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Dieselgate: la politica ne è complice?
Ce lo ricordiamo ancora lo scandalo “Dieselgate” che ha travolto Volkswagen nel settembre del 2015? O sono (quasi) riusciti a farcelo dimenticare? (1)
Tanto per ricapitolare, le autorità americane un po’ per caso e dopo un lungo iter di prove e controprove scoprono che la casa automobilistica tedesca ha utilizzato su un elevato numero di auto vendute un dispositivo che aggira i test sulle emissioni (defeat device, dispositivo di manipolazione) e che attiva i sistemi anti-inquinamento delle auto solo nel corso delle prove su rulli, in laboratorio o in officina. Su strada, invece, le auto inquinavano molto di più del dichiarato e, come ovvia conseguenza, potevano aumentare di molto la probabilità di provocare dei gravi rischi per la salute pubblica (2).
Se, da un lato, gli Stati Uniti stanno seguendo il loro percorso per accertare responsabilità e stabilire sanzioni, dall’altro lato il dieselgate ha lambito anche l’Unione europea e, di riflesso, tutti i suoi stati membri, compresa l’Italia. Come conseguenza dello scandalo in Europa è stata creata una specifica commissione di inchiesta, la Emission Measurements in the Automotive Sector (EMIS), che ha lo scopo di portare avanti indagini sulle autovetture, soprattutto diesel, circolanti nel nostro continente. Per farlo chiede ai ministeri competenti dei singoli stati di fare dei test di controllo sulle reali emissioni e di produrre delle relazioni ad hoc.
A tale riguardo, come scrive Il Fatto Quotidiano, il rapporto redatto da parte del Ministero dei Trasporti per analizzare le emissioni reali dei diesel venduti in Italia, datato 27 luglio 2016 e mai reso pubblico attraverso i canali ufficiali del Ministero, nelle sue 46 pagine contiene numerose lacune che fanno nascere un malizioso sospetto. Come osserva Anna Gerometta, presidente di “Ciattadini per l’aria”, un’associazione che fa parte della rete europea “Transport & Environment” per i trasporti sostenibili: “E’ chiaro che il governo ha voluto coprire le case automobilistiche, e in particolare Fiat-Chrysler”. Dello stesso avviso sono poi anche gli eurodeputati del M5S che pubblicano il rapporto sul loro sito e dichiarano: “Un rapporto scandaloso, che rasenta il ridicolo. Un occultamento scientifico dei dati più scomodi”.
Al di là delle tabelle, dei dati, del fatto che le auto testate siano nuove e non rappresentative del reale parco circolante. Al di là del fatto che il report sia stato pubblicato tardivamente, del fatto che siano stati testati solo i motori euro 5 e non gli euro 6, quello che emerge anche è il fatto che il Ministro dei Trasporti italiano coinvolto nella questione, Graziano Delrio, è un medico che, per deontologia professionale – anche se non lo esercita temporaneamente – e per il giuramento di Ippocrate dovrebbe sempre, dico sempre, preoccuparsi di difendere la vita, la salute e il benessere dei pazienti.
Se i dubbi riguardanti la veridicità del report del Ministero dei Trasporti sulle reali emissioni dei motori diesel dovessero in qualche modo far pensare seriamente o far emergere per certo che i dati sono stati un po’ “manipolati” per favorire una o l’altra azienda produttrice di auto, la cosa sarebbe già grave, ma molto più grave sarebbe il fatto che coinvolga un medico, ora prestato alla politica e ministro.
Un’altra cosa emerge poi dalla questione dei dubbi sul report, già chiara da tempo per molte altre funzioni e attività pubbliche: sono stati stravolti gli scopi dei diversi ruoli della società. Ora la politica, più che essere il garante di tutti è piuttosto una propaggine del potere, soprattutto di quello economico e finanziario. Essa, che dovrebbe tutelare i cittadini di fronte alla dinamicità dei tempi, tende, con la scusa della difesa del lavoro e degli investimenti, a favorire invece quasi esclusivamente il potere economico che la tiene in pugno con i finanziamenti ai partiti e con il possesso dei mezzi di informazione, necessari alla politica per avere visibilità e consenso.
