Author Archives: Alessandro Adami
Il passaporto dei prodotti
Sussulto quando le mie orecchie sentono figure politiche del calibro di Janez Potočnik (Commissario europeo all’Ambiente) affermare che in Europa, per mantenere competitiva l’industria, è necessario cambiare il modo in cui si produce e si consuma. Il motivo del sussulto è che, dopo anni – forse già decenni – che “noi” ambientalisti lo diciamo, se ne sono finalmente accorti anche “loro”. Loro che, invece, fino ad ora, ci hanno sempre detto che tutto andava bene e che dovevamo essere solo più ottimisti.
La realtà dei fatti è che nel mondo – vuoi per l’emergere di nuove economie che ci fanno competizione, vuoi per la scarsità delle risorse che si profila, all’orizzonte, sempre più profonda – vi è sempre meno disponibilità di materie e, se si desiderano acquistare, i loro prezzi sono elevati.
L’idea che ha lanciato il Commissario Potočnik, spinto da alcuni paesi europei (tra cui l’Italia) e da alcune ONG, è quella di istituire una sorta di “Passaporto dei prodotti”, allo scopo di massimizzare l’uso delle risorse europee, il riciclo e il riuso dei materiali.
In sostanza l’idea del Commissario è quella di creare un’economia circolare delle risorse interne all’Ue, possibile solamente se, a monte, si conosce come è composto un prodotto e quali sono le modalità per disassemblarlo e riutilizzarne correttamente i materiali. Inoltre i prodotti devono anche essere (ri)progettati e fabbricati con l’idea di riutilizzarne poi i materiali che li compongono.
Secondo le stime della Ue da questa manovra si potrebbe ridurre realisticamente la richiesta di materiali fra il 17% e il 24%, aumentando il Pil e creando fra 1,4 e 2,8 milioni di posti di lavoro.
All’interno del progetto proposto potrebbero essere previste anche norme riguardanti l’uso di agenti chimici e prodotti pericolosi in agricoltura nonché azioni verso l’eliminazione progressiva dei sussidi nocivi per l’ambiente e la salute pubblica come quelli ai carburanti fossili, nel settore energetico nonché sull’uso dell’acqua in agricoltura e nell’industria.
Se dalle parole si passerà ai fatti si vedranno realizzare concretamente i principi della bioimitazione.
Chapeau!
L’Islanda ha ripreso la caccia alle balene
Greenpeace, la nota ONG ambientalista, sul suo sito internet riporta la notizia che l’Islanda ha da poco ripreso la caccia alle balene nonostante l’esistenza di un divieto alla caccia commerciale delle stesse stabilito dalla Commissione Baleniera Internazionale (IWC – International Whaling Commission).
Sempre secondo quello che riporta Greenpeace, il primo esemplare ad essere catturato è stato un maschio di balenottera comune (Balaenoptera pysalus) lungo più di 20 metri che è stato macellato nel porto di Hvalfjörður, vicino a Reykjavik.
Nonostante il fatto che la balenottera comune faccia parte della lista rossa delle specie minacciate di estinzione redatta da parte del IUCN (International Union for Conservation of Nature), i balenieri islandesi, in pieno disprezzo delle regole e sostenuti dal Governo del loro Paese, hanno intenzione di cacciarne quest’estate addirittura fino a 180 esemplari.
È da notare che la gran parte delle balene catturate in Islanda vengono inviate in Giappone dove, però, il consumo di carne di balena sta progressivamente calando e dove, in massima parte, vengono impiegate per la produzione di cibo per cani. A tale riguardo anche gli operatori turistici islandesi si sono espressi sull’argomento sostenendo che il whale watching porta al Paese decisamente più benefici economici rispetto alla caccia delle balene.
La questione della caccia alle balene è una questione che periodicamente torna alla ribalta e che rivela, a mio avviso, l’assurdità del nostro sistema economico-produttivo. Un sistema predatorio e distruttivo che non ha nessuna capacità di “vedere” (nel senso di osservare e capire) le relazioni profonde della natura, fatta di continui interscambi tra le specie viventi.
Sia ben chiaro che la caccia è un fenomeno assolutamente naturale che non voglio affatto demonizzare per preconcetto, ma farla mettendo a repentaglio una specie già a rischio vuol dire che l’uomo che la pratica non ha nemmeno a cuore il senso della propria sopravvivenza, tipico di ogni specie animale.
Dal momento che Bioimita si interessa di sostenibilità ambientale applicata ai prodotti e ai servizi, oltre a sviluppare la cultura e la conoscenza sulla materia, propone anche di boicottare con qualsiasi mezzo l’Islanda per le sue scelte in materia di caccia alle balene perché ritiene possa essere uno strumento commerciale efficace per far cambiare loro strategia.
Terre e Tradizioni | Prodotti alimentari
“Non applichiamo ciecamente la Tecnologia moderna a discapito della Tecnica, non ci evolviamo senza tener conto del nostro passato, non forziamo la natura delle cose danneggiando l’armonia donataci. Proveniamo dalla Terra e osserviamo il Cielo per capire se possiamo depositare il Seme. Ci soffermiamo sui significati profondi dell’Opera accordandoci con essa evitando il rischio di essere Note Stonate”.
Terre e Tradizioni nasce dall’unione di più operatori del settore agroalimentare e ha come obiettivo la creazione di una filiera virtuosa che controlli la qualità di ogni prodotto dal luogo di produzione sino al piatto del consumatore, valorizzando i produttori di eccellenza e la Civiltà Rurale, diffondendo la cultura della buona alimentazione e difendendo la salute di chi acquista i suoi prodotti.
I prodotti proposti sono:
- Paste pronte
- Pasta fresca e ripiena
- Pasta fresca senza uova
- Pasta secca
- Prodotti da forno
- Cous Cous e Semi
- Farine
Il carbone è un killer dei polmoni
Lo studio “Silent Killer” commissionato da Greenpeace all’università di Stoccarda ha dimostrato che il carbone è il killer dei polmoni (cioè della salute in generale) e del clima. I Paesi dove questo fenomeno è più intenso sono la Polonia, la Germania, la Romania e la Bulgaria.
