Author Archives: Alessandro Adami
Terme ecologiche
Qualche giorno fa ho terminato un ciclo di terapie inalatorie presso le Terme di Sirmione per tentare di combattere (o almeno di alleviare) con meno medicinali possibile i sintomi di una presunta fastidiosa allergia. Non l’ho ancora accertato con precisione ma, dal momento che non è stagionale, molto probabilmente si tratta di allergia agli acari della polvere o al pelo di gatto (il mio si rotola e ronfa un po’ ovunque in casa e si è “preso” spazi che qualche anno fa non si sognava neppure).
Da buon osservatore sulle problematiche ecologiche (non smetto di farlo neanche quando l’acqua calda mi viene sparata nel naso o quando devo respirare a pieni polmoni un aerosol bollente di acqua sulfurea) posso dire che il centro che ho frequentato si dà da fare sul tema. Tra gli aspetti positivi dal punto di vista ambientale che ho potuto notare di persona (altri ce ne saranno che non ho visto) posso elencare:
- la presenza di pannelli fotovoltaici con indicazione puntuale dell’energia prodotta e della CO2 non emessa in atmosfera (Foto 1);
- la presenza di bidoni per la raccolta differenziata sparsi un po’ ovunque con l’indicazione chiara e precisa della tipologia di rifiuto da conferire;
- la fornitura dei dispositivi per le cure (nel mio caso mascherina per l’aerosol e strumento per i lavaggi nasali) non usa e getta ma da riutilizzare fino alla fine della cura (Foto 2);
- l’utilizzo dei fazzoletti e dei rotoli di carta usa e getta prodotti da carta proveniente dalla raccolta differenziata.
Al di là degli elementi virtuosi l’aspetto su cui desidero prestare l’attenzione e prendere come spunto per fare un ragionamento più ampio in materia di sostenibilità ambientale è un elemento che può sembrare apparentemente banale nell’insieme dell’attività termale, ma che si offre come sponda per far luce sulla vera causa dei problemi ecologici che stiamo continuamente affrontando senza mai giungere ad una vera conclusione della questione. In buona sostanza la stragrande maggioranza dei numerosi clienti/pazienti che ho avuto modo di vedere nelle sale delle cure dopo ogni seduta si toglieva la grande bavaglia di carta e plastica che veniva loro fornita per proteggere il collo e i vestiti da eventuali schizzi di acqua calda, la appallottolava con noncuranza e la gettava in un bidone a caso tra quelli ben segnalati per la raccolta differenziata dei rifiuti. Io, invece, la tenevo per tutta la sessione quotidiana di cura che comprendeva tre diversi trattamenti. Quello che mi colpiva nel loro atteggiamento e nei loro gesti era la totale noncuranza di capire che la bavaglia poteva anche non essere inutilmente gettata di volta in volta ma poteva assolvere egregiamente al proprio compito per più trattamenti.
Quello che desidero osservare con queste considerazioni è il fatto che il raggiungimento della sostenibilità ambientale passa inevitabilmente attraverso due macroaree di azioni che operano congiuntamente e che non possono essere efficaci da sole. Da un lato vi sono gli interventi di natura tecnica, gli investimenti, le soluzioni e, dall’altro, vi sono i comportamenti umani.
Se i primi possono essere imposti dalle leggi o possono essere promossi dalla ricerca del risparmio e dell’efficienza, mi chiedo chi si occupa dei secondi? Chi si deve sobbarcare l’onere – e, spesso, le delusioni – di educare le persone? Se non si provvederà a farlo al più presto si rischierà seriamente di non raggiungere mai gli obiettivi prefissati e di continuare a girare infinitamente in tondo. Come un cane che cerca di mordere la sua coda!
Scegli quale biscotto mangiare e…
Scegli quale biscotto mangiare e salverai una tigre. Scegli quale brioche mangiare e salverai un orango. Scegli quale torta mangiare e salverai un rinoceronte.
Anche se tali affermazioni possono sembrare un po’ assurde, i dati e le statistiche invece parlano chiaro e certificano che da qualche decennio è in atto un imponente attività di distruzione di gran parte delle foreste tropicali asiatiche (soprattutto dell’Indonesia e della Malesia) per convertirle in monocolture di palma da olio. Da questa palma (Elaeis guineensis) viene estratto un olio alimentare dalle molteplici virtù industriali. È economico ed è solido a temperatura ambiente e, per questo, viene impiegato quale componente grassa in numerosi prodotti trasformati che si trovano nei supermercati (1).
Si pensi, tanto per citare qualche dato sull’entità della distruzione delle foreste, che 50 anni fa l’82% del territorio dell’Indonesia era ricoperto di boschi. Nel 1995 tale percentuale era già scesa al 52% e, al ritmo attuale di deforestazione, nel 2020 le foreste indonesiane saranno definitivamente e irreparabilmente distrutte con conseguenze terribili sia sull’economia delle popolazioni locali che sulla biodiversità e sulla sopravvivenza degli animali selvatici. Si pensi ancora che l’olio di palma è il principale responsabile della deforestazione dell’isola di Sumatra, dove vivono (ancora?) elefanti, tigri e rinoceronti. Tutte specie ridotte a poche manciate di individui in pochi anni (2).
Pertanto quando andate al supermercato e fate i vostri acquisti (purtroppo talvolta anche di prodotti biologici) non guardate solo il prezzo ma cercate di pensare anche alla salvaguardia delle foreste tropicali e degli animali che in esse vicono e scegliete quei prodotti che non contengono tra i loro ingredienti l’olio di palma. Per aiutarvi nella scelta consapevole qui un elenco di biscotti che non lo utilizzano.
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(1) L’olio di palma è costituito per il 50% da acidi grassi saturi (in particolare acido palmitico) e dal restante 50% da acidi grassi insaturi (soprattutto acido oleico, monoinsaturo e acido linoleico, polinsaturo). Proprio l’alto tenore dei grassi saturi rende l’olio di palma interessante per l’industria alimentare in quanto assomiglia al burro (che è molto più costoso) e conferisce una certa solidità agli alimenti a temperatura ambiente. Il problema però è che gli acidi grassi saturi risultano essere particolarmente dannosi per la salute e sono ampiamente coinvolti nel determinare un aumentato rischio di patologie cardiovascolari.
(2) Nell’ambito dell’olio di palma esiste una certificazione, la RSPO (Roundtable on Sustainable Palm Oil), che ne attesta la sostenibilità ambientale. Essa però copre una quota infinitesima della produzione e non è affatto in grado di incidere per mitigare i problemi di deforestazione che sono legati a tale grasso.
Immagine: La deforestazione dell’isola del Borneo (anni 1950-2005) – WWF
Foto: I terribili effetti sugli animali e sul territorio della deforestazione nel sud-est asiatico
Fonte: La Stampa; Il Fatto Alimentare
Scava la buca, riempi la buca
Dopo qualche decennio di esperienza personale nel mondo reale – caratterizzato anche dalla presenza di numerosi “furbetti” e da parecchi “leccaculo” – posso dire, con una buona dose di certezza, che gran parte delle grandi opere pubbliche realizzate in questi ultimi decenni siano state più un esercizio di arricchimento dei soliti finanzieri, la manifestazione di potere e di tangenti dei soliti politicanti e inutili sprechi di denaro pubblico piuttosto che interventi volti a migliorare veramente la vita dei cittadini e della collettività. I politici, a tutti i livelli, nei loro dibattiti istituzionali, nei loro discorsi pubblici e nelle loro interviste giornalistiche si sono sforzati di farcele apparire necessarie e portatrici di benessere anche se, in cuor loro, quasi sempre sapevano essere il contrario e sapevano che avrebbero alimentato solo l’arricchimento di pochi e, in caso di successo, la loro fortuna personale nell’ambito del mare magnum della politica.
Dopo la ricostruzione post bellica, la realizzazione delle grandi nervature autostradali degli anni ‘50 e’60 del secolo scorso (iniziate negli anni ’30), i miglioramenti della rete ferroviaria degli anni ’70 (dopo quelli degli anni ’30), si può osservare come gran parte delle grandi opere costruite a partire dagli anni ’90 del secolo scorso siano state inutili colate di cemento e asfalto, probabili depositi illegali di rifiuti tossici e bieche speculazioni urbanistiche.
Tanto per fare qualche esempio, tra i più recenti interventi inutili (1) si potrebbe annoverare il MOSE, la linea ferroviaria ad alta velocità (TAV), l’EXPO e le numerose strade e autostrade attualmente in corso di realizzazione o in programmazione (vedasi decreto “Sblocca Italia” e i numerosi progetti presenti sul tavolo dei ministeri, dalla Nogara-Mare alla Pedemontana Lombarda, dalla Valdastico nord al 3° Passante di Genova).
