EUCOOKIELAW_BANNER_TITLE

Category Archives: Società

Distruggeresti la tua casa?

Proviamo ad immaginare la scena. Mentre scendiamo la scala di casa, sul pianerottolo, il nostro vicino tutto impolverato sta demolendo con un martello pneumatico la porta e la parete del suo appartamento. Poi, scesi in strada, il negoziante di fronte al nostro palazzo sta prendendo a mazzate la vetrina e la porta a vetri della sua attività fino a frantumarla in mille pezzi. Mentre passeggiamo per la via, poi, c’è chi distrugge con una mazza da baseball la propria auto nuova fiammante fino ad arrivare a chi, armato di un grosso trapano, buca tutte le porte, tutte le finestre e tutti i muri che trova sul proprio cammino. Se si esce dalla città e ci si trasferisce nei paesi limitrofi c’è chi con un trattore ara e distrugge il proprio giardino e chi con la pala di un caterpillar colpisce ripetutamente la propria casa fino a farla crollare in un ammasso di macerie fumanti.

Sembra tutto pazzesco, eh? Così assurdo e surreale da non poter essere vero o, casomai, da appartenere ad incubi notturni o a fantasie romanzesche del filone fantascientifico. Se mai qualcuno potesse fare una cosa del genere o è sotto l’effetto di qualche potente droga o ha un serio problema psichiatrico e deve essere ospedalizzato.

SBAGLIATO. Quel pazzo demolitore è ognuno di noi che con il proprio stile di vita, con le proprie scelte di consumo, con le proprie abitudini comode, con la propria ipocrisia e con la propria stupidità sta distruggendo a poco a poco la sua unica e vera casa: la Terra. Cosa ci vuole per capire che dobbiamo presto cambiare registro? Non è ancora sufficiente vedere che il clima sta profondamente cambiando su tutto il pianeta? Non è ancora sufficiente vedere che stiamo perdendo importanti ecosistemi, soprattutto forestali? Per non parlare, poi, degli oceani?

Cari miei. Da questa follia collettiva nessuno si senta escluso! Al limite è solo questione di capire quale sia l’entità della nostra personale responsabilità…

 

11 miliardi

Il dibattito sulla crescita demografica e sui problemi ambientali ad essa collegata, dopo essere stato sollevato alla fine del ‘700 dall’economista e demografo inglese Thomas Robert Malthus e dopo aver alimentato il dibattito filosofico ed economico nei secoli successivi fino ad arrivare ad infiammare le opinioni negli anni ’60 del secolo scorso, intorno agli anni ’90 ha subito una battuta d’arresto e sostanzialmente si è assestato nell’opinione ufficiale che l’incremento demografico non fosse poi un problema così grave e così insormontabile. Veniva a sostegno di questa teoria la fiducia nella tecnologia ritenuta in grado di risolvere qualsiasi cosa, anche la produzione di cibo per tutti; veniva a sostegno di questa teoria la statistica che, dopo aver descritto un picco di popolazione di 9 miliardi di individui nel 2050, ipotizzava per gli anni successivi una lenta diminuzione della stessa verso confini più sostenibili. In questo dibattito non si possono escludere le religioni che, alimentate dal sostegno della vita tout court, da una visione antropocentrica del mondo e dalla fede verso un’entità dispensatrice di bene e di soluzioni, hanno sempre remato a favore della crescita demografica e, almeno ufficialmente, non l’hanno mai letta come un reale problema.

Di recente, però, la questione è tornata alla ribalta perché un gruppo internazionale di ricercatori guidato dal professore di statistica e sociologia Adrian E. Raftery dell’Università di Washington ha rivisto le precedenti stime arrivando alla conclusione che, per varie ragioni, vi è il 70% di possibilità che nel 2100 la popolazione della Terra possa essere di 11 miliardi di individui, ben 2 miliardi in più rispetto agli studi precedenti.

La cifra indicata dal prof. Raftery e dai suoi colleghi potrebbe essere molto allarmante perché pone seri (e antichi) interrogativi sulla fame nel mondo, la disponibilità di acqua potabile, l’accesso alle risorse, le guerre, l’inquinamento, la deforestazione, il benessere e la salute per tutte quelle persone. Inoltre più aumenta la popolazione mondiale umana e più aumentano i loro desideri e bisogni, più diminuiscono gli spazi sulla terra a disposizione di altri esseri viventi (compresi gli alberi e le grandi foreste). Tant’è che la biodiversità, nel tempo, sta sempre più rapidamente diminuendo.

Dallo studio emerge che la crescita più importante interesserà prevalentemente l’Africa sub-sahariana dove il tasso di natalità (1) è il più elevato al mondo e le donne hanno, in media, tra i 5 e i 6 figli ciascuna. Si stima che, in generale, in Africa si passerà dal miliardo attuale di abitanti ad un numero che oscilla tra i 3,5 e i 5. Si pensi che la Nigeria, tanto per fare un esempio, potrebbe passare in soli 80 anni dagli attuali circa 200 milioni di abitanti a 900 milioni nel 2100. Con queste proiezioni come pensare di dare lavoro (possibilmente con diritti) ad una massa così enorme di giovani in una terra dove manca una politica sana e non corrotta e dove sempre più terre sono state acquistate dai paesi esteri per soddisfare i loro attuali bisogni oramai superiori alle capacità produttive del loro territorio? Come pensare di evitare flussi migratori, guerre, instabilità politiche, estremismi religiosi e diplomazie scricchiolanti? Come pensare di salvare gli elefanti, i rinoceronti, i leoni e, in generale, i numerosi animali selvatici tanto utili al turismo dei parchi naturali se non si interviene sin da ora su un fenomeno, quello demografico, di cui negli ultimi decenni non ha parlato nessuno?

Se non si vuole colpevolmente rimandare ai nostri figli l’onere di fronteggiare una situazione che li vedrà sicuramente perdenti è necessario che si ricominci a porre seriamente l’attenzione sul rischio demografico per la Terra e si inizi seriamente a perseguire delle politiche sostenibili di decremento della popolazione e di controllo delle nascite. Superando la retorica religiosa, il buonismo e il menefreghismo legato al fatto che i tempi di riferimento sono lunghi e lontani.

Per iniziare, le armi che già conosciamo perché hanno dato buoni frutti negli anni passati sono sostanzialmente due: l’istruzione e la cultura, in particolare concentrando l’attenzione sulle donne; l’emancipazione, sia sociale che economica, sempre delle donne. Poi dovranno intervenire anche compensazioni più tecniche e politiche che siano in grado di calmierare gli inevitabili squilibri che il decremento demografico porterà con sé.

Solo agendo in tale direzione potranno essere applicabili i principi della bioimitazione, unico vero strumento che garantisce la sostenibilità ambientale delle attività umane. L’alternativa, invece, potrebbe essere solo quella del caos e della disperazione. Sapremo affrontare tale sfida?

