Where is my forest?
“Where is my forest?” è il titolo di una foto molto bella del sudafricano Ian Johnson, finalista per la categoria “World in our hands” (Il mondo nelle nostre mani, ndt), che ho visto recentemente alla mostra fotografica “Wildlife Photographer of the Year” (1) presso il Forte di Bard, in provincia di Aosta.
Quello che mi ha colpito della foto in questione e che viene ben descritto dall’immagine colta dall’autore, è il fatto che il gorilla grigio immortalato abita, assieme a circa altri 480 animali, nella foresta del Volcanoes National Park, in Ruanda, un parco che oramai è completamente circondato da coltivazioni ed aziende agricole. I gorilla superstiti vivono quasi in prigione entro i confini del parco e, se per caso ne dovessero superare il perimetro non recintato, sono oggetto di uccisioni o di aggressioni da parte dei contadini che si vedono distruggere le colture che, tra l’altro, vorrebbero sempre più far avanzare. Si tratta del vecchio problema della possibile convivenza tra animali selvatici e uomo. I primi hanno bisogno di spazio per gestire il territorio, per cercare il nutrimento e per accudire i cuccioli; i secondi cercano di conquistare sempre più aree per la gestione delle loro attività economiche, per produrre cibo e per incrementare il loro benessere. Il tutto in un conflitto continuo.
La solitudine del gorilla immortalato nella foto mi fa pensare al fatto che il problema della necessaria convivenza tra uomo e animali può essere risolto principalmente attraverso due strade, che rappresentano un ulteriore passo in avanti alle azioni messe in piedi nei decenni passati per preservare specie animali in pericolo e vicine all’estinzione attraverso la creazione di aree protette.
Nel presupposto che la salvaguardia degli animali selvatici non sia un mero piacere estetico o un capriccio da ricchi e intellettuali ma sia la base della biodiversità e della sopravvivenza futura dell’uomo, la prima strada da percorrere è quella del decremento demografico della popolazione umana mondiale. Sembrerà una cosa che non c’entra molto ma bisognerà iniziare seriamente a pensarci perché non si può pensare di salvare animali, soprattutto se di grossa taglia come i gorilla, gli elefanti, i rinoceronti, i leoni, le tigri e molti altri che hanno bisogno di enormi territori, se non si pone un freno all’aumento della popolazione umana mondiale che, giustamente, nell’ottica della ricerca del benessere per tutti, deve e vuole avere a disposizione un’elevata quantità di territori e risorse.
La seconda strada è rappresentata dalla necessità che vengano individuate delle aree protette, sempre più ampie come estensione territoriale, che siano totalmente inaccessibili all’uomo e nelle quali la natura possa fare liberamente il proprio corso. A differenza di quelle attuali che risultano distribuite a macchia di leopardo su territori normalmente inospitali o poco accessibili e che si finanziano attraverso il turismo e, talvolta, la caccia grossa, si deve invece trattare di aree che vengono messe in rete l’una con le altre e che siano separate dalle attività umane da zone cuscinetto accessibili solo per attività turistiche. Solo così si potrà sperare di ottenere risultati duraturi nella difesa delle specie animali in pericolo e della salvaguardia della biodiversità perché i parchi naturali ad ora esistenti si stanno dimostrando inefficaci a contenere quell’innato desiderio dell’uomo di colonizzare e di espandere le proprie attività.
Mi rendo conto che entrambi gli obiettivi sono molto impegnativi ed estremamente complessi da realizzare ma li vedo l’unica strada che dobbiamo iniziare a percorrere. Per farlo dobbiamo cominciare a pensare che almeno una parte del Pianeta (sia la terra che il mare) non ci appartiene e non è – e non dovrà esserlo mai – a nostra disposizione.
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(1) Si tratta dell’evento fotografico più prestigioso e importante del suo genere ospitato nel Forte di Bard per la prima tappa italiana del tour mondiale. Il “Wildlife Photographer of the Year” è un premio creato per la prima volta nel 1965 da parte del Natural History Museum di Londra in collaborazione con il Bbc Wildlife Magazine che ha raccolto, in questa cinquantesima edizione, ben 42.000 concorrenti provenienti da 96 paesi. Cento sono le immagini premiate suddivise in 18 categorie. Attraverso la lente della fotografia naturalistica la mostra coglie l’intrigo e la bellezza del nostro pianeta, dandoci un punto di vista molto profondo del mondo naturale.
Foto: Ian Johnson
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