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Salva un agnello

È semplicemente disumano fare ad un essere vivente quello che è ben documentato dal video di Animal Equality. In particolare – per chi è genitore può ben capire – se fatto ad un cucciolo.

Che cittadino, che genitore, che compagno, che educatore potrà mai essere colui che maltratta gli animali o che consente ad altri di farlo?

Oltre a chiedere comportamenti etici all’industria della carne, limitiamone fortemente anche il consumo. Ne beneficerà l’ambiente e, soprattutto, la nostra salute!

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Foto: www.campaniasuweb.it

Video: Salva un Agnello – ATTENZIONE: alcune immagini contengono scene di violenza esplicita e potrebbero urtare la vostra sensibilità.

 

Albert Einstein e la crisi

Non possiamo pretendere che le cose cambino, se continuiamo a fare le stesse cose.

La crisi è la più grande benedizione per le persone e le nazioni, perché la crisi porta progressi. La creatività nasce dall’angoscia come il giorno nasce dalla notte oscura. E’ nella crisi che sorge l’inventiva, le scoperte e le grandi strategie. Chi supera la crisi supera sé stesso senza essere ‘superato’.

Chi attribuisce alla crisi i suoi fallimenti e difficoltà, violenta il suo stesso talento e dà più valore ai problemi che alle soluzioni. La vera crisi, è la crisi dell’incompetenza. L’ inconveniente delle persone e delle nazioni è la pigrizia nel cercare soluzioni e vie di uscita. Senza crisi non ci sono sfide, senza sfide la vita è una routine, una lenta agonia. Senza crisi non c’è merito. E’ nella crisi che emerge il meglio di ognuno, perché senza crisi tutti i venti sono solo lievi brezze. Parlare di crisi significa incrementarla, e tacere nella crisi è esaltare il conformismo. Invece, lavoriamo duro. Finiamola una volta per tutte con l’unica crisi pericolosa, che è la tragedia di non voler lottare per superarla(1)

Sono fermamente convinto che la crisi che stiamo vivendo in questo periodo storico di inizio XXI secolo sia soprattutto una crisi ecologica, rappresentata dagli effetti iniziali della scarsità di risorse  e materie prime nonché dall’insostenibilità del ciclo produzione-consumo-rifiuti su cui si basa il nostro sistema economico e sociale. Quella finanziaria, invece, da molti invocata come la vera e unica causa dei problemi e dagli stessi vista come manifestazione passeggera, a mio avviso è solo uno dei sintomi con la quale la prima si sta manifestando.

Indipendentemente da quale sia la vera origine della crisi ritengo sia assolutamente necessario cercare di trovare una soluzione per superarla e per garantire benessere nel tempo a tutti gli abitanti del Pianeta. Generazione dopo generazione…

Come osservava Einstein negli anni immediatamente successivi alla crisi del 1929, della crisi non bisogna averne paura. Non bisogna solo parlarne o, al contrario, far finta che non esista. Come per una malattia della quale si desidera trovare una cura, anche della crisi è necessario esserne consapevoli per rimboccarsi le maniche nel trovare soluzioni efficaci, non avendo paura di essere visionari nelle proposte e rivoluzionari nelle azioni.

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(1) (tratto da “Il mondo come io lo vedo”, 1931).

Foto: Wikipedia

 

Che fine sta facendo lo zinco?

La miniera irlandese Lisheen (che produce 170 mila ton/anno di zinco) fermerà l’attività estrattiva nel 2014. La miniera Century, in Australia, (che estrae 500 mila ton/anno), chiuderà nel 2016. Alcune miniere in Canada (Brunswick e Perseverance) sono state già chiuse e altre, in Sudafrica (Skorpion) e in Polonia (Pomorzany-Olkusz), chiuderanno entro i prossimi tre anni. Al posto di queste mega-miniere che si sono esaurite e che producevano 1,7 milioni di ton. di zinco annue che costituivano l’11% dei consumi mondiali, stanno per entrare in produzione giacimenti più piccoli, con il risultato di un forte calo dell’offerta di tale metallo.

Tale disequilibrio tra la domanda e l’offerta del minerale provocherà un suo inevitabile aumento di prezzo che, secondo alcuni analisti, arriverà addirittura a raddoppiare entro qualche anno. Infatti attualmente una tonnellata di zinco costa 1.865 dollari, ma si stima che il suo valore sarà di circa 3.500 $/ton. nel biennio 2016-2018 (1). Per tale ragione tra le multinazionali minerarie, le fonderie e, in particolare, la Cina (2) che deve sostenere la propria industria e la costruzione delle proprie infrastrutture, si sta consumando una corsa e una lotta senza quartiere per accaparrarsi le ultime riserve di questo metallo strategico, il cui esaurimento, da parte dell’USGS (United States Geological Survey), è previsto intorno all’anno 2024.

La corsa alle ultime tonnellate facilmente estraibili di zinco sta già spingendo colossi nel campo minerario come l’anglo-svizzera Glencore Xstrata, la belga Nyrstar e la cinese Ming ad investire nell’apertura di nuove miniere. Inoltre, da un lato gli australiani stanno facendo nuove prospezioni geologiche in Groenlandia, mente, dall’altro lato, giacimenti chiusi da anni stanno per essere riportati in funzione come diretta conseguenza dell’aumento dei prezzi, che consente di rientrare economicamente dagli elevati costi di estrazione.

La causa dell’importanza dello zinco per il sistema economico che giustifica l’enorme sforzo da parte delle compagnie minerarie e delle nazioni per ottenere concessioni allo sfruttamento del sottosuolo e all’apertura di nuove miniere, risiede nel fatto che esso, tramite un processo di zincatura che lo fa aderire alla superficie dei manufatti di acciaio, serve a rendere quest’ultimo meno attaccabile dalla ruggine, cioè dall’ossidazione.

