimento degli obiettivi.

Per capire meglio il concetto si prenda tra i tanti, ad esempio, due temi importanti dal punto di vista ambientale: la produzione di energia utilizzando fonti rinnovabili e la corretta gestione dei rifiuti, ponendo l’attenzione soprattutto sul riuso e sul riciclo dei materiali.

In merito alla produzione di energia è evidente comprendere come sia cosa molto lenta – e forse non del tutto efficace – coinvolgere individualmente i cittadini (un po’ tutti, anche quelli che hanno scarso interesse o scarsa cultura in materia) che prima devono analizzare nel dettaglio il problema, capirne l’importanza e, poi, agire concretamente o per richiedere sul mercato energia prodotta da fonti rinnovabili o per prodursela da soli. Se invece lo Stato imponesse delle tasse a chi produce energia inquinando e fornisse, come in parte ha fatto ma si è fermato sul più bello, forti incentivi (ripagati dalle tasse di cui prima) a chi produca o utilizzi energia da fonti rinnovabili, si capirebbe anche intuitivamente quali sarebbero i risultati.

Venendo ai rifiuti, alla limitazione della loro produzione, alla loro corretta gestione e al loro corretto trattamento, si fa veramente fatica ad educare, in breve tempo e verso una direzione univoca, una massa di individui che hanno diverse personalità e diverse culture. Inoltre, in quest’ambito, il cattivo comportamento di pochi potrebbe determinare danni ambientali anche molto gravi che coinvolgono tutti (ad es. gli incendi o l’abbandono dei rifiuti che si verificano soprattutto in alcune regioni d’Italia). Migliori risultati si otterrebbero invece attraverso un intervento molto forte dello Stato che tassa già alla fonte i materiali poco riciclabili, che crea politiche che incentivano il riuso dei materiali, che penalizza chi produce troppi imballaggi e così via.

Sulla base di queste considerazioni – replicabili in una infinità di ambiti – si comprende facilmente come la modifica dei comportamenti individuali sia inefficace. Solo un forte intervento pubblico, invece, dispiegato in numerosi settori (tassazione, educazione, organizzazione, punizione, ecc.) può perseguire il raggiungimento di obiettivi concreti.

Il dubbio, però, è se qualcuno li voglia veramente perseguire!!!

_____

Immagine: www.controlacrisi.org

 

La vita è una splendida avventura

Nel mondo c’è posto per tutti. La natura è ricca e sufficiente per tutti noi. La vita può essere felice e magnifica ma l’abbiamo dimenticato. Le macchine invece di abbondanza ci hanno dato povertà! La scienza ci ha trasformato in cinici, l’abilità ci ha resi spietati. Pensiamo troppo e sentiamo troppo poco. Più che di macchine abbiamo bisogno di umanità! Più che di intelligenza, di dolcezza e di bontà. Siamo uomini, non macchine. Facciamo in modo che la vita sia una splendida avventura!

Ho letto queste frasi qualche giorno fa sul muro di un campetto di calcio mentre pranzavo nel parco pubblico di Caselle di Sommacampagna (VR). Ci vado abbastanza spesso e non ci avevo mai fatto caso. Belle frasi, totalmente condivisibili.

E, a pensarci bene, non c’è bisogno di molto perché la vita sia una splendida avventura…

Murales Caselle_02_mod

Murales Caselle_01_mod

 

Life without plastic

Qualche anno fa il giornale britannico The Indipendent ha pubblicato la storia di Thomas Smith, un dottorando in chimica di Manchester che ha tentato di vivere senza plastica. Dopo sei mesi si è purtroppo arreso perché questo terribile e fantastico materiale è dappertutto e pervade con involontaria insistenza tutta la nostra esistenza quotidiana e tutta la nostra vita. Da quando nasciamo a quando la nostra pelle è la carta geografica delle nostre numerose esperienze di vita la plastica è con noi. Dal biberon al catetere ospedaliero. Dalla penna al computer. Dalle bevande al cibo non ne possiamo fare a meno e chi ci ha provato si è dovuto arrendere di fronte allo stress di combattere un “nemico” troppo potente.