Il MOSE (Modulo Sperimentale Elettromeccanico) ci è stato venduto come l’unica soluzione ingegneristica e tecnologica praticabile al problema dell’acqua alta di Venezia ma, per ora, è stato solo cemento, ferro, lunghi cantieri ed un enorme colabrodo di soldi pubblici, anche spesi in tangenti. Si pensi, solo per fare un esempio, che oltre all’elevatissimo valore economico di costruzione (circa 6 miliardi di euro, una delle opere più costose della storia italiana), il MOSE ci dovrebbe costare (sempre di soldi nostri) circa 40 milioni di euro ogni 5 anni per interventi di manutenzione alle paratie. A causa della scarsa qualità dell’acciaio utilizzato per le dighe mobili che, immerse gran parte del tempo nell’acqua salata della laguna tendono a corrodersi in maniera molto più elevata rispetto a quella inizialmente pensata, sembra però che tali manutenzioni dovranno essere molto più frequenti (forse addirittura ogni 2 anni).
La TAV, la linea di trasporto merci e passeggeri ad alta velocità – che non riguarda solo quella “famosa” che dalla Francia e dal Piemonte va verso est ma anche quella che da Monaco, attraverso il Brennero, dovrebbe andare a Palermo – è un’opera sostanzialmente inutile perché non viene incontro ad una reale esigenza di saturazione della attuali linee ferroviarie o a necessità sociali (trasporto pendolare) ma, piuttosto, è basata su vecchie previsioni dei trasporti che non hanno, almeno ad ora, un reale riscontro per il futuro. Quello di cui si avrebbe bisogno, oltre a qualche tratta ad alta velocità che colleghi grandi centri urbani lontani tra loro, sono linee decenti di trasporto locale (soprattutto per i pendolari) e linee di media percorrenza a costi popolari. Inoltre tale opera immane è già a livello progettuale un grande buco nero di soldi pubblici, sia nella parte alpina prevista quasi tutta nelle gallerie, sia in quella di pianura caratterizzata da vomitate di cemento, di cavalcavia, terrapieni, ponti, rialzi e chi più ne ha più ne metta tanto da arrivare a costare, in alcune tratte, fino a circa 60 milioni di euro a chilometro.
Cosa dire infine dell’EXPO e delle numerose strade e autostrade progettate o in fase esecutiva. Il primo evento, l’EXPO, doveva essere l’esposizione universale del cibo come energia della vita. Prima del suo svolgimento è difficile anticipare come riuscirà a rappresentare “l’energia della vita” ma quello che ad ora è certo è il fatto che l’evento si è rivelato il solito enorme spreco di territorio agricolo, di tangenti, di mafia e di corruzione. Il vero nodo non sarà tanto l’EXPO in sé ma capire cosa ne sarà degli spazi realizzati dopo la chiusura della manifestazione anche se le premesse non sono edificanti dal momento che le gare per l’assegnazione degli immobili stanno andando deserte per mancanza di interessati.
Per quanto riguarda le strade e le autostrade che si stanno costruendo e che si vorrebbero costruire, per gran parte di esse mancherebbero i numeri economici e di traffico che ne giustificherebbero gli enormi investimenti (vedasi la Brebemi che dopo qualche mese dalla sua apertura è praticamente vuota). Si vogliono fare comunque lo stesso, se non esplicitamente per far piacere ai soliti finanzieri e ai soliti costruttori, anche perché si ritiene che gli investimenti in grandi opere pubbliche creino giro economico e sostengano quel minimo di crescita e di consumi.
Dato tutto ciò e visto e considerato che tutte queste opere costano immensamente in termini di finanze pubbliche (che sono quelle che alimentiamo noi con le nostre tasse) nonché in termini di degrado ambientale e del paesaggio (così importante per l’Italia ad elevata vocazione turistica), mi chiedo se non sia il caso, per alimentare comunque l’economia delle opere pubbliche, di cambiare strategia e di adottare la tecnica del: “Scava la buca, riempi la buca”. In sostanza sarebbe quasi meglio definire delle aree poco abitate e di scarso interesse economico-ambientale e, in esse, mettere in pratica la cantierizzazione di opere decennali di escavazione con conseguente successivo riempimento. Lo scopo è semplice: non creare nulla, sostenere l’economia e lo sviluppo tecnologico ma anche fare meno danni possibile (2).
Alla fine, nella logica delle opere inutili di cui sopra, cosa cambierebbe? Però, magari, salviamo ancora quel poco che c’è di salvabile…
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(1) Inutili perché, nel rapporto tra i costi e i benefici, prevalgono i primi.
(2) Ovviamente la tecnica del “Scava la buca, riempi la buca” è fittizia e provocatoria anche se si propone di cercare di capire veramente a chi e a che cosa servano le grandi opere. Di soldi in tasse ne tiriamo fuori tanti ma di benefici, quelli veri, noi cittadini spesso ne vediamo pochi.
Pocket Disc | Frisbee
Quando ho visto il Pocket Disc nella cesta delle novità di in un negozio di Nizza non credevo che un cerchio di stoffa colorata più simile ad un berretto che ad un gioco potesse volare come un “vero” frisbee di plastica e che fosse così semplice farlo librare nell’aria. Il venditore, vedendomi un po’ perplesso con l’oggetto in mano, mi ha subito “sfidato” a giocherellare con lui tra gli scaffali e i clienti e… devo dire che ci siamo divertiti per un paio di minuti, soprattutto senza fare danni. Alla fine non ho potuto resistere e l’ho comperato. Anzi, ne ho comperati due!
L’idea è molto semplice e, nello stesso tempo, geniale: un cerchio di cotone – un materiale rinnovabile (1) – filato a maglia molto grossa è in grado di sostituire la plastica come materiale di produzione. In più: può colpire persone e oggetti senza fare danni, può essere lavato se si sporca, può essere facilmente portato con sé in una borsa per essere usato quando lo si desidera e può essere utilizzato senza troppi problemi negli ambienti chiusi. Insomma è proprio carino!
Il tutto nasce per caso qualche anno fa negli USA ad opera di Savanna, una bambina di 9 anni, che, nell’ambito di un progetto scolastico riguardante la realizzazione di un centrino a uncinetto fece un ottimo lavoro ma, nello stesso tempo, per errore commise l’imperfezione di non realizzare in modo corretto i bordi che si arricciarono verso l’interno. Il centrino rimase sul tavolo di casa per anni quando Chris, un amico della famiglia di Savanna, un po’ per caso e un po’ per scherzo lo lanciò e lo fece volare senza difficoltà nella stanza, dove atterrò dolcemente. Fu proprio lì che nacque l’idea originaria che, nel tempo, attraverso piccoli perfezionamenti, portò alla realizzazione del prodotto finito.
Il Pocket Disc è realizzato a mano in Guatemala da donne Maya nell’ambito del commercio Fair Trade ed è certificato Green America – Silver.
Per acquistare in Italia il Pocket Disc contattare:
Farfilò
Rigaste San Zeno, 23/e
37123 Verona
info@farfilo.com
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(1) Nell’ottica della bioimitazione sarebbe stato meglio che il cotone con cui il Pocket Disc è prodotto fosse biologico.
Pesticidi nel piatto
Oramai è assodato da ricerche scientifiche e da controlli effettuati da parte degli Enti di gestione delle acque pubbliche (1) che, assieme ai cibi, assieme all’acqua e attraverso altre esposizioni ingurgitiamo e veniamo in contatto anche con un mix di componenti chimici rientranti genericamente sotto il nome di “pesticidi”. In pratica si tratta di sostanze che appartengono a 2 macrogruppi di additivi che vengono sparsi sui terreni o sulle piante: gli antiparassitari (per debellare funghi, batteri, virus o insetti); gli erbicidi (o diserbanti).
La complessità delle molecole utilizzate, la loro enorme variabilità commerciale, la loro interazione reciproca e le cattive tecniche di gestione da parte degli utilizzatori rendono molto difficile identificare quali siano i veri rischi per la salute degli utilizzatori diretti (in particolare gli agricoltori) ma anche di chi ne viene in contatto indirettamente, cioè attraverso i cibi e la popolazione in generale che vive e che frequenta il proprio territorio.
Si hanno numerose evidenze scientifiche che l’esposizione a pesticidi possa comportare, tra le più gravi, principalmente problematiche neurologiche e tumorali. Pertanto è assolutamente necessario che si inizi a fare qualcosa di concreto sia per avvertire i cittadini del rischio sia per trovare delle alternative tecniche e organizzative che evitino la diffusione, spesso non necessaria, di tali agenti chimici nell’ambiente.
Solo così si farà vera prevenzione e si opererà con intelligenza per evitare inutili sofferenze e cure per patologie evitabili o, per lo meno, la cui incidenza sia fortemente limitabile.