_____

(1) Elenco degli Stati per tasso di natalità  –  Elenco degli Stati per tasso di fecondità

 

Più lavoro, meno prodotti

Mi ha molto colpito la dichiarazione di Horst Neumann, capo del personale del Gruppo Volkswagen, il quale ha recentemente affermato l’intenzione del colosso europeo dell’auto di sostituire gran parte della manodopera che uscirà dal mercato del lavoro per raggiunta anzianità lavorativa con i robot. In particolare la sua analisi nasce dal fatto che nel Gruppo, nei prossimi 15 anni, andranno in pensione circa 32 mila persone e, dal momento che il costo del lavoro nell’Europa occidentale è molto elevato (circa 40 euro l’ora) se paragonato con quello dei paesi dell’est europeo (circa 11 euro l’ora), della Cina (circa 10 euro l’ora) o dei paesi emergenti, questi lavoratori verranno in gran parte rimpiazzati da dei sostituti meccanici che, per effetto delle più moderne tecnologie, non costano più di 5 euro l’ora. Solo così, secondo il manager, si potranno salvare le produzioni europee e garantire sufficienti profitti alle aziende.

Ma in Europa non dovevamo creare nuovi posti di lavoro per i giovani e per i lavoratori anziani che, colpiti dalla crisi, sono rimasti a casa? Questa parola – il lavoro – è sulla bocca di tutti i politici del vecchio continente durante le campagne elettorali anche se mi sembra che le loro azioni, quando iniziano a governare, vadano poi in direzione contraria e seguano più i desideri degli imprenditori di licenziare liberamente, di precarizzare il lavoro, di meccanizzare i processi produttivi a svantaggio dell’occupazione e creando conflittualità sociale. In definitiva si tratta solo di “fuffa” per abbagliare l’elettorato ma poi, in sostanza, negli anni la manodopera si è vista calare e calerà in tutta Europa tanto che i nostri figli si vedranno strappare diritti di civiltà e benessere che non dovrebbero assolutamente essere materia di negoziazione per il futuro.

Se gli industriali e i tecnocrati pensano di risolvere il problema della redditività delle aziende europee scalfendo, giorno dopo giorno e anno dopo anno, i diritti dei lavoratori e la manodopera, è da dire che il problema – e la sua soluzione – potrebbe essere visto anche da altri punti di vista. È il caso dell’economia circolare e della possibilità che quest’ultima possa davvero creare occupazione per i lavoratori, ricchezza per le aziende e stabilità sociale avendo come base la sostenibilità ambientale e la garanzia del mantenimento delle risorse per le generazioni future.

Com’è possibile ottenere tutti questi importanti risultati? Un interessante strumento potrebbe essere quello della tassazione e della sua modulazione in modo tale da favorire il lavoro piuttosto che l’uso e lo scambio delle materie, dal momento che queste ultime saranno sempre più scarse e le persone, invece, saranno sempre più numerose. Attualmente i nostri sistemi economico-sociali prevedono una bassa tassazione delle risorse e un’alta tassazione del lavoro che comportano, per l’ottenimento di prodotti competitivi sul mercato, un elevato uso delle materie e un sempre più basso impiego di manodopera. Se, invece, si optasse per il contrario – un’elevata tassazione delle risorse e una bassa tassazione del lavoro – si otterrebbe il risultato di limitare l’uso delle materie e dei servizi e si orienterebbe il sistema economico verso un maggiore utilizzo della forza lavoro.

Sarebbero così più vantaggiose tutte quelle attività ad elevata incidenza di manodopera, come il riuso e la riparazione dei prodotti. Le aziende si ritroverebbero costrette a riprogettare i loro beni nell’ottica del riuso e della riparabilità; l’efficienza sarebbe potenziata, l’obsolescenza programmata sarebbe un lontano ricordo e si svilupperebbero servizi di locazione dei prodotti e dei servizi piuttosto che la loro continua vendita (e la creazione di rifiuti) attraverso il commercio e il marketing.

In sostanza si passerebbe da un’economia linearmente infinita fatta di materie, prodotti, rifiuti e non sostenibile ad un’economia circolare dove il lavoro viene messo in primo piano, sparisce il concetto di rifiuto e viene favorito il riuso dei prodotti e la riciclabilità delle materie.

Economia lineare

Economia circolare

Economia circolare con lavoro

È vero, le tasse sono disgustose ma anche necessarie per sostenere il funzionamento della società. Visto che non ne possiamo fare a meno cerchiamo almeno di ripensarle e di orientarle in modo tale che siano una barriera verso l’indiscriminato e folle utilizzo di materie sempre più scarse e un volano verso l’utilizzo della manodopera, unico e solo vero scopo di una società democratica e sana (1).

_____

(1) La Costituzione italiana in vari articoli (art. 1, art. 35) tutela il lavoro come strumento di base per una sana società ma in essa non si fa riferimento alle materie, al commercio e ai rifiuti…
Per approfondire: www.ex-tax.com

 

La merda nel sacchetto

Per chi sia possessore di un cane ed abbia un minimo di senso civico, afferrare quel suo caldo “prodotto” quotidiano con il sacchetto di plastica, avvolgerlo abilmente senza lasciare traccia alcuna su dita e mani e metterlo in un cestino dell’immondizia non è poi una cosa così strana. Lo è di più per chi non abbia amici a quattro zampe, ma sarà capitato un po’ a tutti di vedere qualcuno che, in un parco pubblico o sul marciapiede, abbia sfoderato abilmente il suo bel sacchetto di plastica dal guinzaglio… et voila, in pochi secondi abbia fatto sparire il fetido “prodotto”.

Sia ben chiaro che raccogliere in tal modo la cacca del cane è un segno di grande, enorme civiltà che non si deve assolutamente perdere ma, nello stesso tempo, è anche la dimostrazione che c’è qualcosa che non va nel nostro sistema di considerare il nostro posto sulla Terra, di pensare il ruolo della natura e le nostre relazioni con essa.

deiezioniMettere la cacca del cane dentro un sacchetto di plastica significa fare esattamente il contrario di quello che richiederebbe il corretto funzionamento della natura dove le deiezioni devono essere sparse (gli erbivori dove capita, i carnivori ben nascoste) per degradarsi e per fornire cibo ad insetti e batteri e, per quel che resta, i nutrimenti chimici necessari al benessere e alla crescita rigogliosa dei vegetali. Invece noi, uomini moderni ed evoluti, le inseriamo in un involucro di petrolio che verrà bruciato in un inceneritore o seppellito in una discarica, mescolato a miliardi di altri assurdi – spesso inutili – materiali.

In questo caso il problema non è dei cani: i poveri già si sono adattati a vivere in una città, non si può anche chiedere loro di fare la cacca nel water. Il problema non è neanche dei padroni dei cani: per evitare problematiche di igiene pubblica e di decoro devono per forza sporcarsi le mani (per fortuna no, i sacchetti lo impediscono) con le deiezioni dei loro amati. La questione è più profonda e risiede, invece, nel fatto – di cui poco, troppo poco si discute – che gli esseri umani e il loro amici animali sono troppi su questa terra per vivere in maniera sostenibile. Tra l’altro si stanno concentrando sempre di più (siamo arrivati a circa la metà della popolazione mondiale) a vivere in spazi – le città e le metropoli – che, almeno attualmente, nulla hanno a che fare con ecosistemi dove possano essere facilmente applicati i principi dell’ecologia.

Bisogna seriamente iniziare ad interrogarsi su come fare per diminuire, senza troppi traumi sociali, la popolazione umana presente sulla Terra perché il pianeta che abitiamo non è in grado di sopportare il nostro carico. Bisogna iniziare anche a cercare di capire come sia possibile cambiare le città nelle loro infrastrutture di base per renderle più ecologiche e per far sì che in esse possano essere applicati i principi della bioimitazione e, in particolare, quello relativo al flusso circolare delle materie; alla produzione e alla gestione dell’energia; all’aumento della biodiversità.