È stato abbastanza difficile trovare frutta e verdura senza imballaggi di plastica – ha affermato Thomas Smith – ma le ho trovate nei piccoli negozi di quartiere. Più complesso è stato trovare la carta igienica non imballata o dentifricio e spazzolini da denti non in plastica. Il sapone poi me lo sono fatto da solo. Anche fare acquisti in internet non è stato semplice – continua Smith – perché gli imballaggi degli spedizionieri sono anch’essi in plastica”.

Di fare a meno della plastica ci hanno provato anche molti altri. E tutti, prima o poi, hanno dovuto desistere dall’impresa. Beth Terry, dalla California, afferma di essere riuscita a vivere senza plastica per anni, anche se non è riuscita a far sì che il suo bagno fosse del tutto plastic free. Gavin McGregor, di Londra, ha sperimentato una vita senza plastica ma è durato solo un mese per le enormi difficoltà di acquistare, in una grande città, alimenti senza imballaggi di plastica.

Tutto questo nonostante il fatto che gli ingredienti chimici di più del 50% della plastica in commercio siano, in accordo con la classificazione delle Nazioni Unite, molto pericolosi per la salute. Ne è un esempio il Bisfenolo A presente in numerosi prodotti, tra cui dispositivi medici e imballaggi per cibo e bevande; gli ftalati che possono danneggiare il sistema riproduttivo e possono procurare asma e cancro; gli additivi del PVC, del polistirene, del poliuretano e del policarbonato che sono dei potenti interferenti endocrini e possono provocare il cancro.

Fare a meno della plastica risulta impossibile anche nonostante il fatto che essa rappresenti un grave problema per la corretta gestione dei rifiuti, compreso il loro riciclo. Circa la metà dei rifiuti plastici prodotti nell’Unione europea finisce nelle discariche e non viene trattata. A livello mondiale la produzione di plastica è aumentata dagli 1,5 milioni di ton. del 1950 agli attuali circa 260 milioni di ton., di cui circa 60 milioni di ton. sono prodotti nella sola Europa, con un incremento previsto di circa il 5% annuo.

È certo che si deve fare qualcosa. E presto. Da subito è necessario che si inizino a stabilire delle regole che impongano plastica totalmente riciclabile o compostabile. Ma anche questo non è sufficiente perché la raccolta dei rifiuti e il conseguente riciclo degli stessi è un fenomeno troppo capillare e complesso per poter funzionare bene. Sarà allora necessario cercare di far sì che già dalla produzione siano evitati i prodotti usa e getta e si inizi a pensare maggiormente al riuso degli stessi, affinché possano avere una nuova vita senza diventare per forza rifiuti. Piuttosto che eliminare la plastica – per ora ancora insostituibile – sarà necessario operare perché la stessa comporti il minor impatto ambientale possibile e sia concepita – attraverso imposte che la tassino enormemente o attraverso metodi che ne impediscano l’uso indiscriminato – come un materiale raro, da riutilizzare e trasformare continuamente.

_____

Nota: Per chi desiderasse provare a vivere senza plastica o per chi fosse semplicemente interessato a limitare il proprio impatto ambientale derivante dall’uso di tale materiale può cercare ispirazione per prodotti senza plastica nel sito Life Without Plastic (www.lifewithoutplastic.com).
Fonte: The Indipendent

 

Perché non andrò all’EXPO

Qualche giorno fa mentre salutavo alcuni amici sulla soglia di casa e si facevano gli ultimi discorsi parlando del più e del meno mi veniva da loro proposto di passare assieme una domenica all’EXPO. In fin dei conti la città di Milano non è poi così lontana da dove abito e il logo della manifestazione si trova un po’ ovunque, dalla bolletta della Telecom al biglietto del treno; dall’imballaggio degli alimenti alle pagine dei giornali che è difficile non esserne in qualche modo attratti.