Tutto qua. Se però non avremo il coraggio di ribellarci a questa evidente “anomalia” e riportare ogniuno nei propri ruoli, dovremo continuamente piangere i nostri ammalati o i morti pensando che piove e invece ci stanno solo pisciando addosso.
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(1) Il paradosso è che – notizia dell’ultima ora – Volkswagen ha spodestato Toyota dal trono di maggiore produttore di auto al mondo nel 2016. Questo nonstante tutto. E il fenomeno la dice lunga su quanto poco incida l’etica aziendale legata alla sostenibilità nelle decisioni dei consumatori.
(2) “Considerando solo l’Italia – sostiene Anna Gerometta di “Cittadini per l’aria” – ogni anno muoiono prematuramente 23mila persone a causa dell’esposizione al biossido di azoto (NO2), un gas fortemente nocivo per la salute umana e riconducibile prevalentemente alle emissioni dei veicoli diesel”. Da tempo le istituzioni internazionali sanno che in condizioni reali di guida le emissioni dei veicoli, comprese quelle degli ossidi di azoto (NOx), sono maggiori di quelle rilevate in fase di test. Un problema che in Europa dipende da un regolamento sulle omologazioni che non viene più aggiornato dal 2007. La novità che salta fuori con il dieselgate è il fatto che uno dei costruttori, Volkswagen appunto – ma sembra ce ne siano molti altri coinvolti tra cui FCA e Renault – ha addirittura truccato i test.
Siamo sicuri che ci proteggano del tutto?
Con questa affermazione mi riferisco ai numerosi carabinieri, poliziotti, vigili e soldati che quotidianamente effettuano servizio di protezione dei cittadini, soprattutto nel centro storico e nei principali luoghi di aggregazione delle nostre città. L’obiettivo è quello di tutelare la nostra sicurezza contro la malavita in generale e, dopo i terribili eventi di Parigi dello scorso mese di novembre e di Bruxelles dello scorso mese di marzo, contro eventuali atti terroristici
Ma siamo sicuri che ci proteggano del tutto?
Sinceramente non ho conoscenze approfondite in materia per capire se effettuino correttamente i loro interventi di dissuasione delle azioni malavitose e terroristiche. La mia percezione però non è troppo rassicurante. In effetti nulla o poco succede in una città di provincia come la mia, e ciò potrebbe essere dovuto anche al caso.
Quello che però posso osservare da utente pedone e ciclista del centro storico della mia città, Verona, è il fatto che tutte queste forze dell’ordine presenti lo appestano con i gas di scarico delle loro auto, normalmente SUV, dei loro mezzi anfibi e dei loro camion militari che tengono costantemente accesi anche se sono parcheggiati e non effettuano alcuna attività di pattugliamento. In più con i loro mezzi frequentano – a volte solo per andare a bere un caffè – anche le aree pedonali, unici piccoli spazi dove i motori a scoppio sono banditi e dove da essi i cittadini trovano un po’ di pace (1).
Visto e considerato che oramai da tutte le parti ci dicono che lo smog fa male alla salute e che è necessario operare, nell’agire umano, verso una maggiore sostenibilità ambientale, mi chiedo se non sia anche il caso di intervenire anche in questo ambito, chiedendosi cosa si può migliorare pur garantendo il medesimo servizio e la stessa efficacia di intervento.
Ragionando nell’ottica della bioimitazione, ribadendo la mia estraneità a tattiche militari o a servizi di polizia, provo ad elencare alcuni semplici interventi che potrebbero rendere più sostenibile il servizio di ordine pubblico e di pattugliamento del territorio.
