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Buon Compleanno

Qualche giorno fa, il 25 febbraio, è stato il compleanno della vita sulla Terra.
Anche se in ritardo le urliamo “Buon Compleanno”!!!
Per capire il messaggio, che potrebbe apparire un po’ folle, è necessario operare di fantasia e trasporre la formazione del pianeta Terra, la nascita della vita su di esso, la comparsa degli animali più complessi e lo sviluppo delle attività umane all’interno di un ipotetico anno solare.
La Terra nasce il 1 gennaio alle ore 00.01. Il 25 febbraio (circa 3,8 miliardi di anni fa) appaiono le prime elementari forme di vita. Il 28 marzo inizia la fotosintesi clorofilliana. Il 16 di agosto iniziano a comparire le prime forme di vita pluricellulari. Dal 15 novembre inizia l’avventura dei primi funghi, il 22 novembre delle prime piante terrestri, il 24 novembre degli insetti e, a partire dal 2 dicembre, degli anfibi, dei rettili, dei mammiferi (il 13 dicembre), gli uccelli e i fiori. Il 25 dicembre si estinguono i dinosauri (circa 65 milioni di anni fa). Il 31 dicembre alle ore 11.30 gli ominidi iniziano a camminare; alle 23.36 compare l’Homo sapiens alle 23.59 inizia l’agricoltura (circa 10 mila anni fa); alle 23.59 58” inizia la rivoluzione industriale.
[scarica il pdf – Vita sulla Terra]
Alla luce di tale interessante e simpatica trasposizione che vede comparire il protagonismo tecnico-scientifico dell’uomo all’interno del Sistema Terra solo negli ultimi 2 secondi dell’ipotetico anno, come si può credere che lo stesso potrà affrontare i diversi problemi che gli si presentano all’orizzonte solo con l’uso della tecnologia? È una pura follia pensarlo e non concentrarsi, invece, su quello che rappresenta il vero motore e la vera molla di tutto: LA NATURA!
Che prima va rispettata. Poi va capita e studiata. E alla fine va copiata.
Fonte: Biomimicry
Cough, cough, cough

Cough, cough, cough.
Se ascoltate bene potete sentire i colpi di tosse secca e quel profondo rantolo sibilante che denota evidenti difficoltà respiratorie. Se guardate bene in controluce potete vedere anche delle grosse gocce di sudore che le imperlano la fronte e che le scendono dalle tempie e un evidente pallore in viso. Non è ancora sdraiata in un letto ma cammina a fatica e si trascina accompagnata da un grosso bastone che ne sostiene quasi completamente il peso.
L’immagine è chiaramente quella di una donna malata che si guarda con pietà e a cui proprio non si riescono ad augurare ancora lunghi anni di vita. La malata in questione potrebbe essere la vecchia zia nubile dal carattere un po’ acido che quando eravamo bambini tanto ci inquietava oppure l’anziana nonna amorevole che tanto ci ha amato ma che ora ha raggiunto il capolinea di una vita serena e piena di affetti.
In realtà la malata è la grande Madre Terra che oramai sta esalando, metaforicamente, gli ultimi respiri della sua lunghissima vita e che, se non curata in anticipo, potrebbe proprio non farcela a superare la notte.
A onor del vero non è la Madre Terra ad essere in difficoltà ma tutti i suoi numerosi abitanti che potrebbero non trovare in essa, in un prossimo futuro, le condizioni climatiche e ambientali in grado di consentire una vita agevole e prospera.
Al di là delle possibili cure che è materia complessa e specifica di esperti in molteplici discipline e di una politica illuminata che sia in grado di prendere le giuste decisioni, quello che preoccupa è che l’uomo, sia singolarmente sia nelle sue diverse manifestazioni sociali, ad eccezione di qualche sparuto gruppo di persone, non si sta ancora rendendo conto di ballare una musica tecno ad alto volume nella camera da letto della madre morente.
Non è più possibile, giunti a questo punto del viaggio della civiltà industriale, dire: “ci penserò domani”!
Il domani è già arrivato, è forse già stato superato e la questione si sta facendo seria. Molto seria!
Bisogna pensare che i cambiamenti di comportamento devono cominciare ad essere individuali e le scelte verso la sostenibilità devono entrare in una sorta di spirale contagiosa che non prevede bari.
Sulla barca che affonda ci siamo tutti, indipendentemente da tutto.
Foto: Doodlepalooza
Due cose certe

