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Tag Archives: salute

Al supermercato con la bisnonna

Quando andate al supermercato andateci sempre accompagnati dalla vostra bisnonna (immaginatevela con voi se non ce l’avete più) e tutto quello che la vostra bisnonna non riconosce come cibo… non compratelo. Leggendo l’etichetta, se ci sono sostanze che lei non capisce cosa siano… non compratelo. Se ci sono più di 5 ingredienti… non compratelo. Se c’è scritto che fa bene alla salute… non compratelo!!!

Questo è quanto osserva – mutuando le raccomandazioni di Michael Pollan – con la sua proverbiale ironia e sagacia il prof. Franco Berrino, epidemiologo dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano dove dirige il dipartimento di medicina preventiva e predittiva..

In sostanza per vivere sani e in salute – e, magari, per scongiurare il più possibile il rischio di essere vittima di un tumore o di una grave patologia metabolica – è necessario consumare cibo sano ma, soprattutto, semplice, non raffinato e, di base, proveniente dal mondo vegetale. Questa pratica, che è anche molto sostenibile dal punto di vista ambientale, si rifà pienamente ai principi della bioimitazione.

Cosa dire allora: il vero progresso e la salute generale di un popolo passa per forza attraverso la natura (cibo sano), il suo rispetto (cibo vegetale) e l’imitazione del suo funzionamento (cibo semplice e non raffinato). Cosa aspettiamo a cambiare atteggiamento e a percorrere con maggiore convinzione questo cammino semplice e così rivoluzionario?

 

Salute e sostenibilità ambientale sono concetti strettamente interconnessi

La sostenibilità ambientale passa inevitabilmente attraverso la salute e la salute passa attraverso la sostenibilità ambientale, in un pieno rapporto biunivoco. Senza la sostenibilità ambientale non ci può essere salute (soprattutto prevenzione, che è la componente più importante della salute) e senza salute (cioè senza una chiara idea di che cosa sia la salute e la prevenzione) non ci può essere sostenibilità ambientale.

Provo a fare degli esempi. Chi abusa dei farmaci (necessari, ma pur sempre tossici) per togliere qualsiasi sintomo senza preoccuparsi delle cause che lo determinano come può avere una chiara idea di che cosa sia la sostenibilità ambientale? Chi mangia male (cibo spazzatura) e specula sul prezzo del cibo (consumando cibo di bassa qualità) per avere più beni effimeri e non necessari come può agire per perseguire la sostenibilità ambientale? Chi butta la spazzatura a terra anziché adoperarsi per smaltirla correttamente come può capire a fondo cosa sia la salute e la prevenzione? Chi abusa di pesticidi e diserbanti (in agricoltura, negli spazi pubblici, negli spazi verdi privati) come può adoperarsi correttamente per garantire salute a se stesso e ai propri cari nel lungo periodo? E gli esempi potrebbero essere innumerevoli…

A tale proposito qualche giorno fa sono rimasto colpito da un bell’articolo del dott. Roberto Gava pubblicato su Il Fatto Quotidiano nel quale afferma un concetto fondamentale per ragionare in termini di salute e di sostenibilità ambientale: noi stessi siamo la causa delle nostre patologie (e del nostro benessere, aggiungo io).

Quello che afferma il dott. Gava – basandolo sulla propria esperienza clinica – è il fatto che la quasi totalità delle nostre patologie attuali – spesso croniche e invalidanti – sia il frutto di errori pubblici e sociali (ad esempio tollerare ancora elevati tassi di inquinamento per alimentare un sistema economico senza fine basato sulla continua produzione e consumo) e sulla scarsa cultura della prevenzione da parte delle persone. In tutto questo, io mi chiedo dove erano e dove sono i medici e i farmacisti? Qual è il loro ruolo nel rapporto con i pazienti all’interno del processo di mantenimento della salute e di cura? Cosa sanno e cosa percepiscono veramente della salute attraverso la prevenzione e del ruolo che ha la sostenibilità ambientale nel garantirla?

Per promuovere la salute il dott. Gava parla, nel dettaglio, di prevenzione alimentare e dei principali errori che si commettono nel campo della nutrizione:

  • Troppi zuccheri semplici, comprendendo quelli che aggiungiamo noi e quelli che aggiunge l’industria alimentare.
  • Troppi cereali, rispetto a verdure, legumi, frutta e proteine vegetali.
  • Troppi carboidrati raffinati rispetto a quelli complessi.
  • Troppi grassi saturi (grassi animali) e pochi grassi buoni (polinsaturi omega-3 di origine vegetale o ittica e monoinsaturi dell’olio di oliva).
  • Carenza di micronutrienti essenziali: la produzione industriale del cibo li ha gravemente ridotti, insieme allo sfruttamento del terreno e all’inquinamento (viviamo in una situazione di carenza cronica che, di solito, non induce avitaminosi, ma altera il metabolismo dell’organismo e induce una instabilità genomica con maggior suscettibilità al danno del DNA con scarsa capacità di ripararlo).
  • Carenza di fibra alimentare (assente in cibi raffinati) con conseguenti: stipsi, accumulo di sostanze tossiche, mancato legame di zuccheri e grassi (che verrebbero escreti più facilmente riducendo anche il colesterolo-LDL e aumentando il colesterolo-HDL) e aumento di diabete e vasculopatie aterosclerotiche.
  • Alterazione dell’equilibrio acido-base con spostamento verso l’acidosi metabolica a causa di eccessivo consumo di cibi acidificanti (cibi confezionati, carne, uova, latte, formaggi, sale, additivi chimici, ecc.) a cui conseguono: perdita del tono muscolare, osteoporosi, calcoli renali, ipertensione arteriosa, infiammazione tessutale, ecc.
  • Alterato equilibrio sodio/potassio con aumento del sodio (contenuto in abbondanza nei cibi industriali) e calo del potassio (che è scarso in carboidrati raffinati, latte e formaggi), con conseguente aumentato rischio di ipertensione arteriosa, ictus cerebrale, calcoli renali, osteoporosi, asma, insonnia, ecc.

Oltre a tener conto dei punti precedenti tra le possibili soluzioni elenca:

  • La riduzione dell’introito calorico quale miglior modo per rallentare l’invecchiamento e per prevenire le patologie croniche;
  • La restrizione calorica quale modo per facilitare l’eliminazione di cellule danneggiate e la loro sostituzione con cellule nuove derivate dalle riserve staminali.

A ciò io aggiungerei anche:

  • La scelta di prodotti alimentari coltivati e prodotti con il minor impatto ambientale possibile che, per semplificazione, potrebbero essere quelli certificati biologici o biodinamici, sono fondamentali per limitare l’inquinamento e garantire più alti livelli di salute sociale nonché per fornire cibi più sani alle persone;
  • La scelta di prodotti alimentari locali che vengono coltivati o prodotti vicino al luogo di consumo viaggiano di meno: in tale modo possono essere raccolti al raggiungimento della maturazione e, per questo, possono garantire maggiore e migliore apporto di vitamine e nutrienti;
  • La scelta di prodotti alimentari semplici e non troppo industrializzati. In tal modo si limitano inutili additivi (conservanti e insaporenti) e si garantisce più genuinità dei cibi;
  • La scelta di prodotti alimentari che abbiano pochi imballaggi per limitare la produzione dei rifiuti che indirettamente, attraverso l’inquinamento che producono, possono contribuire a diminuire la qualità della salute pubblica.