 

Il peso dell’uomo

Qualche anno fa (novembre 2011) l’umanità ha superato la barriera dei 7 miliardi di individui, una cifra obiettivamente molto difficile da immaginare. Se si pensa che la città di Milano ha circa 1.350.000 abitanti (1), per raggiungere tale cifra di città di Milano ce ne vorrebbero ben 5.185. Se si pensa che l’Italia ha circa 60 milioni di abitanti, per raggiungere tale cifra ci vorrebbero ben 116 Italie.

Sulla base di questi dati impressionanti vi siete mai chiesti quale sia il peso totale dell’umanità in rapporto alle altre specie viventi? Quanti siamo in rapporto alle formiche, agli elefanti, ai batteri e alle piante? Il dato, per chi come me tenta di occuparsi di sostenibilità ambientale attraverso la bioimitazione, è molto importante perché rappresenta un indicatore significativo della biodiversità presente sul Pianeta e dell’impatto che l’uomo ha sull’equilibrio – meglio, sul disequilibrio – della Terra.

In totale l’umanità, con i suoi 7 miliardi di individui, ha una biomassa di 350 Mt. Le formiche, stimate in un numero di animali pari a 10 miliardi di miliardi, hanno una biomassa di 3.000 Mt, pari poco meno a 10 volte quella umana. Gli elefanti, in numero di 500.000 esemplari, rappresentano una massa di 1 Mt, i batteri hanno una biomassa pari a 1 milione di Mt (circa 2.857 volte maggiore di quella degli esseri umani) e le piante hanno una biomassa di 570.000 Mt (560 le piante terrestri e 10 quelle marine).

Al di là delle singole cifre, interessanti ma molto distanti da quanto siamo soliti immaginare, il dato veramente impressionante è rappresentato dal fatto che, rispetto ai soli mammiferi terrestri la cui biomassa totale è di 1.230 Mt, la biomassa dell’uomo, con gli animali di allevamento che utilizza per il proprio nutrimento, rappresenta il 96% del totale. Di questa i soli uomini rappresentano il 28% e gli animali da allevamento il restante 68%. Ai mammiferi terrestri selvatici, che hanno una biomassa di sole 33 Mt, rimane il restante misero 4%.

Il peso dei mammiferi terrestri

Per tradurre: gli animali selvatici non esistono praticamente più! Quei pochi che restano sono relegati nei parchi, sulle montagne e nei luoghi più inospitali e l’uomo è così invasivo nel “Sistema Terra” non solo da mettere seriamente a repentaglio la biodiversità (concetto forse un po’ troppo astratto) ma anche da mettere seriamente in discussione la propria sopravvivenza per eccesso di pressione sugli ecosistemi secondo il principio dell’overshooting and collapse mode.

Se non vogliamo fare la fine della rana nella pentola (2) è necessario che iniziamo sin da ora a mettere in campo azioni correttive che possano garantire, da un lato, la difesa della biodiversità così tanto sottovalutata nel suo contributo alla sopravvivenza e al benessere della specie umana e, dall’altro, alla ricerca di soluzioni che possano far diminuire la pressione antropica.

Per ottenere il primo obiettivo è necessario che si inizi seriamente a ragionare sulla creazione di una cintura ecologica globale (di cui ho già parlato qui) che funga da incubatore e da serbatoio della biodiversità. Questo è solo il punto di partenza di un progetto che deve poi evolvere verso la piena convivenza tra l’uomo – e la sua curiosità esplorativa che si manifesta attraverso le attività economiche – e gli animali selvatici.

Per ottenere il secondo obiettivo è necessario che si inizi, in primis, a rimodulare le fonti di approvvigionamento del cibo orientandole maggiormente verso il consumo di vegetali e a rompere il tabù economico-religioso per mettere in campo politiche serie e lungimiranti orientate all’obbiettivo del calo demografico della popolazione umana mondiale.

_____

Mt = Milioni di tonnellate

(1) Fonte Wikipedia per il solo Comune di Milano e non per l’intera area urbana.

(2) Si immagini una pentola piena d’acqua fredda dove nuota allegramente una rana. Sotto la pentola viene acceso un fuoco e l’acqua si riscalda molto lentamente. Mentre l’acqua diventa tiepida la rana la trova piuttosto gradevole e continua a nuotare spensierata. Quando l’acqua diventa calda la rana inizia a sentirsi un po’ stanca ma non si spaventa più di tanto. Mentre l’acqua diventa sempre più calda la rana la trova sempre più sgradevole ma è troppo indebolita per reagire e, allora, sopporta senza fare nulla fino al lento sopraggiungere della sua morte. Se la rana fosse stata buttata direttamente nell’acqua calda avrebbe fatto un balzo e sarebbe immediatamente saltata fuori dalla pentola. Quando un cambiamento avviene in modo sufficientemente lento, sfugge alla coscienza e non suscita alcuna reazione, opposizione o rivolta…

Foto: by Prignanese

Immagine: Traduzione di un’immagine pubblicata da Randall Munroe sul sito xkcd e basata sui dati dell’opera di Vaclav SmilThe Earth’s Biosphere: Evolution, Dynamics and Change

 

Bello o brutto?

Qualche mattina fa, a Verona, mi trovavo a percorrere una piacevole strada panoramica urbana sul fiume Adige. Mentre aspettavo il mio turno fermo al semaforo il mio sguardo fu attratto da dei bellissimi fiori gialli che svettavano alti e imponenti tra gli steli d’erba e tra le margherite nei pressi del ciglio stradale, ad un paio di metri da me. Il ciglio stradale e l’argine ne erano pieni e lo spettacolo era veramente notevole. Purtroppo, però, bisogna rassegnarsi al fatto che le cose belle hanno breve durata e, come per magia, poco avanti c’erano anche due operai vestiti di tutto punto, con i loro bei giubbini catarifrangenti arancio, con i loro bei caschetti, le cuffie, il paraocchi e i guanti, armati di decespugliatori a filo che… broom… broom tagliavano tutti i vegetali e tutti i fiori che trovavano sul loro cammino, facendone tabula rasa.

Argine Adige_01

Argine Adige_02

Quei poveri operai erano stati mandati là da qualcuno che, a mio avviso, senza fare troppe ricerche scientifiche sulla biodiversità urbana e senza preoccuparsi troppo della bellezza del paesaggio spontaneo, aveva deciso che le erbacce erano brutte e che doveva essere fatto un po’ di “ordine”.

Mi sono subito chiesto che cosa sia il concetto del “bello” e quello del “brutto”. Mi sono subito chiesto se sia più bello (nella Pianura Padana) un prato all’inglese verde smeraldo di steli d’erba ben allineati e rasati in maniera uniforme oppure un prato, un po’ più “selvatico”, pieno di margheritine bianche e tarassachi gialli. Se sia più bella un’aiuola con tutti i fiori uniformi e ben separati oppure realizzata da una mescolanza di piante e di colori; se sia più bello un giardino con le piante ben allineate e tutte ben potate oppure caratterizzato da un groviglio di alberi semi-selvatici.