Due cose sono certe: che l’Homo sapiens si estinguerà e che la natura, magari con caratteristiche mutate rispetto alle attuali, gli sopravviverà ancora a lungo.
Sul fatto che l’uomo si estinguerà, analizzando i dati paleontologici, non ci sono dubbi: i mammiferi sono una specie che, dopo la scomparsa dei grandi rettili avvenuta circa 65 milioni di anni fa, ha trovato enormi nicchie ecologiche a disposizione ma ha caratteristiche fisiche troppo vulnerabili, ad esempio rispetto agli insetti, con limitate capacità di adattamento a situazioni estreme, soprattutto se in repentino cambiamento. Lo scopo è pertanto quello di evitare che tale estinzione si verifichi entro breve ma, soprattutto, che si verifichi troppo velocemente tanto da non poterci permettere di adottare iniziative di adattamento. Ecco perché ci si preoccupa dei cambiamenti climatici, della scarsità delle risorse non rinnovabili, della scarsità dell’acqua dolce e chi più ne ha più ne metta…
Sul fatto poi che la natura sopravviverà all’uomo – almeno per qualche milione di anni ancora – ciò è dimostrato dalle 5 grandi estinzioni di massa della storia della vita del Pianeta. Qualche specie – le più resistenti – sopravvive a un grande evento perturbatore che determina estinzioni di massa e da lì, attraverso mutazioni delle caratteristiche fisiche, riparte la vita che inizia a colonizzare le aree lasciate libere dalle specie estinte.
Se vi è certezza – almeno alle conoscenze attuali – sui due punti precedenti, incerti sono invece gli strumenti che l’uomo dovrà (o potrà) mettere in campo per evitare che venga a mancare troppo presto uno degli scopi principali della biologia (e della vita): la sopravvivenza della specie! O, per lo meno, vista in termini più sociali, la difesa e la maggiore diffusione dei livelli di benessere e civiltà che una parte degli esseri umani ha raggiunto.
Una parte dell’opinione scientifica e intellettuale ritiene che tale difesa possa avvenire solo ed esclusivamente attraverso una sempre più forte ingegnerizzazione della natura. Ecco allora proposte come gli OGM, le nanotecnologie, la geoingegneria e l’uso di tecnologia sempre più spinta: una sorta di ubriacatura tecnologica senza fine che alimenta sé stessa e che può essere realizzata solo attraverso l’immissione nel “sistema” di enormi quantitativi di energia.
Un’altra parte del pensiero, invece, è fermamente convinta che l’obiettivo della sopravvivenza possa passare solo ed esclusivamente attraverso l’imitazione della natura e delle regole del gioco che essa ha determinato per la vita sul pianeta Terra. Ecco che quindi risulta necessario studiarne a fondo i meccanismi e applicarli a tutte le attività umane allo scopo di renderle il meno impattanti possibile sui precari equilibri della Terra.
Personalmente non ho dubbi e credo che solo la bioimitazione potrà darci la speranza di una prospera e duratura sopravvivenza. Al contrario la tecnologia, come affermò il filosofo Paolo Rossi, talvolta per difetto di conoscenza e altre volte per presunzione di assoluta veridicità, “Quando risolve un problema ne apre altri dieci, ancora più complessi”.
Foto: Wikipedia
IKEA