Innanzitutto è necessario che vengano eliminate tutte quelle auto SUV impiegate. Esse potrebbero essere utili se gli interventi fossero effettuati in alta montagna o dove la strada è sterrata ma nei centri storici, anzi, possono essere più ingombranti o meno efficienti. Meglio sarebbe utilizzare auto ibride od elettriche (2) che oramai forniscono una buona autonomia di esercizio e si potrebbero muovere più agevolmente dove le strade sono strette e affollate di gente. In più sarebbero silenziose e, se devi pedinare qualcuno, forse è meglio non farsi sentire e vedere. Per alcuni servizi di pattugliamento poi sarebbe più agevole utilizzare agenti in bicicletta che possono più facilmente effettuare inseguimenti e vigilare più a fondo il territorio.
In secondo luogo, nell’ottica dell’efficienza energetica e dei sistemi di abbattimento dei gas di scarico dei mezzi, mi chiedo se sia proprio necessario tenerli sempre accesi anche quando sono fermi. Se, come è giusto che sia, gli operatori devono avere un minimo di comfort termico (caldo in inferno e fresco in estate), è anche vero che tali obiettivi possono essere realizzati in modo diverso sui mezzi, magari con piccole modifiche tecniche senza per forza far funzionare a vuoto il motore a combustione interna che produce calore solo come effetto collaterale, non voluto.
Infine, a conclusione, mi chiedo se non sia meglio realizzare delle stazioni mobili motorizzate nei luoghi strategici e sensibili da cui gli operatori dell’ordine pubblico si possano spostare a piedi, in bicicletta o con mezzi (auto o moto) elettriche per effettuare i pattugliamenti sul territorio.
Mi sembra che l’attuale attività – anche se le finalità sono positive – sia gestita invece con un atteggiamento di misto pressapochismo ambientale e di piccola arroganza nei confronti dei diritti dei cittadini e credo proprio che si possa e si debba fare qualcosa in più per cambiare.
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(1) Naturalmente l’inquinamento urbano non è dovuto solamente ai gas di scarico degli automezzi che circolano in strada ma rilevante è anche quello che rimane sospeso in aria e che deriva da più fonti. Ciò che però fanno i mezzi inquinanti è riversare i fumi di combustione prima in aree – le strade, le piazze – dove i pedoni li possono facilmente respirare e poi contribuire ad incrementare quello di fondo che rimane sospeso in atmosfera.
(2) Qualche giorno fa ho visto finalmente fare pattugliamenti nel centro storico di Verona ad un’auto totalmente elettrica. Forse era solo un miraggio ma dopo anni, era ora. Bene!
Giornate ecologiche. Ma per piacere!
Il fallimento delle giornate ecologiche che, soprattutto durante il periodo invernale, periodicamente vengono messe in campo un po’ a casaccio per contrastare il fenomeno tristemente reale dello smog nelle nostre città dimostra due importanti aspetti:
- il fenomeno dell’inquinamento non si può contrastare solamente attraverso comportamenti virtuosi collettivi messi in pratica dai cittadini;
- i principi della bioimitazione sono corretti e vanno assolutamente perseguiti per la ricerca delle soluzioni.
Ma andiamo con ordine e cerchiamo di approfondire i punti di cui sopra.
Contrastare l’inquinamento dell’aria, che interessa in particolare alcune aree geografiche (ad es. la Pianura Padana) e comunque, chi più chi meno, tutti i centri abitati, è un dovere assoluto perché – secondo studi recenti pubblicati da parte dell’Agenzia Europea dell’Ambiente – determina poco meno di 500 mila morti premature all’anno in Europa e circa 85 mila solo in Italia. A tale riguardo ciò che la politica sa mettere in campo per contrastare tale fenomeno è solo cercare di educare i cittadini ad avere singolarmente dei comportamenti virtuosi – cosa assolutamente inefficace di cui ho già parlato in un altro articolo – attraverso l’istituzione delle cosiddette giornate ecologiche, cioè giornate in cui i centri urbani sono interdetti alla circolazione delle auto, oppure di altre azioni palliative come la giornata delle biciclette o la circolazione a targhe alterne. Ma la politica non deve fare educazione, a questo ci pensa già la letteratura, l’arte, la radio, la televisione. La politica deve trovare soluzioni concrete e queste risiedono solamente nei finanziamenti a sistemi di produzione di utilizzo di energie più sostenibili (tutte le energie, non solo quelle dedicate al trasporto), al contrasto mediante le leggi a sistemi di trasporto inquinanti, al potenziamento dei servizi di trasporto pubblico e di mezzi alternativi di mobilità (es. biciclette).