Quanto descritto più sopra, allora, mi fa sorgere una semplice domanda: cosa faremo quando lo zinco non sarà più facilmente disponibile? Come proteggeremo a basso costo i nostri manufatti in acciaio e le nostre infrastrutture dal degrado dovuto all’ossidazione? Purtroppo anche la risposta è abbastanza semplice e dimostra la follia insita nel nostro sistema usa e getta che vuole tutto subito e che manca di un briciolo di lungimiranza per garantire le stesse nostre attuali condizioni di vita per le generazioni del futuro.

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(1) Gli analisti stimano il raddoppio del prezzo dello zinco nonostante il fatto che, quest’anno, il prezzo dello stesso al London Metal Excange (la più importante piazza finanziaria al mondo per i metalli non ferrosi) sia calato del 15% a causa di un surplus di produzione valutato in 110-120 mila tonnellate e il fatto che l’ILZSG (Gruppo internazionale di studio su piombo e zinco) non mostri alcun segnale di preoccupazione.

(2) La Cina, che è il principale costruttore di auto al mondo, utilizza una processo di zincatura dell’acciaio che ha un contenuto di metallo di tre quarti inferiore rispetto agli standard occidentali. La bassa qualità dello zinco impiegato – più facilmente intaccabile dalla ruggine – è anche una delle cause che impedisce alle auto cinesi di essere vendute all’estero. Il problema dello scarso contenuto di metallo nella fase di zincatura dell’acciaio cinese è così sentito da Pechino che la televisione di Stato Cctv ha di recente dedicato un servizio alla ruggine che attacca le auto prodotte in Cina e, inoltre, corrode i ponti.

 

“Prego, sig. Putin!”

È notizia di questi giorni che Vladimir Putin – il Presidente russo multimiliardario legato a doppio filo da interessi probabilmente anche personali con il sistema economico-produttivo del suo Paese – si è recato in Italia per incontrare una serie di personalità, tra cui il papa, il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, il Presidente del Consiglio dei Ministri Enrico Letta, Romano Prodi e l’ex premier condannato in via definitiva Silvio Berlusconi, suo vecchio amico.

Il suo arrivo sarà preceduto da una serie di figure di spicco del mondo politico ed economico russo e i suoi movimenti in Italia saranno accompagnati da un corteo di ben 50 auto che, scortate da polizia e servizi segreti in un roboante tripudio di alta velocità, sirene, guardie del corpo e bandierine svolazzanti, bloccheranno il traffico e infastidiranno gli spostamenti e le quotidiane attività degli italiani.

Leggendo la notizia e accostandola a quella della lunga e coraggiosa protesta dei cittadini gravemente malati di SLA che – da mesi – inutilmente desiderano essere ricevuti da un qualche rappresentante per far valere le loro sacrosante ragioni (anche se sbagliate, questo si vedrà), mi viene in mente un aspetto assurdo del mondo “democratico” in cui ci fanno credere di vivere.

Quando il mondo economico chiama… oplà! Tutti sull’attenti! “Dica signor Putin”. “Cosa desidera signor Putin!” “Prego signor Putin”, e giù inchini e salamelecchi. Quando, invece, chiama il cittadino per questioni che non muovono miliardi di euro e numerosi interessi privati della solita classe dirigente ma che si riferiscono alla salute, al benessere, alla cultura, all’educazione, alle relazioni, alla comunità e, in generale, ai veri e unici aspetti per cui la vita deve essere vissuta, si trovano solamente porte chiuse, sorrisi sarcastici e false promesse.

In un “sistema” politico sostanzialmente falso, fortemente sbilanciato solo sugli aspetti economici e che ci fa credere che la ricetta sia solo la crescita (per arricchire loro e per impoverire le nostre già misere esistenze), mi chiedo quale possa essere il ruolo della sostenibilità ambientale e del vero progresso della società.

Lascio a tutti voi l’amara risposta augurandomi che siate in grado, come a fatica cerco di fare anch’io, di essere fortemente critici e di essere disposti ad intraprendere una rivoluzione che sia il motore del vero sviluppo e del vero benessere, nonché di essere in grado di vedere al di là di quello che quotidianamente ci e vi viene fatto ingurgitare come medicina assolutamente necessaria.

 

L’Amazzonia muore

Non servono parole per descrivere la follia…

Ettaro dopo ettaro la foresta amazzonica sta lentamente morendo. Mangiata dalla deforestazione selvaggia, dagli incendi per destinare nuove terre all’agricoltura e agli allevamenti intensivi, all’estrazione mineraria, a nuove strade. Così la foresta pluviale più grande al mondo, secondo i dati dell’agenzia spaziale brasiliana, è diminuita di oltre un terzo nel corso dell’anno passato. Mentre secondo uno studio pubblicato sul londinese “Regional Environmental Change”, negli ultimi 3 anni nella parte brasiliana della foresta (il 60% della superficie totale) sono state costruite oltre 50 mila nuove strade”.

Un reportage, firmato dal fotografo Nacho Doce per l’agenzia Reuters, testimonia questa devasazione. Il titolo: “Amazzonia, da paradiso a inferno” (Reuters)

[vedi foto]

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Fonte: Corriere della Sera

 

La città diffusa è come un cancro…

La città diffusa è come un cancro che divora inesorabilmente tutto il territorio di una determinata area geografica. Strade, case, infrastrutture, capannoni industriali, servizi, centri commerciali si diffondono sempre più numerosi e crescono come funghi velenosi nelle campagne, sulle pendici dei monti, ai bordi delle vie di comunicazione, sulle coste dei mari e dei laghi.