Prato inglese

Prato selvatico

Per me la risposta è ovvia, perché tento di ragionare e di legare il mio piacere anche a ciò che è bene per la natura, che poi in definitiva è anche il mio e della mia salute. Però mi rendo conto che per molte persone la scelta più comoda sia quella dell’ordine, del rigore, della uniformità. Non importa poi il fatto che per raggiungere il risultato voluto si debba abbondare con i diserbanti e con i pesticidi, si debba esagerare con le attrezzature a motore, si debbano sprecare centinaia di metri cubi d’acqua potabile, si debba violentare la biodiversità vegetale e animale.

A pensarci bene, però, mi rendo conto che la questione affonda le sue radici prevalentemente nella dimensione culturale. È solo legata al fatto che qualcuno ci ha inculcato l’idea che debba essere fatto così. Punto. Senza troppi ragionamenti e senza troppe analisi critiche.
Cari lettori, aprite lo sguardo e cercate di vedere le cose anche con un occhio diverso. Cercate di non farvi influenzare dalle mode e dal conformismo. Vedrete che si apriranno interessanti orizzonti che vanno al di là dei meri concetti di “bello” e di “brutto” e sarete più predisposti anche a cambiamenti più radicali e più giusti, a nuove soluzioni tecniche, economiche e sociali che porteranno ad un nuovo progresso per il futuro.

Sono sempre più convinto che la differenza la facciamo veramente solo noi, attraverso le nostre scelte!

_____

Foto 1 e 2: L’argine del fiume Adige

Foto 3: Esempio di prato “all’inglese”

Foto 4: Esempio di prato “selvatico”

 

Se questo è un uomo

Dopo aver visto le immagini di un torero che, qualche tempo fa, a Madrid, è stato infilzato da un toro durante una corrida, più che dall’uomo a terra (che, come si può vedere dalla foto, se l’è cavata con un danno relativamente lieve e si rialza con le proprie gambe) sono rimasto colpito dal toro e dal sangue che esce copioso dalla sua bocca. Chiaro segno che l’animale ha in corso una violenta emorragia che, oltre alla morte, gli sta provocando anche atroci dolori e sofferenze.

Mi sono subito chiesto quale sia l’uomo che riesce a procurare tanto dolore ad un altro essere vivente (per di più un mammifero molto simile a noi) per il solo diletto e per la sola dimostrazione pseudo-ancestrale di una superiorità di lotta nei confronti dello stesso. Mi sono chiesto quale sia la motivazione che spinge gli spettatori ad andare a vedere un simile “spettacolo” sanguinario e atroce. E, subito, ho fatto un collegamento mentale e ho pensato a Primo Levi.

Corrida Jimenez ForteLo so, il paragone è un po’ forte ed andare a scomodare il chimico ebreo torinese scampato ai campi di concentramento e le atrocità dell’Olocausto per parlare della corrida è sicuramente eccessivo. Lo stesso errore comunicativo lo ha fatto Beppe Grillo quando per parlare della P2 ha scomodato Aushwitz. Io, però, non credo sia un problema perché non penso di offendere nessuno. Lo scopo è quello di usare un’iperbole linguistica per far luce su una pratica senza senso come è quella di “giocare” ad irridere il toro per poi infilzarlo a morte procurandogli inutile dolore e rabbia, come senza senso è stata l’idea del nazismo di fare violenza gratuita su alcune categorie di uomini.

La morte, al limite, se proprio proprio deve essere procurata ad un animale, deve essere praticata con il minimo di sofferenza e di violenza nei confronti dello stesso, perché, ne sono convinto, procurare brutalità rende brutali! Ed essere brutali, mi chiedo, non aiuta nel capire empaticamente il processo necessario che ci attende per il futuro nel percorrere la strada verso la ricerca della sostenibilità ambientale.

_____

Foto: la foto riporta la scena di un incidente avvenuto qualche tempo fa a Madrid dove il toro ha incornato il torero Jimenez Forte. Si noti il copioso sangue che fuoriesce dalla bocca del toro e che dimostra inequivocabilmente le emorragie che le spade infilzate nel dorso provocano all’animale e la sofferenza atroce a cui viene sottoposto.

 

Patè de fois gras. Slurp!

Quando vedo un video come quello di Animal Equality sull’allevamento delle oche destinate alla produzione del paté de fois gras (paté di fegato d’oca o di anatra) (1), penso che l’unico VERO animale presente sulla Terra sia l’uomo.

La nostra consapevole brutalità non ha pari. La nostra bestialità nel procurare inutile dolore e sofferenza ad altri esseri viventi non ha pari. La nostra consapevole insensibilità per l’ottenimento di un prodotto non essenziale per la sopravvivenza non ha pari. Il nostro lucido calcolo puramente materialistico non ha pari. Tutto ciò non ha pari nemmeno tra i più sanguinari carnivori del Pianeta, come le tigri, i coccodrilli o gli squali che agiscono istintivamente (senza premeditazione o senza scopi materiali, come il denaro) solo per procurarsi il cibo destinato alla sopravvivenza, loro e del loro clan familiare.

Tornando al video, esso mostra i diversi passaggi produttivi necessari per ottenere il famoso fois gras. Dall’allevamento degli animali in minuscole gabbie, all’alimentazione forzata degli stessi che vengono ingozzati a forza, fino ad arrivare alla loro truce macellazione. Tutto ciò con un unico scopo: procurare agli animali un ingrossamento anomalo del fegato e grandi depositi di grasso nello stesso che gli conferiscono quella consistenza gelatinosa così tanto ricercata dalla gastronomia e dai consumatori.

Il video è stato messa in rete da parte di Animal Equality, l’organizzazione internazionale in difesa degli animali. “Ciò che abbiamo documentato sono scene terribili di animali confinati in minuscole gabbie, affetti da stress e depressione, feriti dal tubo che ogni giorno viene loro spinto con forza nell’esofago [fino anche a farlo sanguinare] per far passare il cibo, oppressi da problemi respiratori e di deambulazione per le abnormi dimensioni raggiunte dal fegato, maltrattati e lasciati morire senza cure” afferma Francesca Testi, portavoce di Animal Equality in Italia. Il tutto senza senso, senza uno scopo importante, direi io. Con il solo oboettivo di accontentare il palato ad un’umanità capricciosa  e senz’anima.

Sono certo che la nostra sopravvivenza futura dovrà passare inevitabilmente anche attraverso il rispetto degli animali. Boicottiamo il paté di fois gras e aderiamo con partecipazione alla campagna di sensibilizzazione di Animal Equality.

_____

(1) Wikipedia riporta che il fois gras è definito dalla legge francese come “fegato di anatra e di oca  fatta ingrassare tramite alimentazione forzata”. […] L’alimentazione forzata induce una crescita abnorme del fegato ed un aumento di grassi nelle cellule epatiche noto come steatosi. Questo fenomeno è stato interpretato come un adattamento naturale da alcuni esperti, ma come una vera e propria patologia, la steatosi epatica, da altri.

Video: ATTENZIONE: alcune immagini contengono scene di violenza esplicita e potrebbero urtare la vostra sensibilità.

 

Man

Steve Cutts (1) pubblica il videoMan” il 21 dicembre 2012 e, in poco tempo, riceve più di 5 milioni di visualizzazioni sulla piattaforma YouTube e circa 1 milione su Vimeo.