Verona, la mia città, vorrebbe che IKEA si insediasse sul proprio territorio. Lo desidera così come pure Nizza, Ventimiglia e, probabilmente, molte altre città italiane e non che anelano ad IKEA come fosse una specie di manna che piove dal cielo e che dispensa, in una pioggia battente e continua, prosperità per tutti, ricchi e meno ricchi.
Non ho nulla di particolare contro IKEA che, anzi, nell’ambito della grande distribuzione, manifesta standard ecologici ed etici abbastanza elevati. In più produce buon design per tutti!
Quello che contesto, però, a chi vede in IKEA la soluzione dei problemi economici e di piena occupazione di una comunità, è il fatto che essa è solamente un grande magazzino di stoccaggio e di distribuzione di prodotti di ottimo design e di discreto rapporto qualità/prezzo, che dispensa la vera ricchezza ai proprietari svedesi e ai produttori (sia ben inteso non ai lavoratori) normalmente dislocati nelle aree più depresse del mondo. Da noi IKEA offre solamente posizioni impiegatizie di basso profilo nel settore commerciale e nella gestione del magazzino.
La vera ricchezza di una comunità sarebbe rappresentata, invece, dalla promozione di attività industriali innovative dal punto di vista progettuale (a mio avviso si dovrebbe lavorare molto sulla ricerca e sullo sviluppo di prodotti che imitano il funzionamento della natura), nonché sull’artigianato e sull’agricoltura di prodotti di qualità.
Solo così si sosterrebbe l’occupazione e il “benessere”, non solo economico ma anche culturale, di una comunità nel lungo periodo.
Cosa resterebbe, in termini di conoscenza, ad una comunità se IKEA (o altre grandi distribuzioni internazionali), in una sala riunioni a 2.000 o a 20.000 Km di distanza, dovesse decidere di andarsene?
Mi sa proprio che, a guardarlo bene, il desiderio di far installare IKEA in un dato territorio da parte di numerosi soggetti locali sia più che altro un disegno di speculazione edilizia, ben mascherato dietro il solito miraggio del lavoro, dello sviluppo e del benessere.
In viaggio fino alla fine del mondo

Scrive Massimo Gramellini su “La Stampa” del 16 dicembre 2012, commentando l’ipotetica profezia dei Maya sulla fine del mondo.
“Mi piace pensare che i Maya non avessero del tutto torto. Che il 12.12.2012 non finirà il mondo, ma un altro comincerà a prendere forma. Anch’io avrò la possibilità di farne parte, se smetterò di fidarmi ciecamente dei sensi, che intercettano solo una piccola fetta della realtà, e imparerò a rinvigorire il muscolo rattrappito dell’intuizione […]. Per chi non ha, o non ha più, un lavoro o un affetto, la fine del mondo è già arrivata e questi sembreranno discorsi astratti, brodini caldi per anime intirizzite. Ma non è così. La crisi psicologica e poi – solo poi – economica in cui versiamo è anzitutto una crisi del modello materialista che ha dominato il Novecento. Se non torniamo a chiederci chi siamo, e non solo cosa abbiamo, finiremo per non avere più nulla. Qualunque profezia non va presa alla lettera: è l’indicatore di un cambiamento spirituale […].”
Parole sacrosante quelle di Gramellini.
Però ora che la fine del mondo (quella tragica) l’abbiamo scampata ma siamo ancora sulla buona strada per subire quella lenta, inesorabile, che subiremo se non modifichiamo la rotta della nostra esistenza sulla Terra, dobbiamo riboccarci le maniche per passare dalle parole ai fatti e cambiare il sistema della produzione e dei consumi.
Al più presto, perché oramai il tempo stringe!!!
Tecnocrati

Tecnocrati che percepiscono stipendi milionari ci dicono che la nostra economia è in recessione e professori che hanno aggirato le regole democratiche per ricoprire posizioni di governo ci stanno facendo digerire pillole sociali che ci provocano forti indigestioni. Il tutto condito da politici di professione che non conoscono i veri problemi della gente e che vanno in giro a dire che la crisi è stata causata sempre da “altri” e che solo loro hanno in mente le giuste manovre di crescita per far ripartire l’economia e il benessere.
Questo è, sindacato più giornalista meno, lo scenario del Natale 2012 appena trascorso e del nuovo anno che è appena iniziato.
La verità vera, quella che tanti sanno (o pensano) ma che nessuno osa dire apertamente, è che non si tratta né di una crisi finanziaria né di una delle tante crisi passeggere e cicliche, alle quali, dalla nascita dell’industria e della moderna economia, ci eravamo abituati.
Si tratta, invece, di una crisi profonda di sistema economico e, anzi, più precisamente, di una crisi ecologica che già acuti pensatori, ricercatori e imprenditori degli anni ‘70 avevano previsto con assoluta precisione.
Basta fare qualche piccolo ragionamento approfondito ed incrociare qualche dato scientifico per capire che il “giochino” del capitalismo-consumismo non è più a lungo praticabile, perché si fonda su un enorme consumo di materie (più di quelle che il sistema Terra è in grado di produrre) e sopravvive solo se vi è una forte disuguaglianza tra i popoli, tra chi accede ai suoi “benefici” (pochi) e che non vi accede.
Solo per fare degli esempi si pensi che il USGS (United States Geological Survey) ha stimato gran parte delle materie prime che oggi utilizziamo (in particolare i metalli) entro il secolo in corso non saranno più facilmente disponibili per usi industriali.
Non si devono allora scomodare né illustri professori universitari né rampanti politici per trovare una soluzione al problema. Basta solo guardarci un po’ intorno con attenzione per scoprire che la ricetta per superare questa situazione è molto semplice e prevede una duplice azione: iniziare a parlarne per prepararci con consapevolezza all’inevitabile impatto (economico e sociale) che la crisi porterà con sé ed elaborare nuove strategie di sobrietà e di solidarietà; abbandonare l’idea che l’economia del futuro si possa fondare su un sistema predatorio delle risorse e sulla forzatura del funzionamento della natura, alimentate da grandi quantità di energia.
L’economia, il lavoro e il benessere del futuro si potranno basare solo sui principi di imitazione del funzionamento della natura. Solo così si potrà garantire continuità ai sistemi economici e sociali senza intaccare quel patrimonio di risorse materiali naturali indispensabili per alimentare gli stessi. Qualche tempo fa si diceva di preservare le risorse per le generazioni future.
E se quelle generazioni future fossimo già noi stessi?!?!
Foto: Parlamentari dormono
Bioimita – Progresso è imitazione della natura