Sul tema sabato 17 gennaio 2015 a Sommacampagna (VR) si terrà la conferenza [vedi locandina] “Pesticidi nel piatto – Pericolosità dei pesticidi per la salute umana e per tutti gli esseri viventi: il cambiamento è possibile!”. Interverranno il prof. Gianni Tamino, biologo; il dott. Roberto Magarotto, oncologo; la dott.ssa Renata Alleva, nutrizionista e il dott. Daniele degli Innocenti, ricercatore universitario. Partecipate numerosi…
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(1) L’ISPRA (Istituto Superiore per la Ricerca e la Protezione dell’Ambiente) nei suoi rapporti annuali descrive, anno dopo anno, situazioni di contaminazione da pesticidi – sia in termini di quantità che di qualità – delle acque superficiali e sotterranee. Basti pensare che nell’ambito dei prodotti fitosanitari dell’agricoltura si usano annualmente (dati ufficiali che non tengono conto delle situazioni illecite) circa 350 sostanze diverse per quantitativi totali superiori a 140.000 ton. L’Istituto rivela inoltre che la contaminazione è molto più diffusa nella Pianura Padano-Veneta a causa delle sue caratteristiche idrogeologiche, dell’intensa vocazione agricola della sua economia e del fatto che le indagini (fornite dalle Regioni e dalle Agenzie regionali di protezione dell’ambiente in base ai loro monitoraggi) risultano più complete e rappresentative nelle regioni del nord.
Foto e immagini: Legambiente
Je suis Charlie Hebdo
Quello che è successo a Parigi in questi giorni è una cosa orribile. Attaccare con una violenza omicida senza pari la libertà di espressione (1) è un’azione vile e deprecabile che deve essere condannata da chiunque abbia un briciolo di intelligenza e di cultura, in tutte le lingue del mondo.
Attaccare la libertà di espressione significa limitare il pensiero e renderlo unico sopprimendo il senso critico che è il carburante fondamentale per cambiare il mondo, il modo di porci ad esso e per sostenere lo sviluppo futuro dell’uomo attraverso pratiche sostenibili dal punto di vista ambientale.
L’attacco omicida al giornale satirico “Charlie Hebdo” ci colpisce così tanto perché in qualche modo colpisce al cuore il nostro mondo occidentale e il nostro pensiero facendoci sentire vulnerabili ed indifesi. In queste giornate tristi desidero comunque osservare il fatto che anche noi occidentali con i nostri comportamenti e con le nostre azioni in varie occasioni abbiamo procurato drammi e paure a chi era diverso da noi e a chi aveva pensieri e sensazioni diverse dalle nostre. E in fondo lui, in questo mondo, voleva solo manifestare la propria di libertà.
Nella nostra ipocrisia, però, nessuno di noi si è radunato in piazza per protestare, ad esempio, contro i droni militari che, silenziosi, in Afghanistan o in Iraq, “per errore” decimavano le famiglie di persone innocenti che liberamente circolavano per le strade o nelle loro case. Nessuno si è radunato per inneggiare con cartelli alla distruzione, in Amazzonia, degli habitat delle popolazioni indigene locali o alla loro decimazione da parte di speculatori industriali che desideravano impossessarsi dei loro minerali o del loro legname che poi arrivavano anche a noi. Nessuno ha alzato matite al cielo per condannare le deportazioni di persone o le delocalizzazioni selvagge (senza diritti alla sicurezza e alla salute delle popolazioni) che avvengono in Africa o in paesi non democratici che la finanza, l’economia globalizzata e il commercio internazionale impongono.
È dura da ammettere ma difendere la nostra libertà è, soprattutto, avere il coraggio di difendere quella degli altri.
(1) nella giornata del 7 gennaio 2015 un commando mascherato non ben precisato ha attaccato con armi da fuoco la redazione del giornale satirico “Charlie Hebdo” uccidendo 12 persone (di cui 2 poliziotti) e ferendone un numero elevato. Tra le persone uccise figurano anche i vignettisti Stephane Charbonnier (Charb), Jean Cabut (Cabu), George Wolinski, Bernard Verlhac (Tignous), l’economista Bernard Maris, giornalisti e altri collaboratori del giornale.
Immagini: Greenpeace France
Con ingredienti naturali al 100%
Qualche settimana fa, mentre ero in attesa del mio treno nella metropolitana di Milano, sono rimasto colpito dal cartello pubblicitario della ADOC (vedi foto). In esso, su uno sfondo azzurro con silhouette di cani più scure spiccava la scritta “ADOC. Naturalmente diverso” e un rettangolo bianco che enfatizzava la presenza di “Ingredienti naturali al 100%”.
Subito dopo averlo letto ci ho ragionato un po’ e mi sono chiesto una cosa che può sembrare banale: ma se questo cibo per cani ha tutti gli ingredienti che sono naturali al 100%, vuol dire allora che è possibile che altri cibi non li abbiano? Se questo si verifica nell’ambito dell’alimentazione animale, può essere che la questione interessi anche quella umana?
Per cercare di dare una risposta alle domande, in effetti due sono gli aspetti che sarebbe interessante osservare:
- che cosa si intende per ingredienti naturali al 100%;
- quali possono essere gli effetti sulla salute – degli animali e delle persone – dovuti alla presenza di ingredienti non totalmente naturali.
Innanzitutto è da osservare il fatto che sulla Terra non esiste nulla di innaturale perché tutto si origina dagli elementi chimici presenti nella tavola periodica degli elementi che fanno parte del nostro “Sistema”. Caso mai – e forse è questo il concetto di “innaturale” – l’unione di alcuni elementi e la creazione di alcune molecole richiede metodi così complessi che in natura è praticamente impossibile che si possano realizzare, se non in condizioni estreme. Ecco allora, ad esempio, che la plastica è fatta di elementi chimici ovviamente naturali anche se la natura non è in grado di produrre autonomamente i legami molecolari che la caratterizzano. Inoltre non è detto che i prodotti “naturali al 100%” siano per forza salutari. Anzi, in natura esistono numerosi prodotti tossici e addirittura mortali. Per togliere qualsiasi dubbio al consumatore che, come me, vede la pubblicità e magari è invogliato a scegliere ciò che gli dà più fiducia, bisognerebbe cercare di spiegare un po’ meglio un po’ a tutti quale sia il concetto di “naturale” e bisognerebbe vietarne l’uso generico in pubblicità. Detto ciò si può senza dubbio affermare che “naturale al 100%” non vuol dire assolutamente nulla!
Dopo aver chiarito questo importante aspetto è necessario cercare di capire la sostanza della nostra analisi: quand’è che ci possono essere effetti sulla salute a causa della presenza nei cibi di prodotti non naturali o, meglio, di sintesi? Dare una risposta a questa questione è molto complesso sia perché le nostre conoscenze sono molto limitate ad hanno ancora numerosissimi buchi, sia perché il problema della salute legato ai cibi non è solo quello diretto dovuto alla loro ingestione, ma anche quello indiretto dovuto all’inquinamento che i cibi e i loro metodi produttivi possono determinare. Tutto ciò si riflette, poi, anche sull’ambiente circostante e infine arriva a lambire, partendo da lontano, la salute delle persone. Da questo punto di vista si fa sinceramente fatica ad esprimere un giudizio univoco sulla pericolosità dei prodotti di sintesi.
Quello che però si può dire – e che io sostengo da tempo attraverso Bioimita – è il fatto che noi ci siamo evoluti in un “Sistema”, il pianeta Terra, che prevede certe regole di funzionamento e ha certe caratteristiche specifiche. All’interno di questo “Sistema” l’evoluzione della vita è stata tortuosa e lunga, molto lunga. Talmente lunga che pensare al fatto che si sia verificata in più di 3,5 miliardi di anni quando la vita media umana è di circa 80, è cosa praticamente impossibile. Fuori scala! Ecco allora che nella produzione dei cibi e nella conseguente alimentazione, nella produzione energetica e in quella di beni e servizi, nella gestione degli scarti (rifiuti) e nelle dinamiche sociali dobbiamo partire da quelli che sono gli elementi di base del nostro “Sistema”, senza introdurre distorsioni (gli elementi di sintesi o squilibri chimico-fisici) che, alla fine, perseguono solamente scopi puramente commerciali o economici di generare profitti (1) ed incidono solo apparentemente sul nostro benessere.
Anche se le nostre conoscenze sui pilastri di funzionamento del “Sistema” non sono ancora molto evolute, dobbiamo comunque renderci conto che possiamo partire solo da lì perché qualsiasi forzatura ci darà l’illusione momentanea di una soluzione semplicistica a problemi complessi ma, poi, in un modo o nell’altro, ci si rivolterà inevitabilmente contro con conseguenze inaspettate nei confronti delle quali saremo impreparati e che potranno avere conseguenze anche molto gravi.
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(1) L’evoluzione, ad esempio, ci fornisce molti strumenti di difesa nei confronti di gran parte degli agenti naturali negativi mentre risulta molto più impreparata nei confronti degli agenti di sintesi. La carne in putrefazione ha un forte odore e noi, per difesa evolutiva, ne abbiamo repulsione poiché ci farebbe molto male alla salute. Il Bisfenolo A, invece, che simula il funzionamento di alcuni ormoni e che interferisce anche in maniera molto grave con la nostra salute, lo possiamo liberamente ingerire attraverso gli alimenti e le bevande senza avere alcun strumento innato di allerta e protezione.