Le oltre 300 centrali elettriche a carbone in funzione nell’Unione europea e le 52 in costruzione o in progettazione uccidono (e uccideranno) prematuramente circa 22.300 persone l’anno, circa 60 al giorno che corrispondono a 5 persone ogni 2 ore. I gas e le micro polveri emesse determinano, inoltre, la perdita di 5 milioni di giornate lavorative l’anno per malattie.
In più il carbone avvelena pesantemente anche il clima visto che, a parità di energia prodotta, le sue emissioni di CO2 sono più che doppie rispetto a quelle del metano.
Come afferma Andrea Boraschi, responsabile della campagna Energia e Clima di Greenpeace Italia, « Lo studio è l’ennesima prova che il carbone pulito sbandierato dalle compagnie energetiche non esiste. Il carbone è una delle principali cause di avvelenamento dell’aria e per salvare i nostri polmoni dobbiamo mettere fine all’era del carbone e avviare una radicale rivoluzione energetica».
Le centrali a carbone producono un quarto dell’energia elettrica consumata nell’Ue, ma emettono il 70% degli ossidi di zolfo e più del 40% degli ossidi di azoto provenienti dal settore elettrico. Inoltre le circa 300 centrali europee sono la fonte di quasi la metà di tutte le emissioni industriali di mercurio, di un terzo di quelle di arsenico e producono quasi un quarto del totale delle emissioni europee di CO2. L’Agenzia Internazionale dell’Energia (IEA) il 10 giugno scorso ha reso noto che nel 2012 le emissioni di CO2 provenienti dalle centrali elettriche sono aumentate, nel mondo, dell’1,2%.
Lo studio “Silent Killer” è la prova lampante che non esistono centrali a carbone né di terza né di quarta e né di quinta generazione che si possano definire innocue per la salute della popolazione. Se è vero che quelle più evolute dal punto di vista tecnologico sono un po’ migliori rispetto a quelle degli anni precedenti, è anche vero che, di fondo, si poggiano su un fondamento sbagliato: quello della combustione, sulla quale NON si fonda il corretto funzionamento della natura. Di cui i morti, i malati e le alterazioni del clima ne sono una prova evidente!
In questa triste notizia si può però intravvedere una luce di speranza che ben presto il carbone verrà eliminato dalla scena europea. Basandosi sugli andamenti storici della produzione di energia elettrica in Europa è possibile definire uno scenario per l’anno 2030 che si fonda sui seguenti pilastri (si veda il grafico):
- aumento delle rinnovabili, secondo il trend esponenziale degli ultimi 20 anni
- calo del nucleare, secondo il trend decrescente degli ultimi 7 anni
- aumento del gas, secondo il trend attuale
- diminuzione del carbone, con una riduzione annua del 10%
- diminuzione dell’olio combustibile (petrolio), fino ad azzerarsi nel 2025
- i consumi totali rimarranno più o meno stabili grazie all’aumento dell’efficienza energetica e alla moderazione dei consumi individuali.
L’uso del carbone per produrre energia è, in proiezione, già consegnato alla storia. Spetta a noi chiedere ai decisori politici che il processo sia il più veloce possibile per evitare inutili sofferenze umane e danni all’equilibrio del clima.
_____
Grafico: EcoAlfabeta
Foto: www.ecologiae.com
Fonte: Greenpeace, EcoAlfabeta
Grigiante CasaBio | Mobili e accessori
“Siamo falegnami e amiamo il nostro lavoro di artigiani. Creiamo luoghi dove i nostri clienti passeranno molto tempo della loro vita sapendo che questa è una grande responsabilità. Rispettiamo questo mondo che ci dà le materie prime necessarie per fare il nostro mestiere”.
Ci sono molti modi per produrre un letto, un tavolo o una scrivania. Grigiante CasaBio è convinto che dormire, mangiare, studiare su un mobile ecologico, prodotto con cura, sensibilità e attenzione può fare la differenza, sia in termini di salute che di ambiente.
La materia prima impiegata per la produzione dei mobili è il legno: una risorsa robusta, accogliente, calda, profumata, ma anche rinnovabile. Il legno impiegato è massello proveniente esclusivamente da coltivazioni controllate che non contribuiscono alla deforestazione di foreste vergini.
Grigiante CasaBio utilizza solamente colle viniliche e tratta i mobili solo con olio-cera impregnante Auro e, come finitura, balsamo di cera d’api e cera vegetale.
Grigiante CasaBio, con la stessa filosofia ecologica, propone anche complementi d’arredo per il riposo, per lo studio e il relax.
Il disco rotto
A casa non ho la televisione ma quando dormo in albergo per missioni di lavoro (1) mi capita spesso di trascorrere le mie serate, stanco e svogliato, in camera davanti all’elettrodomestico infernale. Ciò che mi attrae di più (mi potrei vedere un bel film ma, lo so, sono masochista) sono le trasmissioni dove si dibatte di politica e di società: i cosiddetti talk-show dove un giornalista spesso finge di domare eminenti politici o influenti opinionisti che dibattono della loro visione del mondo e dove spesso finge anche di fare, con domande ovvie e preconfezionate, il suo mestiere di giornalista/“mastino del potere”.
Questa routine si ripete da anni e da anni vedo sempre gli stessi politici, gli stessi giornalisti, gli stessi sindacalisti, gli stessi opinionisti, gli stessi esperti economici che si illudono di convincere i telespettatori delle loro idee e delle loro ricette “per il bene degli italiani” e “per le riforme del Paese”, senza rendersi conto che, invece, cercano solo di autoconvincere sé stessi sulla bontà dei concetti espressi, spesso invece ovvi e banali. Questo, sia ben chiaro, non vale per tutti, ma per una buona parte di loro è assolutamente vero.
Ad avere una macchina del tempo potremmo mettere la manovella in una serata a caso di questi ultimi trent’anni e potremmo osservare la circolarità dei discorsi televisivi. Una sorta di disco rotto che, arrivato al difetto, ritorna al punto di partenza in una sequenza infinita, lamentuosa e cacofonica.
