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Che fine sta facendo lo zinco?
La miniera irlandese Lisheen (che produce 170 mila ton/anno di zinco) fermerà l’attività estrattiva nel 2014. La miniera Century, in Australia, (che estrae 500 mila ton/anno), chiuderà nel 2016. Alcune miniere in Canada (Brunswick e Perseverance) sono state già chiuse e altre, in Sudafrica (Skorpion) e in Polonia (Pomorzany-Olkusz), chiuderanno entro i prossimi tre anni. Al posto di queste mega-miniere che si sono esaurite e che producevano 1,7 milioni di ton. di zinco annue che costituivano l’11% dei consumi mondiali, stanno per entrare in produzione giacimenti più piccoli, con il risultato di un forte calo dell’offerta di tale metallo.
Tale disequilibrio tra la domanda e l’offerta del minerale provocherà un suo inevitabile aumento di prezzo che, secondo alcuni analisti, arriverà addirittura a raddoppiare entro qualche anno. Infatti attualmente una tonnellata di zinco costa 1.865 dollari, ma si stima che il suo valore sarà di circa 3.500 $/ton. nel biennio 2016-2018 (1). Per tale ragione tra le multinazionali minerarie, le fonderie e, in particolare, la Cina (2) che deve sostenere la propria industria e la costruzione delle proprie infrastrutture, si sta consumando una corsa e una lotta senza quartiere per accaparrarsi le ultime riserve di questo metallo strategico, il cui esaurimento, da parte dell’USGS (United States Geological Survey), è previsto intorno all’anno 2024.
La corsa alle ultime tonnellate facilmente estraibili di zinco sta già spingendo colossi nel campo minerario come l’anglo-svizzera Glencore Xstrata, la belga Nyrstar e la cinese Ming ad investire nell’apertura di nuove miniere. Inoltre, da un lato gli australiani stanno facendo nuove prospezioni geologiche in Groenlandia, mente, dall’altro lato, giacimenti chiusi da anni stanno per essere riportati in funzione come diretta conseguenza dell’aumento dei prezzi, che consente di rientrare economicamente dagli elevati costi di estrazione.
La causa dell’importanza dello zinco per il sistema economico che giustifica l’enorme sforzo da parte delle compagnie minerarie e delle nazioni per ottenere concessioni allo sfruttamento del sottosuolo e all’apertura di nuove miniere, risiede nel fatto che esso, tramite un processo di zincatura che lo fa aderire alla superficie dei manufatti di acciaio, serve a rendere quest’ultimo meno attaccabile dalla ruggine, cioè dall’ossidazione.
Quanto descritto più sopra, allora, mi fa sorgere una semplice domanda: cosa faremo quando lo zinco non sarà più facilmente disponibile? Come proteggeremo a basso costo i nostri manufatti in acciaio e le nostre infrastrutture dal degrado dovuto all’ossidazione? Purtroppo anche la risposta è abbastanza semplice e dimostra la follia insita nel nostro sistema usa e getta che vuole tutto subito e che manca di un briciolo di lungimiranza per garantire le stesse nostre attuali condizioni di vita per le generazioni del futuro.
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(1) Gli analisti stimano il raddoppio del prezzo dello zinco nonostante il fatto che, quest’anno, il prezzo dello stesso al London Metal Excange (la più importante piazza finanziaria al mondo per i metalli non ferrosi) sia calato del 15% a causa di un surplus di produzione valutato in 110-120 mila tonnellate e il fatto che l’ILZSG (Gruppo internazionale di studio su piombo e zinco) non mostri alcun segnale di preoccupazione.
(2) La Cina, che è il principale costruttore di auto al mondo, utilizza una processo di zincatura dell’acciaio che ha un contenuto di metallo di tre quarti inferiore rispetto agli standard occidentali. La bassa qualità dello zinco impiegato – più facilmente intaccabile dalla ruggine – è anche una delle cause che impedisce alle auto cinesi di essere vendute all’estero. Il problema dello scarso contenuto di metallo nella fase di zincatura dell’acciaio cinese è così sentito da Pechino che la televisione di Stato Cctv ha di recente dedicato un servizio alla ruggine che attacca le auto prodotte in Cina e, inoltre, corrode i ponti.