Molti lo chiamano “sviluppo”, soprattutto i politici e gli affaristi locali, ma agli occhi di un osservatore attento appare difficile poterlo definire come tale dal momento che in esso non si riesce ad intuire, nemmeno con la più acuta fantasia, un algoritmo che lo regoli nel profondo. È pura confusione, puro rumore di fondo senza un minimo di armonia.

Certo è che una tale (non) pianificazione territoriale non garantisce uno sviluppo durevole dal momento che per poter funzionare ha bisogno di enormi quantità di energia per gli spostamenti e frammenta, come nello scoppio di una bomba, il tessuto urbano e sociale in mille parti, spesso disunite e difficili da gestire con equilibrio.

La natura, ad osservarla bene invece, ci insegnerebbe l’esatto contrario e gli animali sociali (come l’Homo urbanus, versione moderna dell’Homo sapiens) che in essa vivono, per poter raggiungere la massima efficienza energetica e la massima collaborazione reciproca, dovrebbero vivere in ambienti “concentrati” pur migrando, anche lontano, alla ricerca di risorse. Ecosistemi che noi dovremmo iniziare a studiare approfonditamente e a copiare nell’organizzare le nostre città, le nostre vite e le nostre relazioni.

L’unica soluzione al baratro rappresentato dalla città diffusa è quella, da un lato, di partecipare alla vita sociale e di esercitare un’azione di controllo sulla sfera politica ed economica nonché, dall’altro, di esigere (attraverso il voto e il consenso) che la politica inizi a porsi seriamente delle domande su che cosa sia importante al di là della dimensione presente e inizi a mettere sul tavolo (della legge) regole certe di tutela del territorio e di efficienza urbana che consentano di sperare anche in un futuro più durevolmente prospero.

Temo che quello che ora percepiamo potrebbe essere solo benessere apparente e temporaneo che in questi ultimi anni si sta affievolendo e che presto, forse troppo presto e troppo velocemente, potrebbe anche finire!

 

“IL PD e il futuro che ci aspetta”

Il 29 ottobre 2013 il lettore Melquiades scrive alla rubrìca “Mail Box” del giornale “Il Fatto Quotidiano” la seguente lettera dal titolo “Il PD e il futuro che ci aspetta”:

Renzi e colleghi candidati democratici dovrebbero dirci qualcosa sul debito ecologico. È vero: abbiamo ipotecato le pensioni delle prossime generazioni. Ma soprattutto il loro futuro in termini di risorse ambientali e di qualità dell’ambiente nel quale vivranno. Uscite dall’orizzonte del prossimo sondaggio elettorale e pensate globalmente. Non viviamo un periodo di crisi, ma di transizione. Nulla sarà più come prima. Se vogliamo davvero dare un nome vincente al futuro non possiamo dimenticare la questione ambientale. E non basta qualche superficiale riga, tanto per non dimenticare. Ci vogliono prese di posizione coraggiose. Alla Leopolda nessuna consapevolezza di questo. Solo il rituale piccolo cabotaggio per il potere di domani. L’unico sogno, tante fantastiche nuove tecnologie e tre milioni di nuovi consumatori. Un futuro di morte per il quale non potete chiederci voti”.

Il contesto storico-politico di tale lettera è rappresentato dalle fasi preparatorie per la costituzione – attraverso le primarie – della nuova classe dirigente del Partito Democratico che vede in Matteo Renzi il probabile vincitore assoluto. Per discutere pubblicamente delle sue idee Renzi ha organizzato un evento politico-culturale alla Stazione Leopolda di Firenze.

L’osservazione di Melquiades è sacrosanta e ce la stiamo ponendo in tanti. Sempre di più!

La retorica della politica è vuota e purtroppo Renzi sta ripetendo gli stessi errori che abbiamo visto più e più volte in passato, soprattutto da parte della sinistra: demagogia iniziale per attrarre voti e, una volta raggiunto il potere, scheletrizzazione dell’azione e mantenimento dello status quo. In fin dei conti i principali finanziatori della politica non vogliono assolutamente cambiare!

Visto e considerato il fatto, invece, che la crisi non è solo temporanea ma è “di sistema”, è necessario che si comincino a mettere sul tavolo delle decisioni e a dare in pasto all’opinione pubblica nuove idee, nuovi paradigmi culturali e qualche decisione rivoluzionaria. Unica e sola strada per poter uscire dall’empasse socio-ambientale oramai creata dal sistema basato sul binomio produzione-consumo, maledettamente e sciaguratamente ripetuto all’infinito.

 

Auto ibrida ad aria compressa

Vi ricordate della storia dell’auto ad aria compressa che qualche anno fa girava in rete? Che fine avrà mai fatto? Quale oscuro complotto internazionale ne ha determinato la sua scomparsa?

E vi ricordate, ancora, del brevetto dell’auto ad aria compressa acquistato qualche anno fa da un produttore indiano di auto? Che fine ha fatto e che fine ha fatto l’auto economica tanto decantata che avrebbe dovuto rivoluzionare il sistema di trasporto a bassissimo impatto ambientale e a bassissimi costi?

Sembra che adesso un tale progetto, sulla base di un modello di auto prodotta dall’ing. francese Guy Negre, sia stato ripreso da alcuni produttori sardi, ma è ancora tutto molto aleatorio e di nicchia (basta vedere il design delle auto per comprenderlo) tanto che e non mi pare ci siano intenzioni troppo serie nemmeno questa volta di rivoluzionare il mercato del trasporto attraverso innovazioni rivoluzionarie nel sistema di propulsione.