Ad osservarli bene gran parte dei loro discorsi sono incentrati sulle questioni economiche e sociali: la crisi, le tasse, la casa, la giustizia, il lavoro relativamente ai quali partoriscono solamente soluzioni semplicistiche che non hanno né un riferimento al passato (per capire l’andamento dei fenomeni e gli errori) né una proiezione nel futuro (per sognare un risultato), ma poggiano esclusivamente nel presente. Quasi mai si parla di etica (quella vera), di responsabilità (è sempre quella degli altri) e di credibilità della politica (quella vera), che impone anche le dimissioni dell’esponente incauto (o furbo) prima che la giustizia abbia esaurito il suo corso.
Mai si parla di quella che, secondo il mio modesto parere, è la causa prima dei diversi sintomi osservabili intorno a noi: i limiti dello sviluppo (2) e l’insostenibilità complessiva del nostro sistema economico, produttivo e sociale. Se non capiamo questo e non iniziamo seriamente ad interrogarci sul fatto che per risolvere il problema del lavoro, il problema delle tasse, dei servizi, della competitività, della scuola il sistema deve essere radicalmente riformato, non ne veniamo fuori.
Cari commentatori (almeno voi che avete la mia stessa percezione) non abbiate paura ad iniziare a parlarne perché, volenti o nolenti, è giunto il tempo di cambiare il disco e di suonare una musica nuova.
_____
(1) Oramai quasi settimanalmente
(2) Nel 1972 il Club di Roma aveva commissionato ad eminenti scienziati del MIT di studiare quali fossero le prospettive future dell’umanità, basandosi sul contesto economico e sociale del tempo. Tale rapporto fu pubblicato con il titolo “I limiti dello sviluppo“.
TOSA | Autobus elettrico
TOSA (Trolleybus Optimisation Systeme Alimentation) è il primo autobus a grande capacità di trasporto 100% elettrico che non necessita della linea aerea di contatto. Sviluppato in Svizzera da OPI (l’Ufficio per la promozione di Industrie e Tecnologie) – che funge da coordinatore – da ABB (che fornisce la tecnologia), da SIG Ginevra (distributore di energia) e TGP (società di trasporto pubblico di Ginevra), l’autobus è dotato di un sistema di ricarica rapida che non prevede arresto del mezzo ma che avviene direttamente alle fermate in pochi secondi, circa 15. In pratica, fintantoché le persone salgono e scendono alle fermate, un braccio mobile a controllo laser si connette al mezzo e gli fornisce energia sufficiente per raggiungere la fermata successiva dotata di dispositivo di ricarica. Il tempo di carica è così rapido che non interferisce con l’orario degli autobus. Inoltre migliora l’ambiente e il paesaggio urbano per l’assenza di linee aeree e garantisce, al gestore dei trasporti pubblici, maggiore flessibilità nella scelta dei percorsi rispetto ad un tram o autobus elettrico tradizionale. Una parte dell’energia viene inoltre recuperata, come nella tecnologia “ibrida”, in fase di frenata del veicolo.
L’energia è poi stoccata in batterie di accumulo posizionate sul tetto che forniscono ad un autobus di 133 posti totali l’autonomia necessaria per circolare in città senza produrre inquinamento e rumore.
Ovviamente l’autobus è a zero emissioni di carbonio (CO2) se l’energia elettrica che lo alimenta viene prodotta da fonti rinnovabili.
Per ora si tratta di un prototipo messo in strada per effettuare dei test sul campo ma può rappresentare un ottimo punto di partenza per rivoluzionare i trasporti pubblici e i mezzi che li caratterizzano, oramai entrambi obsoleti.
Mi auguro che anche il sindaco della mia città – Verona – riesca a cogliere questa opportunità e si muova per realizzare un sistema di trasporto pubblico urbano all’avanguardia.
Sfalcio
Lo spiegamento di uomini e di mezzi è notevole. In più transennamento di strade, deviazione del traffico, cartelli stradali, lampeggianti, polvere e rumore.
Non si stanno descrivendo né operazioni straordinarie dell’esercito né trasporti eccezionali o lavori di costruzione di ponti o di gallerie. L’immagine riguarda “semplicemente” le operazioni di sfalcio meccanico dell’erba ai bordi delle strade, soprattutto quelle ad elevata percorrenza.
A cosa servirà mai tutto ciò?
Ad evitare terribili incidenti stradali? Mi sa proprio di no (tranne nelle aree sensibili di incroci o rotatorie). Ad evitare pandemie per la popolazione a causa di una qualche spora o polline sconosciuti? Sicuramente no. Ad abbellire i cigli delle strade? Forse (per qualcuno).
Essendo dubbioso sulla vera utilità di tali operazioni mi viene il sospetto che le immani operazioni stradali siano un sistema utilizzato dalle amministrazioni e dagli Enti di “dare lavoro”, attraverso gli appalti piuttosto che attività dotate di una qualche importante utilità sociale. Sistema che, a causa della sua indubbia utilità e degli sprechi che incorpora, potrebbe, a mio avviso, essere dirottato verso altro.
Se si volesse anche cambiare la prospettiva sui vegetali (che qualcuno chiama anche “erbacce”) presenti ai bordi delle strade, si può notare come, a ben guardarli, rappresentino anche un relitto di biodiversità. Con i loro fiori colorati, con le loro specificità locali (adattabilità ai climi secchi o umidi, freddi o caldi oppure ai terreni) rappresentano un mondo che faceva parte di un passato e che ora, a causa dell’agricoltura industrializzata e dell’antropizzazione spinta, non esiste (quasi) più.
L’analisi di questo articolo non ha certo la pretesa di ritornare ai tempi dei nostri nonni perché migliori. Il suo scopo è quello di far luce sulla necessità che, anche in ambiti inaspettati, si cominci ad avere la percezione dell’importanza della natura (manifesta attraverso la sua diversità) e del ruolo che essa ha nella vita dell’uomo e nel mantenimento del suo benessere. Ad esempio tra quelle piante si potrebbero “nascondere” erbe con proprietà medicinali attualmente non conosciute.