Ho ripensato qualche giorno più tardi a quella proposta e mi sono chiesto se, al di là della mia refrattarietà alla manifestazione già ampiamente documentata su questo blog, esistano comunque dei validi motivi per andare a fare una capatina all’EXPO per curiosare tra i padiglioni e ammirare il cibo del mondo. In fin dei conti, dopo tante critiche, ora che la fiera è operativa e si può toccare con mano, non sarebbe male poterlo fare di persona. E, perché no, magari cambiare anche idea.

Alla luce dell’invito ho iniziato ad approfondire ulteriormente l’argomento e, da quello che ne è emerso, sono sempre più convinto che ad EXPO non ci voglio proprio andare e che questa mia convinzione non sia frutto di una presa di posizione aprioristica basata su dei preconcetti ma che si fondi su una mia profonda coerenza comportamentale e su delle motivazioni molto concrete che provo ad elencare e a motivare.

1) Secondo quanto afferma Vandana Shiva nel suo blog sull’Huffington Post, EXPO più che essere una manifestazione che cerca di approfondire sul cibo, sulla produzione dello stesso, sulla salute alimentare e sulla sostenibilità sociale ed ambientale che ad esso sono collegate (1), è piuttosto una manifestazione che funge da vetrina per le multinazionali dell’alimentazione e della chimica che, invece di “nutrire il pianeta”, pensano piuttosto a nutrire se stesse e i loro affari. Ne è una dimostrazione il fatto che tra i principali sponsor vi siano McDonald’s e Coca Cola (ma anche Monsanto, Syngenta, Nestlé, Eni, Dupont, Pioneer) e che ad EXPO – per esempio – non siano previste particolari iniziative sull’agricoltura familiare che coinvolge centinaia di milioni di persone nel mondo oppure sull’agricoltura alternativa e di nicchia, alternativa addirittura al biologico che anch’esso oramai è un affare.

Expo-2015-multinazionali

Ovviamente il tutto, agli occhi dei cittadini, deve in qualche modo essere mascherato: ad esempio ci si concentra sul non spreco del cibo – cosa sacrosanta e giusta – senza pensare troppo a quale sia la qualità o la salubrità del cibo che si spreca. Ad esempio si parla di cibo regionale ma non ci si chiede troppo quanta chimica, quanta acqua, quante manipolazioni genetiche (OGM) o quanta energia sia necessaria per produrlo. Ad esempio si mette nel calderone tutto il cibo senza pensare troppo a quale possa essere il suo impatto sulla salute, sull’ambiente e sulla biodiversità.

Lo scopo è vendere. E la fiera EXPO deve far incrementare i fatturati delle industrie (2). Se poi ci sono degli effetti collaterali… si affronteranno in altre sedi.

2) EXPO è stata una enorme operazione di inutile cementificazione del territorio. Come affermano illustri esperti in materia sia di architettura che di cibo, si sarebbe potuto realizzare la manifestazione – in modo diverso rispetto alle precedenti, e qui stava la grande novità tecnologica e il grande progresso – senza utilizzare neanche un chilo di cemento. Inoltre si sarebbe potuto cercare di alimentare completamente la fiera con energia da fonti rinnovabili. E, invece, si sono riempiti milioni di metri quadrati di erba con milioni di metri cubi di edifici. Se poi ci sono le auto della polizia elettriche oppure quelle della manifestazione ecologiche alimentate a metano, oppure se c’è la raccolta differenziata dei rifiuti queste non sono atro che operazioni di greenwashing atte a creare confusione e a dare l’impressione di sostenibilità ambientale ad una cosa che con la vera sostenibilità ambientale, quella profonda, non quella di facciata, non ha nulla a che fare.

3) Gli edifici e le strutture che ora ospitano EXPO e che sono state realizzate anche con i soldi delle mie tasse non hanno, ad ora, una collocazione futura. In buona sostanza non si sa che cosa sarà di esse dopo il 31 ottobre prossimo. Città delle musica e del cinema? Mah! Università? Mah! Area manifatturiera o espositiva? Mah! I presupposti sono per ora quelli che tutto andrà presumibilmente in malora come molte delle strutture costruite per altri EXPO in giro per il mondo oppure per le olimpiadi varie che ogni 4 anni fingono di promuovere lo sport.