Bioimita – Anno Secondo
Oggi, primo gennaio 2015, Bioimita compie il suo secondo anno di vita. Anche se il numero delle pubblicazioni è stato inferiore a quello dell’anno precedente, voglio fare comunque i complimenti al sottoscritto che si è dato da fare per mettere in rete i propri articoli, a chi mi ha seguito e a chi mi ha scritto in questi mesi trascorsi. Per carità, i numeri (1) non hanno nulla a che vedere con i blogger più bravi o con le visualizzazioni che hanno siti dai contenuti frivoli che interessano un po’ tutti, se non altro – e giustamente – come “sciacquacervello”. Sono comunque contento perché in quest’anno passato ho cercato di descrivere con onestà e con un minimo di accuratezza scientifica il mio pensiero e la mia visione della realtà e credo di esserci riuscito. L’unico rammarico che ho – per mancanza di tempo avendo un lavoro impegnativo e una famiglia con le sue esigenze – è quello di non essere stato in grado, come mi ero promesso nel 2013, di coinvolgere altre persone nella redazione degli articoli e quello di non essere riuscito a scrivere articoli sui “Prodotti”. Sarà per l’anno prossimo.
Talvolta, quando riesco a ritagliarmi qualche momento di concentrazione per mettere nero su bianco i miei pensieri, penso a chi leggerà i miei articoli. Sarà interessato o passerà distrattamente? Sarà in grado di capire quello che desidero comunicare o non mi prenderà sul serio ritenendo quello che scrivo un mucchio di spazzatura che si perde nell’immenso mare della rete? Devo dire che io sono fermamente convinto della forza e dei miei argomenti e, anche se talvolta sono preso da un po’ di sconforto nel vedere che nulla apparentemente cambia e che le parole di avvertimento vengono così poco ascoltate, poi sento ancora più forte la responsabilità di quello che voglio comunicare e… continuo a farlo.
Per fare una bella citazione musicale mi sento un po’ come Daniele Silvestri nella sua splendida “L’uomo col megafono”. (2)
[TESTO] “L’uomo col megafono parlava parlava parlava di cose importanti, purtroppo i passanti, passando distratti, a tratti soltanto sembravano ascoltare il suo monologo, ma l’uomo col megafono credeva nei propri argomenti e per questo andava avanti, ignorando i continui commenti di chi lo prendeva per matto… però il fatto è che lui… soffriva… lui soffriva… davvero
L’uomo col megafono cercava, sperava, tentava di bucare il cemento e gridava nel vento parole di avvertimento e di lotta, ma intanto la voce era rotta e la tosse allungava i silenzi, sembrava che fosse questione di pochi momenti, ma invece di nuovo la voce tornava, la voce tornava…
Compagni! Amici! Uniamo le voci! Giustizia! Progresso! Adesso! Adesso!
L’uomo e il suo megafono sembravano staccati dal mondo, lui così magro, profondo e ridicolo insieme, lo sguardo di un uomo a cui preme davvero qualcosa, e che grida un tormento reale, non per un esaurimento privato e banale, ma proprio per l’odio e l’amore, che danno colore e calore, colore e calore ma lui… soffriva… lui soffriva… davvero
Compagni! Amici! Uniamo le voci! Giustizia! Progresso! Adesso! Adesso!”
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(1) Nel 2014 ho pubblicato 52 articoli per il “BLOG” e soli 3 articoli per la categoria “PRODOTTI” con circa 31.000 visualizzazioni globali e con circa 1.600 visualizzazioni mensili
(2) “L’uomo col megafono” è scritta e interpretata da Daniele Silvestri e fa parte dell’album “Prima di essere un uomo”, pubblicato nel 1995. Con questa canzone Daniele Silvestri partecipò al Festival di Sanremo del 1995.
Puntualmente arriva il Natale
Come tutti gli anni, puntualmente arriva il Natale. E tutto ciò che ad esso è collegato, compreso il consumismo che quasi sempre è sinonimo di mancanza di sostenibilità ambientale. Quest’anno voglio fare miei – con qualche piccola modifica – i 10 consigli che Greenpeace ci fornisce per far sì che il nostro possa essere il più possibile un Natale eco-sostenibile.
- Luci natalizie. Per creare l’atmosfera natalizia scegliamo lampade a basso consumo fluorescenti compatte (classe A+ oppure A++) o, meglio ancora, a LED. A parità di illuminazione, con la tecnologia LED, si ha un risparmio energetico che va dal 50 al 80 per cento.
- Verde in casa. Attenzione alla scelta delle piante da decorazione. Dal rapporto di Greenpeace “Eden tossico” emerge che il 79 per cento delle piante ornamentali analizzate sono contaminate dai famigerati pesticidi killer delle api.
- Dolce Natale. Privilegiamo prodotti provenienti da agricoltura biologica, locali e stagionali. Se proprio dobbiamo, scegliamo le primizie a km 0 e che non comportano l’utilizzo di OGM. Per i dolci fatti in casa preferiamo del buon miele italiano amico delle api.
- Cenone della vigilia. Apparecchiamo la tavola delle feste senza prodotti usa e getta. Occhio anche ai prodotti ittici che spesso vengono consumati durante le feste: scegliamo il pescato locale offerto dalla piccola pesca e facciamo molta attenzione al tonno in scatola.
- Un bianco Natale. A causa del cambiamento climatico nevica sempre di meno. L’innevamento artificiale consuma ingenti risorse idriche, stressa il terreno e riduce la biodiversità. Se dobbiamo andare in vacanza in montagna preferiamo località sciistiche con neve naturale. Se vogliamo godere ancora di bianchi paesaggi aiutiamo Greenpeace a difendere l’Artico.
- Shopping in bici. Utilizzare le due ruote fa bene all’ambiente e alla nostra salute e se proprio proprio non ci va di pedalare, scegliamo i mezzi pubblici. Portiamo con noi buste e sacchetti riutilizzabili.
- Meno regali. Meglio ridurre i regali e prestare attenzione anche all’imballo. Numerosi prodotti hanno un imballo che è spropositato rispetto al contenuto.
- Un regalo “evergreen” sotto l’albero. Nella scelta dei regali preferiamo prodotti utili, magari riutilizzati o riciclati. Se acquistiamo prodotti nuovi scegliamoli di qualità, preferendo quelli fatti con materiali rinnovabili (es. legno) e che abbiano certificazioni ambientali (es. Ecolabel).
- Vestiti. Se scegliamo di regalare un capo d’abbigliamento preferiamo i marchi Made in Italy di produttori che si sono impegnati all’eliminazione delle sostanze chimiche pericolose e che applicano una sincera responsabilità sociale verso i diritti dei produttori (di solito paesi poveri).
- Acquisti. La carta di alcuni scontrini può contenere sostanze pericolose. Chiediamo ai nostri negozianti di fiducia di utilizzare rulli di carta riciclata e senza bisfenoli per stamparli.
La tazza di ceramica
Avete presente i distributori d’acqua in boccioni? Quelli che qualche anno fa si vedevano solo nei film polizieschi americani nei corridoi di centrali di polizia fumose dove detective agitati e sudati cercavano di risolvere brutali omicidi? Da una decina d’anni sono entrati anche all’interno di numerose aziende ed uffici italiani per fornire gratuitamente ristoro ai lavoratori e ai loro ospiti. A fianco del boccione c’è poi sempre un contenitore per la distribuzione di bicchieri di plastica e un cestino per la raccolta dei rifiuti che, a fine giornata, tende ad essere pieno di bicchieri che sono ancora praticamente puliti perché in gran parte utilizzati una volta sola e, per di più, solo per l’acqua.
Quello che fa più specie in tutto ciò non è solo il fatto che la plastica dei bicchieri usa e getta potrebbe essere sostituita – e, anzi, dovrebbe essere sostituita da subito – con materiali più ecologici (tipo materie plastiche compostabili di origine vegetale o carta), ma il fatto che la maggior parte delle persone che si servono dei distributori dell’acqua utilizzino un bicchiere pulito ogni volta che devono bere. Quello che più spesso vedo è che le persone si alzano dalla loro postazione di lavoro alla scrivania, prendono un bicchiere vuoto, lo riempiono di acqua, si dissetano e… pling. Buttano il bicchiere vuoto nel cestino. Pochi di loro si portano il bicchiere di plastica vuoto dalla loro scrivania utilizzandolo per tutta la giornata o, meglio, fanno uso di un bicchiere in vetro o di una tazza in ceramica lavabile e riutilizzabile, che sarebbe la soluzione migliore e più sostenibile dal punto di vista ambientale.
Io, che lo faccio da anni sia nel mio ufficio sia presso alcuni clienti (1), modestamente mi chiedo che cosa ci voglia a cambiare questo comportamento. È una cosa relativamente semplice che non comporta particolari spese per colui che la adotta e non influisce né negli aspetti igienici né in quelli di praticità. Anzi. In più è un comportamento che spesso incuriosisce molto coloro che lo vedono (tra i colleghi di lavoro, tra sconosciuti in treno e in qualsiasi altro ambiente di vita collettiva) e che per emulazione potrebbero iniziare anche loro a praticarlo.