Che non si voglia essere incisivi è talmente palese se si pensa al fatto che tali misure vengono messe in campo solo di domenica (per non “disturbare” il sistema economico, si intende) e a macchia di leopardo, senza una regia comune. Ecco che allora può capitare che una città abbia il blocco del traffico e quella a qualche chilometro di distanza abbia organizzato il mercatino dell’antiquariato o i carri allegorici del carnevale. Così i piccoli benefici della prima vengono vanificati dalle scelte di senso contrario della seconda.
E, in effetti, queste misure sono talmente inefficaci e disgustose per i cittadini che, durante la loro applicazione, si rilevano addirittura picchi di traffico veicolare con intasamento delle arterie cittadine periferiche e riempimento totale dei parcheggi a pagamento.
Per quanto riguarda le soluzioni a tale fenomeno dell’inquinamento dell’aria da smog, determinato per un terzo circa dai sistemi di trasporto, per un terzo circa dal sistema di produzione industriale e per un terzo circa dal sistema domestico, sono fermamente convinto – e i dati mi danno ampiamente ragione – che i principi della bioimitazione vengano in soccorso per adottare quelle misure necessarie sia nel breve periodo ma, soprattutto, nel lungo periodo, dove gli effetti dello smog sulla salute si fanno maggiormente sentire. Da un lato la bioimitazione osserva che in natura l’energia non viene prodotta attraverso la combustione ma è di derivazione solare e cinetica. Pertanto è necessario che si riproponga urgentemente tale pratica anche nei sistemi umani impedendo al più presto, per quanto già possibile, l’uso del carbone, del petrolio e di altri gas e favorendo metodi rinnovabili ed ecologici di produzione. Inoltre la bioimitazione, attraverso i suoi principi, ci dice che la natura usa solamente l’energia di cui ha bisogno. Pertanto sono troppi gli sprechi e le inefficienze sui quali si deve intervenire a livello tecnico per evitare che venga prodotta – male – l’energia che poi contribuisce all’inquinamento. Infine sempre la bioimitazione ci dice che la natura si fonda su una serie di reciproche collaborazioni.
In buona sostanza se vogliamo limitare l’inquinamento derivante dai trasporti è necessario che si inizi a pensare di dissuadere il trasporto privato (di solito rappresentato da una grande massa, quella del veicolo, che serve per muovere una sola persona) e di passare all’intermodalità, fatta di mezzi privati, di sistemi di trasporto pubblico, di veicoli a pedali e di pedoni. Per fare questo bisogna cominciare seriamente ad investire per (ri)orientare ed obbligare le scelte di trasporto verso queste direzioni.
Solo così si potrà contrastare seriamente il problema dell’inquinamento atmosferico ed evitare che la risposta alla giornata ecologica sia: “Ma per piacere!”.
Le città senz’auto
L’esperimento comunicativo non è nuovo ma, per sensibilizzarci su quanto le auto per il trasporto privato ci rubino spazi, vivibilità e benessere urbano (per non parlare anche della salute), recentemente un gruppo di esperti dell’International Sustainable Solutions ha realizzato una serie di immagini che mostrano la 2nd Avenue di Seattle (USA) in 5 diverse versioni.
1) 200 persone a bordo di 177 auto
2) 200 persone senz’auto
3) 200 persone in bicicletta
4) 200 persone su tre bus
5) 200 persone su una carrozza ferroviaria
Sono abbastanza evidenti le differenze.