La città diffusa è come un cancro…
La città diffusa è come un cancro che divora inesorabilmente tutto il territorio di una determinata area geografica. Strade, case, infrastrutture, capannoni industriali, servizi, centri commerciali si diffondono sempre più numerosi e crescono come funghi velenosi nelle campagne, sulle pendici dei monti, ai bordi delle vie di comunicazione, sulle coste dei mari e dei laghi.
Molti lo chiamano “sviluppo”, soprattutto i politici e gli affaristi locali, ma agli occhi di un osservatore attento appare difficile poterlo definire come tale dal momento che in esso non si riesce ad intuire, nemmeno con la più acuta fantasia, un algoritmo che lo regoli nel profondo. È pura confusione, puro rumore di fondo senza un minimo di armonia.
Certo è che una tale (non) pianificazione territoriale non garantisce uno sviluppo durevole dal momento che per poter funzionare ha bisogno di enormi quantità di energia per gli spostamenti e frammenta, come nello scoppio di una bomba, il tessuto urbano e sociale in mille parti, spesso disunite e difficili da gestire con equilibrio.
La natura, ad osservarla bene invece, ci insegnerebbe l’esatto contrario e gli animali sociali (come l’Homo urbanus, versione moderna dell’Homo sapiens) che in essa vivono, per poter raggiungere la massima efficienza energetica e la massima collaborazione reciproca, dovrebbero vivere in ambienti “concentrati” pur migrando, anche lontano, alla ricerca di risorse. Ecosistemi che noi dovremmo iniziare a studiare approfonditamente e a copiare nell’organizzare le nostre città, le nostre vite e le nostre relazioni.
L’unica soluzione al baratro rappresentato dalla città diffusa è quella, da un lato, di partecipare alla vita sociale e di esercitare un’azione di controllo sulla sfera politica ed economica nonché, dall’altro, di esigere (attraverso il voto e il consenso) che la politica inizi a porsi seriamente delle domande su che cosa sia importante al di là della dimensione presente e inizi a mettere sul tavolo (della legge) regole certe di tutela del territorio e di efficienza urbana che consentano di sperare anche in un futuro più durevolmente prospero.
Temo che quello che ora percepiamo potrebbe essere solo benessere apparente e temporaneo che in questi ultimi anni si sta affievolendo e che presto, forse troppo presto e troppo velocemente, potrebbe anche finire!
Digiuno per il territorio
Oggi ho partecipato al “Digiuno per il Territorio“, una campagna di sensibilizzazione promossa da don Albino Bizzotto e dai Beati Costruttori di Pace per la difesa del ambiente. Con l’astinenza dal cibo ho messo in gioco il mio corpo per proteggere quel bene prezioso, il territorio, che è di tutti che ogni giorno viene violentato dalla cementificazione selvaggiaa e dalla speculazione più bieca.
Nelle scelte dissennate della politica l’economia reale e i veri bisogni dei cittadini non contano praticamente NULLA. Quello che conta sono solo i “schei” (soldi, in dialetto veneto) di pochi!
PARTECIPATE NUMEROSI.
O, al limite, impegnatevi in qualsiasi modo a difendere la “casa” di tutti. L’unica che abbiamo!
L’altra faccia della Sicilia
Le scorse vacanze le ho trascorse in Sicilia, ospite presso amici di famiglia. Cosa dire: mi sono divertito e le ferie mi hanno rigenerato a sufficienza dopo una lunga e impegnativa stagione lavorativa. Dell’isola ho potuto apprezzare la splendida ospitalità del suo popolo, la prelibatezza del suo cibo, la piacevolezza del clima, la bellezza delle città, dei monumenti e di alcuni paesaggi ma, ahimè, occhi attenti come i miei non hanno potuto ignorarne anche gli aspetti negativi. Quell’altra faccia della Sicilia che necessita di urgente presa d’atto da parte della classe dirigente e dei cittadini, nonché di rapida soluzione per poter parlare di “sviluppo” e “progresso”.
Tra gli aspetti negativi che più mi hanno maggiormente colpito vi è la cattiva gestione dei rifiuti e la pessima gestione del patrimonio immobiliare.
Per quanto riguarda i rifiuti è da dire che, in alcune aree più di altre, fa male al cuore vederli sparsi a terra, ammassati ai bordi delle strade e mal gestiti da parte delle amministrazioni pubbliche. Una vaga parvenza di raccolta differenziata esiste un po’ ovunque ma dire che sia veramente attuata è tutto un altro discorso. I bidoni sono presenti sulle strade ma quello che vi gettano i cittadini e quello che si trova sparso a terra dimostra solo una cosa, che Bioimita sostiene da sempre. I rifiuti non devono essere ben gestiti: non devono proprio essere prodotti!