Il tema principale di questo magnifico cortometraggio animato è il rapporto tra l’uomo (“man”, appunto, che compare nel titolo) e l’ambiente. Un rapporto che dura da circa 500.000 anni e che è inizialmente idilliaco in un luogo ricco di animali e piante, ma che si trasforma, a poco a poco, in un vero e proprio incubo.
Una delle prime cose che l’uomo impara e inizia a praticare è la violenza, anche gratuita, nei confronti degli altri esseri viventi che popolano il Pianeta. Dall’atto gratuito si passa poi all’utilitarismo: l’uomo uccide i serpenti per farsi degli stivali e le foche per farsi delle pellicce che lo possano riparare dal freddo. Con il passare del tempo e con l’avvento delle armi da fuoco inizia a anche ad uccidere gli animali per gli scopi più futili: per divertimento e per avere inutile e superflui oggetti di lusso. La violenza dell’uomo nei confronti della natura si manifesta anche attraverso il taglio di alberi e foreste che diventano altissime torri di carta, nella cementificazione e urbanizzazione di tutto ciò che lo circonda, nel consumismo sfrenato nonché nella produzione di montagne di rifiuti.

Il tutto si consuma in una paradossale danza di inconsapevolezza autodistruttiva che porta progressivamente l’uomo nelle sua marcia folle verso il baratro.

Con il video “Man” Steve Cutts, in poco più di tre minuti, ci racconta la strafottenza la brama di potere e l’idiozia dell’uomo e ci mette di fronte all’assurdità dei nostri comportamenti facendoci comprendere che il male più grande dell’agire umano non sembra essere tanto l’errore – inevitabile e comunque risolvibile – quanto piuttosto la perseveranza nel continuare a sbagliare.

Il video “Man” sembra un accorato appello dell’autore che ci pone davanti agli occhi, senza censure, la brutalità delle nostre azioni e ci dice… ADESSO BASTA!

_____

(1) Steve Cutts è un blogger e artista freelance londinese che spazia dalla pittura alla scultura, dall’illustrazione all’animazione interessandosi di numerose tematiche sociali, tra cui anche l’ecologia.

Musica: “In the Hall of the Mountain King” di Edvard Grieg

 

Aiuto! C’è un insetto negli spinaci

Addirittura un insetto negli spinaci! Aiutooooooooo!

Così strillano (o quasi) in questi giorni le locandine davanti alle edicole e titola L’Arena, il giornale di Verona.

Ma andiamo con ordine e vediamo cosa è successo. È successo che una scuola media cittadina ha segnalato la presenza di uno scarafaggio negli spinaci somministrati ai ragazzini nella mensa e, sulla questione, sono intervenute addirittura le autorità dell’Azienda che gestisce le mense comunali con comunicati e con provvedimenti che hanno portato ad eliminare l’intera partita di verdure incriminate. Inoltre il venefico insetto negli spinaci ha infiammato anche il dibattito politico vedendo, tra i contendenti, gli amministratori, l’azienda appaltatrice e l’opposizione.

“Un clima avvelenato – recita l’Arena – tanto che dopo il ritrovamento dello scarafaggio, comincia a serpeggiare (addirittura!) l’inquietante ipotesi del boicottaggio. Sempre ieri, tra l’altro, da un controllo fatto dall’ufficio refezione scolastica del Comune alle mense delle elementari N. e R., è emerso un giudizio positivo sul cibo servito. Gli stessi spinaci in tegame sono stati definiti «ottimi» in una scuola e «buoni» nell’altra. Tanto che «molti bambini», recita un comunicato di Palazzo Barbieri (la sede del Municipio, ndr), «hanno (udite, udite!) pure effettuato il bis»”. E non sono morti, dico io!

Sia ben chiaro che è assolutamente doveroso che il cibo fornito ai nostri figli nelle mense scolastiche debba essere di qualità, pulito, sicuro dal punto di vista igienico e privo di corpi estranei. Siano essi insetti o altro. Quello che mi fa sorridere (e, in parte, preoccupare) è il fatto che ci si stia accapigliando (1) per la presenza di un insetto in un piatto (che non ha mai ucciso nessuno e che, in un futuro, rappresenterà molto probabilmente una componente della nostra alimentazione abituale), mentre non si muove foglia, non si fanno locandine e non si fanno articoli per le vere cause che potrebbero rappresentare un pericolo per la salute dei nostri figli nelle mense scolastiche. Provo ad elencarle:

  1. cibi economici di scarsa qualità, con poca attenzione ai prodotti biologici;
  2. verdure con residui di pesticidi e carni con residui di antibiotici;
  3. diete non equilibrate che spesso eccedono in uso di carne, proteine animali, grassi e zuccheri;
  4. sistemi di cottura che potrebbero esporre i cibi ad inquinanti (es. teflon, metalli, ecc.)
  5. sistemi di cottura che non garantiscono il mantenimento delle proprietà dei cibi (es. vitamine);
  6. utilizzo di prodotti chimici pericolosi per le pulizie delle cucine o per il lavaggio di pentole e stoviglie;
  7. cibi serviti con piatti in materiale plastico usa e getta, non salutare in caso di cibi caldi e che produce un’enorme quantità di rifiuti non riciclabili.

Iniziare a preoccuparsi seriamente di questi VERI problemi e relegare ai margini della discussione (e dell’ansia pubblica) la presenza di un insetto nel piatto o di un moscerino in cucina contribuirebbe anche a porre importanti basi per una maggiore sostenibilità ambientale all’interno dell’enorme filiera dell’alimentazione non domestica.

_____

(1) Basta scorrere le cronache locali per vedere che il caso di Verona dell’insetto nel piatto non è un caso isolato di mamme preoccupate, di raccolte firme, di richieste di commissioni di vigilanza, ecc. ecc. (Pisa, Marino)

 

I leoni non sono animali violenti

Nel video è veramente impressionante quanto i leoni facciano al loro domatore durante uno spettacolo circense in Ucraina. Lo attaccano con una forza brutale e non desistono, nonostante le ripetute bastonate e i getti d’acqua ricevuti.

A dispetto dei commenti e dell’opinione comune, spesso frutto di pregiudizi o di antropocentrismo, i leoni non sono animali violenti. Sono solo animali carnivori selvatici.

Lasciamoli nel loro ambiente naturale (e difendiamoli lì dall’estinzione) evitando di usarli per stupidi spettacoli dove viene brutalmente violentata la loro indole.

Nell’ambito del divertimento boicottiamo tutti gli spettacoli con animali vivi!!! Non sono necessari per la qualità delle esibizioni e creano solo inutile sofferenza che spesso sfocia in violenza e aggressività.

_____

ATTENZIONE: alcune immagini contengono scene di violenza esplicita e potrebbero urtare la vostra sensibilità.

 

Albert Einstein e la crisi

Non possiamo pretendere che le cose cambino, se continuiamo a fare le stesse cose.

La crisi è la più grande benedizione per le persone e le nazioni, perché la crisi porta progressi. La creatività nasce dall’angoscia come il giorno nasce dalla notte oscura. E’ nella crisi che sorge l’inventiva, le scoperte e le grandi strategie. Chi supera la crisi supera sé stesso senza essere ‘superato’.