Per questo, per Natale, ho deciso che ai parenti e agli amici regalerò delle tazze (mug) personalizzate o prese al mercatino dell’usato (ci devo ancora pensare…) (2). Chissà che qualcosa non inizi a cambiare. Anche, perché no, il valore etico e sociale dei doni che si fanno in questo periodo dell’anno.
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(1) Personalmente utilizzo anche una tazza in ceramica per il caffè (in ufficio) e contenitori riutilizzabili (Vapur, Lifefactory, Laken, SIGG, ecc.) per l’acqua e/o altre bevande.
(2) L’anno scorso, a Natale, ho regalato delle bottiglie Vapur in plastica riutilizzabile.
Foto: La mia scrivania durante una giornata tipo presso un cliente che frequento abitualmente.
L’esperienza di un pendolare folgorato dalla bici pieghevole
Sul numero 140 di “Ruotalibera”, la rivista della FIAB di Verona, è stato recentemente pubblicato un mio articolo sull’uso della bicicletta pieghevole. Eccolo…
“Stanco dei soliti discorsi un po’ “italiani” che vedono le responsabilità e i comportamenti sbagliati sempre negli “altri” e che identificano le soluzioni ai diversi problemi che dovrebbero applicare sempre e solo gli “altri”, un paio di anni fa mi sono chiesto come, concretamente, con comportamenti pratici, avrei potuto limitare l’inquinamento che determinavo attraverso gli spostamenti con la mia auto privata. Capivo che c’era qualcosa che potevo migliorare e ci ho provato!
Per la cronaca vivo a circa 20 km da Verona ma ho la sede del mio lavoro in centro. Se è vero che, per ragioni di lavoro, mi ci reco al massimo solo un paio di giorni alla settimana, è altrettanto vero che per arrivarci o devo parcheggiare lontano e prendere un autobus oppure devo affrontare code e traffico per arrivare ad un parcheggio a pagamento con la preoccupazione, talvolta, di essere a rischio infrazione e di essere punito con una sanzione.
Ho deciso, pertanto, dopo essere rimasto folgorato da una bici pieghevole (folding bike) vista in una vetrina e dopo aver fatto una breve ricerca su internet relativamente a tale mezzo, di affrontare la spesa di circa 500 € e di acquistarne una. Il calcolo che ho fatto è stato sia quello di poter risparmiare dei soldi per il biglietto dell’autobus e dei parcheggi sia quello di poter fare anche un po’ di moto e, perché no, di vedere la mia città con occhi diversi: quelli di un ciclista che è all’aria aperta e che può meglio assaporare monumenti e spazi urbani. L’unico dubbio che mi rimaneva era solo quello di essere esposto all’inquinamento da gas di scarico che anch’io, prima di usare la bici, contribuivo a determinare in modo più rilevante.
Devo dire che dopo due anni il bilancio è assolutamente positivo. Dal punto di vista economico ho praticamente ammortizzato del tutto il costo del mezzo (che, tra l’altro, non ho mai dovuto portare dal meccanico) per minori spese di autobus o parcheggi; dal punto di vista del benessere fisico fare attività fisica aerobica mi fa sentire meglio e, tra l’altro, sono più allenato anche per fare altri sport; dal punto di vista del piacere ho iniziato a notare angoli che non avevo mai notato prima e ho iniziato ad essere veramente libero di muovermi per la pausa pranzo o per commissioni varie; dal punto di vista dell’inquinamento ho letto e ho sperimentato di persona che, in effetti, non è poi così elevato ma che, anzi, è maggiore nell’abitacolo di un’auto. L’unico difetto è rappresentato dal fatto che la città che frequento ama poco i ciclisti e rende loro la vita un po’ difficile – e rischiosa – nei trasferimenti quotidiani. Manca una vera rete di piste ciclabili; mancano regole certe di frequentazione degli spazi urbani e tra i ciclisti (ma anche tra i pedoni) vige una buona dose di anarchia; manca un corpo di polizia specializzato nell’educazione e nella repressione degli illeciti; manca una generale cultura alla sicurezza da parte dei ciclisti che non indossano caschi, non sono sufficientemente illuminati nelle ore serali e utilizzano dei mezzi senza freni e non del tutto efficienti.
Comunque alla bici pieghevole ci ho preso veramente gusto e, piano piano, l’ho iniziata ad usare sia in estate che in inverno, con la pioggerella e con il sole. Inoltre la faccio vedere agli altri con orgoglio e, dopo averne regalata una anche a mia moglie che la sta molto apprezzando, attualmente la tengo sempre nel baule della mia auto e ne vado veramente fiero quando qualcuno, che me la vede montare o smontare nei parcheggi o ai bordi delle strade, mi osserva con curiosità e attenzione. Vorrei dirgli “Fallo anche tu”: è una cosa semplice e veramente rivoluzionaria che, oltre a diminuire l’inquinamento (che rappresenta l’aspetto più importante), porta con sé anche altre interessanti rivoluzioni come quella del sistema infrastrutturale urbano e quella culturale dei cittadini”.
Attenzione: animale sanguinario
Attenzione: animale sanguinario in mare! Il più pericoloso della Terra.
Ogni anno massacra milioni di esseri viventi, spesso senza ragione. Addirittura riesce ad uccidere e mutilare brutalmente (1) esseri della sua stessa specie. È anche in grado di devastare in poco tempo il proprio ecosistema tanto da mettere a repentaglio la sua stessa sopravvivenza. È poi particolarmente furbo e aggressivo, soprattutto in branco, ed è meglio stare lontano dal suo territorio. Per celebrare la sua terribile fama è stato anche protagonista di numerose pellicole cinematografiche che hanno terrorizzato grandi e piccini.
Fate attenzione alla foto perché accanto a lui vedrete nuotare, pacificamente, un enorme squalo bianco (2).
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(2) Con la guerra e con le armi
(1) Ogni anno 10 milioni di squali muoiono agonizzanti a causa del finning [vedi il video], una pratica inumana che consiste nel tagliare le loro pinne e di gettare i loro corpi ancora in vita nel mare. Gli squali morenti o vengono divorati da altri pesci mentre sono ancora in vita oppure muoiono annegati a causa della loro impossibilità a muoversi. Le pinne raccolte vanno ad alimentare il mercato asiatico del cibo che considera la zuppa di pinne di squalo una vera prelibatezza.
Distruggeresti la tua casa?
Proviamo ad immaginare la scena. Mentre scendiamo la scala di casa, sul pianerottolo, il nostro vicino tutto impolverato sta demolendo con un martello pneumatico la porta e la parete del suo appartamento. Poi, scesi in strada, il negoziante di fronte al nostro palazzo sta prendendo a mazzate la vetrina e la porta a vetri della sua attività fino a frantumarla in mille pezzi. Mentre passeggiamo per la via, poi, c’è chi distrugge con una mazza da baseball la propria auto nuova fiammante fino ad arrivare a chi, armato di un grosso trapano, buca tutte le porte, tutte le finestre e tutti i muri che trova sul proprio cammino. Se si esce dalla città e ci si trasferisce nei paesi limitrofi c’è chi con un trattore ara e distrugge il proprio giardino e chi con la pala di un caterpillar colpisce ripetutamente la propria casa fino a farla crollare in un ammasso di macerie fumanti.
Sembra tutto pazzesco, eh? Così assurdo e surreale da non poter essere vero o, casomai, da appartenere ad incubi notturni o a fantasie romanzesche del filone fantascientifico. Se mai qualcuno potesse fare una cosa del genere o è sotto l’effetto di qualche potente droga o ha un serio problema psichiatrico e deve essere ospedalizzato.
SBAGLIATO. Quel pazzo demolitore è ognuno di noi che con il proprio stile di vita, con le proprie scelte di consumo, con le proprie abitudini comode, con la propria ipocrisia e con la propria stupidità sta distruggendo a poco a poco la sua unica e vera casa: la Terra. Cosa ci vuole per capire che dobbiamo presto cambiare registro? Non è ancora sufficiente vedere che il clima sta profondamente cambiando su tutto il pianeta? Non è ancora sufficiente vedere che stiamo perdendo importanti ecosistemi, soprattutto forestali? Per non parlare, poi, degli oceani?
Cari miei. Da questa follia collettiva nessuno si senta escluso! Al limite è solo questione di capire quale sia l’entità della nostra personale responsabilità…
Maltempo killer
Dopo un lungo periodo di bel tempo tardo estivo ecco che arriva l’inevitabile (e normale) pioggia autunnale. Mettici, in più, i cambiamenti climatici in atto e la cementificazione selvaggia del territorio et voilà, ecco che la “frittata” è fatta. Smottamenti, allagamenti, frane, piene sono le conseguenze ovvie di una tale situazione che già da qualche decennio scienziati e meteorologi continuano a ricordarci facendo luce sul fatto che, prima o poi, le conseguenze dei cambiamenti climatici non provocheranno solo danni materiali, danni economici e perdite umane ma anche forti ondate migratorie di popolazioni che abitano territori divenuti sempre più inospitali.