E le immagini, a pensarci bene, ci fanno capire quanto, sia il nostro spirito di sopportazione che la nostra stupidità, siano inclini ad accettare ingiuste condizioni di esistenza urbana che, con una buona progettualità ed una strategia nuova di mobilità, potrebbero essere enormemente migliorate.
Auto ibrida ad aria compressa
Vi ricordate della storia dell’auto ad aria compressa che qualche anno fa girava in rete? Che fine avrà mai fatto? Quale oscuro complotto internazionale ne ha determinato la sua scomparsa?
E vi ricordate, ancora, del brevetto dell’auto ad aria compressa acquistato qualche anno fa da un produttore indiano di auto? Che fine ha fatto e che fine ha fatto l’auto economica tanto decantata che avrebbe dovuto rivoluzionare il sistema di trasporto a bassissimo impatto ambientale e a bassissimi costi?
Sembra che adesso un tale progetto, sulla base di un modello di auto prodotta dall’ing. francese Guy Negre, sia stato ripreso da alcuni produttori sardi, ma è ancora tutto molto aleatorio e di nicchia (basta vedere il design delle auto per comprenderlo) tanto che e non mi pare ci siano intenzioni troppo serie nemmeno questa volta di rivoluzionare il mercato del trasporto attraverso innovazioni rivoluzionarie nel sistema di propulsione.
Al di là delle legittime supposizioni legate anche allo spionaggio internazionale e ai complotti industriali che vorrebbero ancora per molto tempo il petrolio quale unica fonte combustibile per i trasporti, rimane comunque ancora una chimera quella dell’auto ad aria compressa che percorre, praticamente gratis, centinaia e centinaia di chilometri mossa solo dall’energia cinetica dell’aria ingabbiata ad elevata pressione in una bombola.
Personalmente piuttosto che scervellarmi sullo spionaggio ritengo che tali auto ad aria compressa abbiano ancora dei problemi tecnici da risolvere (come ad esempio la produzione di ghiaccio) che le rendono buone per le prove, per le fiere o per i lanci pubblicitari ma che poi, alla resa dei conti con i problemi quotidiani della mobilità urbana ed extraurbana, le relegano ancora al ruolo di prototipi.
Dal momento che l’energia cinetica è uno dei pilastri su cui si fonda il sistema naturale, Bioimita ritiene che tale tecnologia, più di quella elettrica, debba essere perseguita e sviluppata per migliorare l’efficienza energetica dei trasporti e per limitare (o, magari, eliminare) l’uso di combustibili petroliferi che, oltre ad inquinare e ad emettere numerosi residui (tra cui la CO2), via via andranno ad esaurimento.
Poiché ritengo che sia altamente improbabile – se mai tecnicamente fattibile – il passaggio immediato alla tecnologia ad aria compressa ma sarà necessario attraversare alcune fasi intermedie, sono rimasto positivamente colpito dall’iniziativa del Gruppo PSA Peugeot Citroën che si è posto come obiettivo, da qui al 2020, che il consumo medio dei suoi veicoli non superi i 2 litri di carburante per 100 km. Per realizzare tale obiettivo la casa costruttrice sembra aver abbandonato la ricerca sull’elettrico e l’ha sostituita con quella sull’aria compressa, chiamandola “Hybrid Air”. In sostanza il gruppo automobilistico francese – che ha depositato ben 80 brevetti internazionali per proteggere il proprio progetto – si propone di mettere in commercio al più presto (entro l’anno 2016) dei veicoli “ibridi” dotati sia di propulsione a scoppio sia di propulsione cinetica ad aria compressa.
Anche se molto simile all’auto ibrida-elettrica nei principi di funzionamento (ricarica della bombola durante la marcia e le frenate, uso dell’aria prevalentemente in partenza e a basse velocità, gestione e distribuzione dei sistemi mediante sistema elettronico), dal punto di vista tecnico la parte “ibrida” non sarà più costituita da motore elettrico + batterie di accumulo ma da un motore idraulico (pompa) + un serbatoio di aria compressa + trasmissione epicicloidale.