Chi attribuisce alla crisi i suoi fallimenti e difficoltà, violenta il suo stesso talento e dà più valore ai problemi che alle soluzioni. La vera crisi, è la crisi dell’incompetenza. L’ inconveniente delle persone e delle nazioni è la pigrizia nel cercare soluzioni e vie di uscita. Senza crisi non ci sono sfide, senza sfide la vita è una routine, una lenta agonia. Senza crisi non c’è merito. E’ nella crisi che emerge il meglio di ognuno, perché senza crisi tutti i venti sono solo lievi brezze. Parlare di crisi significa incrementarla, e tacere nella crisi è esaltare il conformismo. Invece, lavoriamo duro. Finiamola una volta per tutte con l’unica crisi pericolosa, che è la tragedia di non voler lottare per superarla(1)

Sono fermamente convinto che la crisi che stiamo vivendo in questo periodo storico di inizio XXI secolo sia soprattutto una crisi ecologica, rappresentata dagli effetti iniziali della scarsità di risorse  e materie prime nonché dall’insostenibilità del ciclo produzione-consumo-rifiuti su cui si basa il nostro sistema economico e sociale. Quella finanziaria, invece, da molti invocata come la vera e unica causa dei problemi e dagli stessi vista come manifestazione passeggera, a mio avviso è solo uno dei sintomi con la quale la prima si sta manifestando.

Indipendentemente da quale sia la vera origine della crisi ritengo sia assolutamente necessario cercare di trovare una soluzione per superarla e per garantire benessere nel tempo a tutti gli abitanti del Pianeta. Generazione dopo generazione…

Come osservava Einstein negli anni immediatamente successivi alla crisi del 1929, della crisi non bisogna averne paura. Non bisogna solo parlarne o, al contrario, far finta che non esista. Come per una malattia della quale si desidera trovare una cura, anche della crisi è necessario esserne consapevoli per rimboccarsi le maniche nel trovare soluzioni efficaci, non avendo paura di essere visionari nelle proposte e rivoluzionari nelle azioni.

_____

(1) (tratto da “Il mondo come io lo vedo”, 1931).

Foto: Wikipedia

 

“Prego, sig. Putin!”

È notizia di questi giorni che Vladimir Putin – il Presidente russo multimiliardario legato a doppio filo da interessi probabilmente anche personali con il sistema economico-produttivo del suo Paese – si è recato in Italia per incontrare una serie di personalità, tra cui il papa, il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, il Presidente del Consiglio dei Ministri Enrico Letta, Romano Prodi e l’ex premier condannato in via definitiva Silvio Berlusconi, suo vecchio amico.

Il suo arrivo sarà preceduto da una serie di figure di spicco del mondo politico ed economico russo e i suoi movimenti in Italia saranno accompagnati da un corteo di ben 50 auto che, scortate da polizia e servizi segreti in un roboante tripudio di alta velocità, sirene, guardie del corpo e bandierine svolazzanti, bloccheranno il traffico e infastidiranno gli spostamenti e le quotidiane attività degli italiani.

Leggendo la notizia e accostandola a quella della lunga e coraggiosa protesta dei cittadini gravemente malati di SLA che – da mesi – inutilmente desiderano essere ricevuti da un qualche rappresentante per far valere le loro sacrosante ragioni (anche se sbagliate, questo si vedrà), mi viene in mente un aspetto assurdo del mondo “democratico” in cui ci fanno credere di vivere.

Quando il mondo economico chiama… oplà! Tutti sull’attenti! “Dica signor Putin”. “Cosa desidera signor Putin!” “Prego signor Putin”, e giù inchini e salamelecchi. Quando, invece, chiama il cittadino per questioni che non muovono miliardi di euro e numerosi interessi privati della solita classe dirigente ma che si riferiscono alla salute, al benessere, alla cultura, all’educazione, alle relazioni, alla comunità e, in generale, ai veri e unici aspetti per cui la vita deve essere vissuta, si trovano solamente porte chiuse, sorrisi sarcastici e false promesse.

In un “sistema” politico sostanzialmente falso, fortemente sbilanciato solo sugli aspetti economici e che ci fa credere che la ricetta sia solo la crescita (per arricchire loro e per impoverire le nostre già misere esistenze), mi chiedo quale possa essere il ruolo della sostenibilità ambientale e del vero progresso della società.

Lascio a tutti voi l’amara risposta augurandomi che siate in grado, come a fatica cerco di fare anch’io, di essere fortemente critici e di essere disposti ad intraprendere una rivoluzione che sia il motore del vero sviluppo e del vero benessere, nonché di essere in grado di vedere al di là di quello che quotidianamente ci e vi viene fatto ingurgitare come medicina assolutamente necessaria.

 

“IL PD e il futuro che ci aspetta”

Il 29 ottobre 2013 il lettore Melquiades scrive alla rubrìca “Mail Box” del giornale “Il Fatto Quotidiano” la seguente lettera dal titolo “Il PD e il futuro che ci aspetta”:

Renzi e colleghi candidati democratici dovrebbero dirci qualcosa sul debito ecologico. È vero: abbiamo ipotecato le pensioni delle prossime generazioni. Ma soprattutto il loro futuro in termini di risorse ambientali e di qualità dell’ambiente nel quale vivranno. Uscite dall’orizzonte del prossimo sondaggio elettorale e pensate globalmente. Non viviamo un periodo di crisi, ma di transizione. Nulla sarà più come prima. Se vogliamo davvero dare un nome vincente al futuro non possiamo dimenticare la questione ambientale. E non basta qualche superficiale riga, tanto per non dimenticare. Ci vogliono prese di posizione coraggiose. Alla Leopolda nessuna consapevolezza di questo. Solo il rituale piccolo cabotaggio per il potere di domani. L’unico sogno, tante fantastiche nuove tecnologie e tre milioni di nuovi consumatori. Un futuro di morte per il quale non potete chiederci voti”.

Il contesto storico-politico di tale lettera è rappresentato dalle fasi preparatorie per la costituzione – attraverso le primarie – della nuova classe dirigente del Partito Democratico che vede in Matteo Renzi il probabile vincitore assoluto. Per discutere pubblicamente delle sue idee Renzi ha organizzato un evento politico-culturale alla Stazione Leopolda di Firenze.

L’osservazione di Melquiades è sacrosanta e ce la stiamo ponendo in tanti. Sempre di più!

La retorica della politica è vuota e purtroppo Renzi sta ripetendo gli stessi errori che abbiamo visto più e più volte in passato, soprattutto da parte della sinistra: demagogia iniziale per attrarre voti e, una volta raggiunto il potere, scheletrizzazione dell’azione e mantenimento dello status quo. In fin dei conti i principali finanziatori della politica non vogliono assolutamente cambiare!

Visto e considerato il fatto, invece, che la crisi non è solo temporanea ma è “di sistema”, è necessario che si comincino a mettere sul tavolo delle decisioni e a dare in pasto all’opinione pubblica nuove idee, nuovi paradigmi culturali e qualche decisione rivoluzionaria. Unica e sola strada per poter uscire dall’empasse socio-ambientale oramai creata dal sistema basato sul binomio produzione-consumo, maledettamente e sciaguratamente ripetuto all’infinito.