In più, dobbiamo iniziare anche a considerare il fatto che un ambiente selvatico lasciato libero alle proprie dinamiche sia anche bello da vedere e doni alle nostre strade e all’ambiente che viviamo un tocco originale di “paesaggio”.
Freitag | Borse e accessori
I fratelli Markus e Daniel Freitag – designer grafici – erano alla ricerca di una borsa funzionale, impermeabile e resistente che consentisse loro agevoli spostamenti in bicicletta per la città, caratterizzata da abbondanti piogge. Siamo nel 1993 a Zurigo dove, ispirati dal traffico dei coloratissimi mezzi pesanti che passavano davanti al loro appartamento, i due fratelli Freitag decisero di cucire una borsa utilizzando vecchi teloni di camion, realizzarono la tracolla con cinture d’auto usate e le bordature con una vecchia camera d’aria di bicicletta. Nacque così, da un’esigenza personale e da uno spiccato senso del recupero dei materiali, un’azienda che ancora oggi opera nel centro della città di Zurigo, che conta sulla collaborazione di più di 150 collaboratori e che produce circa 50 modelli di borse e numerosi accessori per uomo e donna.
Ogni anno per la produzione delle circa 400.000 borse e accessori vengono impiegati:
- 440 tonnellate di teloni di camion che hanno viaggiato sulle strade di tutto il mondo (corrispondenti ad una colonna di camion di 110 km);
- 35.000 camere d’aria di bicicletta usate
- 288.000 cinture di sicurezza scartate
- 1.200 m2 di air-bag riciclati.
I prodotti FREITAG, che data le loro caratteristiche costruttive sono pezzi unici semi artigianali, sono venduti in tutto il mondo sia in oltre 450 negozi che attraverso lo shopping on-line.
In merito al perché della produzione di borse dai rifiuti Markus afferma: “Nel 1978 nostro padre ci ha mostrato come funziona una compostiera e per noi è divertente pensare e agire in cicli. Da qui è nata la consapevolezza che l’immondizia, nel migliore dei casi, diventa qualcos’altro. Poiché sino ad oggi non ho mai guidato un’auto, ma solo biciclette, so che a volte nella vita serve una borsa robusta, resistente all’acqua e funzionale”.
In merito alla sostenibilità Daniel afferma: “Chiunque si occupi seriamente del concetto di sostenibilità comprende rapidamente che tutto ciò non ha nulla a che vedere con un pensiero a breve termine. Esistono degli interventi ecologici sensati realizzabili a breve termine, ma moltissimo deve essere pensato a lungo termine con una visione globale. Sono convinto che ciò sia essenziale per l’ambiente e per la società e che queste strategie si diffonderanno ampiamente”.
Lampione. Ma quanto ci costi?
Quanto ci costa, in termini economici e in termini di inefficienza energetica, illuminare le nostre città di notte?
Per tenere accesi lampioni e semafori le amministrazioni italiane spendono oltre 1 miliardo di euro l’anno, pari a circa 20 euro per ogni abitante del Bel Paese. Secondo l’ENEA (Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile) le luci stradali notturne consumano circa il 12% di tutta l’energia impiegata per l’illuminazione in generale. Gran parte viene utilizzata per i lampioni (90%) mentre una minima parte va a finire nei semafori (10%).
Al di là dell’aspetto economico (ad es. un Comune di 10.000 abitanti spende indicativamente 200 mila euro l’anno), ciò che questi dati dimostrano è l’inefficienza energetica e gli sprechi che tale pratica incarna, spesso dovuta a vecchie tecnologie, a mancati investimenti, a incapacità della classe politica di fare delle scelte adeguate, all’idea della sicurezza cavalcata da alcuni movimenti ideologici, alla pratica elettorale di accontentare tutti i cittadini (anche quelli che vivono in luoghi isolati) per ottenere voti e consenso.
I risultati, dopo decenni di mediocrità generalizzata, sono i seguenti: in Italia vi è un consumo annuo di energia pro capite per illuminazione pubblica pari a 105 kWh, più del doppio rispetto a quello della Germania che si attesta intorno a 42 kWh. Punto!
Per invertire la rotta e consentire risparmi generalizzati, tanto salutari sia per i bilanci comunali (e indirettamente per diminuire la pressione fiscale) che per la sostenibilità ambientale ottenuta attraverso l’efficienza energetica, sarebbe necessario iniziare da subito ad applicare le seguenti iniziative:
- razionalizzare la quantità di lampioni a quelli strettamente necessari (*);
- migliorare i corpi illuminanti dei lampioni installando tecnologie meno energivore;
- applicare tecnologie di controllo dei lampioni che consentono di regolare l’intensità dell’illuminazione sia sulla base dell’ora della notte (in piena notte è meno necessario illuminare) che al traffico di auto e dei pedoni presenti;
- impiegare maggiormente tecnologie a pannelli fotovoltaici con sistemi di accumulo dell’energia per consentirne utilizzi notturni.
«Si stima che con l’attuazione di interventi idonei a rendere il sistema più efficiente – spiega Giovanni Lelli, commissario ENEA – si possano ridurre i consumi del 30%, con una diminuzione consistente del fabbisogno di energia che comporterebbe un risparmio economico di circa 400 milioni di euro ogni dodici mesi».
È vero che dobbiamo riformare i costi della politica e della “casta”, ma i veri danni che i cattivi amministratori fanno sono più quelli che paralizzano l’innovazione e l’efficienza attraverso scelte senza senso o, peggio, fatte solo nell’ottica di aiutare gli amici degli amici degli amici.
_____
(*) l’illuminazione notturna necessaria è quella urbana e quella agli incroci che consente sicurezza a pedoni biciclette, mentre è del tutto superflua quella sulle strade secondarie.
Antico Molino Rosso | Farine
Antico Molino Rosso è un’azienda che opera nell’ambito della macinazione delle farine che si trova a Buttapietra, in provincia di Verona. La struttura originaria del molino risale al XVI secolo e, attualmente, è ancora presente e funzionante una ruota a pale del 1858. L’impianto dedicato alla molatura dei cereali e alla produzione della farina rigorosamente di origine biologica si compone di numerose macine a pietra ristrutturate, risalenti alla prima metà del ‘900.