Al di là delle legittime supposizioni legate anche allo spionaggio internazionale e ai complotti industriali che vorrebbero ancora per molto tempo il petrolio quale unica fonte combustibile per i trasporti, rimane comunque ancora una chimera quella dell’auto ad aria compressa che percorre, praticamente gratis, centinaia e centinaia di chilometri mossa solo dall’energia cinetica dell’aria ingabbiata ad elevata pressione in una bombola.

Personalmente piuttosto che scervellarmi sullo spionaggio ritengo che tali auto ad aria compressa abbiano ancora dei problemi tecnici da risolvere (come ad esempio la produzione di ghiaccio) che le rendono buone per le prove, per le fiere o per i lanci pubblicitari ma che poi, alla resa dei conti con i problemi quotidiani della mobilità urbana ed extraurbana, le relegano ancora al ruolo di prototipi.

Dal momento che l’energia cinetica è uno dei pilastri su cui si fonda il sistema naturale, Bioimita ritiene che tale tecnologia, più di quella elettrica, debba essere perseguita e sviluppata per migliorare l’efficienza energetica dei trasporti e per limitare (o, magari, eliminare) l’uso di combustibili petroliferi che, oltre ad inquinare e ad emettere numerosi residui (tra cui la CO2), via via andranno ad esaurimento.

Poiché ritengo che sia altamente improbabile – se mai tecnicamente fattibile – il passaggio immediato alla tecnologia ad aria compressa ma sarà necessario attraversare alcune fasi intermedie, sono rimasto positivamente colpito dall’iniziativa del Gruppo PSA Peugeot Citroën che si è posto come obiettivo, da qui al 2020, che il consumo medio dei suoi veicoli non superi i 2 litri di carburante per 100 km. Per realizzare tale obiettivo la casa costruttrice sembra aver abbandonato la ricerca sull’elettrico e l’ha sostituita con quella sull’aria compressa, chiamandola “Hybrid Air”. In sostanza il gruppo automobilistico francese – che ha depositato ben 80 brevetti internazionali per proteggere il proprio progetto – si propone di mettere in commercio al più presto (entro l’anno 2016) dei veicoli “ibridi” dotati sia di propulsione a scoppio sia di propulsione cinetica ad aria compressa.

Anche se molto simile all’auto ibrida-elettrica nei principi di funzionamento (ricarica della bombola durante la marcia e le frenate, uso dell’aria prevalentemente in partenza e a basse velocità, gestione e distribuzione dei sistemi mediante sistema elettronico), dal punto di vista tecnico la parte “ibrida” non sarà più costituita da motore elettrico + batterie di accumulo ma da un motore idraulico (pompa) + un serbatoio di aria compressa + trasmissione epicicloidale.

Stando a quanto dichiarato dal costruttore con l’Hybrid Air i veicoli potranno circolare in città senza generare emissioni per il 60-80% del tempo, abbattendo i consumi di circa il 45%. Inoltre l’autonomia senza l’uso del motore a scoppio potrebbe aumentare del 90% rispetto ai tradizionali sistemi ibridi-elettrici.

hybrid airIn relazione, poi, ai vantaggi rispetto ai sistemi ibridi-elettrici l’Hybrid Air elimina tutti gli inconvenienti legati alle batterie (costi elevati, durata limitata, peso consistente, oneri di smaltimento, limitatezza delle materie prime) e fornisce, invece, numerosi vantaggi di un sistema prevalentemente meccanico.

La strada verso la piena sostenibilità dei trasporti è e sarà ancora lunga e, magari, non si concluderà proprio e solo con la propulsione ad aria compressa. L’importante è che il settore inizi seriamente a rinnovare una tecnologia obsoleta basata solo sui combustibili petroliferi e metta in campo risorse verso una migliore efficienza energetica e verso sistemi di propulsione che siano il meno impattanti possibile sull’ambiente.

 

Le tasse e la sostenibilità ambientale

Nel mare agitato della vita sociale delle cosiddette “democrazie” il timone della barca in navigazione non è in mano alle buone idee, ai cittadini o all’economia reale ma è in mano al “mercato” (1) che ha un unico e solo obiettivo: massimizzare i profitti attraverso la speculazione finanziaria. Tutto il resto, per il mercato, non esiste. O, meglio, quello che esiste è solo un fastidioso ostacolo che deve essere costantemente aggirato o saltato attraverso l’opera di uno stuolo di burattini che discutono, giustificano, allarmano e, mediante il rimbalzo dei media, diffondono il “verbo”.

Così – dicendo che è l’Europa o il mercato che ce lo chiede – ci hanno fatto digerire il rospo amaro dell’innalzamento dell’età pensionabile, della perdita di numerosi diritti (in particolare la salute, l’istruzione e la sicurezza sul lavoro), della disoccupazione e precarietà lavorativa, della contrazione generale dell’economia concreta a discapito di quella effimera rappresentata dalla finanza ma, soprattutto, ci hanno fatto digerire il rospo dell’innalzamento spropositato delle tasse sul reddito, sul consumo e sulla produzione.

È vero, nel passato sono stati fatti numerosi errori, spesso anche gravi, che per ragioni legate alla creazione del consenso politico hanno portato a spendere molto di più delle entrate e alla creazione di un enorme debito pubblico ma, ora, siamo arrivati al punto in cui chi ha goduto ha goduto. Gli altri, si arrangino!

E pensare che la tassazione – una cosa così negativa nella percezione dell’opinione pubblica – se ben applicata e pensata in chiave strategica potrebbe realizzare importanti obiettivi per il miglioramento della società e per l’ottenimento di rivoluzionarie performance ambientali. La tassazione potrebbe essere addirittura il volano – assieme all’innalzamento generale della cultura e della conoscenza – per iniziare e portare a compimento pratiche di largo respiro per migliorare i trasporti, per difendere il paesaggio, per risparmiare energia e per limitare la produzione dei rifiuti.