Al di là del fatto che si sarebbe dovuto utilizzare solo materiali rinnovabili per la realizzazione delle varie strutture, è da dire che si sarebbe anche dovuto progettare il tutto già nell’ottica della dismissione o della destinazione urbanistica finale. Si sarebbe dovuto fare come Londra che, dopo l’ubriacatura economica delle olimpiadi di qualche anno fa, sta ricavando denaro e sta producendo posti di lavoro anche dalla dismissione e dalla collocazione alternativa delle strutture sportive.

In conclusione anche se so che le critiche le dovrei fare dopo aver visto di persona, ritengo che questi tre motivi siano già più che sufficienti per esprimere il mio dissenso verso EXPO, non tanto e non solo per manifestazione in sé, quanto, e soprattutto, per le importanti occasioni perse.

_____

(1) Carlo Petrini, fondatore di Slow Food, dopo una prima polemica con gli organizzatori di EXPO per non aver invitato i pescatori, gli allevatori e gli agricoltori, ora propone di invitare a Milano, dal 3 al 6 ottobre 2015,  5.000 giovani contadini, allevatori e artigiani da 170 paesi per parlare finalmente di cibo e di produzione dello stesso.
(2) Come scrive La Repubblica la Regione Lombardia, attraverso le parole dell’assessore regionale Valentina Aprea che scrive una letera ai dirigenti scolastici, invita gli alunni delle scuole ad andare all’EXPO e di godere degli eccezionali sconti di prezzo da McDonald’s.

 

L’asteroide della sesta estinzione

E se l’uomo fosse l’asteroide della sesta estinzione di massa? L’interessante quesito se lo pone il teologo anglicano Richard Bauckham, recentemente ospite al Festival Biblico di Vicenza.

La quinta estinzione di massa si è verificata circa 65 milioni di anni fa, probabilmente a causa della caduta di un asteroide sulla Terra. Fu sconvolgente. Scomparvero i dinosauri e la vita sul nostro pianeta cambiò radicalmente. I rettili, prima enormi ed egemoni, lasciarono il posto ai mammiferi che iniziarono ad occupare tutte le nicchie ecologiche. I rettili, che non scomparirono del tutto, diminuirono notevolmente la loro taglia e ridimensionarono drasticamente la loro posizione sul Pianeta rispetto agli altri esseri viventi. Questa estinzione di massa fu la lontana premessa per la nascita dell’uomo.

Richard Bauckham è un religioso che concepisce il mondo come “Creato”, cioè opera di Dio. Per questo motivo i problemi che riguardano il clima, la natura e l’ambiente diventano una questione teologica. «È importante per i cristiani avere una prospettiva di questo tipo perché in passato la visione dell’ambiente è stata profondamente influenzata dalla teologia. Tuttavia questa visione ha incoraggiato un approccio antropocentrico che pone il creato in una posizione subalterna all’uomo. Ecco: questa è una concezione che va corretta. Perché nelle Sacre Scritture sono presenti tutti gli elementi per sostenere che l’uomo debba assumersi la responsabilità del creato stesso».

«L’estinzione delle specie che si sta consumando così rapidamente – aggiunge Bauckham – naturalmente non è un tema sollevato dalla Bibbia. Tuttavia, quando si pone un tema nuovo per l’uomo occorre tornare alle fonti e osservarle in modo nuovo, interrogandole. Il Nuovo Testamento tratta della salvezza e la redenzione di Cristo non riguarda solo l’uomo, ma anche il mondo nella sua interezza. L’uomo è parte del mondo e Cristo redime uomo e mondo insieme».

«La Creazione avanza per “ambienti”: la luce, cielo e mare, la terra, i corpi celesti, pesci e uccelli, infine gli animali terrestri con l’uomo. Una celebrazione della biodiversità – sostiene Bauckham – e l’uomo, creato alla fine della sesta giornata, non è il culmine e l’obiettivo della narrazione, che infatti continua fino al settimo giorno, lo Shabbat, il riposo di Dio. Dunque l’obiettivo della creazione è la gloria di Dio». Non l’uomo.