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Foto: La nuova piramide alimentare

 

Aiuto! C’è un insetto negli spinaci

Addirittura un insetto negli spinaci! Aiutooooooooo!

Così strillano (o quasi) in questi giorni le locandine davanti alle edicole e titola L’Arena, il giornale di Verona.

Ma andiamo con ordine e vediamo cosa è successo. È successo che una scuola media cittadina ha segnalato la presenza di uno scarafaggio negli spinaci somministrati ai ragazzini nella mensa e, sulla questione, sono intervenute addirittura le autorità dell’Azienda che gestisce le mense comunali con comunicati e con provvedimenti che hanno portato ad eliminare l’intera partita di verdure incriminate. Inoltre il venefico insetto negli spinaci ha infiammato anche il dibattito politico vedendo, tra i contendenti, gli amministratori, l’azienda appaltatrice e l’opposizione.

“Un clima avvelenato – recita l’Arena – tanto che dopo il ritrovamento dello scarafaggio, comincia a serpeggiare (addirittura!) l’inquietante ipotesi del boicottaggio. Sempre ieri, tra l’altro, da un controllo fatto dall’ufficio refezione scolastica del Comune alle mense delle elementari N. e R., è emerso un giudizio positivo sul cibo servito. Gli stessi spinaci in tegame sono stati definiti «ottimi» in una scuola e «buoni» nell’altra. Tanto che «molti bambini», recita un comunicato di Palazzo Barbieri (la sede del Municipio, ndr), «hanno (udite, udite!) pure effettuato il bis»”. E non sono morti, dico io!

Sia ben chiaro che è assolutamente doveroso che il cibo fornito ai nostri figli nelle mense scolastiche debba essere di qualità, pulito, sicuro dal punto di vista igienico e privo di corpi estranei. Siano essi insetti o altro. Quello che mi fa sorridere (e, in parte, preoccupare) è il fatto che ci si stia accapigliando (1) per la presenza di un insetto in un piatto (che non ha mai ucciso nessuno e che, in un futuro, rappresenterà molto probabilmente una componente della nostra alimentazione abituale), mentre non si muove foglia, non si fanno locandine e non si fanno articoli per le vere cause che potrebbero rappresentare un pericolo per la salute dei nostri figli nelle mense scolastiche. Provo ad elencarle:

  1. cibi economici di scarsa qualità, con poca attenzione ai prodotti biologici;
  2. verdure con residui di pesticidi e carni con residui di antibiotici;
  3. diete non equilibrate che spesso eccedono in uso di carne, proteine animali, grassi e zuccheri;
  4. sistemi di cottura che potrebbero esporre i cibi ad inquinanti (es. teflon, metalli, ecc.)
  5. sistemi di cottura che non garantiscono il mantenimento delle proprietà dei cibi (es. vitamine);
  6. utilizzo di prodotti chimici pericolosi per le pulizie delle cucine o per il lavaggio di pentole e stoviglie;
  7. cibi serviti con piatti in materiale plastico usa e getta, non salutare in caso di cibi caldi e che produce un’enorme quantità di rifiuti non riciclabili.

Iniziare a preoccuparsi seriamente di questi VERI problemi e relegare ai margini della discussione (e dell’ansia pubblica) la presenza di un insetto nel piatto o di un moscerino in cucina contribuirebbe anche a porre importanti basi per una maggiore sostenibilità ambientale all’interno dell’enorme filiera dell’alimentazione non domestica.

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(1) Basta scorrere le cronache locali per vedere che il caso di Verona dell’insetto nel piatto non è un caso isolato di mamme preoccupate, di raccolte firme, di richieste di commissioni di vigilanza, ecc. ecc. (Pisa, Marino)

 

La generosità del mare

Il mare è generoso, molto generoso e, prima o poi, restituisce tutto quello che gli gettiamo dentro. O come rifiuto; o come inquinamento e conseguente perdita di salute.

La gran parte dei rifiuti che il mare restituisce sono di materiale plastico: bottiglie, bidoni, bicchieri, boe, reti e chi più ne ha più ne metta (1). Un’altra parte dei rifiuti del mare sono in metallo e di materiale organico (principalmente alghe e tronchi).

Per quanto riguarda, invece, l’inquinamento, il mare non restituisce altro inquinamento. È più subdolo e restituisce sofferenza e morte per gli animali acquatici che lo popolano (e che dovrebbero fornire a noi una parte del nutrimento) e perdita di salute per gli esseri umani che abitano nelle sue vicinanze, che in esso si divertono o che si nutrono degli animali che in esso vivono.

Al di là di queste considerazioni – mi chiedo – forse un po’ troppo elaborate, mi è capitato recentemente di essere stato in vacanza in una località marittima da poco interessata da una forte mareggiata. Quello che mi ha stupito non è stato solo vedere la spiaggia piena di rifiuti e di detriti. Tanto, magari non riciclandoli, prima o poi verranno rimossi. Quello che invece mi ha stupito e profondamente turbato è stato constatare la totale indifferenza e apatìa delle persone (sia presenti in spiaggia sia di mia conoscenza) di fronte ai rifiuti presenti. Una sorta di assuefazione pericolosa che non è assolutamente positiva nell’ottica della ricerca urgente di soluzioni per la sostenibilità ambientale che, a mio avviso, oltre che attraverso soluzioni tecnologiche e produttive, dovranno passare per forza anche attraverso comportamenti individuali virtuosi e, molto probabilmente, una maggiore sobrietà di comportamenti.

Vi lascio, per ricordo, qualche foto che ho scattato nelle spiagge di Bordighera e Vallecrosia.

Rifiuti_bidone

Rifiuti_bottiglie plastica

Rifiuti_rifiuti vari

Rifiuti_rifiuti vari bianco

Rifiuti_copertone

Rifiuti_rifiuti vari blu

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(1) Gran parte dei rifiuti di plastica che il mare restituisce sono imballaggi e prodotti usa e getta. Per salvaguardarlo e per garantire VERA sostenibilità ambientale è assolutamente necessario che si provveda con urgenza a favorire – in qualsiasi modo – la produzione e il consumo di materiali plastici di origine vegetale completamente biodegradabili e si pongano limiti, di qualsiasi natura, alla produzione di materiale plastici di origine petrolifera e sintetica.

 

“Pollution” by Bryan Clark

Siamo abituati a pensare all’inquinamento come ad un fenomeno – certamente negativo – che interessa solo l’ambiente che ci circonda, pensando invece poco alle conseguenze che esso può avere sulla nostra salute e sul nostro benessere.

Inquinata è l’aria; inquinata è l’acqua; inquinato è il terreno; inquinate sono le città ma poco si pensa a quali siano le conseguenze su coloro che abitano tali ambienti.

Quello che invece cerca di farci comprendere Bryan Clark nel suo breve video d’animazione “Pollution” [guarda il video] è il fatto che inquinato può essere anche il nostro organismo e, in particolare, il cuore. Nel video Bryan Clark ci fa vedere quali siano le conseguenze del nostro sistema economico-produttivo su ciò che ci circonda: dapprima l’ambiente appare incontaminato, le acque sono pulite e  boschi rigogliosi ricoprono le colline. Lentamente, però, l’inquinamento delle industrie che si sviluppano e crescono sempre più numerose tanto da sostituirsi ai boschi, inizia a contaminare l’erba e i corsi d’acqua fino a penetrare inesorabilmente nel corpo umano… e raggiungere il cuore.

above all else, guard your heart, for everything you do flows from it ” (con ogni cura vigila sul cuore, perché da esso sgorga la vita) – Bibbia, Proverbi 4:23

 

Casa Batroun

Conosco personalmente Maya, la proprietaria di “Casa Batroun”. L’ho conosciuta nel 2009 a Beirut (1) durante uno dei miei soliti viaggi in giro per il mondo.