 

Le tasse e la sostenibilità ambientale

Nel mare agitato della vita sociale delle cosiddette “democrazie” il timone della barca in navigazione non è in mano alle buone idee, ai cittadini o all’economia reale ma è in mano al “mercato” (1) che ha un unico e solo obiettivo: massimizzare i profitti attraverso la speculazione finanziaria. Tutto il resto, per il mercato, non esiste. O, meglio, quello che esiste è solo un fastidioso ostacolo che deve essere costantemente aggirato o saltato attraverso l’opera di uno stuolo di burattini che discutono, giustificano, allarmano e, mediante il rimbalzo dei media, diffondono il “verbo”.

Così – dicendo che è l’Europa o il mercato che ce lo chiede – ci hanno fatto digerire il rospo amaro dell’innalzamento dell’età pensionabile, della perdita di numerosi diritti (in particolare la salute, l’istruzione e la sicurezza sul lavoro), della disoccupazione e precarietà lavorativa, della contrazione generale dell’economia concreta a discapito di quella effimera rappresentata dalla finanza ma, soprattutto, ci hanno fatto digerire il rospo dell’innalzamento spropositato delle tasse sul reddito, sul consumo e sulla produzione.

È vero, nel passato sono stati fatti numerosi errori, spesso anche gravi, che per ragioni legate alla creazione del consenso politico hanno portato a spendere molto di più delle entrate e alla creazione di un enorme debito pubblico ma, ora, siamo arrivati al punto in cui chi ha goduto ha goduto. Gli altri, si arrangino!

E pensare che la tassazione – una cosa così negativa nella percezione dell’opinione pubblica – se ben applicata e pensata in chiave strategica potrebbe realizzare importanti obiettivi per il miglioramento della società e per l’ottenimento di rivoluzionarie performance ambientali. La tassazione potrebbe essere addirittura il volano – assieme all’innalzamento generale della cultura e della conoscenza – per iniziare e portare a compimento pratiche di largo respiro per migliorare i trasporti, per difendere il paesaggio, per risparmiare energia e per limitare la produzione dei rifiuti.

Nel dettaglio – anche se potrà sembrare paradossale – tratterò quali e come potranno essere gli ambiti nei quali tale tassazione potrebbe esprimere i suoi potenziali positivi relativamente alla sostenibilità ambientale (per facilità di lettura lo farò in diversi articoli):

  • tassare le case per migliorare il mercato immobiliare e per limitare il consumo di territorio;
  • tassare i rifiuti per limitare la produzione di scarti ed evitare discariche e inceneritori;
  • tassare i consumi per limitare l’utilizzo delle materie;
  • tassare l’energia per garantire razionalizzazione ed efficienza nel consumo della stessa.

Mi rattrista molto vedere come, sul terreno della tassazione, tutti imbraccino la bandiera demagogica della loro diminuzione (peraltro sacrosanta) mentre nessuno, o quasi, ponga l’accento su come migliorare le tasse (quella quota che comunque dobbiamo pagare) per orientarle verso la creazione di una nuova società, più civile, acculturata e creativa.

_____

(1) Purtroppo il “mercato” è in gran parte costituito dagli stessi cittadini che esso stesso contribuisce a mettere in difficoltà.

Foto: www.lintraprendente.it

 

La storia delle cose

Desiderate capire un po’ di più Bioimita e la bioimitazione?

Bene. Prendetevi una ventina di minuti, rilassatevi sulla sedia, distendete le gambe e guardate questo bel video…

… che vi chiarirà parecchie cose sugli oggetti che ci circondano e sull’effetto diretto e indiretto che hanno sulle nostre misere esistenze.

Come dice la presentatrice: “Quando le persone inizieranno a vedere e capire tutti i collegamenti tra i vari aspetti del nostro sistema lineare, esse saranno in grado di percepire qualcosa di nuovo rispetto al passato e saranno così capaci di immaginare un sistema che non butta via risorse e persone. Ciò che dobbiamo buttare via, invece, è solo la nostra mentalità usa e getta”.

Per approfondire: www.storyofstuff.org

 

UAAAAAAAHHHHHHHHH

Come meglio esprimere – se non con un urlo – il disagio e l’impotenza nel vedere il mondo economico-politico-sociale-religioso che perde tempo, energie e risorse preziose per accumulare denaro o per tentare di risolvere questioni marginali, inutili o puramente ideologiche e non si concentra, invece, sui meccanismi di fondo riguardanti il funzionamento del Pianeta che viviamo, oramai messo sotto pressione e alterato (quasi) irrimediabilmente da 7 miliardi di esseri umani?

Più sento i loro discorsi vuoti più capisco che ci stanno prendendo in giro tanto da non poter fare a meno di… UAAAAAAAHHHHHHHHH: urlare!!!

Riprendiamoci al più presto in mano il nostro futuro perché non c’è più tempo per scherzare.

 

L’altra faccia della Sicilia

Le scorse vacanze le ho trascorse in Sicilia, ospite presso amici di famiglia. Cosa dire: mi sono divertito e le ferie mi hanno rigenerato a sufficienza dopo una lunga e impegnativa stagione lavorativa. Dell’isola ho potuto apprezzare la splendida ospitalità del suo popolo, la prelibatezza del suo cibo, la piacevolezza del clima, la bellezza delle città, dei monumenti e di alcuni paesaggi ma, ahimè, occhi attenti come i miei non hanno potuto ignorarne anche gli aspetti negativi. Quell’altra faccia della Sicilia che necessita di urgente presa d’atto da parte della classe dirigente e dei cittadini, nonché di rapida soluzione per poter parlare di “sviluppo” e “progresso”.

Tra gli aspetti negativi che più mi hanno maggiormente colpito vi è la cattiva gestione dei rifiuti e la pessima gestione del patrimonio immobiliare.

RifiutiPer quanto riguarda i rifiuti è da dire che, in alcune aree più di altre, fa male al cuore vederli sparsi a terra, ammassati ai bordi delle strade e mal gestiti da parte delle amministrazioni pubbliche. Una vaga parvenza di raccolta differenziata esiste un po’ ovunque ma dire che sia veramente attuata è tutto un altro discorso. I bidoni sono presenti sulle strade ma quello che vi gettano i cittadini e quello che si trova sparso a terra dimostra solo una cosa, che Bioimita sostiene da sempre. I rifiuti non devono essere ben gestiti: non devono proprio essere prodotti!

La realizzazione dei prodotti di consumo e la scelta dei giusti materiali, la corretta separazione a casa da parte dei cittadini, l’organizzazione di un buon servizio di raccolta da parte degli amministratori pubblici, la realizzazione di leggi adeguate da parte della classe politica, una cultura e una sensibilità elevate per capire tutte gli aspetti ad essi legati mostrano che la lunga filiera dei rifiuti è caratterizzata da troppi punti deboli.

E, in effetti, per risolvere i numerosi problemi che essi provocano non bisogna guardare agli stessi ma alle metodologie produttive che li originano e ai materiali di cui sono composti i prodotti che li determinano.

Un altro aspetto particolarmente negativo della Sicilia riguarda la pessima gestione del patrimonio immobiliare.

Abusivismo edilizioL’impressione che si ha percorrendola è che siano numerosi gli edifici abusivi e le testimonianze dirette delle persone lo confermano. In tal modo il territorio e il paesaggio sono costantemente violentati da una sorta di grande buco nero che ruba risorse economiche ai comuni, che divora posti di lavoro qualificati, che uniforma splendidi paesaggi a periferie senza regole e senza scopi.