In questo contesto – soprattutto dopo che i fenomeni naturali e le loro conseguenze sul territorio hanno determinato dei morti – le parole che più frequentemente ricorrono nei titoli dei giornali e nella dialettica dell’informazione televisiva e radiofonica sono: “Maltempo killer”, “natura matrigna”, “pioggia omicida”, “piena devastante” e chi più ne ha più ne metta. Quasi che la natura si diverta ad essere cattiva e malevola nei confronti degli esseri umani e degli altri esseri viventi del Pianeta.
Anche se nel profondo del mio animo penso che la Natura, dopo tutto quello che le abbiamo fatto e che le stiamo continuamente facendo, abbia pienamente ragione di essere dura nei nostri riguardi, è da osservare che, in realtà, non è essa ad essere negativa nei nostri confronti ma siamo piuttosto noi stessi che, con i nostri comportamenti, abbiamo fatto di tutto per fare la cosa ingiusta ed essere nel posto sbagliato.
Si pensi, ad esempio, ai numerosi condoni edilizi dei decenni passati che hanno fatto diventare pollai e ricoveri per attrezzi delle splendide ville pluripiano poste sulle pendici più impervie delle colline. Si pensi ancora alle lottizzazioni ed alle espansioni urbanistiche autorizzate nelle aree di prossimità dei grandi fiumi o, peggio, negli alvei dei fiumi stessi. Si pensi ai porti costruiti presso le foci dei fiumi, ai parcheggi o ad interi quartieri costruiti addirittura sopra i fiumi, al disboscamento delle pendici per far posto a vigneti o ad altre coltivazioni, alla cementificazione dei torrenti, alla mancata manutenzione delle rive. Date queste condizioni come si può ancora pensare che il killer sia ancora il maltempo?
Cari commentatori Il vero killer dei fenomeni meteorologici è la stupidità, l’ignoranza e l’avidità dell’uomo che, offuscato dal miraggio della propria superiorità rispetto alla natura, pensa di poterla dominare attraverso la forza piuttosto che attraverso la conoscenza del suo funzionamento.
Fintantoché continueremo a pensare in questo modo avremo ancora temporali killer e frane omicide. E un’inutile montagna di bla bla bla…
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Foto: gli effetti del recente nubifragio a Roma (foto Corriere della Sera)
Nel blu dipinto di blu
Nel blu dipinto di blu / Felice di stare lassù / E volavo volavo / Felice più in alto del sole / Ed ancora più su… cantava un insuperabile Domenico Modugno.
Ma non c’è nulla da essere felici nella Pianura Padana per un cielo blu dipinto di blu. Almeno dopo aver visto le foto della Val Padana che Alexander Gerst, astronauta dell’ESA (European Space Agency) in missione sulla Stazione Spaziale Internazionale, ha scattato e divulgato il 30 ottobre scorso.
Come si può notare dalle foto i cieli di Svizzera, Francia, Austria, Slovenia e Croazia sono limpidi, la corona alla Pianura Padana delle Alpi è limpida, le regioni a sud della catena degli Appennini sono limpide mentre le valli Prealpine, le valli degli Appennini a ridosso della grande pianura, la Liguria centrale, la pianura a nord di Venezia e il lago di Garda meridionale sono un po’velati. Nelle foto quello che fa veramente impressione è vedere che la zona di tutta la Pianura Padana centrale – soprattutto le aree del Piemonte, della Lombardia fino a lambire il Veneto occidentale – è interamente ricoperta da un mortifero velo grigio-blu di smog. Quello che nelle giornate serene non ci fa vedere le montagne in lontananza, ci fa apparire il sole un po’ pallido e il cielo non proprio blu conferendogli quel colore indistinto tra il biancastro e l’azzurro che noi che ci abitiamo conosciamo bene.
Si dirà che tutto questo è colpa dell’alta pressione che ci ha regalato tempo stabile per settimane, assenza di ventilazione e scarsa inversione termica, tutti ingredienti fondamentali che favoriscono il ristagno degli inquinanti in quel catino che è la Pianura Padana. Tutto vero. E tutto vero è il fatto che la prima pioggia spazzerà via quasi tutto (buttandolo a terra ovviamente e creando altri problemi!) e ci ridarà migliori condizioni atmosferiche.
Dopo aver visto in maniera così chiara ed evidente grazie alla benedetta tecnologia quale sia lo stato dell’aria del mio territorio, quello che mi chiedo io – che in Pianura Padana ci vivo con la mia famiglia – è quale effetto potrà avere tutto questo sulla nostra salute. Perché nessuno ha ascoltato gli scienziati, gli enti di controllo, i medici e gli ambientalisti che da decenni stanno monitorando gli indicatori ambientali ed epidemiologici della popolazione dell’Italia del nord urlando al mondo che la Pianura Padana è una delle aree più inquinate del Pianeta? Dov’erano quei soggetti che, pur sapendo le criticità ambientali del nostro territorio principalmente dovute alla scarsissima ventilazione (1), hanno continuato ad autorizzare inceneritori, aziende, strade, traffico, abitazioni, cave, rotonde in una spirale infinita senza tenere conto delle conseguenze? E noi cittadini vittime dello smog dove eravamo? Noi che avevamo il miraggio del “benessere” ci siamo fatti convincere che tutto questo fosse progresso e lo abbiamo avvallato consumando senza fine prodotti senza senso che hanno intasato le nostre case nonché continuando a votare e sostenere gli stessi soggetti che ci hanno portato in questo folle baratro. Però poi contiamo anche i malati.
Quello che mi sento rispondere più spesso quando cerco di descrivere la situazione a chi mi sta intorno è che tanto il sistema funziona così e non si può cambiare. Balle! Davanti a noi esistono milioni di alternative più sostenibili che possono essere praticate. Basta la buona volontà, la disponibilità alla rinuncia e il desiderio di sognare un mondo migliore con la capacità di rimanere impermeabili a chi da questo schifo si arricchisce facendo di tutto per farcelo sembrare immodificabile.
Bioimita rappresenta un fondamento teorico al cambiamento. Noi dobbiamo fare il resto modificando i nostri comportamenti!!!
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(1) Come non ricordare quella puntata di Portobello – la trasmissione televisiva degli anni ’70-’80 condotta dallo sfortunato Enzo Tortora – dove un concorrente voleva bucare le alpi liguri per favorire l’aerazione della Val Padana e far sparire la nebbia?
Foto: Alexander Gerst
Une carafe d’eau
Durante la settimana di vacanza recentemente trascorsa a Parigi con la mia famiglia non poteva mancare la consumazione del pasto in un vero locale parigino: la brasserie. Una di quelle tipiche, ubicata all’angolo di un bel palazzo, con i tavolini sul marciapiede e con la vista sulla gente che passa a qualche palmo di mano. Magret de canard (carne di anatra) in salsa di miele, omelette ai funghi, patate al forno e patate fritte (frittes) sono le leccornie che ci vengono portate al tavolo. Oltre, ovviamente, alla bella vista da lontano della chiesa di Mont Martre che, forse, in piccola parte ci viene anche fatta pagare sul prezzo delle pietanze.
Beviamo anche una Coca Cola (per tentare di digerire i fritti e non rimanere appesantiti tutto il pomeriggio) e sul tavolo ci viene portata anche una bella caraffa d’acqua fresca, gentilmente “offerta” dal sindaco di Parigi. Per averla è sufficiente dire al cameriere “Une carafe d’eau” e lui, senza battere ciglio e senza fare l’offeso per il mancato guadagno derivante dalla vendita di una bottiglia d’acqua che gli costa 0,30 € e viene venduta almeno a 2,50 € (guadagno del 600%), ci porta quanto richiesto.
Un tale servizio viene anche offerto dai bar e da tutti i servizi pubblici. Senza. Problema. Alcuno.
La cosa è semplice e non sarebbe male istituire un tale semplice comportamento anche da noi che, già dal momento che ci sediamo al tavolo, abbiamo il primo obolo da pagare che nel conto compare con la voce di “coperto”. Sarebbe una soluzione di correttezza nei confronti dei clienti che hanno diritto ad avere acqua gratis; sarebbe un’importante iniziativa a favore dell’ambiente perché farebbe risparmiare migliaia di tonnellate l’anno di imballaggi usa e getta per l’acqua, migliaia di tonnellate di CO2 e di inquinamento atmosferico dovuti ai trasporti dell’acqua imbottigliata, oltre che depauperare le fonti idriche montane con le concessioni.
Poiché ad ottenere un tale risultato in Italia ci hanno già provato in tanti ottenendo modesti e limitati risultati soprattutto a causa della forte lobby dei produttori di acqua minerale e di quella dei ristoratori che vendono ai loro clienti letteralmente acqua a peso d’oro, a mio avviso la vera soluzione del problema dovrebbe essere di natura politico-amministrativa. Il Parlamento (o chi ne ha l’autorità a livello nazionale) dovrebbe emanare un atto che obblighi i gestori di esercizi pubblici a fornire GRATUITAMENTE ai loro ospiti l’acqua del rubinetto nel momento in cui si siedono al tavolo. Punto.