Maya si divide tra Londra – dove collabora con EcoConsulting, una società di consulenza nel campo ambientale – e Beirut (la sua città natale) dove cerca, con mille difficoltà ma anche con molta tenacia, di mettere in pratica quello che nell’Europa del nord è considerato essere cosa abbastanza normale.

Casa Batroun è una casa sostenibile e la sua particolarità non sta tanto nel fatto che si tratta di una casa ecologica per la quale sono state adottate certe soluzioni tecniche piuttosto che altre, quanto nel contesto in cui è stata realizzata. Il contesto è il Medio Oriente, una regione dove l’ecologia e la sostenibilità ambientale sono concetti praticamente agli albori (per non dire quasi inesistenti) e dove, per questa ragione, l’importanza del progetto e della realizzazione di Casa Batroun è ancora più importante. In parte perché può rappresentare un interessante esempio per le comunità locali di come si possa concretamente realizzare un edificio sostenibile; in parte perché può accrescere la cultura e la conoscenza degli artigiani locali verso tecniche nuove, meno impattanti su un ambiente, il loro, già abbastanza messo sotto pressione da abusivismo edilizio, pessima gestione dei rifiuti, trasporti e industrie inquinanti.

Casa Batroun_02Da come ora in origine a come è stata recuperata, Casa Batroun è ora completamente trasformata. Per arrivare a questo importante traguardo le soluzioni adottate per il restauro sono state:

  • riuso di vecchio legno sia per la parte strutturale che per alcuni pavimenti
  • riuso di vecchie porte, finestre, scale, piastrelle e mobili
  • utilizzo di legno proveniente da foreste sostenibili (FSC)
  • utilizzo di collanti a bassa emissione di solventi e formaldeide
  • utilizzo di isolamento a base di lana di pecora e pasta di legno
  • utilizzo di calce naturale
  • utilizzo di idropittura ecologica AURO
  • utilizzo di linoleum prodotto da resina naturale: durevole, riciclabile e privo di solventi
  • design bioclimatico: ventilazione, posizionamento delle finestre e ombreggiatura
  • riscaldamento mediante stufa a pellet
  • utilizzo di pannelli solari per la produzione di acqua calda
  • utilizzo di lampade a led
  • utilizzo di apparecchiature a basso consumo energetico
  • utilizzo di vasche per la raccolta dell’acqua da usare per l’irrigazione e le toilette
  • realizzazione di un tetto verde
  • predisposizione di un sistema di raccolta differenziata e di compostaggio dei rifiuti organici.

[Vedi il progetto di Casa Batroun]

Casa Batroun è stata costruita secondo i criteri della certificazione BREEAM Excellent (non ancora certificata) e ha ricevuto il premio Green Apple per la costruzione ecologica e per il recupero architettonico.

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(1) Durante quel viaggio sono anche stato in Siria e mi piange il cuore pensare come la sta riducendo una stupida guerra civile.

 

Hevea | Accessori per bambini

In che cosa crede Hevea?

  • Hevea crede nella sostenibilità e nel fatto che ciascuno debba compiere, per quanto possibile, delle azioni positive verso uno stile di vita ecologico.
  • Hevea crede nel buon design: nella semplicità scandinava, nell’innovazione e nel rispetto della natura. Meno è più!
  • Hevea crede nella qualità, nella funzionalità e nel divertimento: i prodotti di qualità durano di più, fanno risparmiare denaro e riducono i rifiuti.
  • Hevea crede nella creazione di un business che possa soddisfare i desideri dei genitori e, al contempo, realizzare una filiera di produzione eco-friendly.
  • Hevea crede nel fatto che il proprio business debba realizzare azioni per minimizzare la produzione di CO2, ridurre i rifiuti e consumare meno energia possibile.
  • Hevea crede che ciascuno di noi dovrebbe avere il tempo – e l’energia – di giocare con i propri figli e, pertanto, sarebbe necessario che i datori di lavoro organizzassero il lavoro con l’obiettivo di consentire che ciò si realizzi.
  • Hevea crede che sia nostro dovere dare ai nostri figli e alle generazioni future l’opportunità di vedere tutta la fauna e gli animali del mondo allo stato selvaggio (per questo sostiene il WWF).
  • Hevea crede che il business giochi un ruolo molto importante per costruire un futuro sereno. Pertanto propone di consumare cibo biologico, di ridurre il consumo di carne, di comprare a livello locale, di fare acquisti responsabili, di riutilizzare, di riciclare e di ridurre i rifiuti prodotti perché tutto ciò permette di vivere una vita migliore.
  • Hevea crede che ciascuno possa “fare la differenza”.

Hevea_in che cosa crede

Per rendere operative queste sue convinzioni Hevea si è impegnata a operare nei diversi ambiti della sostenibilità e a pianificare miglioramenti continui nel tempo.

Hevea (1) è un’azienda danese che produce prodotti per bambini utilizzando gomma naturale al 100%, BPA free e senza PVC; che utilizza per i propri imballaggi carta certificata FSC e inchiostri vegetali; che, per la coltivazione della gomma e per la realizzazione dei prodotti, si avvale di partner malesi socialmente responsabili.

Hevea_papera

I ciucci, i massaggiagengive (teethers), i giocattoli per il bagno e gli accessori provengono tutti da materie prime rinnovabili e, una volta diventati rifiuti, sono tutti completamente biodegradabili.

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(1) Hevea deriva dal nome latino dell’albero della gomma: Hevea brasiliensis. La gomma naturale che viene estratta dalla sua linfa è l’ingrediente base dei prodotti Hevea. Utilizzando la gomma naturale al posto di quella derivante dal petrolio Hevea contribuisce a migliorare la salute degli utilizzatori, ad evitare l’inquinamento persistente dell’ambiente, a combattere i cambiamenti climatici attraverso l’incremento degli alberi che assorbono la CO2 e a limitare l’estrazione del greggio.

 

La IARC certifica che l’aria inquinata è cancerogena

A voi che avete terrore dell’amianto ma fate passeggiare o giocare liberamente i vostri bambini per le strade, soprattutto urbane, vi devo dare una brutta notizia: la IARC ha appena certificato ufficialmente che lo smog è cancerogeno. In sostanza ha stabilito che la pericolosità dell’amianto e quella dello smog è la stessa!

Per comprendere un po’ meglio la notizia andiamo con ordine.

Innanzitutto, anche se vi erano numerosi sospetti e se è da anni che se ne parla, ora si può dire ufficialmente che lo smog (o particolato, cioè quell’insieme di residui della combustione derivanti dalle più diverse attività umane: trasporti, incenerimento dei rifiuti, produzione di energia, riscaldamento domestico, emissioni industriali e agricole) provoca il cancro. La certificazione di tale pericolosità deriva dall’autorevole Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC – International Agency for Research on Cancer), un’agenzia dell’Organizzazione Mondiale della Sanità che qualche giorno fa – il 17 ottobre –  ha pubblicato tale notizia. In pratica, dopo un lunghissimo iter di ricerche scientifiche la IARC ha affermato che “L’inquinamento dell’aria è una delle principali cause di morte per cancro”, inserendo il particolato nel Gruppo 1, cioè tra le sostanze che la ricerca scientifica ha dimostrato essere cancerogene per l’uomo.