Stando a quanto dichiarato dal costruttore con l’Hybrid Air i veicoli potranno circolare in città senza generare emissioni per il 60-80% del tempo, abbattendo i consumi di circa il 45%. Inoltre l’autonomia senza l’uso del motore a scoppio potrebbe aumentare del 90% rispetto ai tradizionali sistemi ibridi-elettrici.
In relazione, poi, ai vantaggi rispetto ai sistemi ibridi-elettrici l’Hybrid Air elimina tutti gli inconvenienti legati alle batterie (costi elevati, durata limitata, peso consistente, oneri di smaltimento, limitatezza delle materie prime) e fornisce, invece, numerosi vantaggi di un sistema prevalentemente meccanico.
La strada verso la piena sostenibilità dei trasporti è e sarà ancora lunga e, magari, non si concluderà proprio e solo con la propulsione ad aria compressa. L’importante è che il settore inizi seriamente a rinnovare una tecnologia obsoleta basata solo sui combustibili petroliferi e metta in campo risorse verso una migliore efficienza energetica e verso sistemi di propulsione che siano il meno impattanti possibile sull’ambiente.
La IARC certifica che l’aria inquinata è cancerogena
A voi che avete terrore dell’amianto ma fate passeggiare o giocare liberamente i vostri bambini per le strade, soprattutto urbane, vi devo dare una brutta notizia: la IARC ha appena certificato ufficialmente che lo smog è cancerogeno. In sostanza ha stabilito che la pericolosità dell’amianto e quella dello smog è la stessa!
Per comprendere un po’ meglio la notizia andiamo con ordine.
Innanzitutto, anche se vi erano numerosi sospetti e se è da anni che se ne parla, ora si può dire ufficialmente che lo smog (o particolato, cioè quell’insieme di residui della combustione derivanti dalle più diverse attività umane: trasporti, incenerimento dei rifiuti, produzione di energia, riscaldamento domestico, emissioni industriali e agricole) provoca il cancro. La certificazione di tale pericolosità deriva dall’autorevole Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC – International Agency for Research on Cancer), un’agenzia dell’Organizzazione Mondiale della Sanità che qualche giorno fa – il 17 ottobre – ha pubblicato tale notizia. In pratica, dopo un lunghissimo iter di ricerche scientifiche la IARC ha affermato che “L’inquinamento dell’aria è una delle principali cause di morte per cancro”, inserendo il particolato nel Gruppo 1, cioè tra le sostanze che la ricerca scientifica ha dimostrato essere cancerogene per l’uomo.
A tale riguardo i dati più recenti indicano che, nel 2010, nel mondo, ci sono stati ben 223.000 casi di cancro ai polmoni dovuti proprio all’inquinamento dell’aria.
Come afferma il dott. Kurt Straif della IARC: “Ora sappiamo che l’inquinamento dell’aria non rappresenta solo un maggior rischio per la salute in generale, ma è anche la causa principale di morti per cancro”.
La soluzione a questo sacrificio inutile di vite umane non è né quella di fornire delle indicazioni di prudenza (1) né quella garantire migliori cure o una maggiore aspettativa di vita agli ammalati. La sola e unica soluzione è quella di abbandonare la pratica della combustione per la produzione di energia e calore.
Per liberarci dal pesante fardello del passato bisogna anche iniziare a pensare che, chi più e chi meno, attraverso le nostre scelte, siamo un po’ tutti in qualche modo responsabili per la sofferenza di qualcun altro. Che, talvolta, può essere anche una persona a noi vicina o, paradossalmente, possiamo essere anche noi stessi.
Agli amministratori, allora, un appello perché legiferino da subito nella direzione di rendere la vita difficile alla combustione; agli imprenditori e ai progettisti un appello perché cerchino immediatamente soluzioni produttive ed energetiche alternative; ai cittadini consumatori un appello perché quando aprono il portafoglio pensino che possono anche contribuire a difendere la loro salute e quella dei loro cari.