Nel dettaglio – anche se potrà sembrare paradossale – tratterò quali e come potranno essere gli ambiti nei quali tale tassazione potrebbe esprimere i suoi potenziali positivi relativamente alla sostenibilità ambientale (per facilità di lettura lo farò in diversi articoli):

  • tassare le case per migliorare il mercato immobiliare e per limitare il consumo di territorio;
  • tassare i rifiuti per limitare la produzione di scarti ed evitare discariche e inceneritori;
  • tassare i consumi per limitare l’utilizzo delle materie;
  • tassare l’energia per garantire razionalizzazione ed efficienza nel consumo della stessa.

Mi rattrista molto vedere come, sul terreno della tassazione, tutti imbraccino la bandiera demagogica della loro diminuzione (peraltro sacrosanta) mentre nessuno, o quasi, ponga l’accento su come migliorare le tasse (quella quota che comunque dobbiamo pagare) per orientarle verso la creazione di una nuova società, più civile, acculturata e creativa.

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(1) Purtroppo il “mercato” è in gran parte costituito dagli stessi cittadini che esso stesso contribuisce a mettere in difficoltà.

Foto: www.lintraprendente.it

 

La IARC certifica che l’aria inquinata è cancerogena

A voi che avete terrore dell’amianto ma fate passeggiare o giocare liberamente i vostri bambini per le strade, soprattutto urbane, vi devo dare una brutta notizia: la IARC ha appena certificato ufficialmente che lo smog è cancerogeno. In sostanza ha stabilito che la pericolosità dell’amianto e quella dello smog è la stessa!

Per comprendere un po’ meglio la notizia andiamo con ordine.

Innanzitutto, anche se vi erano numerosi sospetti e se è da anni che se ne parla, ora si può dire ufficialmente che lo smog (o particolato, cioè quell’insieme di residui della combustione derivanti dalle più diverse attività umane: trasporti, incenerimento dei rifiuti, produzione di energia, riscaldamento domestico, emissioni industriali e agricole) provoca il cancro. La certificazione di tale pericolosità deriva dall’autorevole Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC – International Agency for Research on Cancer), un’agenzia dell’Organizzazione Mondiale della Sanità che qualche giorno fa – il 17 ottobre –  ha pubblicato tale notizia. In pratica, dopo un lunghissimo iter di ricerche scientifiche la IARC ha affermato che “L’inquinamento dell’aria è una delle principali cause di morte per cancro”, inserendo il particolato nel Gruppo 1, cioè tra le sostanze che la ricerca scientifica ha dimostrato essere cancerogene per l’uomo.

A tale riguardo i dati più recenti indicano che, nel 2010, nel mondo, ci sono stati ben 223.000 casi di cancro ai polmoni dovuti proprio all’inquinamento dell’aria.

aria inquinata in ItaliaCome afferma il dott. Kurt Straif della IARC: “Ora sappiamo che l’inquinamento dell’aria non rappresenta solo un maggior rischio per la salute in generale, ma è anche la causa principale di morti per cancro”.

La soluzione a questo sacrificio inutile di vite umane non è né quella di fornire delle indicazioni di prudenza (1) né quella garantire migliori cure o una maggiore aspettativa di vita agli ammalati. La sola e unica soluzione è quella di abbandonare la pratica della combustione per la produzione di energia e calore.

Per liberarci dal pesante fardello del passato bisogna anche iniziare a pensare che, chi più e chi meno, attraverso le nostre scelte, siamo un po’ tutti in qualche modo responsabili per la sofferenza di qualcun altro. Che, talvolta, può essere anche una persona a noi vicina o, paradossalmente, possiamo essere anche noi stessi.

Agli amministratori, allora, un appello perché legiferino da subito nella direzione di rendere la vita difficile alla combustione; agli imprenditori e ai progettisti un appello perché cerchino immediatamente soluzioni produttive ed energetiche alternative; ai cittadini consumatori un appello perché quando aprono il portafoglio pensino che possono anche contribuire a difendere la loro salute e quella dei loro cari.

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(1) Per limitare l’esposizione allo smog si consiglia comunque di:

  • evitare di fare sport in città
  • evitare le strade trafficate utilizzando percorsi alternativi
  • in caso di passeggiate con i bambini preferire gli zaini in spalla ai passeggini
  • preferire di uscire con il brutto tempo e/o con il vento
  • uscire evitando le ore di punta
  • evitare di sedere all’aperto quando siete al bar o al ristorante

Tabella: Ansa

 

La storia delle cose

Desiderate capire un po’ di più Bioimita e la bioimitazione?

Bene. Prendetevi una ventina di minuti, rilassatevi sulla sedia, distendete le gambe e guardate questo bel video…

… che vi chiarirà parecchie cose sugli oggetti che ci circondano e sull’effetto diretto e indiretto che hanno sulle nostre misere esistenze.

Come dice la presentatrice: “Quando le persone inizieranno a vedere e capire tutti i collegamenti tra i vari aspetti del nostro sistema lineare, esse saranno in grado di percepire qualcosa di nuovo rispetto al passato e saranno così capaci di immaginare un sistema che non butta via risorse e persone. Ciò che dobbiamo buttare via, invece, è solo la nostra mentalità usa e getta”.

Per approfondire: www.storyofstuff.org

 

UAAAAAAAHHHHHHHHH

Come meglio esprimere – se non con un urlo – il disagio e l’impotenza nel vedere il mondo economico-politico-sociale-religioso che perde tempo, energie e risorse preziose per accumulare denaro o per tentare di risolvere questioni marginali, inutili o puramente ideologiche e non si concentra, invece, sui meccanismi di fondo riguardanti il funzionamento del Pianeta che viviamo, oramai messo sotto pressione e alterato (quasi) irrimediabilmente da 7 miliardi di esseri umani?