La passione di Gaetano Mirandola – il proprietario – verso un’alimentazione sana ed equilibrata, unita alla consapevolezza dell’importanza della coltivazione biologica e della riscoperta di vecchi cereali (quasi) dimenticati, ha fatto sì che attualmente Antico Molino Rosso rappresenti un’importante realtà nella produzione di farine biologiche.
L’azienda, oltre alla produzione di farina, si propone anche:
- di sensibilizzare ed incoraggiare le aziende agricole a coltivare con il metodo biologico e di trasmettere loro i valori della sostenibilità ambientale;
- di recuperare e valorizzare le vecchie varietà di cereali (grano, farro, khorasan KAMUT®, riso, avena, orzo, grano saragolla, grano duro, grano Senatore Cappelli, Akrux®, segale, piccolo farro);
- di realizzare corsi di formazione formazione sull’importanza dell’agricoltura biologica, sia nei confronti dei professionisti del settore che dei consumatori.
Antico Molino Rosso si occupa anche di ricerca sui cereali e sulle farine mettendo a punto particolari ricette per panificatori e pizzaioli.
Global Wind Day (Giornata Mondiale del Vento)
Siamo oramai giunti alla settima edizione del “Global Wind Day”, la Giornata Mondiale del Vento, che si terrà oggi, 15 giugno.
Per fornire qualche dato interessante, nel 2012, a livello mondiale, la produzione di energia dal vento ha raggiunto i 520 TWh (di cui 200 TWh di produzione europea) e sta crescendo con andamento esponenziale tanto che, alle cifre attuali, raddoppierà in 3 anni.
L’energia prodotta dal vento è un’energia pulita che, nel rispetto del 1° principio della bioimitazione, direttamente non produce alcun gas climalterante (CO2 o metano) e alcun inquinamento. Inoltre essa è generatrice di lavoro distribuito sul territorio, sia in fase di installazione delle pale che in fase di manutenzione periodica delle stesse.
Eppure, nonostante ciò, secondo il Global Wind Energy Council (GWEC), per ogni euro di finanziamento governativo alle energie rinnovabili, le energie fossili ricevono ben 6 euro.
Per far sentire la propria voce e le proprie sacrosante ragioni basate sulla sostenibilità ambientale e sul benessere sociale, il GWEC ha lanciato un appello al G8 che si terrà la prossima settimana a Belfast, chiedendo ai Capi di Stato che venga ridotto progressivamente il sostegno pubblico alle fonti fossili (petrolio, gas e carbone) ed venga aumentato contestualmente quello nei confronti delle fonti rinnovabili. Quelle vere, che non includono l’incenerimento dei rifiuti.
Per dare peso alle proprie richieste il GWEC ha creato una campagna di sensibilizzazione dei cittadini e della politica.
Non perdere l’occasione di essere parte del cambiamento. Aderisci anche tu!
_____
Fonte: EcoAlfabeta
Il mancato ritorno delle rondini
Si sono appena concluse, con i ballottaggi, le elezioni amministrative per la nomina dei sindaci e delle giunte comunali.
Nella campagna elettorale si è parlato, come al solito, di infrastrutture, di ospedali, di progresso, di piani di assetto del territorio, di patto di stabilità, di servizi, di biblioteche, di concessioni, di mense scolastiche, di sicurezza e chi più ne ha più ne metta.
Nel mio comune nessuno tra i candidati – ma credo che in Italia siano stati molto pochi a farlo – si è preoccupato anche del mancato ritorno delle rondini.
E questo è un grave problema perché se vogliamo veramente intraprendere quella “rivoluzione ecologica” da molti invocata come soluzione alla crisi economica, ecologica e sociale di questi anni, non possiamo tralasciare anche questi temi che sembrerebbero apparentemente insignificanti rispetto alla cassa integrazione, alla chiusura delle attività produttive o ai tagli alla sanità ma che, invece, rispecchiano un nuovo approccio, indispensabile per poterla realizzare compiutamente. La “rivoluzione ecologica” si avrà solo attraverso una radicale modifica dell’atteggiamento culturale e non potrà invece assolutamente realizzarsi se rimarranno inalterate le fondamenta ideologiche che ci hanno portato in questo pantano.
Sagre e feste paesane insostenibili
Con l’arrivo dell’estate si apre la stagione delle fiere, delle sagre e delle feste paesane che dal nord al sud del Bel Paese allieteranno piacevolmente le serate in ricordo di santi patroni o di antiche tradizioni enogastronomiche locali dove, anche nel più sperduto angolo d’Italia, si è elaborato un cibo leggermente diverso da quello del paese vicino.
Le sagre, si sa, rappresentano anche sistemi molto criticabili messi in atto dalle Pro-Loco o dalle associazioni per generare, talvolta, una discutibile economia locale e raccogliere ingenti guadagni, spesso esentasse e al di fuori delle regole autorizzative ed igieniche. Ecco allora spuntare feste della birra dove quest’ultima non viene prodotta; ecco spuntare feste per ogni anonimo quartiere o strada; ecco spuntare feste della polenta, feste della costina, dell’asparago, della lumaca o della lepre dove questi prodotti o questi animali non si erano mai visti.
Ad un attento osservatore quello che impressiona di tali feste e al quale bisogna assolutamente dire “BASTA!”, è l’enorme quantità di rifiuti non differenziabili che in esse si utilizzano e la scarsa differenziazione del materiale riciclabile che le caratterizza. Basta fare un giro dietro le quinte o nei pressi delle cucine per appurare la montagna di sacchi di spazzatura prodotti!
Piatti, bicchieri, posate, tazzine del caffè, tovaglie, coprivassoi pubblicizzati, bottiglie di plastica e chi più ne ha più ne metta, vengono raccolti in sacchi di materiale indistinto, senza che vi sia un minimo accenno alla raccolta differenziata (anche se molti materiali sarebbero in sé facilmente differenziabili). E spesso senza che qualche amministratore locale dica poco o nulla, anche presso quei Comuni dove vi è una raccolta differenziata molto spinta (porta a porta) dei rifiuti.