Oggi inizia l’avventura Bioimita e il nome, già da solo, vuole descrivere ciò che si desidera analizzare e approfondire: la natura quale fonte di ispirazione, prima, e di imitazione, poi, per la gestione delle attività umane, sia produttive che sociali. Il sottotitolo desidera spiegare in sintesi questo concetto: il vero progresso duraturo si ottiene attraverso l’imitazione del funzionamento della natura e non, invece, attraverso una forzatura della stessa ottenuta per mezzo della tecnica e della disponibilità di grandi quantità di energia che, fino ad ora, sono state a basso costo.
Bioimita si basa sostanzialmente su pochi e chiari pilastri, fondamento teorico della (bio)imitazione e punto di riferimento di tutte le attività umane:
1. La natura funziona ad energia solare e ad energia cinetica, senza combustione
2. La natura usa solo l’energia di cui ha bisogno
3. La natura ripara, riusa e trasforma
4. La natura determina la forma sulla base dello scopo
5. La natura ha caratteristiche specifiche per ciascun luogo
6. La natura si fonda su una rete di reciproche collaborazioni
7. La natura non può fare a meno delle diversità
Naturalmente non si hanno ricette preconfezionate e nemmeno si ha la palla di cristallo per risolvere tutti i numerosi e complessi problemi attualmente presenti, in gran parte generati dall’uomo e dalla sua recente follia scientifica e tecnologica di cambiare le regole del gioco e forzare la natura e il suo funzionamento. Ci si propone solo di fornire un punto di vista diverso delle cose perché, come diceva Einstein, la soluzione ad un dato problema deve essere ricercata in ambiti diversi dalle cause che l’hanno generato.
Sia ben chiaro che Bioimita e la bioimitazione non devono essere assolutamente visti come una sorta di moderno luddismo che incarna un profondo desiderio di ritorno al passato perché la tecnologia e la scienza sono un male assoluto. Anzi, Bioimita e la bioimitazione criticano l’attuale sistema tecnico-scientifico perché troppo conservatore e basato su pilastri che, se validi in un contesto storico diverso come quello del passato, ora non sono più sostenibili e, pertanto, devono essere cambiati.
La strada che Bioimita e la bioimitazione si propongono per garantire risultati di prosperità e benessere per l’umanità e il pianeta che viviamo sono quelli di (ri)trovare nella natura e nel suo funzionamento quelle soluzioni necessarie per continuare il processo di evoluzione e di progresso dell’uomo basando tali convinzioni sul fatto che noi viviamo in un dato contesto – quello del pianeta Terra – che funziona in un certo modo e, all’interno del quale, la vita si è evoluta per qualche miliardo di anni attraverso prove, tentativi, successi e insuccessi.
La tecnica (attraverso la chimica, la modificazione genetica degli esseri viventi, le nanotecnologie e l’ingegneria) che l’uomo mette attualmente in campo per risolvere i vari problemi, trova sì qualche importante soluzione ma determina anche nuovi e più complesse questioni in una spirale senza fine. Per tali ragioni l’umanità si trova ad un bivio importante della sua storia che Bioimita e la bioimitazione hanno intenzione di comprendere e di risolvere.