La realizzazione dei prodotti di consumo e la scelta dei giusti materiali, la corretta separazione a casa da parte dei cittadini, l’organizzazione di un buon servizio di raccolta da parte degli amministratori pubblici, la realizzazione di leggi adeguate da parte della classe politica, una cultura e una sensibilità elevate per capire tutte gli aspetti ad essi legati mostrano che la lunga filiera dei rifiuti è caratterizzata da troppi punti deboli.
E, in effetti, per risolvere i numerosi problemi che essi provocano non bisogna guardare agli stessi ma alle metodologie produttive che li originano e ai materiali di cui sono composti i prodotti che li determinano.
Un altro aspetto particolarmente negativo della Sicilia riguarda la pessima gestione del patrimonio immobiliare.
L’impressione che si ha percorrendola è che siano numerosi gli edifici abusivi e le testimonianze dirette delle persone lo confermano. In tal modo il territorio e il paesaggio sono costantemente violentati da una sorta di grande buco nero che ruba risorse economiche ai comuni, che divora posti di lavoro qualificati, che uniforma splendidi paesaggi a periferie senza regole e senza scopi.
Tale cattiva gestione del patrimonio non determina solamente danni al territorio e al paesaggio (tanto, alla fine, la natura riprenderà possesso e ricolonizzerà tutto) ma causa anche una cattiva e inefficiente gestione dell’energia per i trasporti e per la distribuzione dei servizi.
E pensare che i siciliani avevano già a disposizione sistemi abitativi efficienti da copiare rappresentati dalla compattezza dei centri storici dei suoi bei paesi!
Vivere nel verde rende più felici
Se vivi in un’area ricca di prati, di alberi e di verde sarai più felice rispetto a chi non ha tale possibilità. L’affermazione potrebbe sembrare abbastanza ovvia ma a confermarla è intervenuto anche un recente studio condotto da parte di alcuni ricercatori dell’inglese Exeter University e pubblicato sul giornale Psychological Science.
Secondo gli autori per ottenere tale beneficio – che consiste in livelli più bassi di stress, di maggior efficienza sul lavoro e di minore irritabilità nei confronti delle cose e delle persone che ci circondano – non è necessario trasferirsi a vivere in campagna ma basterebbe investire ed aumentare la disponibilità di “verde” anche nelle aree urbane.
Per realizzare lo studio i ricercatori hanno analizzato i dati ricavati da un sondaggio nazionale al quale hanno partecipato oltre 10.000 adulti che vivono nel Regno Unito. Tra il 1991 e il 2008 i partecipanti hanno risposto a questionari relativi al loro benessere psicofisico descrivendo, anno dopo anno, l’evoluzione del proprio umore, degli stati d’animo e dei problemi lavorativi e familiari. Dati che poi i ricercatori hanno messo in relazione con gli spostamenti dei partecipanti verso aree urbane più verdi. Ne è risultato che chi vive più a contatto con la natura esprime evidenti benefici in termini di soddisfazione e di benessere, pari addirittura a situazioni della vita importanti come avere un lavoro soddisfacente o un matrimonio felice. Spiega Mathew White – il responsabile della ricerca – “Abbiamo visto che vivere in un’area urbana con livelli di verde relativamente elevati ha un impatto significativamente positivo sul benessere, pari all’incirca a un terzo di quello dato dalla vita matrimoniale. Questi dati devono essere tenuti in considerazione dai politici quando devono decidere come investire le risorse pubbliche, ad esempio per lo sviluppo o la manutenzione dei parchi”.
Il risultato dello studio non dimostra che andare a vivere in una zona verdeggiante potrà portare automaticamente a una maggiore felicità, ma spiega che per stare bene non possiamo prescindere dalla natura e che anche brevi immersioni in ambienti naturali sono assolutamente necessari per migliorare l’umore e il funzionamento cognitivo, ma anche per garantire minore mortalità per malattie cardio-circolatorie.