La sesta estinzione di cui siamo testimoni e che è bene rappresentata dalla perdita di biodiversità animale e vegetale (escluso l’uomo) della Terra, potrebbe però non essere il culmine della distruzione. Nulla impedisce che l’uomo estingua anche se stesso. «Il riscaldamento globale – osserva ancora Bauckham – ha posto questa questione ricordandoci che siamo così legati alla creazione che se qualcosa va male intorno a noi, va male anche per noi. Tra i cristiani, peraltro, è diffusa la convinzione che Dio non permetterà che si arrivi a tanto. Siamo portati a pensare che ponendoci al fianco del Signore scamperemo all’autodistruzione. Io penso che abbiamo ragione di sperare che sia così, ma non possiamo darlo per garantito».

Per quanto Bauckham avverta che: «Non siamo esseri indipendenti che possano ergersi sopra la distruzione del resto della natura ma che restiamo parte integrante della comunità interdipendente del creato», non si può nascondere il fatto che la questione è resa più complessa dal ruolo della scienza che oramai gode quasi di vita propria ed è diventata molto più della mera estensione dell’intelligenza dell’uomo. «Nel suo approccio alla natura — commenta il teologo — l’uomo ha un’indiscutibile abbondanza di talenti. Ma per quanto certi ritrovati, ad esempio nella medicina, siano benvenuti, l’insieme traccia scenari pericolosi. La tecnologia dev’essere impiegata con rispetto: la sua storia moderna prova che, accanto agli esiti anche negativi previsti e calcolati, moltissimi danni sono stati provocati contro le nostre intenzioni. Occorre riscoprire il valore della modestia, il senso dell’umiltà quando si maneggia la scienza. Io invoco una tecnologia soft».

E io, personalmente, in merito alla scienza e alla tecnologia, ne invocherei una che sia imitativa del funzionamento della natura. Solo così si potranno fare pochi errori; questi ultimi saranno di entità più lieve e si potrà sperare di garantire un adeguato futuro all’umanità senza la spada di Damocle – intuita anche da una parte delle religioni – della distruzione autoindotta.

_____

Fonte: Corriere della Sera

 

Il Ministro dell’Ambiente, questo sconosciuto

Qualcuno per caso ricorda il nome dell’attuale Ministro dell’Ambiente? E quello precedente? E, per caso, qualcuno sa il nome esatto del “Ministero dell’Ambiente”? Se non ne avete idea non preoccupatevi. Sono in tanti gli italiani che non ne hanno idea: una parte di loro non sa nemmeno che esiste un Ministero dell’Ambiente e, tra quelli che ne conoscono l’esistenza, una buona parte non ha idea di che cosa faccia e a che cosa serva. E, sinceramente, anch’io ho qualche dubbio!

Per dovere di cronaca l’attuale Ministro dell’Ambiente si chiama Gian Luca Galletti e il nome esatto del ministero si chiama “Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare”. Un nome altisonante che vuole dichiarare a tutti la grande estensione del campo di azione di tale Ente che non è limitato al solo concetto astratto di “ambiente” ma che si spinge fino alle tutele concrete del “territorio” e del “mare”. Ottimo!

Galletti_modifQueste tutele, però, esistono solo a parole e nelle declinazioni grammaticali del nome del Ministero. A dimostrazione che il Ministero dell’Ambiente è poco importante e che il ruolo del ministro è marginale nell’insieme delle azioni sociali di cui si occupa il Governo italiano, vi è il fatto che Il sig. Gian Luca Galletti è laureato in Scienze Economiche e Commerciali e nella vita ha svolto la professione di dottore commercialista e revisore contabile. Fin qui nessun problema perché potrebbe essere il commercialista più esperto di tutti i commercialisti d’Italia in tematiche ambientali. Se però ci si addentra tra le competenze del sig. Galletti si nota che egli ha fatto poco e si è occupato poco di tematiche ambientali. Piuttosto, come è giusto che sia per un commercialista, nella sua lunga carriera politica si è occupato prevalentemente di questioni fiscali e finanziarie.