Più sento i loro discorsi vuoti più capisco che ci stanno prendendo in giro tanto da non poter fare a meno di… UAAAAAAAHHHHHHHHH: urlare!!!

Riprendiamoci al più presto in mano il nostro futuro perché non c’è più tempo per scherzare.

 

Stefano Mancuso e l’intelligenza delle piante

Diecimila anni fa l’uomo, imparando a coltivare le piante, ha dato vita alla civiltà, cioè la civiltà umana nasce proprio con l’agricoltura. Oggi, se noi riusciamo a comprendere meglio le piante, probabilmente daremo una mano a farla continuare, la civiltà

Questo è quanto osserva il prof. Stefano Mancuso a conclusione della propria intervista del 29 settembre 2013 a “Che Tempo Che Fa“, su Rai3.

Mi fa piacere non essere il solo a pensare che lo studio approfondito della natura e la sua imitazione sarà il vero progresso e potrà contribuire a salvaguardare la civiltà per il futuro.

Per approfondire:

Laboratorio Internazionale di Neurobiologia Vegetale

The Plant Intelligence Project

 

Il GSE certifica l’aumento dell’energia da fonti rinnovabili

Il dato, limpido e trasparente, è certificato dal GSE (Gestore Servizi Energetici): in 5 anni (dal 2008 al 2012) il consumo interno lordo (1) di energia da fonti rinnovabili è passato dal 16,5% al 27,1%. Un incremento del 10,6% che dimostra – a dispetto dei “soliti” detrattori che in più occasioni hanno detto maliziosamente un mucchio di falsità e fornito dati sbagliati – come l’investimento da parte dello Stato nell’ambito dell’energia pulita, anche attraverso gli incentivi, sia stato estremamente positivo ed abbia dato buoni frutti.

Tali positività sono rappresentate, in primis, dal minor impatto sull’ambiente (meno CO2, meno inquinamento da combustione). Inoltre sono anche da valorizzare:

  • i minori sprechi (i piccoli impianti sono più efficienti e dissipano meno calore);
  • la maggiore distribuzione della produzione con conseguenti benefici sulla manodopera e sul lavoro;
  • la migliore gestione della rete di distribuzione.

Il totale di energia prodotta da fonti rinnovabili nel 2012 è stato di 92.222 GWh con una potenza installata di 47.345 MW. La prima fonte è l’idroelettrico; seguono solare, eolico, bioenergie e geotermico.

L’idroelettrico – si legge dai dati diffusi dal GSE – ha raggiunto nel 2012 una produzione di 41.875 GWh. Il solare è arrivato a sfiorare i 19.000 GWh, (18.862 GWh). L’energia eolica ha toccato i 13.407 GWh, quella delle bioenergie i 12.487 GWh e la geotermica a 5.592 GWh. Per quanto riguarda la potenza installata, l’idroeletrico nel 2012 è arrivato a 18.232 MW, il solare a 16.420 MW, l’eolico a 8.119 MW, le bioenergie a 3.802 MW, la geotermica a 772 MW.

Produzione lorda energia da fonti rinnovabili

In tutti questi numeri il dato più interessante è rappresentato dal solare che in 5 anni è passata da una produzione di 193 GWh a 18.862 GWh. Non male per una tecnologia nuova che, anche se fortemente e a volte male incentivata, sta dando filo da torcere a una produzione pluricollaudata come quella idroelettrica.

Mi sa proprio che Bioimita ha ragione quando afferma che il “Progresso è imitazione della natura”.

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(1) Produzione lorda di energia + Saldo estero – Produzione da pompaggi

 

Le tartarughe di Mondello

Mi riferisco proprio a quella Mondello, la “spiaggia” di Palermo, dove si riversano migliaia e migliaia di turisti e migliaia e migliaia di locali, concentrati soprattutto nei fine settimana.

Quest’estate, a Mondello, ci siamo andati anche noi per rilassarci e rinfrescarci da una calda giornata trascorsa a visitare la città. Nella spiaggia che abbiamo scelto e nella quale abbiamo mollemente adagiato le nostre stanche membra siamo rimasti colpiti da una strana e inusuale (per il luogo) rete metallica segnalata da alcune bandiere del WWF. Alla nostra richiesta di informazioni in merito ci è stato risposto che si trattava di un luogo dove, qualche settimana prima, una tartaruga marina aveva deposto alcune uova.

Proprio li, in mezzo a tutti e a tutto!

 

Dai giornali apprendo che finalmente le uova si sono schiuse. Ai piccoli auguro buon viaggio e lunga vita…

Foto: il nostro pomeriggio a Mondello (PA)

 

Plutarco e la carne

Se sei convinto di essere naturalmente predisposto a mangiar carne, prova anzitutto ad uccidere tu stesso l’animale che devi mangiare. Ma ammazzalo tu in persona, con le tue mani, senza ricorrere ad un coltello, ad un bastone o ad una scure. Fa come i lupi, gli orsi e i leoni che ammazzano da sé quanto mangiano”.

Con una lucidità incredibile e una lungimiranza inimmaginabile sui riflessi negativi che l’eccessivo consumo di carne avrebbe determinato qualche decina di secoli dopo, Plutarco elaborò questo suo pensiero nel I secolo d.C.

È troppo facile delegare altri (ad esempio l’asettica industria) per procurare la morte degli animali destinati al cibo. Sono certo, anche a seguito delle mie esperienze professionali nei macelli industriali, che gran parte dei consumatori di carne (1) desisterebbe da tale pratica di fronte al proprio coinvolgimento diretto nella morte di un animale, di fronte alla sua sofferenza, alla sua resistenza e al sua attaccamento alla vita.