Tutte le scuse accampate di scarsa qualità dell’acqua pubblica e di scarsa igiene dei contenitori non sigillati sono ignobili farse per non far progredire il Paese e per ingessare comportamenti sbagliati che dovrebbero da subito cambiare.
Chiediamo allora ai nostri referenti politici di attuare immediatamente questa semplice regola. Vedrete che saranno maggiormente responsabilizzati i sindaci a fornirci acqua di migliore qualità e non ci saranno particolari contraccolpi economici per i ristoratori che, per ripagare economicamente il loro lavoro, potranno concentrarsi più sulla fornitura di buoni cibi e sulla scelta di bevande diverse dall’acqua.
11 miliardi
Il dibattito sulla crescita demografica e sui problemi ambientali ad essa collegata, dopo essere stato sollevato alla fine del ‘700 dall’economista e demografo inglese Thomas Robert Malthus e dopo aver alimentato il dibattito filosofico ed economico nei secoli successivi fino ad arrivare ad infiammare le opinioni negli anni ’60 del secolo scorso, intorno agli anni ’90 ha subito una battuta d’arresto e sostanzialmente si è assestato nell’opinione ufficiale che l’incremento demografico non fosse poi un problema così grave e così insormontabile. Veniva a sostegno di questa teoria la fiducia nella tecnologia ritenuta in grado di risolvere qualsiasi cosa, anche la produzione di cibo per tutti; veniva a sostegno di questa teoria la statistica che, dopo aver descritto un picco di popolazione di 9 miliardi di individui nel 2050, ipotizzava per gli anni successivi una lenta diminuzione della stessa verso confini più sostenibili. In questo dibattito non si possono escludere le religioni che, alimentate dal sostegno della vita tout court, da una visione antropocentrica del mondo e dalla fede verso un’entità dispensatrice di bene e di soluzioni, hanno sempre remato a favore della crescita demografica e, almeno ufficialmente, non l’hanno mai letta come un reale problema.
Di recente, però, la questione è tornata alla ribalta perché un gruppo internazionale di ricercatori guidato dal professore di statistica e sociologia Adrian E. Raftery dell’Università di Washington ha rivisto le precedenti stime arrivando alla conclusione che, per varie ragioni, vi è il 70% di possibilità che nel 2100 la popolazione della Terra possa essere di 11 miliardi di individui, ben 2 miliardi in più rispetto agli studi precedenti.
La cifra indicata dal prof. Raftery e dai suoi colleghi potrebbe essere molto allarmante perché pone seri (e antichi) interrogativi sulla fame nel mondo, la disponibilità di acqua potabile, l’accesso alle risorse, le guerre, l’inquinamento, la deforestazione, il benessere e la salute per tutte quelle persone. Inoltre più aumenta la popolazione mondiale umana e più aumentano i loro desideri e bisogni, più diminuiscono gli spazi sulla terra a disposizione di altri esseri viventi (compresi gli alberi e le grandi foreste). Tant’è che la biodiversità, nel tempo, sta sempre più rapidamente diminuendo.
Dallo studio emerge che la crescita più importante interesserà prevalentemente l’Africa sub-sahariana dove il tasso di natalità (1) è il più elevato al mondo e le donne hanno, in media, tra i 5 e i 6 figli ciascuna. Si stima che, in generale, in Africa si passerà dal miliardo attuale di abitanti ad un numero che oscilla tra i 3,5 e i 5. Si pensi che la Nigeria, tanto per fare un esempio, potrebbe passare in soli 80 anni dagli attuali circa 200 milioni di abitanti a 900 milioni nel 2100. Con queste proiezioni come pensare di dare lavoro (possibilmente con diritti) ad una massa così enorme di giovani in una terra dove manca una politica sana e non corrotta e dove sempre più terre sono state acquistate dai paesi esteri per soddisfare i loro attuali bisogni oramai superiori alle capacità produttive del loro territorio? Come pensare di evitare flussi migratori, guerre, instabilità politiche, estremismi religiosi e diplomazie scricchiolanti? Come pensare di salvare gli elefanti, i rinoceronti, i leoni e, in generale, i numerosi animali selvatici tanto utili al turismo dei parchi naturali se non si interviene sin da ora su un fenomeno, quello demografico, di cui negli ultimi decenni non ha parlato nessuno?
Se non si vuole colpevolmente rimandare ai nostri figli l’onere di fronteggiare una situazione che li vedrà sicuramente perdenti è necessario che si ricominci a porre seriamente l’attenzione sul rischio demografico per la Terra e si inizi seriamente a perseguire delle politiche sostenibili di decremento della popolazione e di controllo delle nascite. Superando la retorica religiosa, il buonismo e il menefreghismo legato al fatto che i tempi di riferimento sono lunghi e lontani.
Per iniziare, le armi che già conosciamo perché hanno dato buoni frutti negli anni passati sono sostanzialmente due: l’istruzione e la cultura, in particolare concentrando l’attenzione sulle donne; l’emancipazione, sia sociale che economica, sempre delle donne. Poi dovranno intervenire anche compensazioni più tecniche e politiche che siano in grado di calmierare gli inevitabili squilibri che il decremento demografico porterà con sé.
Solo agendo in tale direzione potranno essere applicabili i principi della bioimitazione, unico vero strumento che garantisce la sostenibilità ambientale delle attività umane. L’alternativa, invece, potrebbe essere solo quella del caos e della disperazione. Sapremo affrontare tale sfida?
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(1) Elenco degli Stati per tasso di natalità – Elenco degli Stati per tasso di fecondità
Più lavoro, meno prodotti
Mi ha molto colpito la dichiarazione di Horst Neumann, capo del personale del Gruppo Volkswagen, il quale ha recentemente affermato l’intenzione del colosso europeo dell’auto di sostituire gran parte della manodopera che uscirà dal mercato del lavoro per raggiunta anzianità lavorativa con i robot. In particolare la sua analisi nasce dal fatto che nel Gruppo, nei prossimi 15 anni, andranno in pensione circa 32 mila persone e, dal momento che il costo del lavoro nell’Europa occidentale è molto elevato (circa 40 euro l’ora) se paragonato con quello dei paesi dell’est europeo (circa 11 euro l’ora), della Cina (circa 10 euro l’ora) o dei paesi emergenti, questi lavoratori verranno in gran parte rimpiazzati da dei sostituti meccanici che, per effetto delle più moderne tecnologie, non costano più di 5 euro l’ora. Solo così, secondo il manager, si potranno salvare le produzioni europee e garantire sufficienti profitti alle aziende.
Ma in Europa non dovevamo creare nuovi posti di lavoro per i giovani e per i lavoratori anziani che, colpiti dalla crisi, sono rimasti a casa? Questa parola – il lavoro – è sulla bocca di tutti i politici del vecchio continente durante le campagne elettorali anche se mi sembra che le loro azioni, quando iniziano a governare, vadano poi in direzione contraria e seguano più i desideri degli imprenditori di licenziare liberamente, di precarizzare il lavoro, di meccanizzare i processi produttivi a svantaggio dell’occupazione e creando conflittualità sociale. In definitiva si tratta solo di “fuffa” per abbagliare l’elettorato ma poi, in sostanza, negli anni la manodopera si è vista calare e calerà in tutta Europa tanto che i nostri figli si vedranno strappare diritti di civiltà e benessere che non dovrebbero assolutamente essere materia di negoziazione per il futuro.
Se gli industriali e i tecnocrati pensano di risolvere il problema della redditività delle aziende europee scalfendo, giorno dopo giorno e anno dopo anno, i diritti dei lavoratori e la manodopera, è da dire che il problema – e la sua soluzione – potrebbe essere visto anche da altri punti di vista. È il caso dell’economia circolare e della possibilità che quest’ultima possa davvero creare occupazione per i lavoratori, ricchezza per le aziende e stabilità sociale avendo come base la sostenibilità ambientale e la garanzia del mantenimento delle risorse per le generazioni future.
Com’è possibile ottenere tutti questi importanti risultati? Un interessante strumento potrebbe essere quello della tassazione e della sua modulazione in modo tale da favorire il lavoro piuttosto che l’uso e lo scambio delle materie, dal momento che queste ultime saranno sempre più scarse e le persone, invece, saranno sempre più numerose. Attualmente i nostri sistemi economico-sociali prevedono una bassa tassazione delle risorse e un’alta tassazione del lavoro che comportano, per l’ottenimento di prodotti competitivi sul mercato, un elevato uso delle materie e un sempre più basso impiego di manodopera. Se, invece, si optasse per il contrario – un’elevata tassazione delle risorse e una bassa tassazione del lavoro – si otterrebbe il risultato di limitare l’uso delle materie e dei servizi e si orienterebbe il sistema economico verso un maggiore utilizzo della forza lavoro.