È pertanto triste, a mio avviso, vedere quale sia la considerazione strategica che gli amministratori politici hanno dell’”ambiente”. È triste vedere che lo considerano una pura formalità amministrativa – se non una seccattura – e i loro interventi sono prevalentemente di facciata o partecipazioni a convegni. Poche sono le leggi prodotte; poche sono le iniziative strategiche proposte. È triste vedere che questo Ministro non viene quasi mai menzionato dai telegiornali o dai media in generale (né nel bene né nel male). Non interessano i suoi discorsi. Non interessano le sue idee.

Eppure l’”ambiente” – non la parola di cui si abusa ma visto come la nostra unica “casa” – dovrebbe essere al centro sia delle strategie sociali sia delle analisi economiche. Dovrebbe essere nominato più spesso quando si parla di salute, quando si parla di trasporti, quando si parla agricoltura e di istruzione. Dovrebbe essere al centro delle discussioni che animano le politiche dell’occupazione e del lavoro; dovrebbe essere il collante delle politiche industriali e dovrebbe essere la base della ricerca scientifica e dello sviluppo tecnologico.

E purtroppo, invece, l’ambiente esiste solo per inquinamento, i rifiuti, il consumo di territorio, il petrolio, le grandi opere inutili, la corruzione e, legato ad esso, esistono solo i SOLDI. E, l’ambiente, è solo un fottuto ostacolo a poter farne TANTI.

Ma che tristezza!

_____

Nota: per rendersi conto del curriculum del Ministro Gian Luca Galletti e per capire quali sono le strategie o le iniziative legislative del Ministero dell’Ambiente è sufficiente accedere ogni tanto al suo sito internet e girovagare tra le varie pagine.

 

Je suis Charlie Hebdo

Quello che è successo a Parigi in questi giorni è una cosa orribile. Attaccare con una violenza omicida senza pari la libertà di espressione (1) è un’azione vile e deprecabile che deve essere condannata da chiunque abbia un briciolo di intelligenza e di cultura, in tutte le lingue del mondo.

Attaccare la libertà di espressione significa limitare il pensiero e renderlo unico sopprimendo il senso critico che è il carburante fondamentale per cambiare il mondo, il modo di porci ad esso e per sostenere lo sviluppo futuro dell’uomo attraverso pratiche sostenibili dal punto di vista ambientale.

L’attacco omicida al giornale satirico “Charlie Hebdo” ci colpisce così tanto perché in qualche modo colpisce al cuore il nostro mondo occidentale e il nostro pensiero facendoci sentire vulnerabili ed indifesi. In queste giornate tristi desidero comunque osservare il fatto che anche noi occidentali con i nostri comportamenti e con le nostre azioni in varie occasioni abbiamo procurato drammi e paure a chi era diverso da noi e a chi aveva pensieri e sensazioni diverse dalle nostre. E in fondo lui, in questo mondo, voleva solo manifestare la propria di libertà.

Tignous_DelocalizzazioneNella nostra ipocrisia, però, nessuno di noi si è radunato in piazza per protestare, ad esempio, contro i droni militari che, silenziosi, in Afghanistan o in Iraq, “per errore” decimavano le famiglie di persone innocenti che liberamente circolavano per le strade o nelle loro case. Nessuno si è radunato per inneggiare con cartelli alla distruzione, in Amazzonia, degli habitat delle popolazioni indigene locali o alla loro decimazione da parte di speculatori industriali che desideravano impossessarsi dei loro minerali o del loro legname che poi arrivavano anche a noi. Nessuno ha alzato matite al cielo per condannare le deportazioni di persone o le delocalizzazioni selvagge (senza diritti alla sicurezza e alla salute delle popolazioni) che avvengono in Africa o in paesi non democratici che la finanza, l’economia globalizzata e il commercio internazionale impongono.
È dura da ammettere ma difendere la nostra libertà è, soprattutto, avere il coraggio di difendere quella degli altri.