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(1) Per limitare l’esposizione allo smog si consiglia comunque di:
- evitare di fare sport in città
- evitare le strade trafficate utilizzando percorsi alternativi
- in caso di passeggiate con i bambini preferire gli zaini in spalla ai passeggini
- preferire di uscire con il brutto tempo e/o con il vento
- uscire evitando le ore di punta
- evitare di sedere all’aperto quando siete al bar o al ristorante
Tabella: Ansa
Ecodriving
Il Ministero dello sviluppo economico, il Ministero dell’Ambiente e il Ministero dei Trasporti hanno da poco pubblicato la “Guida 2013 al risparmio di carburanti e alle emissioni di CO2 delle auto”.
Il documento è molto lungo e di difficile lettura per un non esperto perché elenca, auto per auto, modello per modello, in una infinita sequenza di pagine, i consumi dichiarati di CO2.
Interessante, però, è quella parte in cui vengono dati agli automobilisti, in pillole, i 10 consigli pratici per una guida ecocompatibile (ecodriving) da applicare giorno per giorno.
- Accelerare gradualmente
- Inserire al più presto la marcia superiore tenendo il motore a bassi giri
- Mantenere una velocità moderata e il più possibile uniforme
- Guidare in modo attento e morbido evitando brusche frenate e cambi di marcia inutili
- Decelerare gradualmente rilasciando il pedale dell’acceleratore con la marcia innestata
- Spegnere il motore quando è possibile, ma solo a veicolo fermo
- Mantenere sempre la pressione e il gonfiaggio degli pneumatici entro i valori raccomandati
- Rimuovere porta-sci e portapacchi quando non necessari e tenere nel baule solo gli oggetti necessari
- Utilizzare i dispositivi elettrici solo per il tempo necessario
- Limitare l’uso del climatizzatore.
Si stima che una guida intelligente ed una corretta gestione dell’autovettura possano consentire di ridurre i consumi e le emissioni di CO2 del 10-15%, migliorando anche la sicurezza sulla strada.
Efficienza è una parola chiave nell’ambito della bioimitazione e può essere perseguita, oltre che mediante soluzioni tecniche e progettuali, anche attraverso comportamenti individuali virtuosi.
Se vi interessa poco la CO2 e le alterazioni del clima, così difficili da percepire, almeno pensate al vostro portafoglio e risparmiate un po’ di denaro. Il che, in questi tempi di crisi, non è male!
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10 consigli di ecodriving – [Per approfondire scarica il pdf]
Il noleggio di auto private
Che l’auto inquini, che intasi di traffico le città e che richieda cementificazione e consumo di territorio per le infrastrutture non è una novità. Anzi.
Che l’auto si “divori” una parte importante del reddito a causa del suo costo iniziale e per il pagamento di tasse, assicurazione e manutenzione è altrettanto chiaro.
Per far fronte alle sempre minori risorse economiche familiari dovute alle conseguenze della crisi economica perdurante si è iniziato, prima in Gran Bretagna e, da poco, anche in Spagna, a noleggiare auto tra privati. Si tratta di un’iniziativa che consente un evidente piccolo guadagno a chi affitta e qualche risparmio a chi prende in affitto, che migliora la sostenibilità ambientale dei trasporti e che consolida le relazioni umane, soprattutto comunitarie.
Il tutto nasce da una semplice constatazione: un’auto – soprattutto quelle appartenenti agli abitanti delle città – circola in media 4,6 ore alla settimana e rimane parcheggiata per il 96% del tempo. Una tale inefficienza, a cui può essere facilmente attribuito un valore monetario, se la può permettere solamente chi ha un reddito elevato e costante. Se quest’ultimo declina o diventa incostante ecco che determina inevitabili tagli ai costi che si riflettono anche sul possesso dell’auto privata o sulla modifica delle caratteristiche dello stesso.