A tale riguardo i dati più recenti indicano che, nel 2010, nel mondo, ci sono stati ben 223.000 casi di cancro ai polmoni dovuti proprio all’inquinamento dell’aria.

aria inquinata in ItaliaCome afferma il dott. Kurt Straif della IARC: “Ora sappiamo che l’inquinamento dell’aria non rappresenta solo un maggior rischio per la salute in generale, ma è anche la causa principale di morti per cancro”.

La soluzione a questo sacrificio inutile di vite umane non è né quella di fornire delle indicazioni di prudenza (1) né quella garantire migliori cure o una maggiore aspettativa di vita agli ammalati. La sola e unica soluzione è quella di abbandonare la pratica della combustione per la produzione di energia e calore.

Per liberarci dal pesante fardello del passato bisogna anche iniziare a pensare che, chi più e chi meno, attraverso le nostre scelte, siamo un po’ tutti in qualche modo responsabili per la sofferenza di qualcun altro. Che, talvolta, può essere anche una persona a noi vicina o, paradossalmente, possiamo essere anche noi stessi.

Agli amministratori, allora, un appello perché legiferino da subito nella direzione di rendere la vita difficile alla combustione; agli imprenditori e ai progettisti un appello perché cerchino immediatamente soluzioni produttive ed energetiche alternative; ai cittadini consumatori un appello perché quando aprono il portafoglio pensino che possono anche contribuire a difendere la loro salute e quella dei loro cari.

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(1) Per limitare l’esposizione allo smog si consiglia comunque di:

  • evitare di fare sport in città
  • evitare le strade trafficate utilizzando percorsi alternativi
  • in caso di passeggiate con i bambini preferire gli zaini in spalla ai passeggini
  • preferire di uscire con il brutto tempo e/o con il vento
  • uscire evitando le ore di punta
  • evitare di sedere all’aperto quando siete al bar o al ristorante

Tabella: Ansa

 

Le lampade a LED ci rubano il sonno

L’illuminazione artificiale – sia quella pubblica disseminata sul territorio sia quella privata presente nelle case – rappresenta un’importante causa di privazione del sonno che può avere conseguenze importanti sulla salute in generale. Si va dal maggior rischio di obesità e diabete a causa del fatto che la veglia prolungata induce a mangiare di più, ben oltre le necessità energetiche dell’organismo; si arriva al maggior rischio di avere problemi di natura neurologica e comportamentale, come la scarsa attenzione, concentrazione e apprendimento fino ad arrivare all’incremento dello stato di ansia e di depressione. Si giunge infine anche al rischio di avere malattie cardiocircolatorie come infarti e ictus. Insomma dormire è molto importante per una vita sana tanto che si possono avere effetti importanti anche sul sistema immunitario.

In generale la scienza ha osservato che stare svegli più a lungo altera l’espressione di centinaia di geni che incidono fortemente sul benessere e sulla salute delle persone. E le lampade a LED, che vengono considerate un’importante soluzione in termini di efficienza energetica, potrebbero anche peggiorare la situazione.

La luce a LED bianca è, infatti, ricca delle componenti blu-verde dello spettro luminoso che sono proprio quelle a cui sono più sensibili le cellule gangliari della retina che trasmettono al cervello le informazioni relative al ritmo sonno-veglia (ritmo circadiano). Il risultato sarà allora il seguente: l’illuminazione artificiale (in particolare quella a LED, compresi i televisori e i computer che si basano sempre di più su questa tecnologia) segnalerà sempre di più al nostro cervello che non è ancora giunta l’ora di dormire con la conseguenza di farci perdere ogni giorno, mese dopo mese, anno dopo anno, preziose ore di sonno.

La soluzione, già all’attenzione dei progettisti e dei produttori, potrebbe essere quella di correggere la componente blu-verde delle luci a LED con un’emissione più orientata verso la tonalità giallo-arancio.

Si deve però osservare il fatto che un’importante contributo al mantenimento della salute non si può delegare solo alla tecnica ma deve far parte anche di un atteggiamento di maturità critica e culturale delle persone che, da un lato, le porta ad avere rispetto per il riposo anche attraverso l’elaborazione di un senso del limite per la veglia e per l’eccessiva illuminazione delle case e, dall’altro, le spinge a richiedere una minore quantità di illuminazione pubblica.

Le problematiche in discussione evidenziano il fatto che i fenomeni che riguardano gli equilibri ecologici e quelli del benessere psico-fisico delle persone sono estremamente complessi e che lavorare solo in un unico ambito (nel caso delle lampade a LED sul solo versante della mera efficienza energetica) può far perdere di vista l’obiettivo di ottenere miglioramenti che riguardino entrambi gli aspetti.

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Fonte: “Le Scienze

 

Vivere nel verde rende più felici

Se vivi in un’area ricca di prati, di alberi e di verde sarai più felice rispetto a chi non ha tale possibilità. L’affermazione potrebbe sembrare abbastanza ovvia ma a confermarla è intervenuto anche un recente studio condotto da parte di alcuni ricercatori dell’inglese Exeter University e pubblicato sul giornale Psychological Science.

Secondo gli autori per ottenere tale beneficio – che consiste in livelli più bassi di stress, di maggior efficienza sul lavoro e di minore irritabilità nei confronti delle cose e delle persone che ci circondano – non è necessario trasferirsi a vivere in campagna ma basterebbe investire ed aumentare la disponibilità di “verde” anche nelle aree urbane.

Per realizzare lo studio i ricercatori hanno analizzato i dati ricavati da un sondaggio nazionale al quale hanno partecipato oltre 10.000 adulti che vivono nel Regno Unito. Tra il 1991 e il 2008 i partecipanti hanno risposto a questionari relativi al loro benessere psicofisico descrivendo, anno dopo anno, l’evoluzione del proprio umore, degli stati d’animo e dei problemi lavorativi e familiari. Dati che poi i ricercatori hanno messo in relazione con gli spostamenti dei partecipanti verso aree urbane più verdi. Ne è risultato che chi vive più a contatto con la natura esprime evidenti benefici in termini di soddisfazione e di benessere, pari addirittura a situazioni della vita importanti come avere un lavoro soddisfacente o un matrimonio felice. Spiega Mathew White – il responsabile della ricerca – “Abbiamo visto che vivere in un’area urbana con livelli di verde relativamente elevati ha un impatto significativamente positivo sul benessere, pari all’incirca a un terzo di quello dato dalla vita matrimoniale. Questi dati devono essere tenuti in considerazione dai politici quando devono decidere come investire le risorse pubbliche, ad esempio per lo sviluppo o la manutenzione dei parchi”.

Il risultato dello studio non dimostra che andare a vivere in una zona verdeggiante potrà portare automaticamente a una maggiore felicità, ma spiega che per stare bene non possiamo prescindere dalla natura e che anche brevi immersioni in ambienti naturali sono assolutamente necessari per migliorare l’umore e il funzionamento cognitivo, ma anche per garantire minore mortalità per malattie cardio-circolatorie.

Allo scopo di evitare che tali ambienti naturali siano solo esterni alla città e che per raggiungerli sia necessario utilizzare grandi quantità di energia per i trasporti, bisogna sia chiara ai pianificatori urbani la necessità che nella gestione delle città si tenga assolutamente conto di tale aspetto. Ad esempio devono aumentare i parchi (non gli alberi isolati piantati in piccole aiuole); devono aumentare i prati; devono aumentare i corsi d’acqua; devono aumentare gli orti. Come controparte i nostri amministratori e le lobby che spesso li muovono (e li finanziano) devono rinunciare a qualche centro commerciale, a qualche stadio, a qualche palazzo o a qualche strada.