Allo scopo di evitare che tali ambienti naturali siano solo esterni alla città e che per raggiungerli sia necessario utilizzare grandi quantità di energia per i trasporti, bisogna sia chiara ai pianificatori urbani la necessità che nella gestione delle città si tenga assolutamente conto di tale aspetto. Ad esempio devono aumentare i parchi (non gli alberi isolati piantati in piccole aiuole); devono aumentare i prati; devono aumentare i corsi d’acqua; devono aumentare gli orti. Come controparte i nostri amministratori e le lobby che spesso li muovono (e li finanziano) devono rinunciare a qualche centro commerciale, a qualche stadio, a qualche palazzo o a qualche strada.
La società nel suo complesso sarà più sana e felice e si potranno risparmiare anche molti costi indiretti legati alla cura delle persone malate o con un basso livello di benessere psico-fisico.
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Fonte: la Repubblica
MAD Bike
L’obiettivo era quello di creare a Oslo, in Norvegia, un parcheggio per 200 biciclette in una strada molto stretta e scarsamente illuminata. Inoltre si desiderava fornire ai pedoni e ai ciclisti un interessante impatto visivo per invogliarli anche ad entrare nell’area commerciale posta al piano terra di uno dei palazzi della via.
La soluzione architettonica e urbana proposta dallo Studio MAD Arkitecter per realizzare il parcheggio è stata quella di creare delle installazioni stilizzate di biciclette in acciaio (le “MAD Bike”) che possano fornire contemporaneamente un parcheggio sicuro per le biciclette e un’installazione piacevole dal punto di vista estetico, data sia dalle originali strutture che dalle luci. Queste ultime, infatti, che forniscono anche l’illuminazione pubblica al parcheggio, ripropongono i fanalini (rossi dietro e bianchi davanti) delle vere biciclette, orientate in direzione del fiordo.
L’effetto finale dell’installazione è molto interessante perché, oltre a promuovere opere belle e originali da realizzare nelle città, agisce anche nell’ambito dell’urbanistica e della mobilità perché orienta i cittadini verso la percezione che il trasporto in bicicletta è efficace e alternativo a quello automobilistico (anche nella fredda Norvegia).
Se lo fanno loro perché non realizzarlo anche noi!?
La morte del paesaggio
Mi fa inorridire sentir dire a priori, senza alcun spirito critico, che l’Italia è bella solo perché ha un invidiabile patrimonio artistico-culturale e un magnifico paesaggio. Balle!
L’Italia, è vero, ha un enorme patrimonio artistico-culturale che vanta il più grande numero di siti UNESCO del mondo ma, invece di essere coccolato e difeso, viene in gran parte lasciato marcire nei magazzini dei musei, viene fatto crollare o viene pian piano sommerso da strade, cavalcavia, capannoni industriali o da villette a schiera, spesso abusive. Se questa è bellezza?!
L’Italia, è altrettanto vero, vanta interessanti paesaggi naturali, spesso associati ad attività agricole o a centri abitati e borghi che fondano le loro origini nell’antichità. Sempre più spesso, però, questi capolavori di armonia estetica, frutto di secoli di lavoro e di ingegno umano, vengono orribilmente deturpati da imprenditori senza scrupoli e da amministratori privi di idee che approvano, spesso nei luoghi più impensabili, la distruzione del territorio attraverso la costruzione di nuove periferie abitative fatte di case anonime senza estetica, di rotatorie inguardabili, di aree industriali senza identità, di strade, di capannoni isolati, di ponti, di cavalcavia, di ferrovie, di pollai, di muri di cemento armato…
La difesa, nel tempo, dell’economia e del benessere sociale deve passare anche attraverso la salvaguardia del territorio, fatto di paesaggi e di patrimonio artistico-culturale, molto spesso interconnessi.
Noi cittadini, per questo, ci dobbiamo indignare nei confronti di chi ha minacciato e continua a minacciare tale risorsa e dobbiamo iniziare a chiedere, da subito, che il Parlamento vari due semplici provvedimenti già da tempo sperimentati dagli altri paesi europei più evoluti di noi:
- Una maggiore tassazione del patrimonio immobiliare rispetto al reddito, con esenzione o limitazione delle tasse per chi non consumi territorio attraverso restauri o recuperi di aree già urbanizzate;
- Una limitazione annua del consumo di territorio a livello globale che impedisca l’espansione eccessiva del sistema economico dell’edilizia e delle infrastrutture consentendo allo stesso (quello più meritevole in termini di capacità imprenditoriale) di sopravvivere più a lungo nel tempo.