Per venire incontro a tali esigenze nel Regno Unito è nata la Whipcar, una società che attraverso il web e dietro il pagamento di una commissione del 15%, collega la domanda (di noleggio di auto) all’offerta (di chi ne ha bisogno). Sulla scia di Whipcar è nata la spagnola Social Car che conta su un nutrito parco auto e di utenti. L’affitto costa circa 35 € al giorno e può rendere al proprietario fino a 350 € al mese.
La crisi economica viene sempre demonizzata per le sue conseguenze negative ma, al di là degli evidenti impatti sociali per i quali vi devono essere degli ammortizzatori, la crisi porta con sé anche delle interessanti idee.
Questa dell’auto privata in affitto è sicuramente una di queste perché ci libera della sua funzione di status symbol, ci concentra più sulla robustezza e sulla riparabilità che sul design e sui gadget tecnologici, ci fa capire che le auto private possono costituire anche una rete di trasporti collettivi.
La strada verso un nuovo sistema di trasporto privato si sta delineando. Le case automobilistiche che saranno in grado di coglierla, magari gestendo in proprio tutta la rete del noleggio, della manutenzione e dei servizi di condivisione, saranno in grado di sopravvivere alla crisi che nel loro settore, in Europa, le ha più duramente colpite rispetto ad altri settori. Saranno in grado inoltre di essere artefici di un cambiamento epocale che potrà dare un importante contributo alla sostenibilità ambientale di un settore che, sino ad ora, aveva inciso in questa direzione solo limitatamente investendo più sul green marketing che sullo studio di reali soluzioni alternative.
La mia auto è pronta in strada per la conidvisione. E la vostra?
Fonte: “Internazionale” del 05.10.2012
Foto: Eco in città
Non chiamiamola auto ecologica, please!
La parola d’ordine per chi vuole vendere un’automobile in questi anni di grande crisi economica è: «ecologica». Seguita, in ordine di importanza, da «CO2», «basse emissioni» «basso consumo» e «ambiente».
Nessun venditore o direttore marketing può prescindere da tale concetto. E, difatti, una statistica molto empirica che prenda come riferimento la televisione, la carta stampata, la radio nonché la frequentazione degli autosaloni d’Europa non può far altro che confermare questa affermazione. Ovunque si vede e si sente parlare di ciò!
Ciò che desidererei osservare su tale fenomeno è il fatto che le informazioni fornite sono, nella realtà dei fatti, in massima parte fuorvianti per l’acquirente e che, in effetti, nessuna automobile attualmente in commercio può definirsi veramente ecologica. Questo anche se i produttori hanno sviluppato, nei tempi, tecnologie che consentono effettivamente minori emissioni di gas di scarico e maggiore efficienza nella gestione dell’energia. Si tratta comunque di minimi risultati rispetto al vero obiettivo incarnato dal concetto di “ecologia”, cioè lo scarso o nullo impatto sull’ambiente dell’uomo e delle sue attività per salvaguardare le risorse a favore anche delle generazioni future.
Sulla base di tali osservazioni ecologica sarebbe, allora, quell’auto che non usa la combustione, diretta del motore a scoppio o indiretta per la produzione elettrica, quale energia di propulsione.
Ecologica sarebbe quell’auto che prevede parti o materiali provenienti da fonti rinnovabili ma, soprattutto, facilmente riparabili, riutilizzabili e, solo in casi limite, riciclabili.
Ecologica, infine, sarebbe quell’auto che non richiedesse la proprietà (e l’uso) individuale ma che basasse la propria funzione sul servizio di trasporto, magari collettivo.
La strada per ottenere automobili ecologiche è, quindi, molto più tortuosa e in salita rispetto a quella che ci è proposta dal marketing. Si tratta, in sostanza, di ripensare il settore nella sua totalità lavorando, in più, anche sulle abitudini di fondo dei cittadini e utilizzatori del trasporto.
Il risultato, però, potrebbe essere veramente nuovo e gli obiettivi della sostenibilità ambientale, nonché del trasporto per tutti (anche per i paesi poveri), potrebbero essere realmente raggiunti.
Foto: Hajo de Reue