Tale cattiva gestione del patrimonio non determina solamente danni al territorio e al paesaggio (tanto, alla fine, la natura riprenderà possesso e ricolonizzerà tutto) ma causa anche una cattiva e inefficiente gestione dell’energia per i trasporti e per la distribuzione dei servizi.

E pensare che i siciliani avevano già a disposizione sistemi abitativi efficienti da copiare rappresentati dalla compattezza dei centri storici dei suoi bei paesi!

 

Ah, la caccia

Come ogni autunno è tempo di apertura della caccia e per chi si occupa di sostenibilità ambientale parlare male della stessa è come sparare sulla Croce Rossa. Troppo semplice!

Nella realtà dei fatti, se vogliamo ragionare in termini di bioimitazione, si deve osservare che in natura esiste il fenomeno “caccia”. Anzi, la natura è permeata proprio dalla caccia – e dalle tecniche di elusione del cacciatore – visto che un buon numero di specie animali sono carnivore e si nutrono di altri animali tendendo loro agguati, rincorrendoli, ghermendoli dall’alto, avvelenandoli e aggredendo i loro piccoli. La caccia, in natura, non è poi effettuata solo per nutrimento, ma è anche allenamento e istruzione dei piccoli senza alcuna connessione con il concetto, tutto umano, di morale.

Se la analizziamo solo da questo punto di vista la caccia dell’uomo, praticata per ragioni ludico-sportive all’interno di un alveo di regole normative e pseudo etiche, è un giochino di solito poco cruento che prevede la morte, normalmente immediata, dell’animale cacciato.

Ma allora, se così stanno le cose, perché parlare della caccia in senso negativo? Le ragioni fondamentalmente sono quattro:

  • la caccia sportiva viene effettuata con metodi (armi da fuoco, spesso a ripetizione) che danno scarse possibilità di difesa agli animali;
  • la caccia sportiva provoca disequilibri agli ecosistemi attraverso l’introduzione di specie alloctone che minacciano la biodiversità;
  • la caccia sportiva non è in grado di selezionare gli animali più deboli;
  • la caccia sportiva è pericolosa per chi desideri frequentare gli ambienti naturali per altri scopi.

In natura esiste il concetto di caccia ed esiste la capacità di difesa dall’animale cacciato. Le due cose corrono parallele e, alla modifica dell’una, si verifica subito il cambiamento dell’altra fino al raggiungimento di un nuovo equilibrio. Questa è l’evoluzione. L’utilizzo, nella caccia sportiva attuale, di armi da fuoco che spesso sono anche a ripetizione, non dà possibilità di difesa agli animali e non ne consente una sana evoluzione ma solo una generalizzata “paura”, uno stress continuo nei confronti di un fenomeno dal quale non riescono a trovare adeguate contromisure strategiche. Si pensi ad un fucile che spara da lunga distanza e che non consente all’animale di annusare, di percepire o di vedere il pericolo.

Data l’enorme antropizzazione del territorio italiano, la caccia viene svolta in ambiti circoscritti e, per questo, depaupera senza criterio una certa specie all’interno di un ecosistema quasi chiuso. La conseguenza è la necessità di reintrodurre animali da allevamento che spesso provengono da altri luoghi e hanno caratteristiche genetiche o comportamentali non adatte all’ambiente specifico. Gli esempi, a tale proposito, possono essere numerosi e riguardano sia la perdita totale di una specie (es. la lepre appenninica quasi estinta dall’introduzione della lepre europea) o la proliferazione, attraverso gli incroci, del patrimonio genetico di una specie – come il cinghiale europeo – che ha caratteristiche diverse di grandezza e di prolificità rispetto a quello locale italiano.

La caccia sportiva, poi, vista la tecnologia che la caratterizza soprattutto in termini di armi e di aggressività dei suoi praticanti, ha fatto normalmente perdere al cacciatore la capacità di studiare e di vedere in profondità la natura che lo circonda. Egli, pertanto, non è in grado di riconoscere l’animale ferito o malato e riesce a fare solo in misura limitata ciò che in natura si verifica normalmente: la selezione dell’animale debole nonché di quello geneticamente non predisposto all’attenzione o ad una determinata strategia di caccia. Infine la caccia sportiva, per la presenza di armi da fuoco molto potenti e per la scarsa “educazione” dei cacciatori, non consente di vivere senza pericoli gli ambienti naturali per scopi diversi dalla stessa. Questo impedisce che i cittadini possano godere liberamente della natura e ne possano apprezzare anche elementi culturali ed educativi che esulano dal mero utilizzo della stessa per l’ottenimento del cibo o delle risorse naturali.

Al di là dell’etica, quindi, anche la natura e i meccanismi che ne regolano il corretto funzionamento penalizzano la caccia sportiva e l’insostenibilità ambientale (e civile) che essa provoca.

_____

Video: Caccia in deroga

Foto: www.chiaracremonesi.it

 

Salmoning

Salmoning” è quell’abitudine incivile e molto pericolosa che hanno i ciclisti di andare contromano nelle strade a senso unico e nelle piste ciclabili o pedonali. Contromano come i salmoni (ecco appunto il nome salmoning) che risalgono i fiumi opponendosi alla corrente.

Il nome è stato coniato nel mondo anglosassone (forse New York, mah!) dove, si sa, c’è un senso delle regole e del vivere civile più spiccati rispetto all’Italia e dove i ciclisti rispettosi, gli automobilisti o i pedoni vittime hanno iniziato ad indignarsi e a richiedere regole chiare e sanzioni esemplari. I salmoners, infatti, sono un pericolo per i pedoni, per altri ciclisti e per gli automobilisti – oltre che per loro stessi – in quanto possono rappresentare ostacoli inaspettati e improvvisi per tutti i gli abitanti delle città rispettosi delle regole.

Usare la bicicletta per i trasporti urbani ed extraurbani è un importante obiettivo che i pianificatori territoriali devono assolutamente proporsi sia per diminuire il consumo di energia, sia per diminuire l’inquinamento che per migliorare il benessere per i cittadini.

Se, però, tale traguardo non verrà raggiunto anche attraverso la definizione di regole certe (attraverso un’attenta pianificazione urbana) e l’applicazione di sanzioni esemplari nei confronti dei trasgressori, si tratterà, come al solito in Italia, di un far-west dove vince il più prepotente e il più arrogante. E dove qualche volta anche si piange!

Faccio allora un appello ai sindaci perché cerchino le risorse economiche e il personale competente in materia allo scopo di disegnare percorsi urbani specifici per gli spostamenti in bicicletta (che sono diversi da quelli in auto e a piedi). Devono essere stabiliti dei percorsi e delle regole precise di circolazione ma, eventualmente, devono anche essere previste delle deroghe, chiare e ben segnalate.

Faccio poi un appello alle forze dell’ordine e alle polizie locali affinché destinino agenti specializzati (magari anch’essi in bicicletta, non comodamente seduti su motorini maleodoranti o su SUV mastodontici) per reprimere e sanzionare comportamenti illeciti.

Solo così un ottimo sistema di trasporto sarà ritenuto sicuro dai cittadini e potrà essere facilmente apprezzato e usato da tutti, comprese le fasce più deboli rappresentate dai bambini e dagli anziani.