Da questi due nuovi capisaldi normativi si deve poi immaginare un nuovo sistema urbanistico compatto che è più efficiente in termini energetici e che conserva la bellezza dei paesaggi nonché un sistema di infrastrutture realizzato in funzione dei flussi e delle necessità reali piuttosto che fondato sul principio che gli appalti, anche se non necessari, sono comunque il volano dell’economia.
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Foto: www.verdeepaesaggio.it
Grigiante CasaBio | Mobili e accessori
“Siamo falegnami e amiamo il nostro lavoro di artigiani. Creiamo luoghi dove i nostri clienti passeranno molto tempo della loro vita sapendo che questa è una grande responsabilità. Rispettiamo questo mondo che ci dà le materie prime necessarie per fare il nostro mestiere”.
Ci sono molti modi per produrre un letto, un tavolo o una scrivania. Grigiante CasaBio è convinto che dormire, mangiare, studiare su un mobile ecologico, prodotto con cura, sensibilità e attenzione può fare la differenza, sia in termini di salute che di ambiente.
La materia prima impiegata per la produzione dei mobili è il legno: una risorsa robusta, accogliente, calda, profumata, ma anche rinnovabile. Il legno impiegato è massello proveniente esclusivamente da coltivazioni controllate che non contribuiscono alla deforestazione di foreste vergini.
Grigiante CasaBio utilizza solamente colle viniliche e tratta i mobili solo con olio-cera impregnante Auro e, come finitura, balsamo di cera d’api e cera vegetale.
Grigiante CasaBio, con la stessa filosofia ecologica, propone anche complementi d’arredo per il riposo, per lo studio e il relax.
Mobili in Cartone
“Dacci un cartone e noi facciamo un mobile” recita il sito www.mobilicartone.it.
I mobili proposti sono pensati per allestire fiere, creare eventi, arredare show-room temporanei ma nulla esclude che possano essere usati anche in ambito lavorativo o domestico. L’idea è quella di evitare grandi sprechi di materiale impiegando un materiale – il cartone (1) – che è:
- ecologico
- riciclato
- riciclabile
- leggero
- economico
Il cartone utilizzato è ondulato a triplo strato (per essere sufficientemente resistente) e può essere personalizzato con stampe digitali o altri elementi di decoro. Esso è leggero, facile da trasportare e da incollare e, a fine vita, è completamente riciclabile. I mobili vengono consegnati piatti e pre-piegati, subito pronti per essere montati e incollati.
I tavoli sono testati per carichi intorno ai 30 kg statici; lo sgabello è testato per 90/100 kg di peso distribuito. In ogni caso tutti i mobili non sopportano pesi puntiformi che possono bucarli o ammaccarli.
Mobili in Cartone è stata la prima iniziativa in Italia a commercializzare via web prodotti interamente realizzati in cartone (riciclato all’80% e riciclabile al 100%).
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(1) Secondo un’analisi del ciclo di vita (LCA) del cartone ondulato, per ottenere 1 kg di cartone occorrono 260 grammi di legno. Sulla base di diversi studi di LCA l’energia per la produzione di 1 kg di pannelli di legno è paragonabile a quella per 1 kg di cartone. Il risparmio energetico deriva dalla minore quantità di materiale utilizzato.
BIQ House: la casa di alghe
Ad Amburgo, nell’ambito dell’International Building Exibition (IBA), Arup ha creato la “BIQ House”, il primo edificio al mondo alimentato totalmente dalla bioenergia prodotta dalle alghe.
In sostanza si tratta di un moderno edificio dotato, sulle facciate poste a sud-ovest e a sud-est, di bio-reattori costituiti da 129 pannelli in vetro riempiti di microalghe. Esse, esposte alla luce, innescano il processo di fotosintesi clorofilliana che permette sia di produrre l’energia termica che alimenta le necessità dell’edificio sia di produrre biomassa che consente di produrre biogas ed energia elettrica nonché di isolare lo stesso edificio dal sole. A seconda delle condizioni climatiche e della stagione cambiano le esigenze dell’edificio che, attraverso gli organismi che lo compongono, si comporta anch’esso come una sorta di organismo vivente. Quando c’è molta luce le alghe cresceranno molto e molto in fretta e produrranno una grande massa ombreggiante isolante dal calore, mentre quando la luce sarà poca le alghe cresceranno limitatamente e consentiranno ai raggi solari di riscaldare l’edificio.