Tignous_Clima_____

(1) nella giornata del 7 gennaio 2015 un commando mascherato non ben precisato ha attaccato con armi da fuoco la redazione del giornale satirico “Charlie Hebdo” uccidendo 12 persone (di cui 2 poliziotti) e ferendone un numero elevato. Tra le persone uccise figurano anche i vignettisti Stephane Charbonnier (Charb), Jean Cabut (Cabu), George Wolinski, Bernard Verlhac (Tignous), l’economista Bernard Maris, giornalisti e altri collaboratori del giornale.
Immagini: Greenpeace France

 

Puntualmente arriva il Natale

Come tutti gli anni, puntualmente arriva il Natale. E tutto ciò che ad esso è collegato, compreso il consumismo che quasi sempre è sinonimo di mancanza di sostenibilità ambientale. Quest’anno voglio fare miei – con qualche piccola modifica – i 10 consigli che Greenpeace ci fornisce per far sì che il nostro possa essere il più possibile un Natale eco-sostenibile.

  1. Luci natalizie. Per creare l’atmosfera natalizia scegliamo lampade a basso consumo fluorescenti compatte (classe A+ oppure A++) o, meglio ancora, a LED. A parità di illuminazione, con la tecnologia LED, si ha un risparmio energetico che va dal 50 al 80 per cento.
  2. Verde in casa. Attenzione alla scelta delle piante da decorazione. Dal rapporto di Greenpeace “Eden tossico” emerge che il 79 per cento delle piante ornamentali analizzate sono contaminate dai famigerati pesticidi killer delle api.
  3. Dolce Natale. Privilegiamo prodotti provenienti da agricoltura biologica, locali e stagionali. Se proprio dobbiamo, scegliamo le primizie a km 0 e che non comportano l’utilizzo di OGM. Per i dolci fatti in casa preferiamo del buon miele italiano amico delle api.
  4. Cenone della vigilia. Apparecchiamo la tavola delle feste senza prodotti usa e getta. Occhio anche ai prodotti ittici che spesso vengono consumati durante le feste: scegliamo il pescato locale offerto dalla piccola pesca e facciamo molta attenzione al tonno in scatola.
  5. Un bianco Natale. A causa del cambiamento climatico nevica sempre di meno. L’innevamento artificiale consuma ingenti risorse idriche, stressa il terreno e riduce la biodiversità. Se dobbiamo andare in vacanza in montagna preferiamo località sciistiche con neve naturale. Se vogliamo godere ancora di bianchi paesaggi aiutiamo Greenpeace a difendere l’Artico.
  6. Shopping in bici. Utilizzare le due ruote fa bene all’ambiente e alla nostra salute e se proprio proprio non ci va di pedalare, scegliamo i mezzi pubblici. Portiamo con noi buste e sacchetti riutilizzabili.
  7. Meno regali. Meglio ridurre i regali e prestare attenzione anche all’imballo. Numerosi prodotti hanno un imballo che è spropositato rispetto al contenuto.
  8. Un regalo “evergreen” sotto l’albero. Nella scelta dei regali preferiamo prodotti utili, magari riutilizzati o riciclati. Se acquistiamo prodotti nuovi scegliamoli di qualità, preferendo quelli fatti con materiali rinnovabili (es. legno) e che abbiano certificazioni ambientali (es. Ecolabel).
  9. Vestiti. Se scegliamo di regalare un capo d’abbigliamento preferiamo i marchi Made in Italy di produttori che si sono impegnati all’eliminazione delle sostanze chimiche pericolose e che applicano una sincera responsabilità sociale verso i diritti dei produttori (di solito paesi poveri).
  10. Acquisti. La carta di alcuni scontrini può contenere sostanze pericolose. Chiediamo ai nostri negozianti di fiducia di utilizzare rulli di carta riciclata e senza bisfenoli per stamparli.