Personalmente ritengo che il solo riciclo dei rifiuti non sia la vera e unica soluzione al problema e, pertanto, sono convinto che, per rendere le sagre sostenibili, si debbano stabilire da subito delle regole ben chiare che provo ad elencare in ordine di importanza:
- favorire l’utilizzo di piatti, bicchieri e posate lavabili e riutilizzabili;
- per i prodotti usa e getta vietare l’uso di quelli in materiale plastico non riciclabile e obbligare l’uso di quelli compostabili;
- sanzionare chi non effettua la raccolta differenziata dei rifiuti.
A noi cittadini spetta il compito di non frequentare, boicottandole, quelle sagre, fiere o feste paesane che non adempiano a tali principi e che non perseguano concretamente il percorso verso la sostenibilità ambientale.
_____
Foto: www.igorvitale.org
Compensare i costi ambientali delle vacanze
Fare il turista e viaggiare per piacere (e non per le più disparate e tristi necessità migratorie) è una delle più importanti conquiste raggiunte attraverso il benessere economico.
Viaggiare per il piacere di conoscere altri luoghi, altri popoli, altri cibi, altre lingue, altre abitudini dalle proprie è un’importante scuola di vita. Senza la quale, personalmente, non potrei vivere.
Quando poi si inizia ad assaporare il piacere del viaggio e della scoperta si è portati, nel tempo, a cercare sempre nuove mete che, inevitabilmente, possono portare anche molto lontano.
Ovviamente il viaggio che ho in mente è il più possibile sostenibile dal punto di vista ambientale e sociale, senza inutili pretese, lussi ed eccessi. Viaggiare però, soprattutto con gli aerei e con i mezzi a motore, comporta inevitabilmente la combustione di grandi quantità di carburante e l’immissione in atmosfera di CO2 nonché un minimo impatto ambientale che il vero viaggiatore – colui che dal viaggio desidera trarre un insegnamento di vita – deve in qualche modo cercare di evitare.
Nella mia esperienza, che vorrei condividere, ho deciso che ogni viaggio di piacere incorpora un costo occulto di poche decine di euro (l’entità dipende dal tipo di viaggio) che verso ad una associazione ambientalista o ad un ente serio che si occupa di compensare la CO2 attraverso la creazione di parchi e foreste in giro per il mondo (1).
Non si tratta di lavarmi semplicemente la coscienza ma di valutare con razionalità che il soddisfacimento di un mio piacere non può compromettere la qualità della vita di altre persone che, come me, vivono su questa grande palla verde-blu.
_____
(1) I miei versamenti li ho fatti (e li farò) a: Greenpeace; WWF; Survival
Mooncup | Coppetta mestruale riutilizzabile
La Mooncup è una coppetta mestruale riutilizzabile realizzata in morbido silicone medico. Rispetto ai normali tamponi e assorbenti usa e getta i vantaggi della Mooncup sono:
- È ecologica perché limita la produzione dei rifiuti legati al ciclo mestruale (1). Oltre ai tamponi e agli assorbenti si limitano anche gli imballaggi.
- È amica della salute perché è prodotta in silicone medico senza lattice, sbiancanti, BPA, ftalati, plastica, candeggine o altre tossine. La Mooncup è certificata ISO 13485:2003.
- È pratica perché assorbe almeno il triplo dei normali tamponi o assorbenti usa e getta.
- È economica perché dura anni ma ha un costo che equivale a quanto una donna spende in 6 mesi per tamponi o assorbenti usa e getta.
Si pensi che la prima coppetta mestruale riutilizzabile fu creata dall’attrice americana Leona Chalmers nei primi anni ’30, all’incirca nello stesso periodo della commercializzazione del primo tampone. Quest’ultimo ha però avuto un enorme successo commerciale perché l’industria era molto allettata dall’idea di un prodotto usa e getta che potesse garantirle guadagni nel tempo, sul quale ha investito enormi quantità di denaro per il marketing e la comunicazione. È stato solo negli anni ’80, con l’emergere della sensibilità ecologica, che alcune donne hanno iniziato a cercare idee alternative. In questo periodo l’inglese Su Hardy, durante un viaggio in Australia, scopre una coppetta in lattice che, tornata in patria, inizia ad importare e a diffondere. È così che nasce la Mooncup, attualmente distribuita in oltre 50 paesi del mondo.
_____
(1) Nel corso della sua vita ogni donna utilizza circa 11.000 tamponi o assorbenti (tenendo conto che ad ogni ciclo ne vengano utilizzati 22).
Lucciole
Non so chi abbia stessa fortuna che ho io di avere, in questo periodo dell’anno, le lucciole nel proprio giardino. Sono animali splendidi, effimeri, delicati, anonimi di giorno ma che, al calar del buio, con quel loro corpo nero affusolato, dall’addome producono un fascio luminoso pulsante.
Vederle volare, la sera, è uno spettacolo che toglie di dosso lo stress di una dura giornata di lavoro o le preoccupazioni più diverse.
Le lucciole, però, sono sempre meno frequenti nei nostri giardini o nelle campagne. Per le cause più diverse che sarebbe difficile elencare. Ne è prova la scienza, ne è prova sia la mia esperienza personale sia i racconti di nonni e genitori che narrano di averne viste in grandi quantità nella loro infanzia. Della loro scomparsa ne parlò anche Pier Paolo Pasolini in un articolo del 1 febbraio 1975 pubblicato sul Corriere della Sera.
Mi chiedo se noi, che siamo andati sulla luna (forse!?), che voliamo in poche ore da un paese all’altro, che effettuiamo trapianti di organi, che comunichiamo in tempo reale da un continente ad un altro, ci possiamo permettere di chiamare “progresso” anche la perdita delle lucciole!
La vera green economy non è quella che si autoincensa di perseguire la sostenibilità ambientale senza in realtà mutare nulla rispetto al passato o creando addirittura problemi più gravi ma è quella che si preoccupa, nell’ambito del progresso dell’uomo, anche della difesa di esseri apparentemente insignificanti come le lucciole. Sembra difficile da comprendere ma la nostra sopravvivenza passa anche attraverso la loro difesa.