A seguito del prototipo BIQ House Arup prevede che gli edifici di un futuro non troppo lontano assomiglieranno a dei veri e propri organismi viventi dotati di sistemi biologici in grado di autoregolarsi in base al clima e realizzati per consentire un importante risparmio delle risorse naturali del pianeta. Avremo probabilmente edifici in grado di assorbire la luce solare sia per produrre calore che energia.
Forse la BIQ House non sarà proprio ancora del tutto autonoma in termini energetici e forse risulta un po’ troppo macchinosa la produzione del metano dalla biomassa di alghe. Essa però rappresenta comunque un interessante esercizio nell’ottica della bioimitazione e dello sfruttamento di tecnologie pulite che deve essere ulteriormente testato, sviluppato e migliorato affinché, in un prossimo futuro, la tecnologia della biochimica possa essere utilizzata nella produzione e nelle applicazioni di massa.
Per la costruzione della BIQ House Arup ha collaborato con la tedesca Colt International che ha prodotto i bio-reattori, con la tedesca SSC Strategic Science Consult e con lo studio di architettura Splitterwerk di Graz, in Austria.
Padania
A parte gli slogan di alcuni esponenti politici che identificano nella “Padania” uno stato autonomo dal resto d’Italia e a parte le loro sparate a fini giornalistici che vedevano milioni di abitanti del nord Italia imbracciare i loro fucili per conquistare l’indipendenza da “Roma ladrona”, a mio avviso la vera natura di quest’area di territorio europeo non è politica ma è, da un lato, geografica e, dall’altro, urbanistica.
A guardarla bene la Padania non è un vero stato: non si parla la stessa lingua (anzi gli idiomi dialettali sono numerosissimi e, talvolta, molto diversi tra loro anche tra territori vicini) e non abbiamo la stessa cultura (alcune aree sono state influenzate più dalla Francia, altre più dall’Austria, altre ancora presentano similitudini con l’est europeo).
Invece quello che è inequivocabile è il fatto che la Padania sia un territorio prevalentemente alluvionale, incastonato tra le Alpi, a nord, e gli Appennini, a sud. Un’area geografica che, un po’ per l’abbondante disponibilità di denaro per investimenti nel dopoguerra, un po’ per la fortuna di un territorio pianeggiante, un po’ per l’intraprendenza dei suoi abitanti, ha visto in questi ultimi settant’anni la nascita di una piccola e media impresa e di un benessere economico diffuso con l’ampio sviluppo di una classe borghese.
Questo fenomeno economico ha innescato il secondo fenomeno, quello urbanistico, di cui si parla meno. In definitiva la Padania è un’immensa città!
Questa sua vera natura si nasconde dietro i diversi nomi delle città, delle cittadine, dei paesi e delle frazioni ma se la si percorre nel suo groviglio intricato di strade la si può vedere come una enorme piovra dotata di lunghi tentacoli che si dispiegano attraverso le vie di comunicazione.
Da Trieste a Torino, da Varese a Piacenza e Bologna la Padania è oramai un unicum intervallato qua e là da sempre più piccoli appezzamenti di terra dedicata ad attività agricole poco remunerative che sempre più spesso sono presi di mira dagli speculatori che progettano aree industriali, aree commerciali, impianti per la produzione di energia, nuovi quartieri, strade e ferrovie.
In questa sempre più rapida trasformazione del territorio la classe politica “illuminata” (pochi, per la verità) si dimostra inerme mentre la maggior parte di essa, convinta dei benefici che la trasformazione possa comportare (e forse anche da interessi personali), la cavalca ampiamente promuovendone con forza le dinamiche.
Il fenomeno è semplice da descrivere: ogni comune promuove le proprie iniziative urbanistiche senza un vero e proprio coordinamento con quelle di altri comuni e, sommando tutti gli interventi, quello che ne deriva è un mostro che divora, anno dopo anno, territori, paesaggi, conoscenze e storia.