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(1) Ci sto provando da tempo e, prima o poi, diventerò vegetariano.

 

Vita da cavernicoli

Per fugare qualsiasi dubbio e possibili critiche desidererei precisare un concetto molto importante: Bioimita, attraverso la bioimitazione, NON È e NON VUOLE ESSERE un ritorno al passato che anela ad una vita da cavernicoli. Anzi, Bioimita si propone l’esatto contrario e desidera operare una rivoluzione culturale verso la modernità e il progresso.

La strada che ha pensato di percorrere per raggiungere tale risultato è quella dell’imitazione della natura in tutte le sue sfaccettature di funzionamento, da applicare a tutte le attività umane. Da quelle produttive a quelle sociali.

Partendo dall’inizio, se è vero che l’evoluzione opera minuscoli cambiamenti nell’arco di centinaia di migliaia di anni (se non di milioni) è allora molto probabile che l’uomo (ma anche altri animali abitanti di questo pianeta) non abbia avuto il tempo di adattarsi al mondo industriale odierno. Il nostro corpo, ad esempio, non è fatto per stare tutto il giorno davanti ad uno schermo luminoso e, difatti, stare troppo seduti fa male alla salute. Per tali ragioni si potrebbe pensare che un ritorno al passato, non necessariamente all’era pre-industriale ma, magari, ancora prima a quella pre-agricola, possa essere meglio per noi e per l’ambiente perché ci espone a minori malattie “moderne” (tipo diabete, cancro o a quelle cardiocircolatorie legate alla sedentarietà) e consuma meno risorse.

È però altrettanto vero che non tutti gli organismi si riescono ad adattare perfettamente all’ambiente che abitano. Anzi, essi sono in costante evoluzione e non vi potrà mai essere un momento in cui saranno perfettamente evoluti ad un dato sistema. L’evoluzione ad un dato ambiente è, per fare un esempio, come il cane che gioca con la sua coda e la vuole prendere ma, ad ogni tentativo di rotazione e di slancio, la coda gli scappa dalla bocca in una sequenza infinita (e divertente).

Nella nostra storia su questo Pianeta oramai siamo arrivati ad un dato punto – quello attuale – e il percorso del passato, anche se spesso sbagliato, non si può cancellare con un banale colpo di spugna. Ecco che, allora, per cercare di avere opportunità di sopravvivenza e di benessere per il futuro è necessario prendere in mano una nuova filosofia di vita che la bioimitazione si propone di enunciare.

In sostanza bisogna iniziare ad abbandonare l’idea di forzare a tutti i costi la natura – magari anche attraverso pratiche assurde come quelle delle modificazioni genetiche, delle modificazioni atomiche (nanotecnologie), della geoingegneria o delle fonti radioattive per la produzione di energia –  ed è invece necessario concentrare gli sforzi su come si può proficuamente copiarne il funzionamento traendo il massimo beneficio per noi, per gli altri abitanti del Pianeta e per il Pianeta stesso.

A me sembra che solo così possa funzionare e che solo la bioimitazione potrà essere l’unico vero progresso per il futuro.

 

Digiuno per il territorio

Oggi ho partecipato al “Digiuno per il Territorio“, una campagna di sensibilizzazione promossa da don Albino Bizzotto e dai Beati Costruttori di Pace per la difesa del ambiente. Con l’astinenza dal cibo ho messo in gioco il mio corpo per proteggere quel bene prezioso, il territorio, che è di tutti che ogni giorno viene violentato dalla cementificazione selvaggiaa e dalla speculazione più bieca.

Nelle scelte dissennate della politica l’economia reale e i veri bisogni dei cittadini non contano praticamente NULLA. Quello che conta sono solo i “schei” (soldi, in dialetto veneto) di pochi!

PARTECIPATE NUMEROSI.

O, al limite, impegnatevi in qualsiasi modo a difendere la “casa” di tutti. L’unica che abbiamo!

 

Sophora toromiro

Il nome è simpatico e sembra più quello di un manga giapponese piuttosto che quello di un raro essere vivente ad un passo dall’estinzione.

Al di là delle battute, la Sophora toromiro è una pianta endemica dell’Isola di Pasqua, appartenente alla famiglia delle Leguminose dall’aspetto e dalle caratteristiche piuttosto anonime. Essa, prima a causa della pesante deforestazione che ha interessato l’Isola nella prima metà del XVII secolo e poi a causa dei pascoli intensivi, è diventata sempre più rara fino ad estinguersi allo stato selvatico intorno alla metà del XX secolo. Un contributo diretto alla quasi estinzione sembra averlo fornito anche l’uomo che impiegava indiscriminatamente il piccolo tronco di tale pianta per intagliare statuette e oggetti cerimoniali.

Fortunatamente la Sophora toromiro sopravvive ancora e solo per miracolo non viene annoverata tra le specie definitivamente scomparse dalla Terra dal momento che dall’ultimo esemplare ancora allo stato selvatico sono stati staccati alcuni ramoscelli, poi oggetto di tentativi di trapianto e riproduzione nelle serre di diverse università. Da questi tentativi solo il Giardino Botanico Val Rahmeh di Mentone è riuscito a far riprodurre la Sophora toromiro all’aria aperta e a non privarci della sua unicità.

La triste storia di questa pianta racconta ancora una volta l’assurdo agire dell’essere umano, ingiustamente (auto)definito “intelligente”. Quello che mi colpisce è vedere quello che sono riusciti a fare poche migliaia di uomini sull’Isola di Pasqua (1) con poche risorse e poca energia e quello che, potenzialmente, potrebbero fare sull’intero pianeta Terra miliardi di esseri umani dotati di tanta energia, tante materie, tecnologia sofisticata, fanatismo economico, religioso e ideologico.