_____
Mobili in Cartone
“Dacci un cartone e noi facciamo un mobile” recita il sito www.mobilicartone.it.
I mobili proposti sono pensati per allestire fiere, creare eventi, arredare show-room temporanei ma nulla esclude che possano essere usati anche in ambito lavorativo o domestico. L’idea è quella di evitare grandi sprechi di materiale impiegando un materiale – il cartone (1) – che è:
- ecologico
- riciclato
- riciclabile
- leggero
- economico
Il cartone utilizzato è ondulato a triplo strato (per essere sufficientemente resistente) e può essere personalizzato con stampe digitali o altri elementi di decoro. Esso è leggero, facile da trasportare e da incollare e, a fine vita, è completamente riciclabile. I mobili vengono consegnati piatti e pre-piegati, subito pronti per essere montati e incollati.
I tavoli sono testati per carichi intorno ai 30 kg statici; lo sgabello è testato per 90/100 kg di peso distribuito. In ogni caso tutti i mobili non sopportano pesi puntiformi che possono bucarli o ammaccarli.
Mobili in Cartone è stata la prima iniziativa in Italia a commercializzare via web prodotti interamente realizzati in cartone (riciclato all’80% e riciclabile al 100%).
_____
(1) Secondo un’analisi del ciclo di vita (LCA) del cartone ondulato, per ottenere 1 kg di cartone occorrono 260 grammi di legno. Sulla base di diversi studi di LCA l’energia per la produzione di 1 kg di pannelli di legno è paragonabile a quella per 1 kg di cartone. Il risparmio energetico deriva dalla minore quantità di materiale utilizzato.
Yanomami
Gli Yanomami sono un popolo indigeno che vive nella foresta pluviale di aree remote del nord del Brasile e del sud del Venezuela. Essi abitano in grandi case comuni che possono ospitare fino a 400 individui la cui area centrale viene utilizzata per attività rituali, feste o giochi nonché per il fuoco collettivo attorno al quale vengono appese le amache dove la gente si tiene al caldo durante la notte. Ogni famiglia dispone poi di uno spazio proprio dove prepara e cucina il cibo durante il giorno. Gli Yanomami, che vivono in comunità indipendenti le une dalle altre, credono fortemente nell’eguaglianza delle persone. Infatti non riconoscono capi e le decisioni vengono prese mediante consenso che si perfeziona anche dopo lunghi dibattiti dove tutti possono prendere la parola.
Come tutte le tribù amazzoniche i compiti sono divisi tra i sessi: gli uomini cacciano e spesso usano il curaro per avvelenare le loro prede (tapiri, cervi, scimmie, pècari). La carne rappresenta solo il 10% del cibo degli Yanomami ma viene considerato un alimento molto prezioso soprattutto per la gestione delle relazioni sociali. Infatti nessun cacciatore mangia la carne che ha cacciato ma la divide tra i propri famigliari e i propri amici. In cambio riceve la carne per sé da altri cacciatori. Le donne invece gestiscono gli orti dove coltivano circa 60 specie di piante dalle quali ricavano l’80% del cibo di cui la famiglia ha bisogno. Inoltre si occupano della raccolta delle noci, delle larve di insetti e delle conchiglie. Il miele è molto apprezzato per le sue proprietà energetiche e curative e gli Yanomami ne raccolgono ben 15 specie diverse.
Sia gli uomini che le donne pescano e normalmente usano il veleno per le battute di pesca collettive che consistono nello sbattere dei fasci di edere sulla superficie dell’acqua per attrarre i pesci che vengono storditi dal liquido velenoso e infine raccolti. Si pensi che vengono addirittura utilizzate 9 specie differenti di edera per tale tipo di pesca.
Gli Yanomami hanno un’immensa conoscenza botanica e utilizzano quasi esclusivamente la foresta (circa 500 piante) per tutti gli scopi della loro esistenza. Le piante selvatiche commestibili sono utilizzate regolarmente per integrare quelle coltivate negli orti e diventano particolarmente importanti quando gli Yanomami viaggiano lontano dai loro villaggi. Il legno è usato per costruire case, utensili e armi, ma anche come combustibile e per molti altri scopi. Varie specie fibrose sono utilizzate per realizzare corde e fasce, per intrecciare cesti e amache temporanee. Da molte altre specie poi ricavano tinture, veleni, medicine, pitture per il corpo, tetti, profumi, droghe allucinogene e così via. Essi si sostengono in parte attraverso la caccia, la raccolta e la pesca ma la maggior parte del fabbisogno alimentare deriva dalla coltivazione di piante in grandi orti ricavati nella foresta che rinnovano ogni 2/3 anni a causa del fatto che il suolo dell’Amazzonia non è molto fertile.
Il mondo spirituale ha un ruolo fondamentale nella vita degli Yanomami. Ogni creatura, pietra, albero o montagna possiede uno spirito. Talvolta gli spiriti sono malevoli e gli Yanomami ritengono che essi siano la causa delle malattie.
In merito alla conoscenza (1) che gli Yanomami hanno dell’ecologia della foresta si può osservare, ad esempio, che sanno quali sono gli alberi che, una volta caduti e in fase di decomposizione, ospitano larve d’insetto commestibili (a volte li fanno cadere deliberatamente a questo scopo). Conoscono le specie che nutrono la popolazione dei bruchi commestibili in certi periodi dell’anno, e quali sono i fiori preferiti dalle numerose specie di api da miele selvatico che loro riconoscono. Tuttavia, non è solo una conoscenza utilitarista: gli Yanomami sono grandi osservatori della natura e nel corso di tutta la vita continuano ad accumulare conoscenze sulle complesse relazioni tra piante e animali, sulla base delle proprie esperienze dirette.
Tale loro conoscenza li porta ad avere un impatto totalmente sostenibile sull’ambiente circostante in quanto parte di un sistema instaurato da molto tempo e sviluppato in modo tale da impedire loro di rimanere a corto di risorse. Quando gli animali scarseggiano, spesso la comunità si sposta, abbandona le radure create attorno al villaggio per ritornarvi solo dopo qualche anno quando la foresta ha iniziato a ristabilirsi. Usano comunque il veleno per catturare i pesci nei fiumi, riducono la popolazione dei mammiferi, abbattono alberi e a volte spogliano interi palmeti per ricoprire i tetti delle loro case, ma quel che conta è che prendono dalla foresta solo quanto occorre per sopravvivere. E lo fanno in modo ponderato, basandosi su un’approfondita comprensione di quello che fanno e di quello che la foresta può o non può dare.