La società nel suo complesso sarà più sana e felice e si potranno risparmiare anche molti costi indiretti legati alla cura delle persone malate o con un basso livello di benessere psico-fisico.

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Fonte: la Repubblica

 

Confermata la relazione tra smog e cancro ai polmoni

Se qualcuno avesse ancora qualche dubbio si dovrà ricredere dopo la lettura della ricerca recentemente pubblicata su Lancet Oncology dalla quale emerge, con rigore scientifico, che la combustione produce particolato e il particolato fa morire prematuramente chi lo respira!

Punto.

Se si entra nel dettaglio dello studio si può osservare che esso – prima ricerca che ha interessato un grande numero di persone alla quale hanno collaborato 36 centri e oltre 50 ricercatori – è stato condotto sulla popolazione residente in 9 Paesi europei, tra i quali l’Italia. Per trarre le loro conclusioni gli studiosi hanno analizzato per 13 anni circa 313 mila persone sparse nel continente, individuando un chiaro nesso di causalità tra l’esposizione a polveri fini (particolato) e tumore al polmone. Dallo studio si è potuto appurare che ad ogni incremento di 5 μg/m3 di PM2,5 il rischio di tumore al polmone aumenta del 18% e del 22% a ogni aumento di 10 μg/m3 di PM10. Il che significa, tradotto nel linguaggio comune, che più alta è la concentrazione di smog maggiore è il rischio di sviluppare un tumore polmonare. Inoltre sembra non esserci una soglia al di sotto della quale l’effetto cancerogeno viene meno dal momento che i tumori (anche se in minori quantità) si registrano anche tra coloro che vivono in aree dove le polveri sottili sono al di sotto dei limiti di legge previsti in Ue.

Tra i Paesi europei analizzati l’Italia, relativamente alle polveri sottili, è risultata essere tra quelli più inquinati. In città come Torino e Roma sono state registrate rispettivamente concentrazioni medie di 46 e 36 mg/m3 di PM10, in confronto ad una media europea decisamente più bassa: ad esempio ad Oxford tale valore è 16 e a Copenhagen è 17.

Per completare i dati solo in Italia, nel 2010, si sono registrati 31.051 nuovi casi di tumore al polmone (1) che, da solo, rappresenta circa il 20% di tutte le morti premature per tumore nel Bel Paese.

Lo studio conferma un elemento ben chiaro a livello di buon senso per chi si è sempre battuto per l’eliminazione (o almeno la riduzione) dell’inquinamento da smog: che fa male alla salute e che fa morire prematuramente.

Ora non ci sono più scuse per amministratori pubblici, scienziati negazionisti, imprenditori, sindacalisti e giornalisti: dobbiamo far transitare al più presta la nostra economia basata sulla combustione verso forme che siano più bioimitative e che fondino la produzione di energia sul sole e sulla forza cinetica.

L’alternativa è quella di continuare a piangere morti premature e di sprecare enormi quantità di denaro per curare (o tentare di curare) malattie che, in mancanza di inquinamento, avrebbero un’incidenza molto minore.

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(1) www.tumori.net

 

Quattrocentoventimila

Il pedigree dell’INAIL è chiaro a tutti: non si tratta né di una delle più dure associazioni ambientaliste né di una delle organizzazioni più anarchiche e rivoluzionarie operanti in Italia.

Eppure, con il suo progetto Expah, co-finanziato dall’Unione europea, desidera studiare approfonditamente gli effetti sulla salute umana degli idrocarburi policiclici aromatici (IPA) (1) contenuti nel particolato presente soprattutto nelle aree fortemente urbanizzate. Le polveri sottili, infatti, possono avere effetti nocivi sulla salute colpendo soprattutto l’apparato respiratorio e quello cardiovascolare delle persone esposte.

Dal momento che le principali cause di inquinamento atmosferico sono legate al traffico veicolare, ai sistemi di riscaldamento domestico, alle emissioni industriali e di produzione energetica, l’idea dell’INAIL – che opera in collaborazione con l’Azienda sanitaria locale Roma E, il CNR, la società Arianet e il National Institute for Health and Welfare finlandese (THL) – è quella di ridurre l’inquinamento non mediante progetti ipertecnologici ma “banalmente” attraverso l’applicazione delle tecnologie già esistenti, supportando politiche ambientali e una legislazione in questo specifico ambito.

Sulla base delle misurazioni delle IPA e di altri inquinanti ambientali effettuate ed elaborando dei modelli matematici di esposizione della popolazione, si è potuto stimare che in Europa, ogni anno, muoiono presumibilmente almeno 420.000 persone a causa dell’inquinamento. “Una cifra assolutamente inaccettabile” secondo il commissario UE all’Ambiente Janez Potočnik (e non solo per lui!).

Finalmente si sta sgretolando il muro di scetticismo che nel tempo è stato eretto a difesa del sistema tecnologico e produttivo basato sulla combustione di materiali organici e, oltre alle associazioni indipendenti, anche Enti ed istituzioni governative cominciano a pensare che sia anche più vantaggioso economicamente nel medio-lungo periodo investire ora, per migliorare sia la produzione di energia e di beni che l’efficienza energetica dei prodotti, delle abitazioni e dei trasporti.

Una ulteriore conferma che per ottenere il massimo vantaggio per la salute e per le attività umane sia necessario imitare la natura che basa il proprio funzionamento “sull’energia solare e sull’energia cinetica, senza combustione”.

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(1) Gli idrocarburi policiclici aromatici (IPA) – il più famoso dei quali è il benzo(a)pirene, ritenuto cancerogeno – sono sostanze chimiche presenti nelle polveri fini atmosferiche prodotte dalla combustione incompleta di materiale organico. Le principali fonti di emissione sono il traffico stradale, le caldaie del riscaldamento domestico e le emissioni industriali. Le IPA hanno una elevata capacità di penetrare negli ambienti chiusi.

Foto: Struttura tridimensionale (modello space-filling) del corannulene, IPA strutturalmente formato dalla condensazione di 5 anelli benzenici e un anello centrale di ciclopentano. (Fonte Wikipedia)

 

La luce artificiale nuoce alla salute

Per analizzare il fenomeno dell’inquinamento luminoso è sufficiente prestare un po’ di attenzione ai luoghi che si frequentano abitualmente per osservare, negli anni, come si moltiplichino sia i pali per l’illuminazione pubblica sia le fonti di illuminazione privata, nei giardini e davanti alle case (1).

Anno dopo anno sempre più numerosi in un inarrestabile processo di crescita quasi ad indicare l’illusione dell’uomo tecnologico di vincere la notte!

Inquinamento luminoso Italia

Il fenomeno viene anche segnalato da anni sia dai movimenti ambientalisti (che spesso si concentrano di più sul consumo energetico) sia dalla ricerca scientifica che osserva sempre di più problemi legati alla salute delle persone causati dall’eccessiva esposizione all’illuminazione artificiale notturna. Così come l’orecchio ha due funzioni, quella dell’udito e quella dell’equilibrio, anche l’occhio ne ha due, quella della visione ma anche quella di trasmettere al cervello, tramite le cellule gangliari della retina, le informazioni circa la presenza di luce nell’ambiente. Una volta giunti nel cervello questi segnali innescano una serie di effetti diversi: inibiscono i neuroni che promuovono il sonno, sopprimono il rilascio dell’ormone melatonina importante per la regolazione dei cicli sonno-veglia da parte dell’ipofisi, attivano i neuroni orexina nell’ipotalamo che promuovono lo stato di veglia.