Al di là delle vere o presunte necessità economiche e sociali di una tale dinamica, quello che vorrei far notare è che essa, comunque sia, è contro natura. Mentre la natura basa il proprio funzionamento sull’efficienza e sulle interdipendenze, la megalopoli Padania, esplosa in tanti frammenti su un ampio territorio, consuma (sarebbe meglio dire spreca) enormi quantità di energia per gli spostamenti, per il riscaldamento e per il condizionamento. Inoltre divora (cementificandolo, asfaltandolo, spianandolo) immense quantità di territorio che dovrebbe ospitare anche boschi, pascoli, aree selvagge, fiumi non controllati, campagne non coltivate a monocoltura per creare relazioni di vantaggi reciproci tra gli esseri viventi (compreso l’uomo).
In sostanza si dovrebbe pensare anche a creare la possibilità che la natura, su un determinato territorio, possa fornire gratuitamente dei fondamentali servizi all’uomo: depurazione delle acque, purificazione dell’atmosfera, animali selvaggi indirettamente utili per l’agricoltura, animali d’allevamento e prodotti agricoli sani.
Vista con occhi nuovi la megalopoli Padania è tutta da riprogettare. Meglio abbandonare, pertanto, l’idea di forzare la costruzione di uno Stato indipendente e concentrare le energie verso un nuovo approccio, prima filosofico e poi tecnico-organizzativo, che ben identifichi le caratteristiche naturali specifiche di questo territorio (e il loro funzionamento) e veda in esse un alleato al mantenimento del benessere piuttosto che un ostacolo da piegare continuamente con la forza.
AURO | Colori naturali
All’inizio degli anni ’80 il dott. Hermann Fisher, uno dei pionieri della chimica pulita e sostenibile, si convinse che il progresso senza rispetto per la natura avrebbe contribuito a peggiorare la qualità della vita degli uomini, sia direttamente attraverso una minore salute, sia indirettamente attraverso il degrado ecologico e l’inquinamento di aria, terra, acqua. Alla petrolchimica così impattante sull’ambiente doveva essere contrapposto qualcosa di migliore.
Fu così che nacque, nel 1983, la AURO Pflanzenchemie AG, una delle principali aziende pionieristiche nel settore del costruire, dell’abitare e del vivere sano. I colori AURO sono pregiati, adatti alle esigenze e alle richieste del mercato ma sviluppati sulla base di una ricerca ecologica.
AURO è ormai uno dei marchi più noti nel campo dei prodotti ecologici ed è oggetto di una grande attenzione e di riconoscimenti che vanno ben aldilà dell’originario movimento ecologico del suo fondatore.
Con un impegno costante a livello di Ricerca & Sviluppo, basato su competenze scientifiche ed esperienze tecnico-applicative, negli ultimi 20 anni, oltre ai colori, sono nati numerosi prodotti per la protezione e il trattamento del legno, ma anche del metallo, della pietra e di altri materiali di costruzione. L’assortimento è completato da colle, intonaci, detersivi e detergenti ecologici.
Solas | Vernici naturali
“Solas” in gaelico significa “luce, bianco, candore” e, non a caso, il primo prodotto creato è stato un’idropittura murale bianca dalla forte luminosità, dalla mano vellutata e dall’ottima resa.
Era il lontano 1993, anno in cui fu gettato il seme della Solas da parte di un gruppo di imprenditori mossi dal desiderio di creare prodotti per la casa che fossero efficaci ma anche compatibili con i tempi vitali e la delicatezza del Pianeta. In sostanza non si voleva dare solo una “veste naturale” ai prodotti ma piuttosto dotarli di un “cuore naturale” attraverso una reale ricerca verso uno sviluppo eco-compatibile.
I prodotti Solas, ottenuti con materie prime vegetali e minerali, sono totalmente esenti da solventi petrolchimici, resine acriliche, viniliche, alchidiche e da biocidi. Dal momento che Solas non utilizza sostanze tossiche o composti chimici non bio-compatibili ma solo ingredienti naturali semplici, i cicli di produzione sono brevi, l’impiego di energia è minore rispetto ai cicli di produzione dei prodotti convenzionali e le scorie sono completamente biodegradabili.
Per questo Solas può garantire che la produzione delle proprie pitture e delle proprie vernici sia a bassissimo impatto ambientale e che i propri prodotti, pur mantenendo elevate prestazioni tecniche, non sono nocivi per la salute dei lavoratori e degli abitanti della casa.
A garanzia di ciò Solas, in etichetta o nelle schede tecniche, dichiara volontariamente tutte le materie prime utilizzate e ciò risulta utile anche per individuare componenti nei confronti dei quali vi siano allergie, intolleranze o incompatibilità individuali.