In merito alla medicina e alla salute, per gli Yanomami ogni problema di salute ha le sue cure attraverso ciò che trovano e che riconoscono nella foresta, ad eccezione di alcune malattie infettive introdotte dall’esterno (soprattutto da parte dei visitatori “civili”), di cui essi hanno un’esperienza limitata.
Purtroppo gli Yanomami, come un po’ tutte le popolazioni tribali, sono minacciati dalla nostra avidità economica: in particolare dai tagliatori di legname e dai minatori che, sia in passato sia ancora adesso, si addentrano nella foresta e usano violenza per scacciare le tribù dalle loro terre. In più i cercatori d’oro inquinano le terre e i fiumi con il mercurio che sta seriamente minacciando la loro salute.
Perdere una tale popolazione e un tale patrimonio di conoscenze può rappresentare un’enorme vuoto per il genere umano sia dal lato degli aspetti tecnici di utilizzo dei prodotti della foresta sia dal lato della conoscenza botanica ed erboristica. Inoltre perdere gli Yanomami potrebbe rappresentare un enorme vuoto dal punto di vista filosofico perché l’ambiente e la terra sono talmente radicati nella loro cultura (materiale e spirituale) che la sola idea di poterli distruggere risulta per loro totalmente ripugnante. A differenza di noi, invece, che con la nostra arroganza culturale, tecnico-scientifica e di stile di vita abbiamo perso totalmente il contatto con la natura tanto da non renderci conto sia dei danni che stiamo provocando sia delle possibili soluzioni condivise e praticabili per risolverli.
A pensarci bene la cosa che più mi inquieta di noi e della nostra “civiltà evoluta” è il fatto che, mentre nella foresta gli Yanomami si devono difendere collettivamente dagli animali selvatici, noi, nelle nostre città, ci dobbiamo difendere individualmente da altri esseri umani. Su queste basi mi sa che abbiamo molto da imparare dagli Yanomami!
_____
(1) Informazioni fornite dal dott. William Milliken, etnobotanico presso i Giardini Botanici Reali di Kew a Londra e grande studioso dei rapporti tra popolazioni indigene americane, biodiversità e risorse.
Fonte: Survival
Foto: Survival
400 ppm
In fin dei conti erano solo 3 milioni di anni che non avevamo una tale concentrazione di CO2 in atmosfera. Cosa volete mai che sia!
A parte l’ironia si deve osservare che nel 2012 le emissioni globali di CO2 hanno raggiunto il livello di 35,6 miliardi di tonnellate (in crescita del 2,6% rispetto al 2011). Inoltre è di questi giorni la notizia che la concentrazione di CO2 in atmosfera ha raggiunto le 400 ppm (parti per milione) (1). Secondo gli studiosi tale livello fu raggiunto solamente tra i 3,2 e i 5 milioni di anni fa (quando non c’era alcuna traccia dell’Homo sapiens), caratterizzati da temperature medie della Terra più elevate di 3° C e 4° C rispetto ad ora (ai poli erano più alte di 10° C) e da un livello dei mari più elevato tra i 5 e i 40 metri.
Ovviamente il Pianeta era in perfetto equilibrio, ma la vita che lo caratterizzava era molto diversa da quella attuale! Ed è questa è la domanda che ci dovremmo porre perché il nuovo equilibrio che la Terra sicuramente raggiungerà lo otterrà a quale prezzo?
Visto che la concentrazione di CO2 nell’atmosfera nell’era preindustriale (1) è rimasta per migliaia di anni intorno ai 280 ppm, si può osservare come in poco meno di due secoli la dipendenza della “civiltà” dalle fonti fossili per la produzione di energia mediante combustione abbia e stia profondamente alterando le condizioni climatiche del pianeta e la possibilità che lo stesso possa ospitare la vita (anche la nostra) così come la conosciamo ora. L’elemento più preoccupante è che i cambiamenti si stanno realizzando ad una velocità tale da impedire agevolmente qualsiasi forma di adattamento.
Il dramma in tutto ciò è che non si vede una via di fuga dal problema: le emissioni globali annualmente aumentano (anziché diminuire) perché l’industria e la politica, colpevolmente ciechi e sordi di fronte ai gravi rischi, anziché puntare su sistemi alternativi di produzione energetica ed ostacolare quelli climalteranti, puntano ancora tutto sul carbone, sul petrolio e sul gas (2). È come vedere un fumatore al quale hanno diagnosticato un grave tumore al polmone che rimane attaccato al vizio delle sue sigarette aspettando, senza alcuna cura, una morte che inevitabilmente e dolorosamente arriverà!
L’unico modo per poter sperare di congelare il processo di cambiamento del clima è quello di puntare tutto, da subito, sulla rivoluzione energetica che consiste in tre ingredienti fondamentali: utilizzo di fonti rinnovabili; efficienza energetica; produzione di energia distribuita e locale. Il tutto condito almeno dalla salvaguardia (e, se possibile, dall’incremento) delle immense foreste della Terra.
_____
(1) La concentrazione della CO2 atmosferica è stata misurata a partire dal 1959. Le misurazioni storiche della CO2 (che risalgono fino a 800.000 anni fa) sono state effettuate sulle bollicine d’aria intrappolate a profondità crescenti nel ghiaccio antartico. Fonti: Friedli, Etheridge, Monnin e NOAA (National Oceanic and Atmospheric Administration).
(2) Dalla Cina al Canada, dall’Australia all’Artico, dall’Europa all’Africa sono numerosissimi i progetti per aumentare i livelli di sfruttamento dei giacimenti di carbone, petrolio, sabbie bituminose e gas. Si tratta di progetti anche molto impattanti a livello ambientale e sociale come, ad esempio, il fracking.
Fonte: Greenpeace
Grafico: EcoAlfabeta