In sostanza il quadro è il seguente: l’essere umano si è evoluto secondo i ritmi circadiani regolati sulla luce naturale. Quando c’è luce siamo attivi; quando c’è buio riposiamo. Se, però, durante la notte si accendono le luci artificiali, nel nostro sistema neurovegetativo vengono riprodotti gli stessi segnali che sarebbero propri del giorno. E il fenomeno è sempre più intenso e pervasivo, tantoché nelle zone abitate il buio assoluto quasi non esiste praticamente più!

In un recente articolo de “Le Scienze” viene trattato questo tema osservando che la privazione (o la riduzione) del sonno legata alla presenza di fonti di illuminazione artificiale sia esterne che interne alle abitazioni (compresa la televisione e il pc) predispone ad importanti problemi di salute quali obesità, diabete, malattie cardiovascolari, depressione e ictus.

Secondo le statistiche oramai circa un terzo degli statunitensi adulti attivi lamenta un numero insufficiente di ore di sonno (2), mentre era solo il 3 per cento 50 anni fa. Le cose non sono migliori per i bambini poichè i dati mostrano che, a livello mondiale, ogni notte dormono in media 1,2 ore in meno rispetto a un secolo fa.

Visto l’impatto sempre più evidente (dimostrato dalla scienza) che l’illuminazione notturna ha sulla salute interroghiamoci seriamente su alcuni aspetti ad essa legati:

  • è proprio necessario moltiplicare ogni anno le installazioni luminose pubbliche e private o possiamo valutare di mantenere solo quelle assolutamente necessarie?
  • è proprio necessario che il sistema economico del consumo ci proponga beni e servizi h 24/24 senza valutare la necessità di un’area franca di riposo notturna?
  • è proprio necessario che i nostri comportamenti individuali domestici ci portino a rubare inutilmente ore di sonno al nostro corpo attraverso la televisione e il computer?

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(1) Si pensi che all’illuminazione artificiale viene destinato attualmente il 19 per cento dell’energia prodotta nel mondo!

(2) Normalmente la quantità ideale per gli adulti è di sei ore per notte.

Foto: La crescita dell’inquinamento luminoso in Italia (1971/1998/2025) – www.lightpollution.it

Fonte: “Le Scienze

 

Gli alberi sono catalizzatori di polveri sottili

A livello intuitivo potrebbe sembrare cosa ovvia ma quando lo dice una ricerca scientifica pubblicata su riviste autorevoli la questione acquista maggior valore. Si tratta di quantificare l’importanza degli alberi nel contesto urbano non solo dal punto di vista paesaggistico e del benessere prodotto ma anche dal punto di vista depurativo e catalizzatore per le polveri sottili.

Le polveri sottili (o particolato fine) sono quella forma tipica di inquinamento delle nostre città. Esse derivano dalla combustione del carbonio (principalmente traffico veicolare, riscaldamento, industrie e inceneritori) e determinano una mortalità precoce non solo per infiammazioni croniche delle vie respiratorie ma anche per un’accelerata arteriosclerosi e per alterazioni delle funzioni cardiache. Oltre al carbonio e ai residui della combustione possono contenere anche metalli e agenti chimici vari. Inoltre la loro pericolosità è direttamente proporzionale alla loro dimensione: più le particelle di polvere derivante dalla combustione sono piccole e più riescono a penetrare in profondità nel corpo sino ad infiltrarsi (quando la loro dimensione è nanometrica) in tutti gli organi, con enormi difficoltà ad essere smaltite.

La ricerca (pubblicata da Environmental Pollution) è stata condotta in dieci grandi città statunitensi dal U.S. Forest Service e dal Davey Institute e rappresenta il primo sforzo per stimare l’impatto complessivo del verde urbano sulle concentrazioni delle polveri sottili inferiori ai 2,5 micron: le cosiddette Pm 2,5. Dallo studio, che ha interessato le città di Atlanta, Baltimora, Boston, Chicago, Los Angeles, Minneapolis, New York, Philadelphia, San Francisco e Syracuse (Stato di New York), è emerso che gli alberi urbani sono in grado di rimuovere il particolato fine dall’atmosfera e, pertanto, possono incidere fortemente sulla prevenzione di malattie gravi, potenzialmente mortali per i cittadini.

La quantità totale di Pm 2,5 rimossa annualmente dagli alberi varia dalle 4,7 tonnellate a Syracuse alle 64,5 tonnellate di Atlanta.

«Abbiamo bisogno di più ricerca per migliorare queste stime» – dice David J. Nowak, uno dei ricercatori – «ma il nostro studio suggerisce, una volta di più, che gli alberi sono uno strumento efficace nella riduzione dell’inquinamento dell’aria e la creazione di ambienti urbani più sani».

Spiega inoltre Michael T. Rains, Direttore della stazione di ricerca del servizio forestale: «Questo studio illustra chiaramente che i boschi urbani degli Stati Uniti sono investimenti di capitale perché, aiutando a produrre aria e acqua pura, riducono i costi energetici e rendono la città più vivibile. Semplicemente, le foreste urbane migliorano la vita!».

E tu, caro Sindaco, cosa scegli? Bosco o tunnel? (1)

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(1) Il riferimento è al Sindaco della città di Verona che desidererebbe costruire una nuova importante arteria (auto)stradale (in parte sotto un tunnel) nei pressi della città.

 

Il carbone è un killer dei polmoni

Lo studio “Silent Killer” commissionato da Greenpeace all’università di Stoccarda ha dimostrato che il carbone è il killer dei polmoni (cioè della salute in generale) e del clima. I Paesi dove questo fenomeno è più intenso sono la Polonia, la Germania, la Romania e la Bulgaria.

Le oltre 300 centrali elettriche a carbone in funzione nell’Unione europea e le 52 in costruzione o in progettazione uccidono (e uccideranno) prematuramente circa 22.300 persone l’anno, circa 60 al giorno che corrispondono a 5 persone ogni 2 ore. I gas e le micro polveri emesse determinano, inoltre, la perdita di 5 milioni di giornate lavorative l’anno per malattie.

In più il carbone avvelena pesantemente anche il clima visto che, a parità di energia prodotta, le sue emissioni di CO2 sono più che doppie rispetto a quelle del metano.

Come afferma Andrea Boraschi, responsabile della campagna Energia e Clima di Greenpeace Italia, « Lo studio è l’ennesima prova che il carbone pulito sbandierato dalle compagnie energetiche non esiste. Il carbone è una delle principali cause di avvelenamento dell’aria e per salvare i nostri polmoni dobbiamo mettere fine all’era del carbone e avviare una radicale rivoluzione energetica».

Le centrali a carbone producono un quarto dell’energia elettrica consumata nell’Ue, ma emettono il 70% degli ossidi di zolfo e più del 40% degli ossidi di azoto provenienti dal settore elettrico. Inoltre le circa 300 centrali europee sono la fonte di quasi la metà di tutte le emissioni industriali di mercurio, di un terzo di quelle di arsenico e producono quasi un quarto del totale delle emissioni europee di CO2. L’Agenzia Internazionale dell’Energia (IEA) il 10 giugno scorso ha reso noto che nel 2012 le emissioni di CO2 provenienti dalle centrali elettriche sono aumentate, nel mondo, dell’1,2%.