Sarebbero così più vantaggiose tutte quelle attività ad elevata incidenza di manodopera, come il riuso e la riparazione dei prodotti. Le aziende si ritroverebbero costrette a riprogettare i loro beni nell’ottica del riuso e della riparabilità; l’efficienza sarebbe potenziata, l’obsolescenza programmata sarebbe un lontano ricordo e si svilupperebbero servizi di locazione dei prodotti e dei servizi piuttosto che la loro continua vendita (e la creazione di rifiuti) attraverso il commercio e il marketing.
In sostanza si passerebbe da un’economia linearmente infinita fatta di materie, prodotti, rifiuti e non sostenibile ad un’economia circolare dove il lavoro viene messo in primo piano, sparisce il concetto di rifiuto e viene favorito il riuso dei prodotti e la riciclabilità delle materie.
È vero, le tasse sono disgustose ma anche necessarie per sostenere il funzionamento della società. Visto che non ne possiamo fare a meno cerchiamo almeno di ripensarle e di orientarle in modo tale che siano una barriera verso l’indiscriminato e folle utilizzo di materie sempre più scarse e un volano verso l’utilizzo della manodopera, unico e solo vero scopo di una società democratica e sana (1).
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(1) La Costituzione italiana in vari articoli (art. 1, art. 35) tutela il lavoro come strumento di base per una sana società ma in essa non si fa riferimento alle materie, al commercio e ai rifiuti…
Per approfondire: www.ex-tax.com
3 Feet Please
Noi in Italia, dopo un ridicolo “balletto” parlamentare durato un paio di anni non riusciamo a rendere operativo il controsenso per le biciclette mentre in California, dal 16 settembre scorso, è stata approvata una nuova legge che stabilisce la distanza minima che deve essere tenuta dagli automobilisti quando superano le biciclette. Il “Three Feet for Safety Act” – così si chiama la norma – richiede agli automobilisti di lasciare almeno 3 piedi (circa 91 cm) di spazio vuoto quando superano ciclisti che viaggiano nella stessa direzione di marcia. L’obiettivo, pena una sanzione amministrativa che va dai 35 ai 220 dollari, è quello di avere una distanza di sicurezza che impedisca di urtare da dietro il ciclista con lo specchietto retrovisore oppure di metterne in pericolo la sicurezza e la stabilità con lo spostamento dell’aria.
La norma prende spunto dall’idea di un certo Joe Mizereck, promotore della campagna “3 Feet Please”, con la quale qualche anno fa, prendendo spunto dai dati statistici, ha stimolato un dibattito pubblico sull’importanza della sicurezza stradale per i ciclisti e, in particolare, per quando vengono superati dalle auto.
L’obiettivo che ha spinto il legislatore californiano ad analizzare il problema, a verificarne l’applicabilità e ad approvare la corrispondente norma di legge in tempi rapidi, non è solo quello di proteggere i ciclisti adulti ma anche – e soprattutto – quello di proteggere l’incolumità e le vite dei bambini quando vanno a scuola o si spostano per le strade delle città.
Accertata l’effettiva produttività del legislatore californiano (chapeau!) e il suo interesse spassionato per il benessere dei sui cittadini, provate adesso ad immaginare la stessa cosa da noi. Provate ad immaginare che un pinco pallino qualsiasi decida di creare un movimento di opinione su un tema interessante di pubblica utilità. Magari proprio relativo al mondo della sicurezza nella circolazione stradale delle biciclette. Se, per puro caso o per errore dovesse essere diffuso dai media, al di là dell’indifferenza che fa più male dell’ignoranza, ve li immaginate tutti i noiosi discorsi corporativi e di parte di chi cerca di vedere il torbido nella proposta? Di chi interpreta a suo uso e consumo le statistiche? Di chi invoca problemi di viabilità? Problemi di struttura urbana? Problemi per la libertà degli automobilisti? Certo, questi discorsi ci saranno stati anche in California ma poi il legislatore, dati alla mano, elimina il rumore di fondo e decide.
Se vi sta a cuore la questione si fa prima ad andare dall’Italia in California in bicicletta che vedere approvata una tale legge, se mai ciò avverrà.
I limiti del compostaggio
Per lavoro frequento aziende che operano nell’ambito del compostaggio dei rifiuti e che, dalla raccolta differenziata del cosiddetto “umido” producono compost ed energia. Il compost è originato da un processo di degradazione aerobica (1) della frazione organica dei rifiuti mentre l’energia è prodotta attraverso la combustione del biogas – costituito da gas metano e altri gas – che viene creato volutamente mediante degradazione anaerobica (2) del materiale organico. In sostanza, all’interno degli impianti, tutto funziona in un flusso circolare dove lo scarto di una fase è la materia prima di un altra fase e ciò rappresenta la piena applicazione della bioimitazione.
In sé si tratta di un’attività estremamente utile a livello sociale perché consente una corretta gestione dei rifiuti prodotti dalle famiglie e dalle attività economiche nonché avanzata dal punto di vista tecnologico perché, almeno in teoria, è in grado di ottenere dagli stessi rifiuti ammendante da utilizzare in agricoltura ed energia da un gas che si produce inevitabilmente nel processo e che altrimenti andrebbe disperso in atmosfera con gravi conseguenze per il riscaldamento globale e i cambiamenti climatici (3).
La questione, purtroppo, è solo valida a livello teorico perché, prima di arrivare agli impianti di compostaggio e al loro funzionamento, si deve passare, a monte, dalla corretta gestione dei rifiuti da parte di cittadini e aziende fino alla raccolta e al trasporto degli stessi verso gli impianti di trattamento. In questa filiera se qualcosa non funziona correttamente – e spesso non funziona – ne va a discapito il buon funzionamento degli impianti e la validità del processo tecnologico. Per non parlare, poi, della qualità del prodotto finito, sia esso compost da utilizzare in agricoltura o negli orti e biogas da impiegare per la produzione di energia.
Sta di fatto che spesso, per scarsa informazione e formazione dei cittadini sulle corrette modalità di raccolta differenziata e sulle motivazioni per cui la stessa non deve essere fatta con superficialità, piuttosto che per l’incuria della classe dirigente, politica e imprenditoriale più interessate ai grossi affari che ruotano attorno alla gestione dei rifiuti piuttosto che alla qualità del servizio offerto alla società, le cose non vanno come dovrebbero andare e i risultati sono quelli inquietanti mostrati dalle foto scattate in un impianto…
Da notare come la plastica sia l’elemento principale (in peso addirittura quasi superiore a quello organico) nel materiale di compostaggio arrivato all’ultima fase di lavorazione. Per essere eliminata – solo la parte più grande della stessa perché quella più piccola rimane nell’ammendante e viene inevitabilmente sparsa nei terreni con effetti incerti sulla salute – il rifiuto deve essere sottoposto a numerosi cicli di vagliatura e di selezione manuale e meccanica con grande dispendio di energie e spreco di denaro.
L’effetto finale è, per fortuna, quello della foto…
… ma a quale prezzo?
Grandi e decisamente più salutari risultati si potrebbero ottenere con i seguenti minimi sforzi a monte:
- Educare maggiormente i cittadini a fare correttamente la raccolta differenziata a casa e a comprendere che piccoli gesti che comportano un minimo sforzo (come non raccogliere il materiale organico nei sacchetti di plastica, per fare un esempio tra i casi più frequenti) possono determinare enormi risultati a livello industriale nel processo di trattamento dei rifiuti;
- Obbligare le amministrazioni comunali a gestire correttamente la raccolta differenziata dei rifiuti, magari sanzionandole economicamente o bloccando il trasporto o lo smaltimento dei rifiuti stessi in caso di gravi inadempienze. Ora, invece, i rifiuti vengono sempre gestiti e trattati, indipendentemente dalla loro qualità. Quello che cambia è il prezzo di smaltimento, ma la scarsa qualità del rifiuto vuol dire anche scarsa qualità del prodotto finito.
- Togliere la politica – spesso non all’altezza o collusa con chi vuole che il sistema non funzioni – dalla gestione e dall’amministrazione delle municipalizzate o dei consorzi che si occupano di rifiuti e dare questi incarichi a professionisti del settore mediante concorsi.
Per rendere credibile il sistema della raccolta differenziata agli occhi dei cittadini che vedono non sempre ripagati i loro sforzi domestici bisogna far si che lo stesso sistema funzioni bene e che, nel tempo, funzioni sempre meglio.
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(1) Per digestione (o degradazione) aerobica si intende la degradazione in presenza di ossigeno delle sostanze organiche da parte di diversi microrganismi. Tale processo comporta la mineralizzazione del materiale organico, cioè la trasformazione del materiale organico in prodotti più semplici e stabili (non putrescibili).
(2) Per digestione (o degradazione) anaerobica si intende la degradazione in assenza di ossigeno delle sostanze organiche da parte di numerosi microrganismi. Tale processo produce biogas come gas di scarto.
(3) Il metano è un gas che è circa 30 volte più climalterante (ad effetto serra) dell’anidride carbonica (CO2).
Fonte: Wikipedia