DMZ
L’acronimo DMZ indica quell’area demilitarizzata (De-Militarized Zone) che divide, dal 1953, le due Coree. Essa ha una lunghezza di 248 km e una larghezza di 4 km ed è stata istituita quando, a seguito del cessate il fuoco della guerra di Corea (teoricamente i due paesi sono ancora in guerra), i due belligeranti hanno deciso di far arretrare dal fronte le proprie truppe di 2 km ciascuno. In tal modo si è così creata una zona cuscinetto di 4 km, totalmente inaccessibile sia per gli accordi presi a suo tempo sia per la presenza di numerose mine disseminate sul territorio che ne impediscono una sicura frequentazione (1).
Al di là delle questioni militari e geopolitiche, l’aspetto interessante che caratterizza questa DMZ è il fatto che in essa la natura prospera e segue dinamiche evolutive autonome, non influenzate dall’intervento degli esseri umani. La natura cresce, si evolve e raggiunge equilibri spontaneamente fornendo rifugio a specie animali e vegetali oramai rare o estinte in altre aree che sono in condivisione con gli esseri umani. In essa si avvistano (da lontano, visto che non la si può facilmente frequentare) rarissime specie di uccelli come gli avvoltoi neri o la gru della Manciuria oppure il leopardo dell’Amur, l’orso nero asiatico e il goral. In essa vi è anche una florida vegetazione fatta di piante, di fiori rari e di funghi (di cui uno, in particolare, è endemico). Nella DMZ gli scienziati hanno identificato circa 2.900 specie vegetali, 70 diverse specie di mammiferi e 320 specie di uccelli. Per non parlare poi dei rettili, degli anfibi e degli insetti.
La DMZ coreana e quello che la caratterizza ora in termini di varietà naturale dopo più di 60 anni di isolamento fa ben comprendere due aspetti, tra loro strettamente connessi:
- che la presenza umana è, anche nel migliore dei casi, sempre e comunque molto alterante della natura;
- che per salvare la natura e la biodiversità non sono sufficienti né le associazioni ambientaliste né le leggi, né l’istituzione dei parchi naturali né la cultura ecologica: per salvare la natura è necessario solo eliminare la presenza dell’uomo!
Va da sé allora che, partendo dall’esperienza significativa della DMZ e di altri casi di isolamento forzato della natura dalla presenza umana (Chernobyl e Fukushima, ad esempio), per salvare veramente la natura e la biodiversità dall’azione predatoria e distruttiva dell’uomo è assolutamente necessario creare una rete planetaria comunicante di corridoi ecologici sufficientemente ampi (2) – difesi, se necessario, anche dagli eserciti –i quali siano totalmente inaccessibili all’uomo e alle sue attività. Questi corridoi (che definirei più propriamente “cinture ecologiche”) devono essere lasciati per un lunghissimo periodo di tempo (almeno 100 anni) a seguire le proprie dinamiche evolutive, senza alcun intervento umano.
E il punto di partenza di questa cintura ecologica planetaria potrebbe essere proprio la Corea. È un po’ triste dirlo ma speriamo che i rapporti tra le due Coree rimangano tesi (senza guerra e senza uso di armi) ancora un po’ perché nella DMZ la natura è assolutamente rigogliosa e non potrebbe essere altrimenti se avesse strade, ferrovie, ponti, case, orti, campi coltivati, turismo…
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(1) Jongwoo Park, il primo civile a mettere piede nella zona dall’armistizio del 1953, su incarico del ministero della Difesa sudcoreano, a partire dal 2009 ha iniziato a documentare lo stato della DMZ.
(2) L’esperienza involontaria della DMZ ci fa comprendere che un corridoio ecologico (cintura ecologica), per essere efficace e funzionare su scala planetaria, deve essere ampio almeno 5 km. Inoltre esso non deve avere nessuna interruzione e non deve avere, in esso, alcun manufatto umano che richieda interventi periodici e manutenzioni. La presenza umana poi deve essere assolutamente bandita, senza deroga alcuna se non, dietro specifiche autorizzazioni, quella degli scienziati. Per funzionare poi il corridoio ecologico non deve aver alcuno scambio con l’esterno – per lo meno per gli animali terrestri di grossa taglia – per evitare che essi rappresentino una minaccia delle attività economiche che si sviluppano vicine ad essi. Nei corridoi ecologici deve essere poi bandito anche il turismo, di qualsiasi tipo esso sia.
Foto: Natonal Geographic, Jongwoo Park
se non ci pensiamo noi a cambiare stile di vita ci penserà la natura con i suoi tempi e le sue modalità, con buona pace per la nostra arroganza