Lo studio “Silent Killer” è la prova lampante che non esistono centrali a carbone né di terza né di quarta e né di quinta generazione che si possano definire innocue per la salute della popolazione. Se è vero che quelle più evolute dal punto di vista tecnologico sono un po’ migliori rispetto a quelle degli anni precedenti, è anche vero che, di fondo, si poggiano su un fondamento sbagliato: quello della combustione, sulla quale NON si fonda il corretto funzionamento della natura. Di cui i morti, i malati e le alterazioni del clima ne sono una prova evidente!

In questa triste notizia si può però intravvedere una luce di speranza che ben presto il carbone verrà eliminato dalla scena europea. Basandosi sugli andamenti storici della produzione di energia elettrica in Europa è possibile definire uno scenario per l’anno 2030 che si fonda sui seguenti pilastri (si veda il grafico):

Produzione-EE-al-2030

  • aumento delle rinnovabili, secondo il trend esponenziale degli ultimi 20 anni
  • calo del nucleare, secondo il trend decrescente degli ultimi 7 anni
  • aumento del gas, secondo il trend attuale
  • diminuzione del carbone, con una riduzione annua del 10%
  • diminuzione dell’olio combustibile (petrolio), fino ad azzerarsi nel 2025
  • i consumi totali rimarranno più o meno stabili grazie all’aumento dell’efficienza energetica e alla moderazione dei consumi individuali.

L’uso del carbone per produrre energia è, in proiezione, già consegnato alla storia. Spetta a noi chiedere ai decisori politici che il processo sia il più veloce possibile per evitare inutili sofferenze umane e danni all’equilibrio del clima.

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Grafico: EcoAlfabeta

Foto: www.ecologiae.com

Fonte: Greenpeace, EcoAlfabeta

 

Noi siamo Natura

Noi siamo natura e il nostro corpo è il contenitore che racchiude e custodisce la nostra essenza.

Come pretendere di stare bene e di essere in salute se non abbiamo il più totale rispetto per tutto ciò che ci circonda e, in particolare, di ciò che mettiamo dentro di noi: l’aria, l’acqua, il cibo?

Con particolare attenzione a quest’ultimo poche e semplici sono le regole che ci consentono un’alimentazione sana, di qualità, in armonia con noi stessi e con quello che ci circonda, ovvero con i principi del nostro funzionamento metabolico e con le dinamiche di equilibrio del pianeta che ci ospita (in buona sostanza la bioimitazione!).

Proverò ad elencarne alcune, quelle che ritengo essere le più importanti e sulle quali non è possibile derogare:

  1. L’alimentazione di base deve essere fondata sull’assunzione di vegetali, in particolare non troppo lavorati e, possibilmente, anche crudi. L’elevato consumo di carne, di pesce e di derivati animali è troppo impattante, oltre che sulla salute, anche a livello energetico e di uso delle risorse (consumo di territorio, di acqua e depauperamento degli oceani).
  2. I metodi di produzione del cibo devono essere scarsamente impattanti sugli equilibri ecologici dell’ambiente che ci circonda. Per semplicità si potrebbe fare riferimento all’agricoltura biologica o biodinamica ma sono validi tutti i metodi che potremmo definire “naturali” e cioè che non usano prodotti chimici di sintesi, che risparmiano acqua e che consentono la coesistenza a tutti gli esseri viventi del Pianeta
  3. La produzione deve essere locale e i consumi devono essere “di stagione” perché i cibi trasportati per lunghe distanze, oltre a consumare enormi quantità di energia e di risorse, nel processo di lunga conservazione perdono una buona parte delle loro proprietà organiche e nutritive.

Diffidate da chi, adducendo le più diverse motivazioni, vi propone il contrario. Essi basano le convinzioni – quando non sono direttamente al soldo dei produttori – su ricerche scientifiche settoriali o finanziate in maniera dubbia che non hanno una visione olistica e che perdono di vista il fatto che…
… noi siamo natura e la natura è noi!

Linfen

Le miniere di carbone cinesi entrano nelle cronache mondiali solamente in occasione di tragici incidenti sul lavoro che provocano la morte di lavoratori nelle viscere della terra a causa di scoppi, crolli o altre tragedie disumane. Le notizie, dal comfort dei nostri uffici o delle nostre case, spesso ci scivolano addosso e la loro forza si diluisce nelle innumerevoli tragedie di umana natura. Pochi considerano, invece, il fatto che il carbone uccida anche al di fuori del sottosuolo, attraverso l’inquinamento.

Tra le venti città più inquinate al mondo sedici sono cinesi e l’altra faccia dell’enorme crescita economica della Cina non sono solo gli incidenti o la mancanza di diritti dei lavoratori ma il dramma dell’avvelenamento lento, inesorabile e spesso invisibile di una grande percentuale di popolazione che respira, si nutre e beve quanto viene riversato senza regole nell’ambiente.

A detta dei più autorevoli istituti di ricerca mondiali è Linfen, nella provincia dello Shanxi, la città più inquinata al mondo. Quella che fino agli anni Settanta dello scorso secolo veniva definita la “città della frutta e dei fiori” ora – a causa del carbone che è impregnato nel suo sottosuolo e che ha determinato in breve tempo l’apertura di migliaia di miniere – è la capitale del carbone cinese e per questo è un concentrato di veleni distribuiti tra aria (polveri di combustione, monossido di carbonio e azoto), acqua e suolo (arsenico, piombo, ceneri varie), portatori di gravi patologie per i cittadini.

Per quella parte di inquinamento che è visibile ad occhio nudo la città è costantemente ricoperta da una densa nebbia grigia e, anche nelle giornate “teoricamente” serene, la spessa coltre di smog conferisce al “paesaggio” un’atmosfera autunnale o temporalesca. La parte, invece, invisibile (quella più subdola che colpisce alle spalle senza essere percepita) si trova nella verdura, nella carne, nell’acqua, nella polvere di casa, sulla pelle e nel sangue dei cittadini. Inquinamento che in Cina, anche con la complicità del mondo occidentale che produce merci (spesso semilavorati) a bassissimo costo, fa milioni di morti ogni anno per patologie collegate direttamente o indirettamente all’inquinamento.

Dal punto di vista ambientale e igienico-sanitario la Cina sta vivendo quanto si è verificato in Europa e negli Stati Uniti durante la prima fase industriale e quello che presumibilmente vivrà l’Africa nella fase successiva del processo economico-industriale globale.

Gli ingredienti della pozione venefica sono oramai ben chiari e definiti e, per tali ragioni, il processo industriale deve radicalmente cambiare per approdare verso processi puliti che abbiano come punto di riferimento materie e sistemi produttivi che siano sostenibili perché derivanti da un’imitazione del funzionamento della natura piuttosto che da una sua continua forzatura.

 

Super-Io

Chi è in grado di immaginare quanto sia grande il numero 100.000.000.000.000.000.000 (cento trilioni (1))? In effetti l’impresa è piuttosto ardua anche per chi la matematica la mastica con una certa dimestichezza!

Le ragioni che mi spingono a parlare di tale numero sono dovute al fatto che esso rappresenta la quantità di batteri e virus che vivono normalmente in un corpo umano, numero che è addirittura circa 10 volte superiore a quello di tutte le cellule che lo compongono. Tali batteri e virus non possono vivere in nessun altro luogo e con il corpo di cui sono ospiti instaurano una serie di relazioni reciproche, qualche volta purtroppo anche negative e patologiche. Nella maggior parte dei casi, però, le relazioni sono simbiotiche e indispensabili per il corretto funzionamento in piena salute del corpo che dai batteri e dai virus ottiene incredibili benefici metabolici e protettivi.