Le modalità della quasi estinzione della Sophora toromiro devono essere un monito perché ci si renda conto che tutti gli esseri viventi della Terra hanno ruolo importante (anche se apparentemente invisibile) e che nelle diverse attività ci deve essere un senso del limite e una consapevolezza di precarietà.

Se non lo capiamo velocemente il rischio è che anche l’enorme pianeta Terra si possa trasformare, ben presto e per tutti i suoi abitanti, in un’inospitale isola di Pasqua.

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(1) Allo sbarco dei primi colonizzatori polinesiani, che i più recenti studi fanno risalire attorno al 800-900 d.C., l’Isola di Pasqua si doveva presentare come una immensa foresta di palme. Fino al 1200 d.C. la popolazione rimase numericamente modesta e sostanzialmente in equilibrio con le risorse naturali presenti. In seguito, però, nacque da parte degli abitanti la necessità di costruire i moai, il cui sistema di trasporto richiedeva notevoli quantità di legname. Cominciò pertanto un importante lavoro di disboscamento dell’isola che fu ulteriormente intensificato dopo il sensibile aumento della popolazione dovuto a nuovi sbarchi. Verso il 1400 d.C. la popolazione raggiunse i 15.000-20.000 abitanti e l’attività di abbattimento degli alberi conobbe il proprio massimo di intensità. La riduzione della risorsa forestale provocò un inasprimento dei rapporti sociali interni che sfociarono talora in violente guerre civili tra tribu. Tra il 1600 e il 1700 d.C., in alternativa al legno divenuto sempre più scarso, gli abitanti iniziano a utilizzare come combustibile anche erbe e cespugli. Le condizioni di vita sull’isola divennero pertanto proibitive per la poca popolazione rimasta, in gran parte decimata dagli scontri interni e dai flussi emigratori. Secondo i resoconti del primo occidentale a sbarcare sull’isola, Jakob Roggeveen, l’isola al tempo del suo arrivo si presentava brulla e priva di alberi ad alto fusto. A spiegazione della precoce perdita di alberi dell’isola, nonché della sparizione pressoché totale della fauna endemica, oggi si sono portate avanti anche ipotesi riguardanti la possibile responsabilità dei ratti del tipo polinesiano (Rattus exulans) che raggiunsero l’isola al seguito dei primi colonizzatori e che iniziarono a nutrirsi anche dei semi di palma, contribuendo sensibilmente all’estinzione degli alberi dell’isola (Fonte: Wikipedia).

 

L’altra faccia della Sicilia

Le scorse vacanze le ho trascorse in Sicilia, ospite presso amici di famiglia. Cosa dire: mi sono divertito e le ferie mi hanno rigenerato a sufficienza dopo una lunga e impegnativa stagione lavorativa. Dell’isola ho potuto apprezzare la splendida ospitalità del suo popolo, la prelibatezza del suo cibo, la piacevolezza del clima, la bellezza delle città, dei monumenti e di alcuni paesaggi ma, ahimè, occhi attenti come i miei non hanno potuto ignorarne anche gli aspetti negativi. Quell’altra faccia della Sicilia che necessita di urgente presa d’atto da parte della classe dirigente e dei cittadini, nonché di rapida soluzione per poter parlare di “sviluppo” e “progresso”.

Tra gli aspetti negativi che più mi hanno maggiormente colpito vi è la cattiva gestione dei rifiuti e la pessima gestione del patrimonio immobiliare.

RifiutiPer quanto riguarda i rifiuti è da dire che, in alcune aree più di altre, fa male al cuore vederli sparsi a terra, ammassati ai bordi delle strade e mal gestiti da parte delle amministrazioni pubbliche. Una vaga parvenza di raccolta differenziata esiste un po’ ovunque ma dire che sia veramente attuata è tutto un altro discorso. I bidoni sono presenti sulle strade ma quello che vi gettano i cittadini e quello che si trova sparso a terra dimostra solo una cosa, che Bioimita sostiene da sempre. I rifiuti non devono essere ben gestiti: non devono proprio essere prodotti!

La realizzazione dei prodotti di consumo e la scelta dei giusti materiali, la corretta separazione a casa da parte dei cittadini, l’organizzazione di un buon servizio di raccolta da parte degli amministratori pubblici, la realizzazione di leggi adeguate da parte della classe politica, una cultura e una sensibilità elevate per capire tutte gli aspetti ad essi legati mostrano che la lunga filiera dei rifiuti è caratterizzata da troppi punti deboli.

E, in effetti, per risolvere i numerosi problemi che essi provocano non bisogna guardare agli stessi ma alle metodologie produttive che li originano e ai materiali di cui sono composti i prodotti che li determinano.

Un altro aspetto particolarmente negativo della Sicilia riguarda la pessima gestione del patrimonio immobiliare.

Abusivismo edilizioL’impressione che si ha percorrendola è che siano numerosi gli edifici abusivi e le testimonianze dirette delle persone lo confermano. In tal modo il territorio e il paesaggio sono costantemente violentati da una sorta di grande buco nero che ruba risorse economiche ai comuni, che divora posti di lavoro qualificati, che uniforma splendidi paesaggi a periferie senza regole e senza scopi.

Tale cattiva gestione del patrimonio non determina solamente danni al territorio e al paesaggio (tanto, alla fine, la natura riprenderà possesso e ricolonizzerà tutto) ma causa anche una cattiva e inefficiente gestione dell’energia per i trasporti e per la distribuzione dei servizi.

E pensare che i siciliani avevano già a disposizione sistemi abitativi efficienti da copiare rappresentati dalla compattezza dei centri storici dei suoi bei paesi!