In questi anni la ricerca scientifica (2), dopo aver compreso l’esistenza e l’importanza di tali relazioni, sta tentando di capire quali possano essere i principali legami che contribuiscono al corretto funzionamento del corpo e al suo mantenimento in piena salute anche se l’impresa risulta piuttosto ardua e, per ora, è abbastanza lontana dall’avere delle risposte certe sia per il numero elevato di specie da analizzare sia per il fatto che tali batteri e virus sono diversi, per circa il 15%, da individuo a individuo. Essi si sono evoluti con noi per viverci dentro e per scambiare tra le nostre cellule e tra loro stessi continue relazioni, assolutamente indispensabili per la loro e la NOSTRA vita.

Per tale motivo gli scienziati, anche se hanno solo abbozzato l’impianto di conoscenze su questi nostri amati ospiti, stanno cominciando ad eliminare dal loro lessico il concetto di “io” per sostituirlo con quello di “super-io”, una sorta di superorganismo che va oltre il concetto di “individuo” per giungere a quello di “ecosistema” costituito da un enorme numero di elementi integrati che operano come opera una foresta, la savana o l’oceano.

Date queste premesse non è difficile pensare che il sistema “corpo umano” con le sue cellule, i suoi batteri e virus e le loro innumerevoli relazioni reciproche sia qualche cosa che esula dalla tecnica e sia una sorta di ambiente misterioso molto delicato che anche micro inquinamento, errata alimentazione, eccesso di farmaci, stress o altri elementi perturbatori possano inevitabilmente alterare e, così facendo, ne possano diminuire la funzionalità fino a causare irrimediabile perdita di salute.

L’ecosistema corpo umano, però, rappresenta anche la metafora di aspetti che interessano il funzionamento del pianeta Terra e del mantenimento nel tempo della vita sullo stesso. La natura – che l’economia e la scienza al servizio dell’economia vuole vedere solo nella dimensione tecnica, caratterizzata da singoli elementi separati gli uni dagli altri: i metalli, i mari, il petrolio… da spremere il più possibile per trarre profitti e crescita – è invece una sorta di “organismo” fatto di relazioni reciproche continue che vanno dal livello micro a quello macro. Più le alteriamo facendo finta che non esistano più comprometteremo la continuità del benessere che abbiamo raggiunto o, peggio, anche la nostra sopravvivenza.

Mi sa che è giunta l’ora di pensarci seriamente e di agire per evitare il peggio!

(1) 1 trilione = 10 (elevato 18)

(2) es. il National Institute of Health statunitense

Foto: The Economist

Bisphenol A

Il bisfenolo A (BPA) è un composto chimico di sintesi fondamentale nella produzione degli additivi plastici e delle materie plastiche e, in particolare, del policarbonato, materiale utilizzato per la produzione di bottiglie (PET) e di numerosi altri contenitori per uso alimentare o per uso medico/ospedaliero.

La pericolosità per la salute umana del bisfenolo A è nota fin dagli anni ’30 del secolo scorso ma è solo a partire dagli anni ’90, dopo la pubblicazione di molte ricerche scientifiche sull’argomento, che vengono inquadrati gli ambiti su cui tale composto chimico di sintesi manifesta i propri effetti negativi: apparato endocrino, apparato riproduttore e azioni sul feto anche a basse dosi. Per esempio gli organi più colpiti sono la mammella, la prostata, il pancreas (diabete) e il fegato.

A causa dei suoi potenziali effetti negativi sulla salute il bisfenolo A è stato oggetto, nei recenti anni passati, di un’azione legislativa da parte dei principali stati europei volta ad eliminarlo da alcuni tipi di plastiche, in particolare quelle a contatto con alimenti caldi (microonde) o destinati all’uso dei neonati o lattanti (biberon) allo scopo di evitare che esso possa migrare nei cibi.

Quello che mi ha colpito recentemente, dopo aver fatto un acquisto in Francia, è aver ricevuto uno scontrino fiscale nel quale era ben evidenziato il fatto che la carta veniva garantita “sans Bisphenol A”, cioè senza bisfenolo A.

In realtà il fatto che la carta termica utilizzata per gli scontrini fiscali o per innumerevoli altri usi contenesse elevati quantitativi di tale agente chimico non era una novità. Quello che invece sorprende è che più la scienza si addentra con precisione nei meandri della produzione industriale più scopre elementi, talvolta voluti, altre volte indotti dal processo produttivo o dall’utilizzo, che possono essere estremamente nocivi per la salute da parte degli utenti.

Pertanto, per garantire salute e sicurezza all’uomo e all’ambiente, non è più sufficiente preoccuparsi di mettere al bando una certa sostanza pericolosa da un certo prodotto (magari disinteressandosi di altri prodotti simili) perché, col tempo, emergerebbero nuove e più gravi situazioni che devono essere tamponate e che a loro volta determinerebbero altre e nuove gravi situazioni in una spirale senza fine. È necessario, invece, riformare completamente il sistema industriale e portare la produzione verso più elevati standard di sostenibilità attraverso metodologie che imitino il funzionamento della natura e impieghino i materiali – quelli innocui per l’uomo, si intende – in essa reperibili.

L’eliminazione del bisfenolo A da alcune plastiche senza conseguenze produttive, prima, e dalla carta termica, poi, è la dimostrazione che tale obiettivo è concretamente praticabile fin da subito e, anziché deprimerlo, arricchisce il sistema economico-produttivo di nuove idee e di nuove conoscenze.

Mi sa solo che bisognerà vincere la resistenza delle lobby ed è per questo che, in questo periodo storico, in Europa abbiamo governi tecnici. (Sig!).

Foto: Scontrino fiscale di un negozio Carrefour (Francia)

 

Solas | Vernici naturali

Solas” in gaelico significa “luce, bianco, candore” e, non a caso, il primo prodotto creato è stato un’idropittura murale bianca dalla forte luminosità, dalla mano vellutata e dall’ottima resa.

Era il lontano 1993, anno in cui fu gettato il seme della Solas da parte di un gruppo di imprenditori mossi dal desiderio di creare prodotti per la casa che fossero efficaci ma anche compatibili con i tempi vitali e la delicatezza del Pianeta. In sostanza non si voleva dare solo una “veste naturale” ai prodotti ma piuttosto dotarli di un “cuore naturale” attraverso una reale ricerca verso uno sviluppo eco-compatibile.

I prodotti Solas, ottenuti con materie prime vegetali e minerali, sono totalmente esenti da solventi petrolchimici, resine acriliche, viniliche, alchidiche e da biocidi. Dal momento che Solas non utilizza sostanze tossiche o composti chimici non bio-compatibili ma solo ingredienti naturali semplici, i cicli di produzione sono brevi, l’impiego di energia è minore rispetto ai cicli di produzione dei prodotti convenzionali e le scorie sono completamente biodegradabili.

Per questo Solas può garantire che la produzione delle proprie pitture e delle proprie vernici sia a bassissimo impatto ambientale e che i propri prodotti, pur mantenendo elevate prestazioni tecniche, non sono nocivi per la salute dei lavoratori e degli abitanti della casa.

A garanzia di ciò Solas, in etichetta o nelle schede tecniche, dichiara volontariamente tutte le materie prime utilizzate e ciò risulta utile anche per individuare componenti nei confronti dei quali vi siano allergie, intolleranze o incompatibilità individuali.